Se il buon Dio, che ha riaperto la via del cielo offrendoci Gesù, non può indurre in tentazione le sue creature, allora, è la nostra arroganza a farlo.
Ne consegue, credo, che il “non c’indurre in tentazione “ del Padre Nostro:
sia l’autocertificazione di sentirsi specificatamente chiamato, quindi eletto, anziché solamente fortunato per il dono ricevuto, pertanto senza merito alcuno;
- sia l’umana presunzione di sapere sempre parlare, agire e giudicare in nome e per conto di Dio;
- sia il convincimento di conoscere e di saper dire le cose di Dio e, invece, troppo spesso, sono solo le nostre povere cose, magari, o talvolta, dette bene;
sia la suggestiva convinzione di avere sempre sul capo - e anche dentro - la colomba dello Spirito Santo e, invece, potrebbe essere il banale piccione della nostra immodestia;
sia la personale giustificazione e autoassoluzione del nostro pensare e fare, perché succubi del nostro “amor proprio”;
sia l’autoconvinzione che il nostro “masticar delle cose di Dio” coincida con il pensiero di Dio;
sia la certezza, infine, di essere certo…. solo perché se ne parla.