Il Sentiero


N° 5 - Maggio 2009

I nostri poeti

			La Via Crucis del grande dolore di Maria Angela Albertazzi Come vedi, Signore In tanti portano una pesante Croce nel cuore. Signore, quanto dolore Con un tremar di terra! Spazzata via una generazione intera. Ricordi brucianti di queste distruzioni Purtroppo in tutto il mondo è così, senza distinzioni. Signore, a vedere e sentire tutto questo Se ne va via tutto il resto. Quelle bare, scure allineate; quelle bianche dei bambini esposte; i loro cari angosciati non sanno darsi risposte. E’ la loro grande via crucis di dolore; Signore, quante croci Si vedono pesanti da portare. Signore, la tua era pesante da sopportare Per i nostri peccati da scontare; ma quei giovani e bambini con la vita ancora da affrontare là sotto la morte li era ad aspettare. Aiuta, Signore, tutta quella gente A tornare a vivere con la pace in cuore; a tutti quei feriti ridona la salute del corpo e ritrovino la serenità che della vita deve essere continuità. Quelle bare con sopra posati tanti fiori belli e profumati che da tante lacrime son bagnati. Ma lì dentro non vi era più nessuno, tra lacrime, canti e preghiere si sono presi per tutti mano e salutando il mondo sono arrivati lassù fieri, portati via dagli angeli che li han portati al cospetto di Gesù. Da lassù guardano i loro cari Rimasti nello smarrimento: stanno pregando Iddio che lenisca il loro tormento.

			Ricordi di mio nonno di Padre Maurilio Montefiori O bimbo piccolino tu non sai la lunga storia di sant’Eutichiano quel che fu papa e che morì per Cristo era uno dei nostri era di Luni nato come noi nella gran piana fuor dalle antiche mura e il “colosseo” lungo la via Aurelia dello Scauro. Venivano i Romani a far la guerra con le loro legioni ai Liguri ed ai Galli. Ponevano le insegne dell’impero tra il Magra e il mare. I soldati romani erano padroni e trastullavan la gente ad abbruciar cristiani o li gettavan con le pietre al collo alla Palmaria. Ma a notte Eutichian santo di Dio sangue di terra nostra battezzata s’appiattava e riemergea dall’onde o dall’arena e facea procession con i suoi morti a dare lor sepolcri ad onorarne l’ossa se l’ossa non avevano più sangue ei l’avvolgeva di porpore dorate.

			GH'UPIN di Mario Orlandi A la stazion d’ l’Avenza Gh’upin i scape ‘n ritirata p’r ‘n bisogno urgente ch’in gh fa v’der gnente, solo ‘l porton d’entrata. Acucià ‘n posizion precaria i comenze a conc’ntrarse p’r poder alfin lib’rarse. Fora la genta la và e la ven, la bus a la porta la camine a far ‘l bigl’eto tant che ‘l campanin gh’anunce ‘l direto. Un però i gà la su stessa necessità e apena misa la crica: plà, plà… “Biata te! I dijc Gh’upin. “Sta zito ‘n ca te, non m far v’nir ‘l nervoso: m’è cascà drento d’orlogh’o novo!”. GIUSEPPINO- Alla stazione di Avenza Giuseppino fugge in ritirata per un bisogno urgente che non gli fa vedere niente, solo il portone d’entrata. Accucciato in posizione precaria comincia a concentrarsi per poter alfine liberarsi. Fuori la gente va e viene, bussa alla porta, cammina a fare il biglietto tanto che il campanello annuncia il diretto. Uno, però, ha la sua stessa necessità e appena messa la cricca: plà, plà… “Beato te”, dice Giuseppino. “Stai zitto tu, non mi fare venire il nervoso: m’è cascato dentro l’orologio nuovo!”. Ricordiamo ai lettori che il libro di Mario Orlandi *“Pane per la memoria”* (corredato anche di tante foto storiche) è disponibile in tutte le rivendite di giornali del nostro territorio.**

			Proverbi dialettali di Concita Nicola, dala pancia mola; Ort’no, a cavado a n’bo; San Martin, stroza gagh’in; Casan p’r i pu bei Prché i magh’n i tordei. Se t’ ghè la rabia ‘n corpo Pigh’e la mdscina ‘n cuch’aro pr matina: la rabia a t pasrà; a me djè ‘n già passà con l’acqua d’ bacalà. Ormai i tempi gh’en cambià: a n son pu al tempo che Arnà i s tirev su i calzon con la carucola

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