Sento la necessità di scrivere per tenermi stretta quell’emozione che temo possa andare scemando col passare dei giorni, tramutandosi in un semplice e bel ricordo.
Tutto questo è riassumibile in una commozione, mossa da un turbamento di sentimenti d’affetto che
ha investito non solo me, ma tutte quelle 34 persone, accolte da Don Giovanni e i suoi confratelli.
Sono le 6.30 quando ieri, domenica 7 novembre, salgo sulla corriera in partenza per Trebaseleghe,
Casa di Don Orione ove risiede Don Giovanni.
Con sorpresa, nonostante il viaggio si prospettasse lungo e all’insegna del maltempo, colgo visi felici, pronti a condividere questa breve, ma sicuramente intensa giornata.
Un’iniziale preghiera, silenzi di dormiveglia, alternati alle risa dei ragazzi e ai canti di un irrompente coro per poi arrivare alla meta in tarda mattinata.
L’autista sta parcheggiando, ma ecco da lontano venirci incontro due figure in blu, di cui una con una mano che si agita per salutarci e allo stesso tempo indicarci la strada, non può essere che lui, colui che accoglie e dirige, il nostro Don Giovanni, accompagnato dal rettore Don Luciano.
È sempre lui, con il suo sorriso e il suo buffo accento, che ci saluta uno ad uno e subito ci invita ad organizzarci per la Santa messa.
I ragazzi si preparano all’altare in veste di ministranti, il coro prende posizione e la funzione può iniziare.
La voce e le parole del Nostro sacerdote, da tempo non udite ma mai dimenticate, non possono non rimbalzare nelle nostre orecchie e nei nostri cuori.
Nei momenti delle letture e di preghiera è facile scorgere dal suo volto chinato, quei piccoli occhi azzurri che osservano, che controllano, che si emozionano.
La nostre voci, solitamente imprecise, questa volta prendono forma,unendosi in un unico canto, bellissimo; nell’omelia Don Giovanni ribadisce che tutto è mosso dall’Amore di Dio e che il nostro ritrovarci ne è testimonianza, niente di più semplice e grande allo stesso tempo.
Dopo questo momento liturgico toccante, la testimonianza prosegue ed è portata avanti dai confratelli orionini che ci ospitano nel loro refettorio, offrendoci un pranzo a base di piatti tipici della zona ed intrattenendoci con diversi aneddoti e tanta simpatia.
Segue, sempre in compagnia di Don Giovanni e Don Luciano, la visita alla fattoria e alla struttura con suoi ospiti, anziani per la maggior parte non autosufficienti; scambiando qualche parola con una signora in carrozzina si capisce che sono assistiti e trattati amorevolmente e mi conforta il pensiero che tante possibili solitudini e malattie si possano riunire per essere affidate alle cure di chi davvero agisce mosso dall’amore di nostro Signore.
È l’ora di ripartire, ci aspettano ore di viaggio e temiamo le avversità del tempo; con la pesantezza del cuore ci avviamo lentamente al pullman e Don Giovanni non perde occasione per rivolgere il suo saluto a ciascuno di noi e prometterci una sua prossima visita.
Dai finestrini dell’autobus vediamo sempre più in lontananza quelle due figure blu che ci avevano accolto la mattina, un cerchio che si chiude, un filo d’amore che prosegue.