N° 6 - Giugno 2022
Storie dei lettori
  Dal Diario di un pellegrino
di Gualtiero Sollazzi


   


  PREDICHE  INUTILI

Così Luigi Einaudi, presidente emerito della Repubblica, intitolò un suo scritto nel 1949. Era destinato alla classe politica e dirigenziale del paese. Ma l’uomo conosceva i suoi polli: di qui un titolo che la dice lunga. Volle egualmente compiere questo ‘servizio’ nella speranza che qualcuno ne fosse interessato. Vengono in mente i “25 lettori” del Manzoni. E, anche, un umile invito rivolto alla Chiesa da Paolo VI° nel suo testamento; un papa schiacciato tra il “papa buono” e il “santo subito”: “Sia Lei ad ascoltare alcune delle nostre parole, pronunciate con serietà e amore …”
Quante “parole” grandi ha donato questo papa alla Chiesa. Ma se fossero considerate ‘inutili’ raccomandava che ne fosse salvata qualcuna. E’ lo spuntino di un ragazzo che consente la moltiplicazione dei pani nel racconto di Matteo.

I discepoli lo considerano ‘inutile’ per sfamare tantissima gente.
Avviene, invece, il miracolo. Che poi viene a dirci: ognuno ha sempre da offrire qualcosa. Quello che è considerato niente (cinque pani e due pesci)  Dio sa renderlo vita.


  LA STESSA CANZONE
di Antonio Ratti


Tra vecchie scartoffie eliminate durante le pulizie pasquali, ho trovato una paginetta scritta il 15 agosto 2002 ovviamente per Il Sentiero.  A vent’anni di distanza sembra scritta oggi: tutto cambia perché nulla cambi, così anche quest’anno l’autunno sarà caldo per il razionamento di gas e luce e il loro costo.

 LA  STESSA CANZONE

“’St’altr’ano di questa stagione

noi canteremo la stessa canzone.”
Con questa massima lunigianese ed un sorriso appena abbozzato di chi la sa lunga, nonna Filò ( Filomena ) liquidava la scarsa propensione dei più ai cambiamenti veri. Trovo efficace e puntuale il riferimento all’immagine canora.  Circolano ed hanno – ahimè -  successo e seguito in Italia – e non soltanto – parecchi cantautori politici che, strimpellando fino alla noia motivetti, mediocri nei contenuti dei testi come della musica, ma arrangiati con ritmi e tempi differenti, li spacciano, senza temere il plagio, per le attese novità. Non di rado, affidati – i motivetti, s’intende -  alle potenzialità timbriche e sonore della grande orchestra mediatica, si tenta di dar loro quelle qualità di cui sono tanto bisognevoli.  All’operazione un po’ camaleontesca il successo sembra garantito: è la sua durata a tradire talvolta gli incauti resi arditi dall’effimera notorietà ed oltremodo persuasi della propria “creatività”.
Comunque, immensa è la capacità di galleggiamento di costoro nel giro che conta. Nascondere l’immobilismo più totale dietro retorici proponimenti o progetti di verbosa vacuità, dichiararsi certi della giustezza delle proprie posizioni senza specificare sulla base di quali elementi probatori, ma semplicemente perché non è neppure adombrabile l’ipotesi di trovarsi dalla parte sbagliata per dogma di fede ideologica  - e la fede non è ragione -  è la costante dell’operatore politico di professione o improvvisato.  I tanti agnostici o del tutto indifferenti a simili dogmi, come il sottoscritto, per abbandonare lo scomodo stato di dubbio nella ricerca della verità, sembrano costretti a dover utilizzare una sola via d’uscita: sposare l’una o l’altra fede pur di sentire il sostegno dell’appartenenza ad un gruppo dotatosi di fede propria.
 E’ possibile che esistano sempre tante verità così contrapposte da non lasciare intravvedere punti comuni, seppure interpretati ed interpretabili in modi diversi?  Anche in nome della relatività dei sistemi, è possibile che il meglio per gli uni  sia per gli altri la peggiore proposta immaginabile? Un provvedimento o una iniziativa che sono buoni se fatti da una parte e pessimi se fatti dall’altra, mi induce a pensare che mi si vuole gabbare. Qualche esempio?..... Mi sento soffocato dal numero. C’è chi grida ai buchi di bilancio e chi li nega proponendo altri “scostamenti” di bilancio  o ne rigetta le responsabilità  oggettive a chi c’era prima, che poi sono sempre i soliti .
La Rai imparziale nell’informazione, si scopre d’un tratto non più o viceversa a secondo chi si riesce a piazzare ai vertici. La giustizia più o meno giusta se non allineata o allineata al colore del momento: dov’è finito il mitico simbolo della bilancia in equilibrio perfetto? I tickets  sui farmaci e le prestazioni specialistiche, per otto anni il male minore di una situazione economica pesante,  diventano al momento della reintroduzione, dopo sei mesi di sospensione ( incauta o maliziosa? ), un attacco altamente lesivo del costituzionale diritto alla salute ( a stracciarsi le vesti proprio chi li aveva inventati ).  La solita nonna diceva: “alla mia lingua le dò io da mangiare, quindi deve dire come voglio”. Ogni argomento affrontato in Parlamento scatena risse incresciose, polemiche infinite che gettano in un angolo le ragioni del buon governo della res publica. Soprattutto, ferendo la dignità delle Istituzioni, si determina un clima di delegittimazione dal quale ciascuno si sente, invece, legittimato a fare i propri comodi, pardon, gl’interessi legittimi, ma di parte: gli imprenditori, piangendo calde lacrime invereconde, impegnati a trarre vantaggi economici e di potere riappropriandosi anche dei diritti acquisiti dal lavoro dipendente; finanzieri impegnati ad usare i paradisi fiscali per inseguire profitti immorali e provocare crac che sono vere rapine premeditate; la corruttela endemica, che la stagione di Mani pulite non ha scalfito, sa di prosperare in zona franca; il sommerso, il lavoro precario, nero e quant’altro di proliferare impunemente. Il filo degli ideali che normalmente unisce e dà motivazioni forti a sostenere una causa comune, si è così sfilacciato da ritenere superfluo, se non obsoleto, perfino un gesto simbolico come il canto dell’Inno nazionale. E’ più grave l’ostracismo dei calciatori a cantare o il tirarsi epiteti, insulti e pugni nelle aule della Camera e del Senato della Repubblica?  I primi, è cosa nota, sono dei piedi mercenari a caccia di ingaggi da paperoni, i secondi  - sebbene le tante perplessità sui meriti, le competenze e le capacità -  sono i rappresentanti democraticamente eletti di un popolo  che, nonostante tutto, non ha ancora abiurato alla dignità di qualche diritto, primo fra tutti, quello di essere rispettato dai suoi eletti a qualunque schieramento appartengano.

L’autunno in arrivo non lascia spazio all’ottimismo.

 15 agosto 2002
Antonio Ratti

  “Piacer figlio d’affanno”
di Romano Parodi



Al centro del settimo simposio dei vescovi europei, ci sono stati i grandi temi esistenziali della nascita, della morte, della malattia. Il vescovo di Magonza, Karl Lehmann, ha suscitato scandalo scagliandosi contro l'eccessiva tecnicizzazione e medicalizzazione dei parti, contro quella cultura degli analgesici che finisce per privare la donna d'una esperienza unica, e propugnando quindi un ritorno, sia pure «cum juicio», al parto naturale.
L'Illuminismo ha proclamato, il diritto dell'uomo alla felicità. Questo diritto è stato interpretato come un obbligo a cancellare il dolore, in ogni sua forma, dalla faccia della Terra. E la tecnologia, col dominio instaurato sulla natura, ha reso credibile questa possibilità. In realtà, dicono i vescovi, l'esperienza del dolore è fondamentale per la vita dell'uomo e ha un altissimo valore terapeutico ed educativo. Senza la conoscenza del dolore non ci potrebbe essere nemmeno quella della felicità. Lo sapevano gli antichi. «La malattia», dice Eraclito, «rende dolce la salute, il bene il male, la fame la sazietà, la stanchezza il riposo». È Leopardi, ne “La quiete dopo la tempesta”, canta: «Piacer figlio d'affanno; /gioia vana, che è frutto /del passato timore, onde si scosse /e paventò la morte /chi la vita aborria». (La felicità può nascere solo dopo lo scampato pericolo - nel dialetto ortonovese: dopo aver visto “la pota al lupo”). Lo sapeva Freud che, nelle sue Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, riconosce «la necessità biologica e psicologica del dolore per l'economia umana».
Ma l'uomo contemporaneo, nella sua generalità, ha perso stolidamente questa consapevolezza del valore della sofferenza. Nel suo edonismo infantile egli non vuole sentire parlare di punizioni ma solo di premi, vuole il benessere, ma senza dover fare i sacrifici per ottenerlo, pretende che ci sia la felicità ma non il dolore, la vita ma non la morte, il Bene ma non il Male, il Paradiso ma non l'Inferno (del resto il teologo, von Balthasar, ha affermato che l'Inferno non esiste). L'uomo contemporaneo immagina che la vita altro non debba essere che un'interminabile messe di felicità, di premi, di promozioni, di consumi ininterrotti. Ma la vita non è questo, e non può e non potrà mai essere questo. Se si cancellasse la sofferenza non ci sarebbe più l'uomo. Non ci sarebbe più la vita che, non a caso, ha inizio proprio con l'esperienza del dolore. Se effettivamente arrivassimo ad abolire il dolore, come pretendiamo, con esso aboliremmo anche i processi vitali. E noi, in parte, già conduciamo un'esistenza del genere, protetti dalla tecnologia,  divorati da un'oralità onnivora che non arriva mai a soddisfarci ed è causa di una sorda depressione di cui non riusciamo a capacitarci. Ma poiché nonostante tutto, nonostante i prodigi della tecnologia e della medicina, nonostante i costosi “vizi” di cui ci circondiamo, nonostante la nostra educazione all'edonismo e al cinismo, il dolore, prima o poi, si affaccia alla nostra vita con il risultato che non siamo più in grado di affrontarlo, di accettarlo e di tollerarlo. La minima sofferenza ci getta nella disperazione, perciò acuendosi: e così, inseguendo l'ideale d'una vita senza sofferenza realizziamo il tetro paradosso di soffrire di più.
Avendo proclamato il diritto alla felicità ci siamo condannati, con le nostre stesse mani, all'infelicità perenne. La religione e la filosofia, quando erano più sapienti, dicevano invece che la vita è innanzi tutto dolore. E, in questo modo, oltre che prepararci a sopportarlo, ci permettevano di apprezzare al massimo grado la sua assenza. Dichiarando che la condizione umana è - come è - l'infelicità, ci consentivano di essere, qualche volta, felici.
(Da un articolo di M. Fini)


  Tutto da rifare
di Romano Parodi



Come sapete ho scritto sul nome del nostro Santuario: cioè perché, per 400 anni si è chiamato Madonna del Mortinetto. Ho scritto che forse prese il nome da una qualità d’olivo chiamato Mortina importato dai genovesi nel 1600. Tutto sbagliato. Il toponimo Mortinetto, mi informa il bravissimo Maurizio Federici, esisteva già prima del 1491 (documentato), quando l’olivo genovese non c’era ancora.
Quindi... riepilogo:  sul poggio del Mortinetto i disciplinati eressero una Casaccia; in questa Casaccia ci fu il miracolo della lacrimazione, il Concilio Tridentino certificò il miracolo e vi  fece erigere un Santuario dedicato alla Madonna del Mirteto perché qui c’erano molti mirti (vero); ma subito dopo fu chiamato Madonna del Mortinetto perché quello era il nome del luogo.

Toponimo che mantenne sino al 1800 quando ritornò ad essere chiamato Madonna del Mirteto. Sarà così? Allora, forse, il nome Mortinetto deriva dal fatto che qui si seppellivano i morti (vero), così come a Massa dove il Mortinetto e il luogo dove si trova il cimitero. Ed ecco spiegato perché dentro il tempietto c’è una botola con un ossario enorme. Io l’ho aperta una volta e vi posso assicurare che le ossa premono sino al coperchio.


La nostra Madonna ha molti nomi, anche Madonna dei Perdolenti (vedi lapide). Cosa significa?


Il mese di Maggio è dedicato alla Madonna, e al Santuario vi si recita il rosario serale che termina sempre con la canzone di don Ferdinando Maberini, che ha un verso che dice: “...Oh Madre del Pianto – la gioia perdona,…”.  Ebbene, hanno modificato questo verso in – “la gioia ci dona,… ). Non hanno capito che il verso di Don Maberini aveva un significato ben preciso: Oh Madre celeste, tu piangi e noi gioiamo - perdonaci -. Giuseppe, cosa ne pensi di questa modifica?


  Citazioni
di mons. Giovanni Chiaradia



Dal cielo discende il Figlio di Dio, tocca la freccia, diventa una croce. L’abbraccia, cammina nel tempo: nasce l’amore.

  Nicola Gaspari
di Enzo Mazzini


È mercoledì 27 Aprile. Da qualche giorno il mio amico Nicola Gaspari non sta bene. Nicoletta, la sua adorata figlia, mi tiene costantemente informato delle sue condizioni di salute e, purtroppo oggi informa me e tutti i componenti del "Coro di Isola" che il suo adorato papà è  volato in Cielo.
Che colpo al cuore! Io ero molto legato all'amico Nicola nei tempi nei quali facevo anche attività politica; poi mi sono allontanato da lui quando i miei impegni lavorativi mi hanno portato ad operare in località anche lontane: Trento, Trieste, etc. Quando ho lasciato il lavoro, per raggiunti limiti di età e sono rientrato stabilmente nel mio comune di residenza (Luni), ho avuto l'occasione di riavvicinarmi a lui in quanto  sono diventato componente del Coro di Isola diretto da Sua figlia, la cara Nicoletta e da lei sono stato costantemente informato delle sue condizioni di salute, fino al momento che speravo non arrivasse mai. Invece, purtroppo, l'irreparabile è avvenuto, lasciando tutti noi in un profondo sgomento.
Oggi, 28 aprile, si svolge il rito funebre nella sua Chiesa di Isola che è davvero gremita di fedeli che sono corsi a dare l'ultimo saluto ad una persona molto amata e stimata da tutti.  Nicoletta, pur affranta dal dolore, ha voluto fare al suo caro papà un ultimo regalo: cantare e dirigere il coro, accompagnandolo all'organo nella solenne Messa funebre.

Anche don Carlo, nascondendo a fatica la sua profonda commozione, riesce però a rapirci con la sua profonda e partecipata omelia che di seguito riporto: " È un'esperienza bella quella che fin dall'inizio della nostra vita proviamo con la famiglia. È bello scoprirci noi stessi amati, amati e donati per sempre, attraverso quelli che sono i sacrifici della vita, quando una famiglia si costruisce, specialmente se andiamo indietro nel tempo, molti anni fa, quando si era anche costretti a lasciare la propria terra ed a ricominciare tutto da capo, riuscendo però a realizzare quelle che sono le cose più belle, i valori più alti: i figli,la famiglia, la casa, il lavoro ed illuminato tutto questo dall'onestà: allora la vita diventa una grande testimonianza, portando con sé quelli che sono i valori della propria terra, fra i quali la fede. Ecco, questo diventa il grande capolavoro  che le persone che noi amiamo hanno fatto, ci lasciano o ci hanno lasciato. Ed è proprio attraverso questa testimonianza che noi desideriamo illuminare il cammino della nostra vita e dare a questa vita, qualche volta così complicata, il senso vero delle cose perché, quando accadono, la fede ci viene incontro, la tua fede, la nostra fede e ci  dice di non avere paura, ma di avere speranza perché la vita è legata per sempre all'amore di Dio. È  una assicurazione importante, non fatta, non stipulata da mani d'uomo ma da Dio stesso. È questa la grande garanzia che ci viene offerta attraverso quelli che sono gli atti testimoniati ogni giorno da queste persone e che sono i valori non negoziabili, quelli più belli: la maternità e la paternità. Oggi purtroppo  vengono un po' dimenticati, in un mondo così complicato, però sono quelle cose che danno sapore alla vita, che illuminano l'attesa del cuore perché noi tutti sperimentiamo sempre e  abbiamo sperimentato la bellezza di questi valori. Dobbiamo pensare che in ogni loro gesto, paterno o materno, viene offerta la vera spiritualità della vita, spiritualità legata all'amore di Dio nella sua eternità. È un intreccio di amore, visibile ed invisibile. È quello che ci appare nei loro ultimi gesti, nell'ultimo respiro. So che eravate vicini al vostro caro papà e in quel momento si è aperta però  una speranza nel vostro cuore. Anche se c'è la nostalgia, c'è il dolore, perché sono persone importanti e non dovrebbero mai lasciare questo mondo, però è vero che la fede ci dice che non muoiono, ma si addormentano nella bellezza di Dio, in quella bellezza che noi possiamo riscoprire attraverso quella che è la fede che ci hanno trasmesso. Ogni loro gesto è stato ed è un gesto di spiritualità: questa trasmissione del Paradiso! Quante volte noi pensiamo che vorremmo capirci di più su quel grande mistero dell'amore, però se pensassimo soltanto a quel momento in cui l'amore ha finito di far battere il nostro cuore,  dovremmo pensare che qualcuno ha aperto le braccia per accoglierlo.
Diceva Sant'Agostino: "È come se Nicola fosse partorito all'eternità". Come quando Nicola era nelle braccia della sua mamma o nel ventre della sua mamma. È stato partorito alla vita e lui ha amato, ha donato, ha offerto ed ecco il capolavoro della sua famiglia. Ed ecco il lavoro, la casa, la fatica, i dolori, la speranza. Adesso viene chiamato ad un altro passo. Che bello questo arcobaleno di speranza! Si parte dalla terra e si torna al Cielo.

Ecco, Signore, noi vogliamo sentirlo così il nostro caro Nicola. Questa paternità così  bella! Sappiamo certamente, come dici tu Sant'Agostino, che il nostro cuore lo cercherà,  i nostri occhi sono pieni di pianto, però sappiamo, come dici tu, che dobbiamo ringraziare Dio perché ce l'ha donato. Ecco perché diventa grande la nostra speranza. Non perdiamoci d'animo! Anche il tuo dolore, il nostro dolore, oggi è raccolto ed è fecondato dalla Luce Pasquale. Anche le donne piangevano di fronte a questo grande mistero della morte. Fa parte della vita,del dolore massimo. Pensiamo alla guerra e pensiamo a quella malattia che ha privato dell'amore molte persone: addirittura le ha fatte morire da sole, senza nessuno, ma tutto questo è legato allo sforzo di amore che Gesù ha fatto per me, per te e per Nicola. Questo sforzo di amore oggi ci viene offerto attraverso questa preghiera della Chiesa.
Ecco,  sentiamolo ancora accanto alla nostra vita: in un modo diverso, però più vero, accanto a Dio e sentiamoci anche noi, camminando in questo pellegrinaggio che è ancora la nostra vita, di offrire anche noi quegli spunti, quegli atti di spiritualità, di speranza, di affetto e di amore, come Nicola ha fatto per voi che siete la sua adorata famiglia".

Enzo

  LETTERA AL SENTIERO
di Paola G. Vitale



 

Cari amici, leggendo il Sentiero, mi sento arricchita da ciascuno di voi che scrivete. Anche ieri, vigilia della Domenica della Divina Misericordia, donataci da Papa Wojtyla, ho letto con grande calma e relax il Sentiero, mentre il cielo dell'allerta gialla mi teneva fermamente in casa.Ho potuto così apprezzare proprio lo scritto di ciascuno, dal Padre Rettore del Santuario in Ortonovo, dai pensieri sul silenzio di Dio, da don Carlo Cipollini, fino al racconto di Marta e tutti, tutti che mostrate la fede della nostra grande famiglia, allo scopo di esortare ogni battezzato in Cristo Gesù. Vi sono vicina perché pure noi, cristiani improvvisati, come qualcuno a suo tempo ci ha definiti, siamo lieti nel Signore Risorto e preghiamo per la conversione dei cuori tanto traviati perché la Luce lì raggiunga e li avvolga interamente.

Vi abbraccio e vi saluto inviando mille auguri a ciascuno di voi.

 Luni Mare 24 aprile 2022                                                                                  

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