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LA VIA CRUCIS DEI BAMBINI
di Le catechiste di San Lorenzo
Quest’anno noi catechiste
d’accordo con il nostro parroco Padre Domingo, abbiamo coinvolto i bambini
nella lettura della Via Crucis. Tutti i bambini hanno accettato con molto
entusiasmo. Ogni venerdì si ritrovavano in anticipo davanti alla chiesa per
accordarsi tra di loro su quale stazione leggere e in caso di assenza di
qualcuno già c’era pronto chi sostituiva l’amichetto.
Dato che nella parrocchia San Lorenzo non ci sono tanti bambini, abbiamo
coinvolto anche alcuni bambini di altre parrocchie che avendo i nonni qui, sono spesso a Ortonovo .
I bambini, tutti con la loro mascherina, seduti con il rispetto della distanza,
seguivano sul libretto la funzione e quando era il loro turno si alzavano e
leggevano la stazione.
Il venerdì Santo tutte le stazioni sono state lette dai bambini avendo presente
dei bambini di Casano che hanno partecipato molto volentieri a questa Via Crucis
dei bambini.
Visto questa bella esperienza e l’entusiasmo mostrato dai bambini, abbiamo
pensato di coinvolgere i bambini nella recita del Santo Rosario nel Santuario
del Mirteto nel mese di Maggio. Tutti i bambini sono invitati, anche i bambini
delle altre parrocchie, in modo particolare i bambini che a breve riceveranno i
Sacramenti della Comunione e della Cresima.
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Lettera a Don Domenico Lavaggi
di Giuliana Rossini
Carissimo Don ci manchi
tanto. Tu per noi eri una
roccia in cui trovare riparo, anzi, come è stato detto, con una bellissima
immagine, un albero diritto, svettante verso il cielo (fino a sfiorarlo con la
cima) forte e con radici solide. Ci hai lasciato una
fede adamantina che metteva Dio al centro di tutto, una fede in grado di
superare le inevitabili debolezze umane. Sì, sei stato un vero uomo di Dio
vivendo il Vangelo alla lettera: amavi tutti indistintamente. In questo avevi avuto
una buona scuola già nella tua famiglia. Tuo padre, lo zio Attilio, chiamato
Attì, ottimo falegname, amato e rispettato da tutti, era un uomo di profonda
fede. Non aveva mai voluto prendere la tessere del partito fascista. Un simpatico aneddoto
racconta che, terminato il duro lavoro quotidiano, egli talvolta aveva
desiderio di bere un goccetto di vino, anche per fare due chiacchiere con gli
amici. Ma il circolo ricreativo di allora l’ENAL, era gestito dal partito
fascista. Presentandosi alla
mescita, gli dissero che lui non poteva bere perché non era iscritto al partito
fascista. Caduto il regime, il circolo venne preso in gestione dalle sinistre.
Attì si presento gongolante ma, ahimè, non poté bere neppure in questo caso
perché nemmeno era socio del circolo. Alquanto seccato, lungo la via del
ritorno esclamò:"prima i fascisti mo’ i comunisti e me quando a bevo e onde?" Amavi tutti
indistintamente, ma non nascondevi il tuo affetto per tutti i tuoi parenti,
anche per me tua cugina acquistata. Tra noi non facevi
differenze, eravamo tutti tuoi fratelli e sorelle. Sei sempre stato presente
nella vita di ognuno: hai unito in matrimonio la mia secondogenita e battezzato
i miei nipoti, benché nati a Bruxelles. Però non dimenticavi
mai gli ultimi, i piccoli, i deboli, i malati (come fa fede la costruzione di
Casa Marta proprio come Gesù di cui incarnavi il vangelo). Ricordi quando stavi
ancora al Limone? Allora data la minore distanza, era più facile vederci. Come
è già stato detto, partecipavi con la tonaca alle manifestazioni per le vie
cittadine di coloro che erano ingiustamente sfruttati. Ma non eri soltanto un
“prete operaio”, amavi le arti in particolare la musica e la pittura ed eri
amico di numerosi artisti. Conservo gelosamente sopra il letto, sulla parete
della mia camera, una Madonna col Bambino del pittore spezzino Rosa, che tu mi
hai regalato; è datata 1975. Ogni volta che la guardo, il pensiero vola a te e
a quei tempi giovanili. Trasferito a Levanto,
ci siamo frequentati un po’ meno, ma eravamo sempre presenti nelle grandi
occasioni, come quando hai festeggiato i tuoi 50 anni di sacerdozio. Hai sempre amato i
giovani e con loro eri molto impegnato; organizzavi incontri, gite e dibattiti
che, ne sono sicura hanno dato e continuano a dare i loro frutti. Poi la roccia ha
cominciato a sgretolarsi, ma, tu, con una forza sorprendente, riuscivi a
superare tutto. Circa 10 anni fa, i medici avevano emesso una diagnosi
infausta, eppure sei riuscito ad andare avanti, sia pure con tanta fatica. Ero presente quando il
patriarca di Venezia Mons. Francesco Moraglia già Vescovo di La Spezia ti
telefonò per informarsi delle tue condizioni di salute. Che gioia per te e per
noi! Per te fu come aver preso una potente medicina. Certo i tuoi ultimi 10
anni non sono stati facili né per te né per i tuoi familiari che ti hanno
curato con tanto amore, ma tu non ti lamentavi mai, accoglievi tutto con
pazienza, sempre attento, come potevi alle vicissitudini dei tuoi parrocchiani
e di noi tuoi parenti. Caro Don nella tua
lunga vita hai bussato a parecchie porte per cercare di risolvere i problemi
dei più bisognosi, ma adesso non ho dubbi, che, giunto in Paradiso, hai trovato
tutte le porte spalancate e, anzi, gli Angeli i Santi e la nostra Madre Celeste
festanti ad accoglierti.
Prega per noi.
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Cenni sulla settimana santa
di Enzo Mazzini
La Settimana Santa
rappresenta sicuramente il momento più elevato che la cristianità si trova a
vivere e rinnovare ogni anno. Infatti i numerosi e commoventi riti, che vengono
celebrati, ci fanno vivere i momenti più alti e partecipati del nostro essere cristiani.
Partiamo dal Giovedì Santo, allorché si celebra l'ultima cena di Gesù con gli
Apostoli, per rievocare la Pasqua Ebraica, ma soprattutto è la cena "In
Coena Domini" che Gesù consuma insieme ai suoi Apostoli prima di essere tradito, arrestato e
condannato a morte. Ma si tratta di un incontro davvero straordinario ed
irripetibile per il susseguirsi di riti sempre più commoventi e coinvolgenti:
la lavanda dei piedi, l'annuncio del tradimento da parte di Giuda,
l'istituzione dell'Eucaristia e dell'Ordine Sacro e cioè del Sacerdozio
Cristiano.
Le chiese vengono oscurate in segno di dolore perché è iniziata la Passione di
Gesù, le campane tacciono, l'altare diventa disadorno, il Tabernacolo vuoto con
la porticina aperta ed i Crocifissi vengono coperti.
Si arriva quindi al Venerdì Santo, il giorno del grande dolore perché rievoca
la morte, sulla Croce, di Nostro Signore sul monte Calvario. È l'unico giorno
in cui non si celebra l'Eucaristia mentre c’è la commemorazione della Passione
e Morte di Gesù Cristo, seguita dalla Via Crucis. La Chiesa infatti in quel
giorno celebra solo la liturgia della Passione di Nostro Signore, che è
composta dalla Liturgia della Parola, dall'Adorazione della Croce e dai riti di
Comunione.
In molte parrocchie, nelle ore serali, si svolge la tradizionale "Via
Crucis" per le strade degli abitati.
Il Sabato Santo è invece il giorno in cui il corpo di Gesù è nella tomba,
sigillata da una grande pietra, i discepoli sono pieni di paura e si sono
rinchiusi in casa e la comunità è smarrita ed impaurita. Solo le donne che
hanno seguito e servito Gesù non hanno paura e sono in trepidante attesa:
passato il sabato, giorno in cui non era possibile fare acquisti, devono
recarsi alla tomba di Gesù, ma prima dovevano procurarsi gli oli aromatici per
andare a imbalsamarLo (Marco 15, 41 - 16, 2).
Il Sabato Santo è il giorno del grande silenzio, raccoglimento e della
meditazione perché ci fa provare una grande sofferenza rivivendo la morte di
Gesù per poi arrivare all 'esplosione di gioia nell'annuncio della
Resurrezione, durante la Veglia Pasquale. Infatti tutta la giornata del Sabato
Santo è destinata alla preghiera ed alla penitenza, ma non vengono fatte
celebrazioni liturgiche e quindi non vengono celebrate le Sante Messe.
Significativo è il fatto che in quel giorno non si può ricevere neppure la
Santa Comunione, ad eccezione del Viatico che può essere somministrato agli
ammalati gravi.
Tutto è silenzio ed attesa per rievocare
la morte e sepoltura di Gesù a partire dal Venerdì pomeriggio.
La Resurrezione di Gesù Cristo è sempre stata rievocata con solenni funzioni
nella tardissima serata del Sabato, generalmente alle ore 22, ma quest'anno si
è reso necessario anticiparle a causa delle restrizioni di legge, imposte per
il Covid, che vietano ogni movimento e funzioni dopo le ore 22.
Molto significativa questa veglia! Io ho ancora presenti quei momenti di
intensa commozione vissuti negli scorsi anni nella Chiesa di Isola dove io mi
ritrovavo in quanto componente del coro. Durante la solenne Veglia vengono
infatti benedetti il fuoco e il cero pasquale e commovente è il momento del
canto del Gloria, allorché nell'aria si diffonde il suono delle campane che
erano state in doloroso silenzio dal Venerdì Santo.
Quindi si arriva al giorno tanto atteso: la Pasqua di Resurrezione! È il giorno
della sconfitta della morte da parte di Gesù: "Cristo è risorto, è davvero
risorto". Gesù passa dalla morte alla vita e la morte è sconfitta per
sempre!
Io ho assistito alla solenne S. Messa celebrata da Papa Francesco nella
Basilica di S. Pietro. Davvero commovente! Il Santo Padre ha anche ringraziato
tutti i fedeli che hanno lavorato per rendere le celebrazioni della Settimana
Santa veramente degne e belle ed ha ricordato che: "ogni domenica con il
Credo rinnoviamo la professione di fede nella Resurrezione di Cristo …. Tutta
la liturgia del tempo pasquale canta la certezza e la gioia della Resurrezione
di Cristo". Anche noi ci uniamo a Lui nell’augurare una buona e santa
Pasqua a tutti i lettori del "Sentiero".
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Le Missioni
di Egidio Banti
Riportiamo
la seconda ed ultima parte della relazione storica di Egidio Banti sulla
presenza in Val di Magra dei religiosi Vincenziani, ai quali apparteneva il
padre Vincenzo Damarco.
Alla Casa della Missione è legato un episodio della
vita del cardinale Giuseppe Spina, il sarzanese più autorevole nella storia
dopo Niccolò V: la sua ordinazione sacerdotale. Spina era già a
Roma, alla Segnatura Apostolica, quando nel 1796, in seguito all’arrivo delle
truppe francesi, aveva dovuto tornare in fretta a Sarzana. Non era ancora
sacerdote, e ad ordinarlo fu così il vescovo Vincenzo Maria Maggiolo, motivo
per il quale egli risultò ascritto al clero della diocesi di Luni – Sarzana.
L’ordinazione avvenne nella cappella interna della Casa della Missione, il che
indica l’importanza che essa aveva in quel periodo, sessant’anni dopo l’arrivo
dei vincenziani. Anche la Casa subì però nuove traversie nel periodo
napoleonico. Già nell'ottobre
1797 i missionari vennero allontanati con il pretesto di dare alloggio alle
truppe, ed essi, in linea con le disposizioni post-rivoluzionarie, ricevettero
anche l’ordine di separarsi l'uno dall'altro. Nel 1802, peraltro, una
supplica di importanti famiglie
sarzanesi ottenne che il convitto potesse riaprire. Non è da escludere che per tale
decisione siano valsi proprio i buoni uffici di Giuseppe Spina, che, divenuto
cardinale, aveva negoziato a Parigi con Napoleone in persona il difficile
concordato tra Francia e Santa Sede. Così i missionari, nel 1809, ebbero l'incarico
di tenere anche le scuole comunali e di officiare la chiesa di San Francesco, essendo
stati i frati francescani a loro volta allontanati da Sarzana. Dopo la
Restaurazione, la Santa Sede riconobbe in qualche modo il loro ruolo a Sarzana
quando, nell’ottobre 1820, vi inviò come nuovo vescovo proprio un vincenziano,
il padre Pio Luigi Scarabelli, nativo di Castelnuovo Scrivia e
già superiore a Torino negli anni napoleonici. A Sarzana Scarabelli rimase
vescovo sino al 1836, quando, gravemente malato, si ritirò proprio nella Casa
della Missione, restandovi sino alla morte, nel 1843. Egli fu anche il
vescovo che si adoperò per la venuta a Sarzana di un primo nucleo di religiose
di matrice vincenziana, le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret,
tuttora presenti nella scuola del “Pavone”. Non solo: il vescovo potenziò
l’Opera Pia Lercari con una propria cospicua donazione, per cui, da quel
momento, si chiamò “Opera Pia Imperiale Lercari – Scarabelli”, rimasta attiva
sino al 1974, quando venne assorbita dalla fondazione “Cardinal Maffi” per la
gestione della villa dell’Olmarello, al confine tra Castelnuovo e (oggi) Luni. Nell’Ottocento
la comunità vincenziana affrontò spesso difficoltà e contrasti, sempre però
superati. Curioso è l’episodio del maggio 1859, quando un corpo di truppe francesi, comandate
dal principe Girolamo Napoleone, sbarcato a Spezia, transitò per Sarzana. Il superiore
si offrì di ospitare alle Missioni un certo numero di ufficiali, compreso il
principe, e così avvenne. La Casa per una legge del 13 novembre 1859, continuò
a tenere aperte al pubblico le sue scuole interne ginnasiali, dalla prima
Grammatica alla Rettorica, e tali scuole ebbero il titolo, il
privilegio e la qualità di Ginnasio Municipale. Nel 1866 una legge del Regno
d’Italia impose alle varie congregazioni di sciogliersi. Alla Casa di Sarzana
fu però di grande aiuto la citata “Opera Pia”, la quale aveva la facoltà di
mantenere propri amministratori che furono, in quel frangente, cinque missionari,
che poterono così restare uniti. Si arrivò così all’inizio del Novecento,
quando le scuole elementari erano ormai alla portata di tutti ma le superiori
erano ancora riservate a pochi. Il Collegio arrivò così ad ospitare sino ad oltre
150 alunni, di diverse età.
L’attività dei Vincenziani non si chiudeva però
tra le mura della Casa. Il 15 aprile 1924, martedì santo, risulta registrata a
Sarzana la costituzione del primo reparto scout della città. Presidente è un
giovane industriale del settore dei marmi, Libero Cerri, mentre assistente
risulta don Domenico Abbo, prete della Missione. Don Abbo, nativo di Borgomaro
(Imperia), era un giovane sacerdote, di 36 anni, che già aveva rilevato da don
Frontelmo Beggi la cura spirituale dell’associazione Pro Sarzana, dedicata ai
giovani della città. Gli scout rappresentavano un modo innovativo di
aggregazione giovanile, anche se presto sarebbero stati sciolti dal regime. In
effetti, Sarzana guardò sempre con simpatia e con collaborazione al Collegio,
ed anche la triste vicenda dei delitti Vizzardelli, compiuti nel 1937 per il
tralignare della mente malata di un povero giovane (che finì per togliersi la
vita molti anni dopo, poco dopo essere uscito dal carcere), non scalfì per
nulla quei sentimenti, ed anzi se possibile li rafforzò, essendo stati i
sacerdoti e i loro collaboratori le prime vittime di quella follia: il superiore
Giorgio Bernardelli e il custode del collegio, fratel Andrea Bruno. Sul
piano giuridico, pur nell’avvicendarsi di molte amministrazioni pubbliche, la
congregazione riuscì sempre a poter disporre della Casa. Il 30 settembre 1926, presenti il
padre generale padre François Verdier fu ad esempio inaugurato un nuovo edificio
(attuale sede della Guardia di finanza), destinato anch’esso ad attività
scolastiche pubbliche. Nel periodo
dell’episcopato di Giovanni Costantini (1929 – 1943), diviene poi intenso il collegamento
con il seminario. Il vescovo firmò infatti una convenzione in base alla quale
le classi del Liceo e della Teologia venivano trasferite alla Missione, un cui
sacerdote, il padre Pietro Usai, fu nominato direttore spirituale del seminario
stesso. Il padre Usai, nativo di Sassari, rimase a Sarzana sino alla morte, nel
1957, e proprio in sua sostituzione, fu trasferito dalla Sardegna, dove si
trovava, il padre Damarco. Dal
1939 al 1946 i Missionari accolsero nel Collegio oltre trecento sfollati dalla
Spezia, da Massa e da altre località, continuando però anche le attività
scolastiche, benché ridotte. Dopo lunga trattativa con il Comune di Sarzana, grazie
all’impegno giuridico ed alla collaborazione del segretario generale Eugenio
Gari, i Missionari il 27 ottobre 1959 riscattarono il Collegio, ridiventandone
i proprietari. Nel dopoguerra – mentre i preti della Missione collaboravano
con diverse parrocchie della città di Sarzana e della vallata (per esempio a
Molicciara), ed in attività quali la Fuci, i circoli culturali, i gruppi di
Mani tese – l’aumento della popolazione scolastica e la mancanza di adeguate
strutture pubbliche portarono all’utilizzo di ulteriore parte dei locali per le
attività scolastiche, in particolare della scuola media “Carducci” e dell’avviamento
professionale “Bertoloni”. Tutte queste vicende confermano come la struttura non
sia mai stata isolata in se stessa e chiusa alle esigenze del territorio
sarzanese. E’ proprio in quel periodo che si colloca la presenza a Sarzana del
padre Damarco. Alla
fine degli anni Settanta maturò la svolta provocata dal calo del numero dei
religiosi così come – a causa delle mutate condizioni di vita delle famiglie e
della diffusione delle scuole statali – dal venir meno della ragion d’essere
stessa di un collegio–convitto. Nel 1963 l’Annuario diocesano indica ancora in
nove il numero dei religiosi presenti alla Missione, mentre nel 1980 sono tre,
di cui due soli sacerdoti. In quel periodo continuò a funzionare, benché in
forma di succursale o di alloggio estivo, la villa dell’Olmarello. Negli anni
dopo il Concilio, proprio il padre Damarco la utilizzò per consentire ai
giovani sarzanesi di Mani Tese e del Comitato per l’amicizia con i popoli nuovi
attività di raccoltà degli stracci (allora usava così). Il Collegio venne chiuso
in via definitiva alla fine degli anni Settanta. Per fortuna, il vescovo di
allora, Siro Silvestri, comprese subito l’esigenza di dare continuità a una
storia così importante. Silvestri volle così che la Casa, rilevata dalla
diocesi, venisse riconvertita per far fronte ad una nuova drammatica esigenza, il
recupero ed il reinserimento dei tossicodipendenti. Il complesso fu così
destinato ad ospitare un centro di accoglienza e di recupero per giovani in
difficoltà, oltre a numerose attività collaterali, anche di assistenza
sanitaria in “hospice”, oggi coordinate dal consorzio “Cometa” di don Franco
Martini. Voglio
concludere con un
particolare curioso. Quando la Casa venne aperta, nel 1735, la parrocchia di
appartenenza era Sarzanello, la cui chiesa di San Martino era distante poche
decine di metri. Già allora, però, sia la “Pavona” sia la nuova Casa potevano
essere considerate quasi una congiunzione tra due relatà storicamente diverse e
spesso in contrasto tra loro: l’antica Sarzanello e la nuova, ricca Sarzana. Quando
gran parte degli edifici di Sarzanello vennero distrutti dai francesi nel 1748,
compresa la chiesa, la parrocchia fu sposata in località Pianpaganella, alquanto
distante dal versante sarzanese, ma il suo territorio non venne mutato per
oltre due secoli: l’Annuario diocesano del 1939 riporta ancora la Casa della
Missione come appartenente a Sarzanello. La situazione mutò nel 1953, con
l’istituzione della nuova parrocchia di San Francesco d’Assisi. Fu dunque la
modifica dei confini del 1953 ad interrompere il legame storico tra i Preti
della Missione e la comunità di Sarzanello, ormai molto modificata nella sua dimensione
geografica e in quella sociale. Possiamo però anche dire che oggi, almeno
idealmente, l’avvenuta realizzazione del “largo Vincenzo Damarco” nell’angolo
dell’antica strada della “Montata di Sarzanello”, proprio là dove si diparte il
vialetto della Casa, riconnette oggi quel collegamento storico. La storia è
storia e, come diceva uno dei miei maestri, Placido Tomaini, tale rimarrà nei
secoli. Questo vale anche per la Casa della Missione e per il padre Damarco.
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