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Poche ore
di P. Amato. a cura di Romano Parodi
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Poche
ore
– così ha detto la dottoressa. Senza guardarmi negli occhi -.
Forse
era una scusa per convincermi a portarlo via. Mancavano i posti.
- Ha bisogno di qualcuno che gli pulisca il
vomito, che gli cambi il pannolone, che gli somministri i farmaci ad orari
fissi. Non gli servono né medici né infermieri. Compagnia. Gli serve solo un
po’ di compagnia fino a quando rimarrà cosciente. Poi, neanche quella -
E
ora? – A casa neanche a parlarne. – ha
chiarito subito mia moglie – Ci sono i
bambini, sarebbe un trauma. E poi, sai come puzzerà la stanza? Dopo. Ha
pensato subito al dopo. – Non ha due
sorelle? – ha aggiunto.
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Ti ha affidato i suoi soldi no? E allora
sbrigatela tu. Noi abbiamo i nostri acciacchi, ed anche i nostri mariti. Non
abbiamo più l’età. Prendi qualcuno. Te li ha dati i soldi, no? E allora… -
si sono subito tirate indietro loro.
Milleottocento euro. Lo carico in auto, e subito mi vomita sul giubbotto. Bile
gialla e violacea. Una puzza… Parto senza una meta. Non parla. Ha lo sguardo perso
nel vuoto. Ogni tanto si volta verso di me mentre guido. Ma, appena mi giro a
osservarlo, chiude gli occhi, oppure torna a fissare davanti a sé. Ha paura. Ha
capito che lui è un peso per te. Che devi andare in vacanza, e teme che da un
momento all’altro lo abbandoni sul ciglio della strada, come si fa con i cani.
Ma non si lamenta, ti guarda solamente. Mi dirigo verso il mare. Lui lo amava
il mare. Mi ci portava sempre quando ero piccolo. Sulla sua barchetta a remi mi
sentivo un comandante pirata e lui faceva finta di essere il mio mozzo. Mi
faceva credere di arrabbiarsi ogni volta che prendevo un pesce. – La fortuna dei principianti – gridava
ridendo sotto i baffi.
Centinaia
di cartelli di “Affittasi”. Scelgo una casa più isolata delle altre, a pochi metri
dalla spiaggia. In farmacia faccio scorta di pannoloni e salviettine. Di
farmaci ne ho in abbondanza. Lui non mangia più, prende solo qualche sorso
d’acqua ogni tanto. A me basta qualche biscotto.
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Poche ore – Prenditela con calma. Stagli vicino – ha detto mia moglie. “Sì,
purché non lo porti a casa” aggiunsi io nella mia mente.
Se
fosse stato vivo mio padre, si sarebbe occupato lui di suo fratello. O mia
madre del cognato. Lui non ha figli. Un po’ di risparmi li aveva regalati a una
ragazza, orfana di entrambi i genitori, che conosceva fin da quando era
piccola. Se aveva degli amici, non s’è fatto vivo nessuno.
Dopo il ricovero, le analisi, la sentenza, mi aveva mandato a casa a prendere
una borsa già pronta con qualche indumento intimo e un paio di pigiami. In
un’altra scatola aveva sistemato alcune buste con dentro il denaro per pagare
le bollette, la ricevuta per la prenotazione di un loculo al cimitero, il
contratto con un’agenzia di pompe funebri. In bella evidenza, un timbro rosso
con la scritta: “Pagato”.
Poi
un album di fotografie e un biglietto con il mio nome. Quando ero tornato, mi
aveva ringraziato. Quindi, aveva aggiunto: - Di tutto ciò che rimane, fanne ciò che vuoi -.
Appena
ci avvicinammo alla casa avverte l’odore del mare. Ne sente il rumore. E
s’illumina. Alza la mano per indicare la spiaggia. In qualche modo mi fa capire
che non ne vuole nemmeno sapere di passare per la casa che ho appena affittato
per due giorni, eventualmente rinnovabili.
Mi
avvicino alla battigia. Gli slaccio la cintura e gli tiro fuori le gambe
dall’abitacolo. Un altro conato. Mi tolgo il giubbino e lo butto in terra.
Tanto ormai…Gli porgo una salviettina profumata. Si pulisce il viso con
movimenti lenti. E’ sudato, ma non per lo sforzo. Sembra eccitato.
Impaziente. Provo ad alzarlo. Ricade sul sedile. Ci riproviamo, va meglio. Un
altro conato. Mi sposto di lato, ma lui riesce a trattenerlo. Non può
camminare. A due passi c’è un canneto con una carriola. Lui mi fa cenno di sì
con la testa, come se mi avesse letto nel pensiero. Gli appoggio il corpo
all’auto e mi assicuro che i piedi siano ben piantati in terra. Lui mi fa di
nuovo cenno di sì con la testa, come per rassicurarmi che va tutto bene. Vado
verso la carriola, è un po’ arrugginita. Mi volto verso di lui. Fa di nuovo
cenno di sì per incitarmi a far presto. Poi vedo che lui si slaccia i
pantaloni, li abbassa e sfila via i pannoloni. Si pulisce con le salviettine
che ho lasciato sul cofano. Ripiega il tutto e mi sorride. Mi sorride per la
prima volta da tanto tempo. Gli tolgo il fagotto di mano e lo butto nel
bagagliaio dell’auto. Un altro conato. Lui fa per muoversi da solo. Lo rincorro
per sorreggerlo. Si sistema nella carriola, togliendomi ogni imbarazzo. Indica
il mare. Per fortuna ci sono delle assi di legno, sulla sabbia, per cui riesco
ad arrivare facilmente poco distante dalla riva. Mi fa cenno di sedergli
accanto, sulla rena. Sorride. Respira a pieni polmoni. Vuole che il cancro
capisca che lui è soddisfatto, sereno. Vuole che il cancro si renda conto che
non è riuscito a sottrarglielo, quel momento da uomo.
Da
uomo. Ecco perché ha voluto togliersi il pannolone. E’ quasi un rito, quello
che sta compiendo. Ed io sono l’officiante. Gli chiedo come si sente, non l’ho
mai fatto da quando siamo usciti dall’ospedale. Mi guarda soddisfatto, sorride
ancora. Poi si volta intorno, respira, sorride di nuovo.
Quasi
ride. Mi stringe la mano. Fa di si con la testa. Un sì convinto, gioioso.
Stringe ancora più forte. Sento l’eccitazione crescere in me. Ma è la sua
eccitazione, non la mia. Respira più forte. Stringe la mano più forte. Fissa il
cielo. Prega? Non so, ma nella sua mente parla con Qualcuno. Si volta ancora
verso di me. Un sorrisone. Mi fa un cenno di saluto con la mano. Gli occhi si
spengono. Sono ancora aperti, ma la luce al loro interno, è come se si fosse
spenta. Guarda serio davanti a sé. Un colpo di tosse, un nuovo “si” con la
testa. Poi reclina il capo sulla destra e chiude gli occhi. (P. Amato) r.p
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SANT’ANTONIO ABATE E LA PIZZA
di Antonio Ratti
L’immagine pubblicitaria di
una nuova versione di pizza che accoglie il saporito incontro tra il radicchio
rosso di Treviso e l’intensità del salamino piccante, mi ha stuzzicato la
curiosità di capire perché nel giorno della memoria liturgica del Santo, 17
gennaio, si celebri la “Giornata mondiale della pizza”.
La pizza, che festeggiamo tutti i giorni nelle sue molteplici e creative forme,
insieme agli spaghetti, è il simbolo d’Italia nel mondo, ma sentirla festeggiata il giorno dedicato a
Sant’Antonio Abate mi ha sorpreso e mi sono chiesto: casualità o nesso logico?
San Gennaro mi sembrava il più naturale protettore di questo tipico alimento
napoletano, invece si è scelto un eremita egiziano. Antonio ( 12 gen. 251 – 17 gen.357, quindi ultra centenario ) visse
nel deserto della Tebaide seguito e imitato da numerosissimi discepoli, tanto
che la biografia (Vita Antonii )
scritta dall’amico e discepolo Atanasio, patriarca di Alessandria, è definita
da Gregorio Nazianzeno, padre della Chiesa, “Regola
di vita monastica sotto forma di racconto.”
La rappresentazione iconografica che lo raffigura con il maialino ai suoi piedi
è di epoca medioevale quando, dopo varie peripezie, le sue spoglie arrivarono
nei pressi di Vienne, cittadina francese del Delfinato, dove nacque nel 1050 la
comunità religiosa dei Canonici Regolari di Sant’Antonio, divenuta poi Ordine
degli ospedalieri antoniani. Questi monaci si occupavano di curare col grasso
suino, che aveva un effetto emolliente e
lenitivo dei bruciori e del prurito delle piaghe, gli ammalati di herpes zoster ( detto fin da
allora male o fuoco di sant’Antonio ) e
dell’ ergotismo ( intossicazione
cronica da segala cornuta) a quell’epoca
molto diffusi a causa della cattiva alimentazione specie dei ceti più poveri. I maiali che i religiosi
allevavano nei conventi per la loro grande utilità socio-sanitaria, potevano
girare liberamente nei villaggi e nelle campagne e alimentarsi anche con
l’aiuto degli abitanti. Una filastrocca abruzzese dice
:” Sant’Antonio, Sant’Antonio, lu nemicu
de lu demonio,” ci ricorda la dura guerra sostenuta contro le tentazioni
del Demonio, che lo avrebbe materialmente aggredito nella grotta dove viveva
riducendolo in fin di vita e salvato miracolosamente da chi periodicamente gli
portava del pane. Questa sua personale lotta col Demonio lo rende un esperto
del fuoco infernale e capace di liberare anime ingannando i diavoli con vari
stratagemmi. Infatti una leggenda popolare racconta che Antonio si recasse
personalmente all’Inferno per contendere al Demonio l’anima di alcuni morti,
che nonostante i loro sinceri sforzi, non ebbero la forza di resistere alle
ossessive istigazioni demoniache: mentre il suo maialino, sgattaiolato dentro,
creava il caos tra i diavoli, lui accese con il fuoco infernale il suo
bastone e lo portò fuori sulla Terra
assieme, ovviamente, al maialino. Il fuoco fu donato all’umanità accendendo una
catasta di legna. Da qui la tradizione dei “falò
di sant’Antonio” che, purtroppo, ormai è relegata nelle campagne. A chi si potevano rivolgere i
pizzaioli ( ma anche i ceramisti che per cuocere le loro creazioni hanno
bisogno del fuoco e del forno ) se non ad un così abile gestore del fuoco? Ecco perché i pizzaioli, bravi
e capaci ad usare il fuoco quale
elemento essenziale al pari dell’acqua e della farina per preparare la pizza
che necessita di un bel fuoco robusto di legno profumato, hanno scelto Antonio,
l’eremita, quale patrono e protettore loro e della loro creatura semplice, ma
assurta a dignità e fama universale. Considerazione necessaria:
sant’Antonio non è uno sprovveduto eremita, ma un grande uomo di fede e
teologo insigne che aiutò Atanasio e il Patriarcato di Alessandria a
sconfiggere l’eresia del testardo Ario, nato e vissuto proprio ad Alessandria,
che continuò imperterrito a propagare il suo errore teologico e dogmatico anche
dopo il Concilio di Nicea ( 325 ).
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La barba per gli uomini: fenomeno di costume
di Anna Maria Tarolla
La barba per gli uomini: fenomeno di costume
“Che barba…che noia, che barba…che noia!”Ripeteva fino allo sfinimento nelle sue performance la
mitica Sandra Mondaini, grandissima donna di spettacolo, rimasta nel cuore di
tutti noi. Oggi, che di “barbe non se ne può più” lo slogan sarebbe bene
azzeccato. Questo fenomeno di costume sta imperversando, contaminando uomini di
ogni età. Non importa il ceto sociale, la professione o il mestiere. Incontriamo per strada, li osserviamo sul video e al cinema
sempre più uomini che mostrano con ostentazione la barba. Anche coloro i quali fino a ieri la denigravano.
Così artisti, parlamentari, nobili, pensatori, gente comune la” portano quasi
con trionfo”.Che sia un tocco da intellettuali? Chi può dirlo! Se qualcuno
accarezzandosi la barba su quella faccia cavernicola, non si ponga una domanda
spontanea: c’è la barba appena accennata, quella incolta, quella ben
curata, la sottogola, abbinata ai basettoni e ai baffi. E chi più ne ha più ne
metta. Che fa da contraltare a tanti crani completamente calvi. Ed è
più diffusa, parrebbe tra i trenta e i quarantenni, ma anche i più anziani,
incuranti della peluria bianca, seguono la corrente.Eccezione per i frati
cappuccini rimasti fedeli nei secoli alla loro barba incolta. E i barboni che
rappresentano da sempre l’immagine di un
disagio esistenziale. La storia racconta che i filosofi e i saggi con le loro barbe
suscitassero rispetto e credibilità .E più vicino a noi, la barba alla Che
Guevara è stata l’icona degli universitari e docenti del ’68.Se ci volessimo soffermare un attimo sul “modus operandi”
verrebbe da chiedersi se mai le fabbriche abbiano diminuito la produzione di
rasoi e lamette. Non è così. È soltanto calato il
consumo di prodotti usati per tagliare i peli, modellare il viso, le creme, le
frizioni, i dopobarba. Non s’era mai visto che i rivenditori, supermercati
compresi, applicassero offerte vantaggiose, (spesso tre al prezzo di due). Anche i parrucchieri ed i barbieri non parrebbero
avvantaggiati per niente da questa tendenza. Hanno alleggerito il lavoro
quotidiano per l’assenza di quei “ maschietti “ che la mattina andavano a farsi
la barba per apparire inappuntabili.
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Bamboccioni
di Gualtiero Sollazzi
BAMBOCCIONI
Infelice dichiarazione di un
ex ministro sui giovani che restano in casa anziché lavorare. Dimenticando il
dolore di troppi ragazzi che trovano solo porte chiuse. Un altro ministro
rincara la dose: “I genitori la smettano di regalare auto ai figli laureati”.
“Il ragazzo non trova lavoro? Impari un mestiere”. Una domanda: questa gente
dove vive? Dentro le auto blu e stipendi d’oro. Tanti giovani il lavoro non
l’hanno perché non c’è. Magari con il babbo in cassa integrazione. Gente che
non cerca “scorciatoie” che crede ai diritti e non ai favori e che ha desideri
di autenticità, trasparenza e onestà. Piuttosto: si è promossa a sinistra e a
destra una seria politica per la gioventù? Si è preso a cuore il futuro di
questo popolo? Con un pro-memoria per gli
adulti, della psicoterapeuta Migliarese: “Non c’è solo il mito della velina. I
ragazzi cercano adulti non perfetti, ma appassionati”. Appassionati di loro e delle
loro speranze.
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CONSIDERAZIONI SCOLASTICHE
di Olimpio Galimberti ( da Strada Facendo)
“Interrogo” due ragazzini di
terza elementare, non per metterli a confronto, ma per vedere se sanno le tabelline, visto che un
genitore si era lamentato con me perché suo figlio, appunto in terza
elementare, alla fine dell’anno scolastico, le tabelline non le sapeva proprio. Spiego ai miei due “piccoli
alunni” l’importanza di esercitarsi con la mente, vera palestra cognitiva e comincio a far loro qualche
semplice domanda a cui rispondono giustamente senza troppi problemi, loro le
tabelline le sanno, inutile insistere. Solo che alla fine della mia verifica,
uno dei due ragazzini mi dice: “Ma cosa serve sapere le tabelline, tanto se uno
le dimentica basta usare la calcolatrice”. Capito come sono “furbi” i
ragazzini moderni? Ma se poi uno la calcolatrice
o il telefonino non ce l’ha, cosa succede?
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