N° 1 - Gennaio 2022
Storie dei lettori
  Poche ore
di P. Amato. a cura di Romano Parodi



 

-        Poche ore – così ha detto la dottoressa. Senza guardarmi negli occhi -.

Forse era una scusa per convincermi a portarlo via. Mancavano i posti.

- Ha bisogno di qualcuno che gli pulisca il vomito, che gli cambi il pannolone, che gli somministri i farmaci ad orari fissi. Non gli servono né medici né infermieri. Compagnia. Gli serve solo un po’ di compagnia fino a quando rimarrà cosciente. Poi, neanche quella -
E ora? – A casa neanche a parlarne. – ha chiarito subito mia moglie – Ci sono i bambini, sarebbe un trauma. E poi, sai come puzzerà la stanza? Dopo. Ha pensato subito al dopo. – Non ha due sorelle? – ha aggiunto.
- Ti ha affidato i suoi soldi no? E allora sbrigatela tu. Noi abbiamo i nostri acciacchi, ed anche i nostri mariti. Non abbiamo più l’età. Prendi qualcuno. Te li ha dati i soldi, no? E allora… - si sono subito tirate indietro loro.
Milleottocento euro. Lo carico in auto, e subito mi vomita sul giubbotto. Bile gialla e violacea. Una puzza… Parto senza una meta. Non parla. Ha lo sguardo perso nel vuoto. Ogni tanto si volta verso di me mentre guido. Ma, appena mi giro a osservarlo, chiude gli occhi, oppure torna a fissare davanti a sé. Ha paura. Ha capito che lui è un peso per te. Che devi andare in vacanza, e teme che da un momento all’altro lo abbandoni sul ciglio della strada, come si fa con i cani. Ma non si lamenta, ti guarda solamente. Mi dirigo verso il mare. Lui lo amava il mare. Mi ci portava sempre quando ero piccolo. Sulla sua barchetta a remi mi sentivo un comandante pirata e lui faceva finta di essere il mio mozzo. Mi faceva credere di arrabbiarsi ogni volta che prendevo un pesce. – La fortuna dei principianti – gridava ridendo sotto i baffi.

Centinaia di cartelli di “Affittasi”. Scelgo una casa più isolata delle altre, a pochi metri dalla spiaggia. In farmacia faccio scorta di pannoloni e salviettine. Di farmaci ne ho in abbondanza. Lui non mangia più, prende solo qualche sorso d’acqua ogni tanto. A me basta qualche biscotto.
- Poche ore Prenditela con calma. Stagli vicino – ha detto mia moglie. “Sì, purché non lo porti a casa” aggiunsi io nella mia mente.
Se fosse stato vivo mio padre, si sarebbe occupato lui di suo fratello. O mia madre del cognato. Lui non ha figli. Un po’ di risparmi li aveva regalati a una ragazza, orfana di entrambi i genitori, che conosceva fin da quando era piccola. Se aveva degli amici, non s’è fatto vivo nessuno.
Dopo il ricovero, le analisi, la sentenza, mi aveva mandato a casa a prendere una borsa già pronta con qualche indumento intimo e un paio di pigiami. In un’altra scatola aveva sistemato alcune buste con dentro il denaro per pagare le bollette, la ricevuta per la prenotazione di un loculo al cimitero, il contratto con un’agenzia di pompe funebri. In bella evidenza, un timbro rosso con la scritta: “Pagato”.

Poi un album di fotografie e un biglietto con il mio nome. Quando ero tornato, mi aveva ringraziato. Quindi, aveva aggiunto: - Di tutto ciò che rimane, fanne ciò che vuoi -.
Appena ci avvicinammo alla casa avverte l’odore del mare. Ne sente il rumore. E s’illumina. Alza la mano per indicare la spiaggia. In qualche modo mi fa capire che non ne vuole nemmeno sapere di passare per la casa che ho appena affittato per due giorni, eventualmente rinnovabili.
Mi avvicino alla battigia. Gli slaccio la cintura e gli tiro fuori le gambe dall’abitacolo. Un altro conato. Mi tolgo il giubbino e lo butto in terra. Tanto ormai…Gli porgo una salviettina profumata. Si pulisce il viso con movimenti lenti. E’ sudato, ma non per lo sforzo. Sembra eccitato.
Impaziente. Provo ad alzarlo. Ricade sul sedile. Ci riproviamo, va meglio. Un altro conato. Mi sposto di lato, ma lui riesce a trattenerlo. Non può camminare. A due passi c’è un canneto con una carriola. Lui mi fa cenno di sì con la testa, come se mi avesse letto nel pensiero. Gli appoggio il corpo all’auto e mi assicuro che i piedi siano ben piantati in terra. Lui mi fa di nuovo cenno di sì con la testa, come per rassicurarmi che va tutto bene. Vado verso la carriola, è un po’ arrugginita. Mi volto verso di lui. Fa di nuovo cenno di sì per incitarmi a far presto. Poi vedo che lui si slaccia i pantaloni, li abbassa e sfila via i pannoloni. Si pulisce con le salviettine che ho lasciato sul cofano. Ripiega il tutto e mi sorride. Mi sorride per la prima volta da tanto tempo. Gli tolgo il fagotto di mano e lo butto nel bagagliaio dell’auto. Un altro conato. Lui fa per muoversi da solo. Lo rincorro per sorreggerlo. Si sistema nella carriola, togliendomi ogni imbarazzo. Indica il mare. Per fortuna ci sono delle assi di legno, sulla sabbia, per cui riesco ad arrivare facilmente poco distante dalla riva. Mi fa cenno di sedergli accanto, sulla rena. Sorride. Respira a pieni polmoni. Vuole che il cancro capisca che lui è soddisfatto, sereno. Vuole che il cancro si renda conto che non è riuscito a sottrarglielo, quel momento da uomo.

Da uomo. Ecco perché ha voluto togliersi il pannolone. E’ quasi un rito, quello che sta compiendo. Ed io sono l’officiante. Gli chiedo come si sente, non l’ho mai fatto da quando siamo usciti dall’ospedale. Mi guarda soddisfatto, sorride ancora. Poi si volta intorno, respira, sorride di nuovo.

Quasi ride. Mi stringe la mano. Fa di si con la testa. Un sì convinto, gioioso. Stringe ancora più forte. Sento l’eccitazione crescere in me. Ma è la sua eccitazione, non la mia. Respira più forte. Stringe la mano più forte. Fissa il cielo. Prega? Non so, ma nella sua mente parla con Qualcuno. Si volta ancora verso di me. Un sorrisone. Mi fa un cenno di saluto con la mano. Gli occhi si spengono. Sono ancora aperti, ma la luce al loro interno, è come se si fosse spenta. Guarda serio davanti a sé. Un colpo di tosse, un nuovo “si” con la testa. Poi reclina il capo sulla destra e chiude gli occhi. (P. Amato) r.p

 

 

  SANT’ANTONIO ABATE E LA PIZZA
di Antonio Ratti



L’immagine pubblicitaria di una nuova versione di pizza che accoglie il saporito incontro tra il radicchio rosso di Treviso e l’intensità del salamino piccante, mi ha stuzzicato la curiosità di capire perché nel giorno della memoria liturgica del Santo, 17 gennaio, si celebri la Giornata mondiale della pizza.
La pizza, che festeggiamo tutti i giorni nelle sue molteplici e creative forme, insieme agli spaghetti, è il simbolo d’Italia nel mondo,  ma sentirla festeggiata il giorno dedicato a Sant’Antonio Abate mi ha sorpreso e mi sono chiesto: casualità o nesso logico?
San Gennaro mi sembrava il più naturale protettore di questo tipico alimento napoletano, invece si è scelto un eremita egiziano. Antonio ( 12 gen. 251  – 17 gen.357, quindi ultra centenario ) visse nel deserto della Tebaide seguito e imitato da numerosissimi discepoli, tanto che la biografia (Vita Antonii ) scritta dall’amico e discepolo Atanasio, patriarca di Alessandria, è definita da Gregorio Nazianzeno, padre della Chiesa, “Regola di vita monastica sotto forma di racconto.”
La rappresentazione iconografica che lo raffigura con il maialino ai suoi piedi è di epoca medioevale quando, dopo varie peripezie, le sue spoglie arrivarono nei pressi di Vienne, cittadina francese del Delfinato, dove nacque nel 1050 la comunità religiosa dei Canonici Regolari di Sant’Antonio, divenuta poi Ordine degli ospedalieri antoniani. Questi monaci si occupavano di curare col grasso suino, che aveva un effetto  emolliente e lenitivo dei bruciori e del prurito delle piaghe,  gli ammalati di herpes zoster  ( detto fin da allora male o fuoco di sant’Antonio ) e dell’ ergotismo ( intossicazione cronica da segala cornuta)  a quell’epoca molto diffusi a causa della cattiva alimentazione specie dei ceti più poveri.

I maiali che i religiosi allevavano nei conventi per la loro grande utilità socio-sanitaria, potevano girare liberamente nei villaggi e nelle campagne e alimentarsi anche con l’aiuto degli abitanti.

Una filastrocca abruzzese dice :” Sant’Antonio, Sant’Antonio, lu nemicu de lu demonio,” ci ricorda la dura guerra sostenuta contro le tentazioni del Demonio, che lo avrebbe materialmente aggredito nella grotta dove viveva riducendolo in fin di vita e salvato miracolosamente da chi periodicamente gli portava del pane. Questa sua personale lotta col Demonio lo rende un esperto del fuoco infernale e capace di liberare anime ingannando i diavoli con vari stratagemmi. Infatti una leggenda popolare racconta che Antonio si recasse personalmente all’Inferno per contendere al Demonio l’anima di alcuni morti, che nonostante i loro sinceri sforzi, non ebbero la forza di resistere alle ossessive istigazioni demoniache: mentre il suo maialino, sgattaiolato dentro, creava il caos tra i diavoli, lui accese con il fuoco infernale il suo bastone  e lo portò fuori sulla Terra assieme, ovviamente, al maialino. Il fuoco fu donato all’umanità accendendo una catasta di legna. Da qui la tradizione dei “falò di sant’Antonio” che, purtroppo, ormai è relegata nelle campagne.
A chi si potevano rivolgere i pizzaioli ( ma anche i ceramisti che per cuocere le loro creazioni hanno bisogno del fuoco e del forno ) se non ad un così abile gestore del fuoco?

Ecco perché i pizzaioli, bravi e capaci ad usare il fuoco  quale elemento essenziale al pari dell’acqua e della farina per preparare la pizza che necessita di un bel fuoco robusto di legno profumato, hanno scelto Antonio, l’eremita, quale patrono e protettore loro e della loro creatura semplice, ma assurta a dignità e fama universale.  
Considerazione necessaria: sant’Antonio non è uno sprovveduto eremita, ma un grande uomo di fede e teologo insigne che aiutò Atanasio e il Patriarcato di Alessandria a sconfiggere l’eresia del testardo Ario, nato e vissuto proprio ad Alessandria, che continuò imperterrito a propagare il suo errore teologico e dogmatico anche dopo il Concilio di Nicea ( 325 ).

 


  La barba per gli uomini: fenomeno di costume
di Anna Maria Tarolla


La barba per gli uomini: fenomeno di costume

 

“Che barba…che noia, che barba…che noia!”Ripeteva fino  allo sfinimento nelle sue performance la mitica Sandra Mondaini, grandissima donna di spettacolo, rimasta nel cuore di tutti noi.
Oggi, che di “barbe non se ne può più” lo slogan sarebbe bene azzeccato. Questo fenomeno di costume sta imperversando, contaminando uomini di ogni età.
Non importa il ceto sociale, la professione o il mestiere.

Incontriamo per strada, li osserviamo sul video e al cinema sempre più uomini che mostrano con ostentazione la barba. Anche  coloro i quali fino a ieri la denigravano. Così artisti, parlamentari, nobili, pensatori, gente comune la” portano quasi con trionfo”.Che sia un tocco da intellettuali? Chi può dirlo!
Se qualcuno accarezzandosi la barba su quella faccia cavernicola, non si ponga una domanda spontanea:
c’è la barba appena accennata, quella incolta, quella ben curata, la sottogola, abbinata ai basettoni e ai baffi. E chi più ne ha più ne metta.
Che fa da contraltare a tanti crani completamente calvi. Ed è più diffusa, parrebbe tra i trenta e i quarantenni, ma anche i più anziani, incuranti della peluria bianca, seguono la corrente.Eccezione per i frati cappuccini rimasti fedeli nei secoli alla loro barba incolta.
E i barboni che rappresentano da sempre  l’immagine di un disagio esistenziale.

La storia racconta che i filosofi e i saggi con le loro barbe suscitassero rispetto e credibilità .E più vicino a noi, la barba alla Che Guevara è stata l’icona degli universitari e docenti del ’68.Se ci volessimo soffermare un attimo sul “modus operandi” verrebbe da chiedersi se mai le fabbriche abbiano diminuito la produzione di rasoi e lamette. Non è così.

È soltanto calato il consumo di prodotti usati per tagliare i peli, modellare il viso, le creme, le frizioni, i dopobarba. Non s’era mai visto che i rivenditori, supermercati compresi, applicassero offerte vantaggiose, (spesso tre al prezzo di due).
Anche i parrucchieri ed i barbieri non parrebbero avvantaggiati per niente da questa tendenza. Hanno alleggerito il lavoro quotidiano per l’assenza di quei “ maschietti “ che la mattina andavano a farsi la barba per apparire inappuntabili.


  Bamboccioni
di Gualtiero Sollazzi


BAMBOCCIONI

 Infelice dichiarazione di un ex ministro sui giovani che restano in casa anziché lavorare. Dimenticando il dolore di troppi ragazzi che trovano solo porte chiuse. Un altro ministro rincara la dose: “I genitori la smettano di regalare auto ai figli laureati”. “Il ragazzo non trova lavoro? Impari un mestiere”. Una domanda: questa gente dove vive? Dentro le auto blu e stipendi d’oro. Tanti giovani il lavoro non l’hanno perché non c’è. Magari con il babbo in cassa integrazione. Gente che non cerca “scorciatoie” che crede ai diritti e non ai favori e che ha desideri di autenticità, trasparenza e onestà. Piuttosto: si è promossa a sinistra e a destra una seria politica per la gioventù? Si è preso a cuore il futuro di questo popolo?
Con un pro-memoria per gli adulti, della psicoterapeuta Migliarese: “Non c’è solo il mito della velina. I ragazzi cercano adulti non perfetti, ma appassionati”.
Appassionati di loro e delle loro speranze.


  CONSIDERAZIONI SCOLASTICHE
di Olimpio Galimberti ( da Strada Facendo)



 

“Interrogo” due ragazzini di terza elementare, non per metterli a confronto, ma per vedere se sanno le
tabelline, visto che un genitore si era lamentato con me perché suo figlio, appunto in terza elementare, alla fine dell’anno scolastico, le tabelline non le sapeva proprio.
Spiego ai miei due “piccoli alunni” l’importanza di esercitarsi con la mente, vera palestra cognitiva e

comincio a far loro qualche semplice domanda a cui rispondono giustamente senza troppi problemi, loro le tabelline le sanno, inutile insistere. Solo che alla fine della mia verifica, uno dei due ragazzini mi dice: “Ma cosa serve sapere le tabelline, tanto se uno le dimentica basta usare la calcolatrice”.
Capito come sono “furbi” i ragazzini moderni?

Ma se poi uno la calcolatrice o il telefonino non ce l’ha, cosa succede?


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