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Dal Diario di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
A MANI VUOTE
Quattromila paia di scarpe,
una collezione di vestiti impressionante, uno zerbino firmato, due appartamenti
zeppi di tutto. Notizia verissima. C’è un tribunale, senza aule e scranni:
quello dell’umanità. Quale sarà la sentenza? Certi fatti “ non potranno che
suscitare il giudizio di Dio e la collera dei Poveri”. Parole profetiche di
Paolo VI°. C’è, sofferta, una previsione
di p. Zanotelli: “ I poveri avranno sempre meno cibo. Inizia un nuovo tipo di
fame, per cui vediamo alimenti sugli scaffali e gente che non può comprare”.
Viene in mente il Vangelo. Gesù parla ai
discepoli, ma non solo. “Ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero
nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa, ma, calzati
solo i sandali, non indossassero due tuniche”. Una lezione sull’essenziale e
sulla Provvidenza. Canta Maria, fatta voce dello Spirito: il Signore “ha
ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
AMORIZZARE
E’ stato lo slogan di un gran
prete toscano, Arturo Paoli. Questo verbo, così traballante grammaticamente, ma
espressivamente potente, racconta la scelta di vita del sacerdote. Una vita
tribolata e talvolta incompresa; sempre al servizio dell’uomo che non
conta:l’uomo ignoto. Non piacque quando scrisse nel 1954 “ Sulla croce
dell’economia capitalista è stato inchiodato il povero”. Ha rischiato la vita
per salvare tante vite di ebrei perseguitati: 800; meritandosi la medaglia
d’oro al valor civile, e dallo Stato di Israele il titolo “ Giusto tra le
nazioni”. “L’amorizzare” ha fatto da colonna sonora ai suoi giorni rendendolo
uomo di comunione. Lui, che missionario in Brasile, ha visto assai spesso la
morte in faccia, non ha sitato a scrivere ai giovani: “L’esistenza è bella, non
facile, ma bella”. E ancora, vecchio nella carne, ma freschissimo nell’animo,
non ha esitato ad affermare che “il mondo è pieno di occasioni di amore”.
In un tempo che sembra
dominato da belve e sciacalli, è doveroso diventare discepoli di un
“amorizzato” come don Arturo Paoli, prete di razza.
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Il Vate Apuano
di Romano Parodi
A Pietrasanta illustri studiosi si
sono dati convegno per ricordare, a cento anni dalla morte, il Vate ortonovese.
Stefano
Bucciarelli: “Ceccardo Roccatagliata Ceccardi”; Pietro Finelli: il “Don
Chisciotte della eterna illusione”; Berto Corbellini Andreotti: “L’impegno
interventista di Ceccardo”; Paolo Zublena: “Il classicismo imperfetto di
Ceccardo”; Marcello Ciccuti: “Ceccardo, sguardi poetici sull’arte”;
Andrea Palla: “La forma poetica tra suggestioni simboliste e classicismo, in
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi”. Perché a Pietrasanta?
Il “viandante” ha occupato un posto
preminente nella cultura e anche nella politica versiliese nei primi del
Novecento: in rapporto a quel mito di Apua di cui era banditore, interprete e guida spirituale.
“Quante merende di cacio pecorino, di salame odoroso di agli e di vinetto
arzillo sotto la pergola del pittore Levy, quando Lorenzo Viani era
anarchico…ecc. ecc., quando Pea staccava dal ramo Giuda per riabilitarlo, ecc.
ecc. quando Bachini...ecc. Cc. Sopra tutti noi, allora, guida, impeto, ira,
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, - a raccontarci la nostra storia, e guai a
contraddirlo -” (Luigi Salvatori).
Quando Ceccardo, nel 1914, fu raccolto per strada come un
mendicante privo di conoscenza e subito ricoverato all’Ospedale genovese
“Duchessa di Galliera”, Salvatori mobilitò gli amici versiliesi: “Stanza e
cura a pagamento”. Purtroppo il fuoco che cambiò la storia di Apua fu
quello di Sarajevo, e tutti gli amico si dispersero: “L’Apua è stata una
‘compagnia’ uccisa dalla guerra” dirà Viani. Ceccardo ritornò più volte in
Versilia. Tenne conferenze a Viareggio ma anche a Pietrasanta (per “Giosuè
Carducci”). Il volumetto stampato “Il Vate apuano”, bellissimo, “valga
a preservare dall’oblio la sua preziosa esperienza umana e letteraria”.
P.s. Tanti anni fa comprai i tre libri
di Lorenzo Viani: - Ceccardo – Il cipresso e la vite – Roccatagliata - e rimasi
esterrefatto; il terzo, del 1928, era nella collana dei prefascisti, Mah... E’
vero che Ceccardo conobbe il duce presentatogli dall’amico Filippo Corridoni
durante la sua campagna interventista, ma… che centra, eravamo nel 1915, il
fascismo non c’era ancora e Ceccardo è morto nel ‘19.
Oggi
uno di questi relatori (Corbellini) ha detto: “Solo Viani, nella sua
sciagurata biografia, forse per legittimare se stesso e le sue scelte, poteva
pensarlo”.
Lasciamolo
dunque a Staglieno insieme a Mazzini, suo maestro. Hic constitit viator. Romano
Piccola prosa di sogno
A
colei che amerò
Le
ombre che passano sotto i rami dei pioppi al lume della luna e le parole che
tremando si dicono due innamorati tristi sotto le foglie di un pergolato in una
sera infinita di estate, ecco il breve motivo della mia sinfonia.
Ecco,
udite: è il preludio. Due o tre violini, appena: un po’ vecchi – anche un po’
tarlati, forse - è necessario; e qualche
Animo triste ad ascoltare, qualche Animo triste che ami i sogni i quali non
sono più che una vaga penombra di nebbia nella memoria; qualche povero cuore
che abbia amato, o creduto di amare, molto: è lo stesso. Oh, il lieve bisbiglio
lontano! : ramaglie luminose come le perle, alte su da’filari, e anche basse
sotto a mo’ di siepe: fruscio di vesti di seta bianca, che piacquero a qualche
bella dama al tempo degli abati grigi, e della polvere d’argento su’ capelli:
-io ascolto -: e lungi una pace infinita dove l’oro lunare è più chiaro
dell’oro del grano maturo: e l’oro del grano è meno lucente dell’oro della
luna.
L’ombre
scivolano dalla luna tra mezzo le rame dei pioppi, vagando, e danzano ad ogni
tremolar d’aria, pel viottolo. Oh amarsi e ricordare: ricordare e non amarsi:
lievi ricordi tra lievi ombre d’oro nella pace della notte estiva mentre nelle
rame dei pioppi, che dilungano in alti filari sotto la luna, e più sotto,
anche, un po’ basse a mo’ di siepi per le piccole strade brillano migliaia di
occhi d’argento e si diffondono luci di tremolii!
Amarsi
e ricordare, non ricordare ed amarsi, lo stesso: lo stesso come le anime che
non si amarono e che ricordano. Rompono nella pace singhiozzi lievi come di un
primo pianto d’amore: come di un rimpianto di parole dolci che si dovevano dire
e che non si son dette mentre il cuore batteva.
E
il cuore pure batteva quando altre parole dolci furono dette e le mani tremanti
si cercavano, tentando il desio!
Le
anime le ricordano, come le rame nella sera bruna ricordano l’ombre d’oro che
danzavano su le loro trame al lume della luna. Ombre dileguate, parole non
dette, tra il fruscio delle rame tra il battere dei cuori; dolcezze che non
furono perché non potevano essere, sogni che potevano essere e che non furono,
il cuore trema; che importa ciò che pensano altri cuori, altre anime? È lo
stesso. Oh gli ultimi accordi! Murmuri di acqua tra le foglie, singhiozzi di
pianti che non colarono dalle ciglia, tra parole di rimpianto, é l’ora della
dipartita.
La
notte é già alta: i fantasmi degli alberi dilungano infinitamente lontano per
l’orizzonte che s’appanna di un legger velo di bruma: come le parole che i due
amanti tristi nell’ora che oramai é passata si sono dette: come i baci che
nell’ora che non é più, si sono dati e che pure dilungano in lieve trama
d’argento nella memoria. E’ la fine. - L’ombre d’oro discendono dalle rame e
non danzano più nella vecchia straduzza bruna; la luna ach’essa è discesa.
Pioppi
senza luna, mani d’amante senza l’amata ecco alfine un dolce riposo, - un po’
triste, un po’ vago come per le vesti d’argento grigio delle Are è il riposo
nei vecchi canterani; verranno un giorno le tarle e la ruggine. Quel tempo è
ora per voi, come furon tempi che l’ombre d’oro non avevano ancora danzato
sulle rame, e le parole dolci e tristi non erano uscite, tremando, dalle
labbra; parole dette e non dette, ombre d’oro passate e da passare, l’amore è
uguale all’oblio, l’oblio è uguale all’amore e alla morte.
Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi
Nella
mia villa d’Ortonovo, estate ‘96
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QUANDO SI DICE: AMARE IL PROPRIO LAVORO
di Marta
Correva l’anno 1930.
29 anni, alto e longilineo,
con occhi neri penetranti e capelli neri come la pece che incorniciavano il
volto bello e delicato di Andrea ( Ndrè per gli amici ). Quel mattino Ndrè nella cava, il suo mestiere
era quello di scalpellino, valutò con occhio esperto il punto migliore per
spaccare il blocco di marmo e poi lasciò cadere il martello contro il cuneo.
Era un’abilità che gli derivava dall’esperienza, ma anche da una
predisposizione naturale: o la si aveva o non la si aveva! André amava il marmo fin da quando, ancora ragazzo,
arrivò alla cava. Il lavoro era faticoso
e logorante, la polvere intaccava i polmoni, le schegge che saltavano potevano
essere pericolose specialmente per gli occhi. In inverno si pativa il freddo,
non si potevano muovere le mani e i guanti con l’umido gelavano. In estate si
sudava come bestie sotto il sole cocente.
Eppure non avrebbe voluto fare nessun altro lavoro. A volte gli doleva la schiena, a volte
tossiva in modo convulso, ma era nato per fare quel mestiere. Se si concentrava
su ciò che aveva davanti non avvertiva più nulla, ma solo le spigolature del
marmo. Conosceva molto bene il marmo
di Carrara: il bianco, lo statuario, il grigio, lo striato, ecc. ecc. Inoltre lui godeva di
un’ottima reputazione per come lo sapeva lavorare. Ndrè ci parlava con il blocco
che aveva di fronte: sia che facesse il difficile, sia che fosse facile
lavorarlo e fosse liscio come la pelle di un bambino, lo accarezzava
amorevolmente. Ndrè non aveva ancora la “morosa”, anche se avesse già frequentato
delle ragazze: la priorità era il suo lavoro. Certo immaginava il suo rientro a
casa accolto da un sorriso e da un bel pasto caldo.Immerso nelle sue fantasticherie si sentì
chiamare dal suo Caposquadra. “Buon giorno Andrea” saluta l’uomo corpulento
lisciandosi i baffi, mentre André, preso dai suoi pensieri, si chiedeva
timoroso cosa volesse il capo a metà mattina in pieno lavoro. Sarà una notizia
bella o brutta? Sarà l’ordine di lasciare il lavoro per via del suo impegno
sindacale? E’ noto che i padroni non hanno mai gradito che un operaio ne
facesse parte. La politica e il potere avevano mandato a casa più di uno
scalpellino, perciò si sentiva vulnerabile. Però in cuor suo si consolava
pensando che il suo mestiere lo sapeva fare bene e ciò era riconosciuto da
tutti.André con il berretto in mano
si avvicinò al Caposquadra: “Ecco, hanno telefonato dall’Austria: vogliono un
monolite per una statua, pensavo di farlo preparare da te.” Il cuore cominciò a
battergli forte per la gioia e contemporaneamente fu percorso da un brivido di
terrore: la responsabilità era tanta, voleva dire più guadagno, ma anche una
sfida, perché rappresentava un rischio enorme. L’occasione era troppo ghiotta per rifiutare. André si sputò sul palmo della
mano, il Caposquadra fece la stessa operazione e si strinsero le mani: il patto
era stabilito. Poi si chiese cosa
avrebbero pensato gli altri scalpellini; molti avevano tanti anni di esperienza
più di lui, diversi avevano famiglia e figli, un po’ di soldi in più sarebbero
serviti, però allo stesso tempo sapevano tutti che, nonostante la sua giovane
età, lo scalpellino più abile della cava era proprio lui. Certo si sarebbe
fatto aiutare da chi il lavoro lo conosceva bene e anche da chi ne aveva
economicamente più bisogno: questo era il suo modo di ragionare. “L’esame dei
disegni richiederà un po’ di tempo, l’architetto arriverà in ufficio domattina,
tu vieni presto di buon’ora.” Chissà perché in quell’ambiente si sentiva sempre
a disagio, forse perché lì le persone avevano le mani troppo lisce e bianche e
si muovevano con attenzione per non sgualcire e impolverare gli abiti eleganti,
mentre lui si sentiva un gigante solo con lo scalpello in mano. D’altra parte se una cosa andava fatta, si
doveva fare e basta. “I lavori inizieranno domani,
non mancare. “Non c’era pericolo, un’occasione come quella non capitava tutti i
giorni. Tornò al suo lavoro e al blocco
a cui stava lavorando con una nuova agilità nei passi. La gioia lo aiutò a spaccare
il marmo come se fosse burro e sorridendo tra sé e sé pensava: la vita è bella,
è davvero bella.
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In ricordo di Archimede
di Giuliana
Buongiorno Renzo sono Giuliana,
volevo ringraziare per il giornalino che ricevo.
Anche se non ci vediamo lo apprezzo molto, grazie. Porto il Sentiero anche dove
lavoro; ci sono persone che mi hanno fatto avvicinare a Gesù.
Una volta al mese noi andiamo dal nostro padre spirituale che è alla certosa di Firenze.. E a volte
prendiamo spunto da lì per le nostre preghiere settimanali. Il loro padre ha 96
anni; non può venire a messa al mattino e così a metà mattinata recitiamo le
preghiere in casa.
Quest'anno sono 10 anni che Archimede è salito alla casa del padre; volevo
ricordarlo a tutti con questa poesia in suo ricordo. Vi chiedo di pubblicarla
in questo mese per il 18 marzo.
Grazie
Archimede
mi hanno detto che non posso toccarti
non posso vederti
non posso udire
la tua voce
ma io ti
tengo nel cuore
e se il cuore è l'organo
della vita
faccio molto di più
ti tengo nella mia vita!
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Parliamo.....di civiltà....!!
di Paola G. Vitale
Si, abbiamo capito, i tempi ed
i modi cambiano, ma non tutto è positivo. Arrivano comunicazioni varie, tutti
scritti elettronici ed adesso, anche le bollette elettroniche, per adesso,
arrivate in ritardo sulla stessa data di scadenza. Ma … ma … la scrittura nei
caratteri minimi non è leggibile con i soli occhiali da vista, per fortuna,
abbiamo in casa una grossa lente di ingrandimento, ma tutto sommato, questo
fatto mi appare una scorrettezza nei confronti di tanti ultra settantenni. É
una nuova emarginazione e ancora è una costrizione ad entrare nei meccanismi
imposti dall'alto, che, apparentemente facilitano il tutto. Beh, io so che è umanamente
scorretto, così come la corsa alla velocità in tutti i campi disponibili. Certamente ci abbiamo rimesso
umanamente; in fondo non siamo robot, ma ancora esseri umani.
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Madre spirituale
di Marino Bertocci
Molti credenti hanno avuto un “padre spirituale” che li ha indirizzati sulle vie della fede..io non ho avuta questa esperienza, ma ho avuta una “madre spirituale”. Era questa, anzi è tuttora, perché veleggia per i 95 anni, una suora. Come direbbe Guareschi 25 kg .abito compreso… Piccola, minuta, ma di una forza interiore travolgente!..e coinvolgente. Questa forza le proviene , oltre che dalle sue indubbie qualità personali e spirituali, dal forte senso di appartenenza al Popolo di Dio ed alla sua Congregazione delle “suore missionarie francescane del verbo incarnato”.
Credo opportuno farne una breve storia: Il 10 Dicembre 1929 a Reggio Emilia (Italia) Luisa Ferrari,– che assunse il nome di Giovanna Francesca dello Spirito Santo – si riunì con altre 6 compagne e si consacrarono al Signore. Sarà però il 1930 a segnare l’inizio dell’Istituto delle Missionarie Francescane del Verbo Incarnato con l’apertura della prima casa in Calabria. Quasi incredibile questa storia.!.in un’epoca in cui era già problematico spostarsi da un paese confinante all’altro, Madre Giovanna si sposta dall’Emilia al profondo sud italiano!
Avendo avuta la grazia di conoscere personalmente quando ero bimbo la Madre, per la quale è in corso il processo di beatificazione, comprendo bene il valore delle sue Figlie! A Motta Filocastro (in provincia di Catanzaro!) 3 religiose, ancora in abito secolare, si dedicarono alla formazione religiosa dei bambini e all’assistenza degli anziani ed infermi. Era partita l’avventura di questa piccola nuova famiglia religiosa! Apprezzate per il lavoro apostolico furono ben presto chiamate in altri luoghi della Calabria, ma anche dell’Emilia . Qui nel 1932 aprirono una casa a Salsomaggiore (PR) e Sabbione (RE), e nel 1933 a Villarotta (RE). Nel 1937 le suore furono chiamate da don Zeno Saltini a San Giacomo di Roncole (MO). Altre case si aprirono a Sant’Antonio Morignone (1940), a Trevisio (1942) ed in altri numerosi luoghi nonostante il periodo della guerra Il desiderio di allargare i confini dell’istituto all’estero con l’azione missionaria si avverò nel 1948, Nel gennaio 1949 infatti venne aperta la prima casa a Maldonado, Uruguay (America latina). alla quale seguì nel 1950 quella a Fraile Muerto e tante altre, oltre che nel Centr’Africa e, se Dio vorrà…andranno anche in Vietnam..
La loro missione è “preparare le vie al Signore” e far si che ogni uomo e donna si convertano a Dio. Ispirate alla Incarnazione del Figlio di Dio, che venne tra di noi per condividere le nostre gioie e tristezze e così parlarci e mostrarci il Regno di suo Padre, anche queste suore vanno verso le diverse realtà e luoghi sapendo che i “germi del Verbo” sono presenti nelle culture dei popoli, ascoltando i loro aneliti e necessità, preoccupandosi che la loro parola e le loro opere trasmettano senza risparmiarsi l’amore di Dio.
Considerando tutto “degna missione”, privilegiano la visita alle famiglie, l’inserimento nella pastorale parrocchiale e la presenza caritativa in particolare laddove ci sono situazioni di maggiore necessità. Per questo sono presenti nelle parrocchie o comunità di missione nella campagna, case per anziani, centri giovanili, centri di salute, ….
Hanno scelto l’opzione per i poveri, essendolo loro per prime . Oggi le circostanze le riportano alla minorità numerica delle origini. La nota crisi vocazionale , che investe tutte le forme di vita religiosa , le rende poche e deboli, certamente non povere del desiderio di bene . Sono francescanamente consapevoli di non avere un futuro assicurato ,esattamente come non l’hanno neppure i poveri da loro assistiti . Non possono offrire alle giovani vocazioni sicurezza e complete garanzie: possono però promettere loro una grande avventura evangelica, aperta al futuro e al soffio dello Spirito. Oggi vivono la piccolezza del granello di senape e del lievito (cfr Mt 13,31-33), seguire un Gesù che non ha dove posare il capo (cfr Lc 9,58). La vita religiosa , la loro, non è un privilegio, ma è un’avventura emozionante, un rischio evangelico, aperto alla novità dello Spirito Santo. Il loro aiuto gli proviene dal Signore e dalla presenza vivificante del suo Spirito, servito in letizia in ogni persona che incontrino.
Un noto testo di Benedetto XVI afferma che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, n. 1) Io, personalmente, avendolo sperimentato, questo posso oggi serenamente confermare!
La Casa Madre delle Suore Missionarie Francescane del Verbo Incarnato è oggi a Fiesole , dove sono guidate da una giovane e dinamica Madre Generale di origine sud americana.
Credo che Madre Fatima Godino sarebbe felicissima di fornire dirette notizie sulla sua Famiglia religiosa sia telefonicamente, al numero telefonico e055.59200 che di persona a Fiesole, in via Madre Giovanna Ferrari, 1 ,rispondendo a chiunque dalla loro email: suoremfvi@inwind.it
Luni, 02 febbraio 2022
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