I bambini andavano a trovarlo contenti; col tempo divenne più silenzioso; non riusciva a sentire bene quello che gli dicevano i nipotini. Negli ultimi tempi li fissava con sguardo assente. Il piccolo Giuseppe non era però turbato dal suo silenzio. Quando il nonno morì gli permisero di dargli l’ultimo saluto, prima di chiudere la bara. Il ragazzino gli accarezzò delicatamente le mani e la fronte e, rivolgendosi ai suoi genitori, disse: “Scriverò un libro sul nonno”.
Ha mantenuto la sua promessa con nove righe di domande: “E’ bello il Cielo? Mi manchi tanto, nonno. Hai già incontrato altra gente? Ti dispiace di non vedere più la nonna? Hai già visto Gesù o la Madonna o San Giuseppe?”. Con grande naturalezza il piccolo Giuseppe mescolava cielo e terra. A ragione Gesù ci ha esortato: “Se non diventerete come bambini…”.
E’ proprio questa familiarità, questo ospitare sotto lo stesso tetto, il proprio cuore, il Cielo e la terra, che vuole trasmetterci il Vangelo. La debolezza che sta colpendo il cristianesimo ha origine nell’allontanamento da Dio. Il Tu confidenziale ci è divenuto estraneo. Il volto e lo sguardo intenso del Signore che avvolgono ognuno di noi con infinita tenerezza, vanno affievolendosi e così la fede si dissangua. Per molti, Dio, Maria e i santi non sono che idee, vane parole prive di vita.
Benedetto XVI ha attribuito questa “malattia” al teismo, constatando come esso abbia praticamente preso il sopravvento nella coscienza generale dell’umanità. Non si riesce più a immaginarsi un Dio che si prende cura di ogni singola persona, tanto meno di un Dio che agisce nel mondo. Una fede esangue non è altro che una morale senz’anima, incapace di conquistare gli altri. E’ proprio questo il dramma che si nasconde dietro la contrazione della Chiesa cattolica rilevata dalle statistiche.
Per questo è decisivo che laici e sacerdoti ricostituiscano il proprio legame con personale con Gesù, riaprendo l’intenso dialogo a tu per tu con il Dio vivente. Tutto il resto viene da sé. La Chiesa cresce lì dove “essere cattolici” significa essere innamorati del Figlio di Dio, sia sul Golgota che la mattina della Resurrezione.
Voi e noi tutti sappiamo: l’amore per Cristo è una questione di vita o di morte. Teresa di Calcutta ha vissuto questa consapevolezza. Abbiamo appena festeggiato i 100 anni della sua nascita. Fu a Roma, un pomeriggio, che ebbi l’onore di stringerle la mano. Le sue erano ruvide, rugose, mani di chi lavora. Quanti moribondi, quanti bimbi hanno sorretto e benedetto quelle mani! Quante perle di Rosario sono scivolate tra le sue dita! Per lei il Signore era cosa viva, un Tu che risplendeva nei deboli e nei poveri.
Beata Teresa, benedicici!