L
A C A N D E L O R A
E’ un rito religioso
antichissimo che affonda le sue radici
in feste pagane ed ebraiche. Candelora
è il nome popolare della Presentazione al
Tempio di Gesù ( Lc2, 22-39 ) che è inserita nel Calendario liturgico il 2
di febbraio. Momento centrale del rito è la benedizione ed accensione delle
candele, simbolo di Cristo “luce per
illuminare le genti” come il vecchio sacerdote Simeone chiama il bambino
Gesù quando fa il suo ingresso, accompagnato dai genitori, nel Tempio per la
presentazione, così come la Legge giudaica prescrive per i primogeniti maschi,
che dovevano essere offerti al Signore il quale li restituiva ai genitori dopo
un sacrificio. Nel Calendario tridentino ( cioè varato dal Concilio di Trento
1545 – 1563 ) la festa è detta della “ Purificazione della Beata Vergine Maria.” Per
fortuna la riforma liturgica operata dal Concilio Vaticano II comprende l’incongruenza che richiama la Legge
mosaica sul post partum ( purificazione della puerpera dopo 40 giorni se
maschio e dopo 66 giorni se femmina ): non ha senso purificare chi non può
avere macchia di peccato, perché, per volontà del Creatore, senza il peccato di
origine. Così la presentazione al Tempio e la profezia di Simeone, che sono una
chiara manifestazione del Signore, tornano a dare centralità a Cristo come
primogenito del Padre, rendendo questa festa non più mariana, ma cristologica.
Durante il suo episcopato, papa Gelasio I ( 492 – 496 ) ottiene dal Senato
romano l’abolizione dei Lupercali che vengono sostituiti dalla festa della
Candelora, celebrata il 14 febbraio ed anticipata al 2 febbraio nel VI secolo
dall’imperatore Giustiniano, per non farla coincidere con i Lupercali pagani
con i quali c’erano casuali somiglianze non solo nell’uso delle candele, ma
soprattutto nell’idea della purificazione. Ovidio nei Fasti narra con
precisione il rito della festa pagana. Gli antenati romani chiamavano Februe gl’ingredienti purificatori (
farro tostato e granelli di sale ) ingeriti dai Luperci, che percuotendosi con
strisce di cuoio, percorrevano le vie della città e consideravano questo un
rito di purificazione ( februatio ).
Da qui il nome al mese di febbraio. Restando ancora nel mondo pagano romano la
dea Februa ( Giunone ) veniva celebrata alle calende di febbraio. Il primo
giorno di ogni mese ( lunare ) corrispondeva al novilunio ( luna nuova ) ed era
chiamato Calende da cui il nome
“calendario”.
La comune presenza delle
candele nei riti precristiani ( ebrei, romani, celti ) indicherebbero il
passaggio tra l’inverno e la primavera, ovvero il procedere dal buio e dal
freddo al risveglio della luce primaverile: le giornate si allungano e il tempo
migliora sensibilmente, così la luce ne trae evidenti vantaggi.
Con il cristianesimo la luce
acquista ben altro significato: si passa dal buio dell’attesa alla luce della
salvezza per opera di Gesù.
Nella tradizione popolare il richiamo agli antichi riti non
cristiani sono evidenti , basta ricordare
alcuni detti provenienti dalle regioni italiane sostanzialmente identici
nel significato legato al cambiamento stagionale.
Calabria.
“A Candilora ‘u vernu è fora; ma
nesci l’ursu d’a tana e dici: altri quaranta iorna avimo ancora.”
(Per la Candelora
l’inverno è fuori; ma esce l’orso dalla tana e dice: ne avremo ancora per 40 giorni.)
Trieste. “Se la
vien col sol e bora de l’inverno semo fora. Se la vien con piova e vento de
l’inverno semo drento.”
Toscana. “Pella
Candelora se piove o gragnola dell’inverno siamo fora; ma se è sol o solicello
siamo ancora nell’inverno.”
I
triestini e i toscani, mi sembra,
si contraddicano. Sarà un problema di cambiamento climatico!!