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Covid: tutti in maschera
di Anna Maria Tarolla
Il carnevale è di là da venire.
Ma, con molto anticipo, siamo tutti o quasi tutti in maschera. L’imposizione ci
arriva dall’alto; non è una nostra
scelta. E proprio per questo ( sarà effetto psicologico ? ) è male accettata. A
differenza di quando con la mano copriamo naso e bocca di nostra scelta, a
significare: zitto e mosca. È un gesto che abbiamo imparato da bambini e ci
piace parecchio. Della“salvifica” mascherina anticovid vorremmo farne a meno.
Perché qualche contro indicazione ce
l’ha pure. La respirazione arranca, si rimette in circolo l’anidride carbonica
che buttiamo fuori, si appannano gli occhiali e si irrita la pelle del viso. E di
fatto c’è sempre il buontempone che ricorre ad escamotage pur di non usarla o
farlo il meno possibile. Si cala la mascherina fin sotto il mento e va in mezzo
alla gente con la sigaretta tra le dita; fuma o fa finta. Ed a proposito di
fumo alcuni virologi ipotizzerebbero l’aumento di contagio da Covid19 a causa
del fumo passivo.L’altro furbetto è quello che sgancia il laccio della
mascherina da un orecchio e vi accosta il telefoninoper interloquire con il
parente o l’amico. Al fumatore, io dico, basterebbe appartarsi in un angolino,
fumare e poi proseguire, naturalmente con la mascherina. Lo stesso per chi vuol
telefonare. Si vede in giro il runner che corre per mantenersi in forma, e purtroppo
lui non la indossa; la normativa glielo permette. Ma attenzione, può imbattersi
in un vigilante un po’ ottuso, propenso a comminare una sanzione, salvo poi conciliare.
Ci troviamo in mezzo a individui incoscienti come i “No vax.” Non si rendono
conto che si possono infettare e farlo a loro volta. Tra qualche anno,
ripensando all’epopea del Coronavirus, ci verrà la voglia di analizzare il
percorso intricato, in cui non siamo riusciti a intraprendere la linea giusta.Saremo
all’altezza di farlo?
Proprio come recita il ben
noto adagio: “ Ai posteri l’ardua sentenza!”
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Dal Diario di un pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
RALLEGRATI
Vicende amare, gravi problemi
familiari e altro, hanno fatto perdere a molti il sorriso. In alcuni casi,
anche la fede. P. Bernard Dullier, un amico di Dio, ha immaginato un dialogo
fra l’uomo provato e il Signore. E’ assai bello e ricco di consolazione:
“Eccomi davanti a Te, povero di una fede spenta, lontano dalla Chiesa, nella
notte del dubbio.” E Tu mi dici: “Ma io
sono sempre accanto a te. Ho bisogno di te, come ho avuto bisogno di Tommaso e
dei suoi dubbi per proclamare che sono il Figlio di Dio. Io ti ho guardato e ti
ho amato così come sei. Rallegrati, allora: io pongo il mio sguardo su di te!
Se lo vuoi, fai strada con me.” C’è un versetto del Salmo 63
che conferma, per ogni giorno, la ragione per camminare con gioiosa speranza:
“Esulto di gioia all’ombra delle tue ali, Signore.”
ANCHE UN ROMANZO NEL SUO PICCOLO……
Ha degli anni “ I Giullari di
Dio”, romanzo edito nel 1980, ma offre ancora ricchezze da medotare. Vi si
sogna una Chiesa umile e compassionevole. Con le inserzioni da “Lessico
familiare.” In una di queste c’è un dialogo stpendo tra figlio e padre: “Il
fatto è, papà, che non credo più da tempo.” “In Dio o nella Chiesa?” “ Nell’uno e nell’altra.” “Mi dispiace, ma sono contento che tu me
l’abbia detto.” “Sei in collera con
me?” “ Buon Dio, no! Ascolta: se non
puoi accettare sinceramente una fede, non devi farlo. Dovresti piuttosto consentire a farti ardere
sul rogo. In quanto a me e a tua madre, non abbiamo alcun diritto a imporre dettami alla tua coscienza. Ma ricorda una cosa: tieni la mente aperta, in
modo che la luce possa sempre entrarvi. Tieni aperto il cuore, per non escludere
mai l’amore.” Si parla tanto di ‘urgenza
educativa’. Questa pagina ha, nel suo
piccolo, qualcosa da insegnare.
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2 Novembre
di Romano Parodi
2 Novembre
La giovinezza è il tempo delle
scelte, la vecchiaia il tempo per ricordare le scelte fatte. Qualche volta i
ricordi non sono piacevoli. La vita è fatta di molte perdite e di molti
rimpianti. Ogni qualvolta che vado a “Saroco”, constato con angoscia che tutti
quei volti che mi si sfuocano nella memoria li ho conosciuti, e mi sembra ieri,
che, bambino, non ne conoscevo nessuno. “La
vita fugge e non s’arresta un’ora, la morte vien dietro a grandi marce e il
rimembrar e l’aspettar m’accora” (Petrarca?). Cosa resterà di noi in questo
mondo? Niente. Non passerà neanche un piccolo secolo, che solo un nome negli
archivi (un tempo neanche quello) testimonierà la nostra parentesi terrena.
Avevo un grande amico (Doré), col quale bisticciavo spesso (ci vedevamo tutti i
giorni…): lui voleva bene a tutti, io odiavo i ricchi; ma, si finiva sempre per
parlare di trascendenza e lui sintetizzava il tutto, pressappoco così: “Noi non
siamo il corpo; colui che risiede nel corpo è eterno e non può morire. E’ così
importante diventare ricchi e potenti su questa terra? La vita è così breve che,
a fronte dei secoli e secoli in cui saremo anonima polvere in mezzo alla
polvere, tutto ciò diventa insignificante. Nessun uomo è diverso ed ogni volta
che ascolti i rintocchi a morte, ricco o povero, non domandare per chi suona la
campana, essa suona per te…; ma niente paura, nulla si crea, nulla si distrugge;
l’anima prescinde forse da questa legge? Certo che no! Ci aspetta un’altra
vita.
Procuriamoci quindi di vivere in modo tale che quando moriremo anche il
becchino ne sia dispiaciuto, e ora non cerchiamo di risolvere per via razionale
l’enigma della vita e della morte. All’uomo resta una sola scelta esistenziale:
la fede, una fede che non pretende di spiegare tutto, ma attende a dare un
senso anche alla morte, nell’espiazione, che diventa redenzione”. “Io sono
figlio del secolo della miscredenza e del dubbio e tale resterò fino alla tomba.
Quanto più numerosi sono in me gli argomenti contrari, tanto più grande è la
bramosia di credere, perché si può ignorare di avere una religione, come si può
ignorare di avere un cuore, ma senza cuore e senza Dio l’uomo non può vivere, e
la sua storia e la sua esistenza non avrebbero senso se la morte non fosse
l’apertura di un varco eterno”, diceva un grande scrittore. Credere e
sperare: la fede ha questa logica. Una logica che ha sorretto l’esistenza dei
martiri e dei santi; e che ritroviamo in queste parole, scritte da un “diverso”
sulla parete del lager, prima di finire nel forno crematorio.
“E’ buio dentro di me, ma presso di te c’è la luce. Sono solo, ma tu non mi
abbandoni; sono impaurito, ma presso di te c’è l’aiuto. Io non comprendo le tue vie, ma la mia vita
tu la conosci.”
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UN’ALLEGRA COMPAGNIA ( PRE COVID )
di Marta
Pioveva
a dirotto. Il Comune aveva dato l’allerta arancione: vento forte e freddo.
Ma tutto ciò non aveva spaventato le Signore.
Signore di una venerabile età tra i sessanta e i novantacinque anni.C’erano
tutte, ovvero, quelle che avevano confermato la loro presenza, al pranzo
sociale che il preposto Comitato allestiva per i pensionati del nostro
Comune. Spesso, oltre ai pranzi,
organizzava anche gite turistiche sempre a favore degli anziani. Che belle, tutte agghindate a
festa! I capelli freschi di piega, bei
vestiti, alcune con un filo di trucco e collane di perle ad ornare il collo e
impreziosire il volto con una luce chiara. Tutte con il sorriso festoso per la gioia di ritrovarsi ancora insieme. C’erano i coniugi contadini da tutta la vita fierissimi di esserlo che amavano
raccontare aneddoti e le vicissitudini vissute nel percorso della loro vita.In ogni tavolo era l’occasione
propizia per scambiarsi le avventure accadute tra un ritrovo e l’altro.
Quante cose c’è sempre da dire! Una
donna ha sempre qualcosa da raccontare, perché le donne possiedono la virtù del
colpo d’occhio: anche a non voler cercare un motivo qualsiasi, basta
un’occhiata per comprendere la situazione, e, in una frazione di secondo,
decidere se intervenire o meno.
Parlottavano non proprio sottovoce, ridevano, scherzavano come ragazzi a
briglia sciolta fino a quando il pranzo fu servito. Silenzio! Non si sentiva volare una mosca,
ma, tra una portata e l’altra, ricominciava l’allegro vociare.
Che belle tutte! Con sano appetito hanno
fatto onore alla cucina e allo chef. Ovviamente non mancava la più
ispirata, colei che tra una battuta e l’altra suscitava l’ilarità della
compagnia. Ridevano anche quelle di poche parole, quelle, per così dire, più
silenziose per carattere. Grazie per la bella giornata trascorsa in piena letizia con la compagnia! Queste iniziative fanno molto bene agli anziani, perché per tutta la
settimana spesso sono nonni a tempo
pieno impegnati a curare i nipoti e nel
preparare il pranzo e la cena per tutta la famiglia, nonché stirare, rigovernare la casa secondo le possibilità di ognuno e, quindi,
queste evasioni dall’impegnativo
quotidiano, servono, come dicono loro, per ricaricare le pile. Al momento del commiato si baciano, si abbracciano riproponendosi di ritrovarsi tutti insieme al prossimo
incontro. E così il rientro a casa si
affronta con più serenità e con il cuore più leggero. Poi è arrivato il ciclone Covid a scardinare ogni cosa, così chissà se
ritorneremo a vivere momenti di convivialità, serenità e armonia. Anche dopo due anni , continuiamo a pensare che la speranza è sempre l’ultima a
lasciarci.
MARTA
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IN RICORDO DEL NOSTRO SACERDOTE
di Doretto
DON LODOVICO CAPELLINI
Nel XXI anniversario della
morte di Don Lodovico Capellini, vogliamo pubblicare la testimonianza di
Doretto , nostro importante e prezioso collaboratore del bollettino.
Ciao, “Don”
di Doretto
Mercoledì, 10 novembre . Le campane
della chiesa di Caffaggiola spandono i loro rintocchi nella vallata. Sono
rintocchi monotoni, portatori di mestizia infinita. Sono rintocchi di “campane
a morto”. Un brivido attraversa il nostro corpo, che prende anche l’anima. Eccola, la notizia portata da quei rintocchi: don Lodovico ha alzato le vele ed
è partito per la Casa del Padre. Sono le ore 10 di mattina. Eccola: “l’ora
della nostra morte”. Anche se ho la netta certezza che il “Don” è ancora vivo
ed è insieme ai Santi. Il distacco umano è doloroso: anche Gesù ha pianto
dinanzi alla tomba di Lazzaro morto, perché Lazzaro era un suo amico. E don
Capellini era un amico, amico di tutti. Chiudo gli occhi e me lo vedo arrivare come quando, spesso, mi veniva a trovare
e passavamo il tempo a raccontarci delle cose di Dio, di Maria, ed erano
momenti di gioia, momenti di Paradiso futuro. E parlavamo anche della natura
che tu amavi: parlavamo di piantine, di alberi, di olivi, di rose, di frutti;
ricordo quella pianta di gelso che nel mio giardino era diventata troppo
ingombrante e tu un giorno arrivasti con una ruspa ed un camion, l’abbiamo
sradicata e trapiantata in mezzo al prato vicino alla tua chiesa. E’ diventata
una pianta grande, meravigliosa, forte, sana: era come te, finché un microbo
invisibile non ha colpito la tua forte fibra e ti ha spezzato. Ha spezzato il
tuo corpo, ma non la tua anima. Sei rimasto come una roccia, ancorato al nostro
Dio fino all’ultimo. Quel Dio a cui tu hai dedicato tutta la tua vita. Eri una
roccia alla quale noi abbiamo potuto aggrapparci quando ne avevamo bisogno,
sicuri di trovarti. E poi Dio ha voluto anche farti provare il peso della croce, quando negli
ultimi mesi di vita ti sei ammalato e i dolori erano diventati insopportabili,
e tu pregavi, pregavi…Sono sicuro che pregavi non per te, ma per tutti noi, per
la tua Chiesa, per il mondo che desideravi più buono di com’è. Sarai d’esempio
per i posteri.
Ciao, “Don”, mi auguro che Gesù abbia pietà di noi e un giorno ci faccia
partecipare al Banchetto del Cielo assieme a te e a tutti gli altri amici. Sto
piangendo. Non mi vergogno. Proteggici da lassù! Fa che si realizzi il Disegno
di Dio su ciascuno di noi. Questo tu volevi.
E ora puoi intercedere per noi affinché ciò
avvenga.
Ciao, “Don!
Sabato 13 novembre. Oggi si sono svolti
i funerali. Quanta gente! E quanti preti! Sembravano i funerali di un Papa! Ma
tu per noi lo eri un papa, anzi, un papà!
Il vescovo Francesco ha celebrato la Santa Messa e all’omelia ha detto cose
meravigliose, confermando ciò che noi già sapevamo. L’affetto e il bene che
tutti ti volevano si poteva toccare, era tangibile nell’aria che si respirava
nella chiesa gremita all’inverosimile.
Alla fine sei partito: te ne sei andato a Volastra dove ti aspettavano tua
mamma e tuo padre in quel piccolo cimitero lassù, sopra i terrazzamenti delle 5
Terre, da dove si possono ammirare il mare e il cielo infinito. Ciao, di nuovo!
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SOGNO AD OCCHI APERTI DI UN VECCHIO PARROCO DI S. MARTINO SOGNO AD OCCHI APERTI DI UN VECCHIO PARROCO DI S. MARTINO
di Don Romeo Rossetti Parroco di San Martino
Domenica 8 novembre: festa di San Martino
In occasione della festa di
San Martino voglio inserire questo “articolo” che era stato pubblicato nel “il
Sentiero “ del mese di Novembre 2009. E’ un bellissimo ricordo da parte di Don
Romeo Rossetti. SOGNO AD OCCHI APERTI DI UN
VECCHIO PARROCO DI S. MARTINO
(In origine Abbazia di S.
Martino di Iliolo) Non avrei mai immaginato che,
dopo 50 anni, per interessamento di una carissima parrocchiana di allora,
ancora bambina ai miei tempi, Lucia Taravacci, oggi sposa, madre di famiglia
eminente e numerosa e valente professionista, sarei ritornato ad interessarmi
di S. Martino. Come in un bel sogno, improvvisamente mi sono ritrovato parroco di S. Martino,
a rivivere la vita di allora, assieme alle persone di allora. Appena nominato
parroco, essendo allora parroco di Casano alto (Annunziata), come ho potuto
vedere da vicino la chiesa di S. Martino, antichissima abbazia romanica,
solitaria, cimiteriale, poetica, mistica e solenne nello stesso tempo, me ne sono
subito innamorato, con vero spirito francescano che, penso di avere sempre
posseduto, e ne ho fatto il centro di tutte le mie attività, trasportandovi
anche l’Ufficio Parrocchiale, pur continuando ad interessarmi del nuovo
insediamento della parrocchia presso la Piazza. Quanti fatti e quante persone hanno preso vita in questo sogno: la mia lunga
permanenza in chiesa alle volte fino a notte, in un silenzio sepolcrale,
inginocchiato in coro in preghiera, a luci spente, alla semplice luce del
lumicino ad olio del Santissimo Sacramento; il mio trascorrere le ore libere,
specialmente la notte, nella vecchia casa dell’originale signor Mario, che io
avevo, trasformato in canonica, vicino alla chiesa, pur quasi priva di mobili,
tant’è vero che dormivo su un materasso steso per terra, perché il primo letto
me lo regalò il carissimo e valente medico, dottor Bongioanni, quando venne a
visitarmi perché malato di bronchite: mi trovò senza letto e si affrettò ad
offrirmene uno che poi io regalai ad una famiglia bisognosa. Ho rivisto, come in sogno, quelle calde e solenni Sante Messe cantate della
domenica alle 11, con il coro pieno di uomini fra cui ricordo specialmente il
carissimo Gino Badiale, una gran bella voce, e tante persone assiepate nella
piccola navata, fra cui ricordo il carissimo amico, come fratello, il padre
della piccola Lucia, Filippo Taravacci, presidente dell’Azione Cattolica,
chiamato in età ancora fiorente alla vita eterna. Passano in sogno, davanti ai miei occhi, i tanti chierichetti, più o meno
rumorosi, attorno all’altare, fra cui ricordo il mai abbastanza lodato per la
sua fedeltà, Archimede, figlio del suddetto Gino e della amatissima madre,
Nella, che, per pura carità cristiana, provvide, si può dire, al mio
mantenimento e alla pulizia della canonica. A tutta la famiglia vada la mia
eterna riconoscenza. Sogno di essere circondato da
tanta gioventù, maschile e femminile: Paolo, futuro diacono, Gianni, futuro
ingegnere, la estroversa Mirella, la gentilissima e devotissima Adriana, che
ora ha famiglia e ha perseverato nella fede, contribuendo a formare il gruppo
dei Focolarini.
Sogno di un carissimo giovane, Doretto, non della parrocchia, ma sempre vicino
a me, cordiale e servizievole, fra l’altro in possesso di una potentissima moto
“Mondial” con la quale siamo andati in pellegrinaggio ad Assisi, alla Verna, a
Roma... Anch’egli, pur essendo divenuto disabile, ha perseverato nella fede ed
anch’egli è parte integrante del Movimento dei Focolarini.
Fra i non più giovani, ricordo l’esimio professor Franciosi, che ora mi risulta
una colonna della parrocchia, la umile e disinteressata Marietta che, anch’essa
per pura beneficenza, s’interessava della pulizia della vecchia canonica, ai
miei tempi adibita ad Oratorio Parrocchiale.
Ricordo tante altre brave persone ma non
le nomino per non dilungarmi. Dal giorno del mio ritorno in sogno a S. Martino
io vivo là con la mente e con il cuore, come se vi fossi ritornato come
parroco. Con le persone, che come la carissima Lucia mi hanno cercato e trovato,
sono in continuo rapporto, ci scriviamo, ci telefoniamo, una volta sono venute
a visitarmi (Archimede parecchie volte) e io gioisco nella mia vecchiaia, ormai
priva di attività pastorale e piena di acciacchi di ogni genere.
Per chiudere, mi ricordo spesso della parabola evangelica del Seminatore:
“…alcuni semi caddero su terreno buono e diedero un frutto abbondante, cento e
sessanta e trenta volte di più (Mt 13, 3-8). Grazie, carissima e affezionatissima
Lucia, del bene che mi hai fatto, cercandomi e trovandomi, anche perché io
continuerò a sognare S. Martino, fino al giorno in cui mi troverò nella Casa
del Padre con tutti i miei vecchi parrocchiani.
Varano de’ Melegari (PR),
12/09/2009
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Mia cara zia Maria
di Patrizia Giacchè
Mia cara zia Maria
Sono desiderosa che giungano a
te, in tutta la loro pienezza di amore e di affetto, gli auguri di buon
compleanno.
Con l’emozione alle stelle e la gioia nel cuore sono qui ad esprimerti la mia
gratitudine, per aver scelto di condividere in mia compagnia questa giornata
festosa del 95° Compleanno.
Sono felicissima di godere della tua vicinanza e di poterti coccolare
teneramente, estrapolando da ogni tuo sguardo e da ogni tuo gesto, le
sensazioni più appassionanti e custodirne il ricordo.
Sei da sempre il mio punto fermo, e la stima che nutro per te non teme
paragone.
Instancabilmente mi hai trasmesso nel tempo i veri valori, quelli che contano
nella vita, ed il tuo animo leale e generoso non è mai venuto meno, dal donare
preziosi insegnamenti e validi consigli dai quali continuo a trarre riscontri
positivi e trasparenti, e dei quali ho sempre fatto tesoro.
Tu sei la carissima zia che tutti sognano ed io godo fortunatamente di questo
privilegio. Dal carattere deciso ed un tantino autoritario sempre presente però
ad ogni richiesta di aiuto, pronta ad aprire il proprio cuore per supportare
qualsiasi difficoltà.
Sei grandiosa. La zia per eccellenza, ed io ne vado orgogliosissima. Adorabile ed
ammirevole zia, sono veramente fiduciosa che l’influsso del mio amore arrivi a
te come un’immensa fonte di energia dalla quale tu possa coglierne la forza e
la serenità per proseguire.
Auguri dal cuore
Patrizia
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Un pensiero
di Carlo Carretto
“Staccandomi dalla Vita che è Dio, staccandomi dalla Verità
che è Dio, staccandomi dall’Amore che è Dio, mi stacco da Dio ed entro nella
“non vita”, nelle tenebre, nell’odio.
A Dio, che non vuole una cosa così orrenda, resta il potere
di avvertirmi. E mi avverte. E mi avverte col dolore. Eccoci al punto esatto
del perché del dolore: avvertimento.”
Carlo
Carretto |
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