La scuola
era l'ultimo dei tuoi pensieri.
Sedevi in
terza fila.
Divoravi
cogli occhi la compagna
dalle
trecce rosse.
Non
dicevi a nessuno chi eri.
Competere
colle parole
non aveva
senso per te
che
recitavi a memoria le poesie.
Ed eri tu
il poeta.
L'ho
capito quando interrasti il seme
ed
attendevi alla zolla;
quando il
falco ferito tenevi caldo
sotto la
maglietta.
Appartieni
all'arcobaleno dei prati
al sapore
acerbo della mela.
Il tuo
corpo profumava
di fieno
e di solitudine.
Meno male
che i piedi erano forti
dentro
scarpe lacere
a sfidare
infinite libertà.
E ti
vedevo per vendemmie
correre
lungo pascoli
coi libri
che non osavi sfogliare,
e
l'ultima poesia ferma sulle labbra
che
nessuno ascolta più.
Tuo padre
contadino, tua madre inferma.
T'ho
carezzato la fronte
quella
volta della febbre.
Non te ne
curasti: l'importante era continuare.