N° 9 - Novembre 2009
Medicina empirica e chirurgia primordiale
di Padre Carlo Cencio

 

 

Da che mondo è mondo ci sono sempre stati malati, malattie e medicine. Tutto il mondo africano è ricco di maghi, guaritori stregoni, pranoterapeuti, fattucchiere… Le conoscenze medico-chirurgiche moderne sono assai poco diffuse, anche se spesso si operano arti fratturati o lussati, si estraggono frecce penetrate in profondità, si disinfettano con attenzione le ferite e si conoscono le fasciature. Ora vi racconto cosa ho potuto vedere con i miei occhi.

Il caso di Rose.

         Quel giorno ero in viaggio per Bayannga-Didi. Passando per Samba, mi ero fermato a salutare il catechista e i consiglieri ai quali dovevo lasciare i soliti avvisi e messaggi per incontri e celebrazioni. Appena sceso dall’auto, mi erano corsi incontro ragazzi e ragazzine. Fra questi giovanissimi c’era una ragazza con siriki (foulard) in testa e un lungo panno avvolto alla vita. Era tutta un fiore. Avrà avuto tredici o quattordici anni ed era lì come gli altri per salutarmi. Quando le tesi la mano, mi accorsi con raccapriccio che il bulbo oculare le penzolava fuori dall’orbita. “Cosa hai fatto?”. “Correvo, sono inciampata, sono caduta; c’era un ramo, mi si è conficcato qualcosa qui (e fece un segno con la mano) e quando mi sono alzata colava sangue e l’occhio era uscito”. “Ma tuo padre e tua madre dove sono? Non vorrai rimanere in quelle condizioni! Devi venire con me all’ospedale, i medici con i loro strumenti moderni e le loro conoscenze ti rimetteranno l’occhio nell’orbita. Chissà che tu non riesca a conservare la vista.”. “Ma io ci vedo!”. “Sì, ci vedi, ma con l’altro occhio! Non perdiamo tempo, va a prepararti subito, io torno indietro. Sono solo novanta chilometri. Bisogna medicarti e intervenire immediatamente”. “Padre”, mi disse una donna che si era avvicinata, “noi all’ospedale non ci andiamo. Non c’è bisogno. Io sono sua madre, non voglio che Rose vada all’ospedale. E’ troppo costoso e noi non abbiamo soldi. E poi l’incidente è avvenuto ieri, il sangue si è fermato e questa notte ha dormito. Vedremo”.

         Ero rimasto esterrefatto. Avrebbe potuto svilupparsi un’infezione disastrosa. Mi era venuta voglia di urlare, di minacciare, di fare venire giù il cielo…ma non avevo fatto nulla ed ero rimasto di pietra. Infatti erano tutti d’accordo a non muoversi: le donne, gli uomini e anche Rose.

         Fingendo di avere su di loro un’autorità indiscussa, dissi freddamente: “Va bene, per ora vado a Bayanga-Didi; ritornerò domani nel pomeriggio, preparate tutto perché vi porterò all’ospedale”. Mi lasciarono dire. Era come se avessi parlato agli alberi. Non ci fu un brivido di foglie in più. Mi salutarono e partii allibito.

         Il giorno dopo, Rose non voleva partire. Né i suoi l’avrebbero permesso. Mi venne a salutare con il suo bulbo pendente su un lato del naso. Si vedeva che alcune fibre non avevano ceduto, ma non sapevo che danni avesse subito il nervo ottico. Qualche capillare irrorava ancora l’occhio che, infatti, restava lucido e vivo. “Io sono qui per aiutarvi”, dissi per l’ultima volta, “se rifiutate, non so cosa dirvi. Non vi impongo il mio aiuto, ve lo propongo, come vi propongo il Vangelo. Non volete? Vedetevela voi!”. Così dicendo ero ripartito verso casa tutto solo.

         Circa venti giorni dopo ero ritornato in quella zona passando per Samba. Mi ero fermato per vedere Rose. Tutti erano accorsi a salutarmi, insieme con il catechista. Anche Rose era con loro. Si presentò tutta sorridente, la fissai bene, era proprio lei. Il suo bulbo destro non pendeva più sul naso. Era bella come prima, e raggiante. Le chiesi: “Rose, come hai fatto? Chi ti ha messo a posto l’occhio?”. “Siamo andati da una donna mbororo, una guaritrice. Lei ha fatto un infuso d’erbe, mi ha lavato l’orbita, il bulbo e quindi con due dita, sollevando le palpebre, ha rimesso l’occhio al suo posto e ora sto bene”. “Ma ci vedi?”. “Sì, ci vedo”.

         A questo punto mi accontentai. Non volli fare la prova della vista. Era già fin troppo meraviglioso quello che era successo. Cascavo dalle nuvole e dissi alla suora che mi accompagnava: “Hai visto? Senza tanta scienza, l’occhio è ritornato al suo posto. Questa medicina empirica fa miracoli!”.

         Del resto, qualche tempo prima, avevo toccato con mano un altro miracolo: quello della resistenza al dolore e della forza di volontà.

 

 


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