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Dal “Diario di un Pellegrino”
di Gualtiero Sollazzi
COME LE RONDINI
Convegni ecclesiali a raffica
in questo periodo. Una benedizione e un pericolo. Il pericolo è che rimangano
solo le parole. La benedizione che siano seminagione piena. La riuscita di
questi eventi è legata a diversi fattori: preghiera, preparazione,
coinvolgimento delle realtà pastorali.
Anche il tema ha da essere bruciante, per avviare rivoluzioni d’amore.
Papa Francesco è stato chiaro, aprendo il Convegno della Diocesi di Roma: “Un cristiano se non è rivoluzionario, non è
un cristiano”. Tali riunioni dovrebbero essere un mettersi insieme per
ascoltare “ciò che lo Spirito dice alle
Chiese” ( Apocalisse 2, 1-7 ) con confronti a più voci nella libertà dei
figli di Dio. Le comunità parrocchiali ne raccoglieranno i “semi”, verificando
poi i cammini compiuti. Solo così i Convegni daranno frutto. La Pira diceva “I
giovani sono come le rondini, vanno verso la primavera.” Allargando l’immagine, sarebbe bello pensare
a cristiani, arricchiti dal fuoco di questi incontri, che si impegnano a
rendere la Chiesa il più vicino possibile al Vangelo: “leggera, danzante,
povera, libera, sorridente, coraggiosa, sottomessa solo a Gesù” ( card. Martini
). Ne annuncerebbero la primavera. Come le rondini.
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Le graffiature A PIGLIA' MESSA
di Antonio Ratti
In diverse zone della Toscana
un tempo si usava questa espressione: “Vado a piglià Messa.” Ed era
giustissimo. Prima del Concilio Vaticano II, voluto dal grande Giovanni XXIII,
la Messa era un’altra cosa. Veniva usato il latino. Quanti erano in grado di
seguirla non comprendendo neppure le
domande e le risposte che venivano date a memoria e spesso storpiate nella
pronuncia? L’altare, poi, era posizionata in modo tale che il celebrante
voltasse le spalle nascondendo di fatto tutto il rito della consacrazione
eucaristica, quasi fosse un segreto di Stato o un fatto personale del
celebrante. Ricordo la polemica feroce
tra le varie posizioni interne al Concilio e alla Chiesa, tanto che si arrivò
allo scisma del pseudo tradizionalista Marcel Lefebvre, in realtà solo un
conservatore ostinato. Questo padre conciliare, fino allora sconosciuto
vescovo, nella sua testardaggine, non
capiva, o non voleva, la sostanziale differenza tra conservatorismo e
tradizione. Nella bimillenaria storia
della Chiesa la Tradizione è un valore ineludibile, che sa aprirsi e
comprendere le nuove istanze, mentre la conservazione è l’arroccarsi in un
rigido immobilismo che non tiene conto dei mutamenti, delle diverse culture e
dei tempi, rendendosi avulso dalla realtà con tutte le amare conseguenze. Nel Cenacolo a Gerusalemme si parlava
aramaico, ad Antiochia, a Costantinopoli, ad Alessandria d’Egitto si parlavano
dialetti di estrazione greca e a Roma, ovviamente, latino; quindi l’uso delle
lingue parlate non è un’eresia, ma il ritorno alla tradizione vera che il
latino, imposto anche alle Chiese africane e polinesiane, aveva tradito. I primi cristiani erano soliti riunirsi in
case private attorno ad un tavolo ad imitazione del Cenacolo. L’altare post
conciliare, quindi, è un ritorno alla tavola simile a quella usata da Gesù
quando ha istituito l’Eucarestia durante l’ultima cena. Il celebrante con la nuova posizione rivolta ai fedeli, com’era Gesù verso i
discepoli, permette di seguire tutti i momenti
del rito sacro. Il rito eucaristico non è un fatto privato del sacerdote
come sembrava e che costringeva i fedeli ad una presenza quasi passiva. Ora appare chiaro come il
celebrante sia la guida sostanziale per i presenti nel partecipare alla
preghiera comunitaria e a fare memoria del sacrificio di croce. I tre elementi citati e introdotti dal
Concilio non offrono più l’alibi di andare a “piglià Messa” con la sola presenza fisica per rispettare il
precetto festivo, ma ci fanno comprendere che è la comunità intera che si
riunisce nella preghiera al Padre per ricevere il suo preziosissimo dono che è
il Pane di vita, l’Eucarestia. Il Concilio Vaticano II, nelle
intenzioni del Papa Buono, doveva attraverso
i padri conciliari individuare il modo adeguato ai tempi di “porre” la
fede immutabile in una società globalizzata con rapidi cambiamenti. Questi tre elementi, che
possono sembrare secondari rispetto ai temi teologici e canonici, hanno reso
possibile la migliore comprensione e partecipazione attiva dei fedeli, quasi
una concelebrazione, al sacrificio eucaristico. Ricordo come verso la metà
degli anni sessanta del secolo scorso, abbia vissuto un’esperienza emotivamente
molto forte da testimone oculare. Circolavano le prime notizie sulle novità
liturgiche che il Concilio avrebbe quasi certamente introdotto. Il parroco di
una zona periferica spezzina decise di anticipare i tempi. Probabilmente la
notizia, arrivata dove non doveva arrivare, indusse il vescovo a presentarsi alle
10,50 in chiesa dove l’altare analogo a quello di oggi era preparato per il
rito, mentre l’altare classico era palesemente spoglio. In sacrestia trovò due
chierichetti già vestiti e il celebrante che stavo aiutando ad allacciarsi
all’avambraccio sinistro il manipolo. Con tono serioso, iniziò ad elencare le
illiceità commesse,liturgiche e canoniche, perché consapevole delle anomalie.
Al termine, il sacerdote con voce pacata rispose: “Eccellenza ha perfettamente
ragione sulle mie libere iniziative non liturgiche, ma i parrocchiani mi
chiedono due cose: primo, per partecipare al meglio desiderano vedere i vari
momenti della celebrazione eucaristica; secondo, del loro parroco desiderano
vedere il volto non i glutei. Hanno torto?” Era un sacerdote dal carattere
forte e spigoloso, forse un po’ ribelle, ma sapeva vedere lontano; difatti di
lì a pochi mesi, papa Paolo VI firmò i
documenti conciliari che divennero le
Costituzioni-Decreti da attuare, anche se molti stanno invecchiando in trepida
attesa che qualcuno si ricordi di loro. Con grande sollievo le lingue parlate,
l’altare a mo’ di tavolo e il celebrante rivolto ai fedeli sono divenute
realtà. Almeno per queste tre cose, tranne che per Lefebvre che voleva una Chiesa di miopi acculturati
latinisti, immobili come statue di fronte ad una umanità diversificata, le resistenze non si sono mostrate insormontabili. Ho detto cose ovvie, ma c’è voluto
Giovanni XXIII ad imporsi per rammentarci
che occorrono da parte di ciascuno propositi chiari e precisi, perché la fede e
i suoi riti diventino valori determinanti per dotare di un senso positivo il
dono della vita. Poniamoci seriamente il quesito - potremmo
avere delle sorprese - : la nostra fede è abitudine o è consapevole dedizione
alla volontà del Padre attraverso gl’insegnamenti del Figlio Gesù?
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Gesù, vero Dio, vero uomo
di Paola Guerrecci Vitale
Lettera dei Santi Filippo e
Giacomo, il 3 aprile 2021 - Gesù sta parlando con
l'apostolo Tommaso; interviene l'apostolo Filippo dicendo: "Mostraci il
Padre e ci basta”. Gesù risponde da vero Dio, riprendendo con sorpresa Filippo perché ancora non
scorge la realtà di Gesù come Dio da Dio. Penso tra me: "Per credere questa realtà bisogna essere abbandonati a Lui,
a Gesù, come i bambini nelle braccia della madre o del padre, altrimenti
rimaniamo perplessi, aderendo formalmente a questa realtà, dicendo nel pensiero:
E va bene, se lo dici Tu!". Gesù chiarisce ancora, affermando che le sue parole provengono direttamente dal
Padre Suo: non sono parole sue. Ogni sua parola proviene direttamente dal Padre
Suo, da cui proviene per fare la di Lui volontà. Gesù è fedele fino alla morte
ed alle crudeltà feroci con cui viene condotto alla morte di Croce. Per questa
redenzione mostrata dal Figlio di Dio gli è stato donato un corpo. Fino alla fine
vengono realizzate in Lui tutte le parole dei profeti, anche loro sempre perseguitati
ed uccisi crudelmente. A noi rimane il solo sforzo di riconoscere come dono divino tutta la grazia che
ci proviene dal Battesimo, dalla
educazione cristiana alla pace, alla gioia pura che ci viene da Gesù che è vita, verità e via, oltre che
gioia pura - aggiungo io - realizzando così il progetto che Dio Padre ha avuto creandoci:
progetto di gioia duratura e non quella che ci proviene dai cinque sensi, come
normalmente avviene e che, in sostanza, è ciò che ti sarà dato in più. Cercate prima le cose di lassù, cioè di fare la volontà di figli di Dio: tutto
il resto vi sarà dato in più. Gesù parla con dolcezza e fermezza, da uomo e da Dio. Ci chiede soltanto di
credere alla Sua parola. Crediamo ed amiamo!
Paola Guerrecci Vitale
(a Luni Mare dal 24. 2. 1974)
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Adorazione interparrocchiale
di Enzo Mazzini
Siamo nel mese di maggio, il
mese Mariano e, come tutti gli anni, l'adorazione interparrocchiale del
Vicariato di Luni in questo mese viene celebrata nel Santuario della Madonna
del Mirteto.
Numerosi sono i fedeli che da tutte le parrocchie sono corsi per partecipare a
questo commovente momento di preghiera. La cerimonia è guidata dal Parroco,
P.Domingo Patix, coadiuvato da Don Carlo che provvede anche ad accompagnare i
canti dei fedeli all'harmonium.
Molto bella la Preghiera di Adorazione che di seguito riporto: "Signore
Gesù, adoriamo il tuo Corpo glorioso, nato dalla Vergine Maria, siamo qui
davanti a Te. Tu sei il Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso per noi e dal
Padre Risuscitato. Tu, il vivente, realmente presente in mezzo a noi. Tu, la
via, la verità e la vita: Tu, che solo hai parole di vita eterna. Tu, l'unico
fondamento della nostra salvezza e l'unico nome da invocare per avere speranza.
Tu, l'immagine del Padre e il donatore dello Spirito; Tu, l'Amore. Signore Gesù,
noi crediamo in Te, Ti adoriamo, Ti amiamo con tutto il nostro cuore e
proclamiamo il tuo nome al di sopra di ogni altro nome. Amen".
Alla lettura del Vangelo secondo Marco (16, 15-20) fa seguito uno spazio di
silenzio dedicato alla meditazione personale. Quindi viene data lettura alla
seguente meditazione collettiva: " La missione della Chiesa è presieduta
da Gesù Cristo risorto, salito al cielo e intronizzato Signore alla destra del
Padre.
L'ascensione e l'invio degli apostoli sono inseparabili. Tra gli undici,
inviati da Gesù e beneficiari della sua promessa fedele e potente, si trovano
anche i successori degli apostoli e la Chiesa intera. Gesù ci invia, ci
accompagna e ci dà la forza. Noi non siamo dei volontari spontanei, ma degli
inviati.
Appoggiandoci su Gesù Cristo vincitore della morte, possiamo obbedire
quotidianamente al suo ordine di missione nella serenità e nella speranza.
Gli Apostoli sono i messaggeri di una Parola che tocca l'uomo nel centro della
sua vita. Il Vangelo, affidato alla Chiesa, ci dà una risposta definitiva: se
crediamo, siamo salvati, se rifiutiamo di credere o alziamo le spalle, siamo
perduti. Attraverso la fede, che è il sì dato dall'uomo a Dio, noi riceviamo la
vita.
Il Signore conferma la predicazione degli apostoli con molti segni; e segni
accompagnano anche i credenti. Attraverso questi segni, diversi e coestesi alla
missione della Chiesa, Dio vuole garantire la sua azione in coloro che Egli ha
inviato e invita tutti gli uomini ad abbandonare ciò che è visibile e quindi
attraente per il mistero della salvezza".
Dopo la recita della "Coroncina per le Vocazioni Sacerdotali" e delle
Litanie della Santissima Eucaristia viene recitata da tutti la seguente
Preghiera per le Vocazioni Sacerdotali: "Signore Gesù, Pastore grande
delle nostre anime,
Tu non abbandoni il tuo gregge, ma lo conduci attraverso i tempi, sotto la
guida di coloro che Tu stesso costituisci pastori dei tuoi fedeli. Radicati e
fondati nella certezza del Tuo amore per la Chiesa, noi Ti preghiamo: effondi,
in una rinnovata Pentecoste, il Tuo Spirito di sapienza e di fortezza sulle
nostre comunità, perché susciti in esse numerosi e degni ministri dell’altare,
annunziatori forti e miti del Vangelo della grazia. Tu hai fondato la Chiesa e
La colmi continuamente del dono della Tua verità e della Tua santità. Non farci
mancare i sacerdoti, mediatori della Tua luce e della Tua vita.
Santa Madre di Dio, siamo consapevoli che ogni sacerdote è un dono che può
essere solo umilmente chiesto. Uniamo la nostra povera preghiera alla Tua
potente intercessione: ottienici numerosi e santi sacerdoti che guidano le
nostre comunità sulla via della salvezza. Amen". Dopo il canto del "Tantum
Ergo" e la Benedizione Eucaristica, la cerimonia si conclude col canto
"Regina Coeli".
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Chiediamo il dono dello Spirito Santo, perché…
di Metropolita Ignatios di Latakia.
Senza lo Spirito Santo: Dio è
lontano, il Cristo resta nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa una
semplice organizzazione, l’autorità una dominazione, la missione una
propaganda, il culto un’evocazione e l’agire cristiano una morale da schiavi.
Ma in lui: il cosmo si solleva e geme nelle doglie del Regno, il Cristo
risuscitato è presente, il Vangelo è potenza di vita, la Chiesa diventa
comunione trinitaria, l’autorità è servizio liberatore, la missione è
Pentecoste, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano è deificato.
-Metropolita Ignatios di
Latakia.
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Per me vivere è Cristo
di San Giovanni Paolo II
La fede ci chiede di stare
davanti all’ Eucarestia con la consapevolezza che siamo davanti a Cristo.
L’Eucarestia è mistero di presenza, per mezzo del quale si realizza in modo
sommo la promessa di Gesù di restare con noi fino alla fine del mondo.
San Giovanni Paolo II
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Lo Spirito Santo
di Papa Francesco
Lo
Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Di molti fa un corpo solo, il corpo di
Cristo. Tutta la vita e la missione della Chiesa dipendono dallo Spirito Santo;
Lui realizza ogni cosa.
Papa
Francesco
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