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La Torre di Guinigi o del Banco di San Giorgio
di Romano Parodi
Prima
di tutto faccio una premessa: io non sono uno storico, sono solo un contastorie. “La “Storia è scientifica interpretazione dei
documenti, mentre le storie sono lavorio della memoria. Come i romanzi sono
costruite con frammenti di una realtà nuova e differente”. M.
Maggiani. Quindi della vita del mio amato paese sono solo un
portatore di memorie.
Mi hanno chiesto di scrivere una breve storia della torre
campanaria; già se n’è parlato molto sul Sentiero (Gentili, Laganà, Marchi)
Nel 1410 la Camera Pubblica di
Lucca, sotto la signoria di Paolo Guinigi, pagava 203 fiorini, 2 lire e 9 soldi
a Jacopo di Ortignano, architetto, a saldo dei lavori da lui condotti, per la
costruzione della torre di Ortonovo.
La torre però terminava all’altezza del camino, come ben si vede da piazza di
Sopra e terminava con delle merlature. Probabilmente aveva anche uno scudo
lucchese sopra la porticina di entrata, s’intravvede ancora la nicchia. Con l’avvento della repubblica
di Genova, il Banco di San Giorgio la innalzò con la cupola odierna e la
girella, ecco perché per un certo periodo fu chiamata la torre di San Giorgio,
come dice Ceccardo. Se osservate bene si distinguono ancora le merlature
lucchesi, perché i genovesi usavano i mattoncini mentre i lucchesi no.
Naturalmente eliminarono lo stemma di Guinigi e vi misero quello della
repubblica genovese. Oggi non c’è più nemmeno quello: credo sia quello finito
sopra il portale del Santuario, edificato mezzo secolo dopo. Sopra la porticina
del campanile non c’è più nulla.
Rifarlo? Quello dei lucchesi o quello dei genovesi? O entrambi? Quando i volpiglionesi si ribellarono al ghibellino Guinigi
per andare sotto i guelfi viscontei, Giovanni Sercampi, condottiero e scrittore
lucchese, racconta che distrusse Volpiglione e danneggiò i paesi limitrofi,
ecco il motivo della ricostruzione della torre di difesa; ma io penso che, come
quella di Volpiglione, esistesse già anche a Corficiano–Ortonovo una torre
d’avvistamento, anche se molto più bassa. Il paese aveva e ha due porte d’ingresso: la più
importante, quella della Piazzetta, è chiaramente una porta lucchese. Sullo
stipite a sn dell’entrata si vede una specie di labirinto (il Tau?) e delle
lance: lo stemma dei Guinigi sono delle lance incrociate; sulla ds oltre alla
volpe, si vedono delle scalpellature: i genovesi cancellarono la parola Lucens
(?). E’ diversa da quella in piazza perché e fatta interamente di macigni. Quella in piazza è chiaramente genovese, perché di marmo, e
soprattutto perché era sovrastata da uno scudo crociato. S’intravedono ancora
delle linee nell’intonaco rimasto. E’ stata spostata lì con l’avvento di via
Chiasso, nata in un secondo tempo. Quella lucchese era dall’altro lato della
torre; nella piazza di Sopra, come si può vedere dal bel disegno di Albè nella
piazza stessa. Disegno tratto da uno studio del grande ortonovese: avv. Antonio
Bianchi. Prima la cinta muraria del paese, lato mare, era costituita
dalle case torri a destra di via Chiasso, partendo dalla piazza.
* Perché si chiamava via Chiasso, oggi via Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi? Molti paesi medievali avevano un luogo con questo
nomignolo. Erano le discariche dei borghi (il Fosso, lì sotto, era come la Lama,
vi ricordate? una discarica).
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Ceccardo Roccatagliata Ceccardi
di A cura di Romano Parodi
Nel centocinquantesimo anniversario della nascita di Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi
Ritrovato sul "Caffaro"
del 24 novembre 1895 – un inedito sonetto di Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi.
Quel
“molti anni fa”, a tergo, rimanda, come dice il prof. Zoboli, al 1890.
Ceccardo aveva 19 anni.
Il
mio borgo, i miei colli, i miei boschi, il mio torrente Parmignola, il filare
di pioppi, la casa: Ortonovo, dove il poeta trascorse l’infanzia, l’adolescenza
e la prima giovinezza: il paesaggio dell’anima di Ceccardo che ritorna sempre
nelle sue poesie e nelle sue prose, specialmente in quelle giovanili.
Ricordo
d’ottobre
A sedici
anni, quando d’òr tepea
il borgo, e
olìa di mosto la borgata,
se ancor a
la città non mi premea
tornar da
quella pace ampia e beata
Mamma per
qualche dì, triste e imbronciata,
mi guardava,
e una sera mi dicea:
“E gli
studi? La scuola è cominciata
e tu ancora
non parti?” Io promettea.
E lusingato
un dì per salutare
i miei
colli, i mie boschi, il mio torrente:
per
discorrere un po’ col mio filare
di pioppi
grigi, tremuli di brina;
e ritornato
a casa lentamente
dicevo: o
Mamma, parto domattina.
Molti anni
fa.
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Cielo grande, cielo blu, quanto spazio c’è lassù!
di marino bertocci
Io
appartengo a quella generazione che all’apertura del Concilio Vaticano II aveva
appena iniziata la scuola elementare. All’asilo le suore ci avevano
pazientemente insegnate tutte le “preghiere del buon cristiano”, ovviamente in
latino. Tanto clamore era intorno al Concilio ma noi eravamo esclusi da questo
grande e storico momento: troppo piccoli, non avremmo capito.
L’unico
momento che ci vide coinvolti fu quando Papa Giovanni, affacciatosi dalla sua
finestra sulla piazza San Pietro, la sera dell’apertura del Concilio , improvvisò
il famosissimo “discorso della luna”, unicamente perché aveva fatto esplicito
riferimento ai bambini…diversamente non saremmo nemmeno stati utili quali
spettatori di quelle cerimonie che una Chiesa ancora “trionfante” faceva
entrare nelle nostre case attraverso la giovanissima televisione.
Percepivamo,
tuttavia, il disorientamento dei nostri “preti” che, abituati a dotte
disquisizioni, farcite di numerose citazioni in latino, improvvisamente si
vedevano obbligati da una nuova visione liturgica a cambiare il registro delle
loro prediche, peraltro , per la difficoltà di comprensione, praticamente mai seguite
da nessuno di noi piccoli.
Ed
è qui , in questo periodo storico, che io ho avuta la grazia di incontrare sul
mio percorso formativo di cristiano una suora, una già anziana suora,
semplicissima, forse anche un po’ ignorante…che, però, aveva capito, nella sua
umiltà, lo spirito del Concilio.
Non un prete, “loro”, se non tutti almeno una
parte.. erano troppo impegnati a leggere , qualcuno pure a studiare…i documenti
conciliari per perdere tempo a spiegarli anche a noi bambini.
Fino
ad allora la Chiesa ci aveva sottolineato i
soli divieti della fede. Improvvisamente il Concilio , anziché dire: “non fare, altrimenti vai all’inferno” ci
apriva una visione nuova in cui ci veniva con gioia insegnato che “operando il
bene si va in Paradiso”.
Questa
suora, mia maestra di catechismo, assieme ai precetti del catechismo di San Pio
X, comunque da impararsi rigorosamente a memoria, non si stancava di dirci molto
semplicemente che la Chiesa adesso ci
indicava con vigore la via del Paradiso
e non più il solo terrore dell’inferno!
Finalmente
potevamo tentare di dirci cristiani,
fedeli all’annuncio di Cristo
semplicemente amando e non più temendo!
Credo
di dovere molto a questa Donna.
Il
dono lasciatomi da Suor Giacomina mi si è ripresentato moltissimi anni dopo,
per merito di un anziano sacerdote, che
più volte ha attirata la mia curiosa attenzione .. Questi, infatti, quando mi capitava di incontrarlo per la strada del
paesino nel quale ero stato inviato per esercitare la mia attività
lavorativa, chissà perché , canticchiava
sempre la stessa canzone di un noto gruppo musicale degli anni ’70.
La
canzone recita: “Non dire niente , fra
un minuto il giorno nascerà e l'uomo che io ero morirà Questa casa non è casa
mia . Col primo vento caldo me ne andrò . Cielo grande, cielo blu Quanto spazio
c'è lassù. Capire cosa siamo in fondo
noi . So che forse tu non capirai (… ) cielo grande, cielo blu Quanto spazio c'è lassù”.
Allora,
sul momento, non capivo…poi ho compreso!
Col
Cristo risorge l’uomo nuovo, l’uomo “vecchio” è destinato a morire e…la nostra
casa sarà il cielo, dove tutti potremo trovare spazio…
In
quella occasione quell’ Anziano Sacerdote riusciva con leggerezza a donare a
chiunque incrociasse sul suo cammino una semplicissima ma meravigliosa lezione
di catechismo e di testimonianza di fede, mentre in me rinverdivano gli insegnamenti ricevuti
da Suor Giacomina quando ero bambino!
Di
questo non ho potuto fare a meno di
ringraziare l’Onnipotente.
Luni,
marzo 2021
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RICORDANDO LA NOSTRA GIO’
di Marta
Giovanna Montefiori è nata a Nicola. I suoi genitori
possedevano un pezzo di terreno nel piano sulla strada Provinciale del Comune
di Ortonovo (vicino alla scuola Media di Isola). In questo terreno vi era un
capanno porta attrezzi; col tempo, un vano alla volta divenne una casa. Poi in
seguito tutta la famiglia vi si trasferì venendo giù da Nicola. Giovanna era
una giovane ragazza che, insieme ad altre giovinette, sulle orme della sorella
maggiore, Diana, già una brava sarta di quegli anni ’50, imparava il mestiere
del cucito nella sartoria della sorella. Giorno dopo giorno, e col passare del
tempo, divenne lei stessa una brava sarta, succedendo a Diana nella sartoria.
Anche Giò si fece un gran nome per il suo stile ed abilità, per i suoi
cappotti, giacconi e tailleur, gonne e camicette, ma soprattutto per gli abiti
da sposa. Giovanna, credo che abbia vestito gran parte delle donne del paese,
ma la caratteristica della Giò è che da lei si faceva salotto. Nei pomeriggi non mancavano le signore che si
soffermavano per alcune ore a parlare di moda, di modelle, di grandi sarti dai
nomi prestigiosi: dalle sorelle Fontana alla fantastica Coco Chanel, dallo
stilista spagnolo Balenciaga a Dior, Missoni, Armani - e come non ricordare il
più amato - Valentino.
Venivano osservate anche le dive dello spettacolo, che indossavano questi
capolavori unici. Non venivano certo trascurate le modelle di fama mondiale
come Naomi Campbell, Claudia Schiffer, Carla Bruni, Capucine, fino ad arrivare
al tempo odierno con l’italiana Vittoria Cerretti, Gigì Hadid e Carla Delevingne;
insomma le più famose del momento. Quando Giò ricordava il passato chiamava per
nome e cognome tutte le persone che in qualche maniera avevano condiviso con
lei momenti di vita; ne raccontava la storia (non i pettegolezzi come qualcuno
può supporre), ma storie di amicizia ed anche di infinita nostalgia e affetto.
E’ sempre bello ricordare il tempo già vissuto, perché rievocarlo ci ritornano
alla mente i colori, gli odori e le emozioni che ci hanno trasmesso sulla
nostra pelle. Giovanna, dopo gli anni ’80, non cuciva più abiti su misura,
eccetto qualche rara richiesta, poiché il pronto moda aveva preso il
sopravvento sulla sartorialità e spesso era più
economico. Però faceva ritocchi, cioè accorciava, allungava e riparazioni
varie. Lavorava sempre, perché molte avevano bisogno di personalizzare un
abito, anche se appena acquistato. La vita di ognuno di noi ha i suoi risvolti,
si prendono strade diverse che il destino ci offre. Ricordo, dopo una lunga
pausa di tempo, forse un decennio, che non la vedevo, ritornai! Nulla era
cambiato, le solite macchine da cucire Singer e Necchi. Il solito tavolo in
massello di castagno quadrato, dove lì venivano fatti i tagli degli abiti. Tagli
di stoffe erano da tutte le parti. Sempre lì anche la finestra dove noi giovani
caterinette vedevamo passare la gente, ma soprattutto quelli che, a qualcuna
delle ragazze più grandi, facevano sospirare il cuore.
Uno degli habitué era Carlo, cugino
di Giò (assomigliava a Gregory Peck) che tutti i pomeriggi scendeva alla
stazione di Luni con il treno da Pisa, dove frequentava l’Università. Dello Studente - così lo chiamavano –
conoscevano l’orario e a quell’ora le mani non riuscivano più a cucire e da
dietro la finestra lo seguivano finché non spariva alla vista. Lui a piedi
raggiungeva Nicola; un bel sacrificio, ma è diventato professore e scrittore.
Io a quell’epoca ero la più piccola del gruppo, avevo poco meno di suo fratello
Vasco. Con la Molinari, la Marcella e altri amici avevamo in comune la voglia
di fare nel tempo libero della avventurose scorribande; per esempio, andavamo a
visitare la galleria dei tedeschi al Colletto sotto Nicola, quella che passa
sotto la strada vicino alla abitazione di don Tito. Si entrava a ovest e si
percorreva tutti in fila indiana il corridoio, quattro stanzoni ed infine - mi
sembra di ricordare – 22 scalini a salire per poi uscire a est. Il tutto al buio, senza torcia, per dimostrare
il nostro coraggio. Bello il tempo trascorso insieme a te per noi, le ultime
affezionate, Marella, Lucilla, Mirella e Simonetta, Maura e quella signora di
cui non ricordo il nome che arrivava in bicicletta e trascorreva con te buona
parte del pomeriggio, finché il covid non lo ha più permesso.
Cara Giò in pochissimo tempo te ne sei andata lasciandoci sbigottiti.
Ti ringrazieremo sempre per la bella accoglienza e il calore che trasmettevi.
Con te è finito il tempo del laboratorio artigianale e della creatività
accessibile a tutti, e, poi, saper fare qualcosa di cucito in famiglia è tanta
roba.
Ciao, Giò. Adesso che sei nell’eternità
del cielo, guardaci e aiutaci.
Buona Pasqua a te lassù, cara Giovanna, e Buona Pasqua a tutti.
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LA PRIMAVERA E LA SANTA PASQUA
di Patrizia Giacchè
La primavera si è già
annunciata. L’immaginario collettivo riconduce alla primavera come stagione
della rinascita della natura. Anche ideale per la ripresa sia fisica che
psicofisica di noi tutti. Esalta il nostro umore, tornando la voglia di fare,
ideare, scoprire. Anche il piacere di divertirsi, di innamorarsi bussa
prepotentemente. Sono già cambiati nell’aria gli odori: dalla legna bruciata,
al profumo dei fiori, che regalano ai nostri occhi un tripudio di vivacità.
Basta affacciarsi sui prati e sui giardini per scoprire delicate margherite e
innumerevoli violette. Dai balconi delle case scendono incantevoli gerani dai
colori screziati. Soffermandoci sui giardini, sono i deliziosi tulipani, i
garofani, le primule e i giacinti che dipingono le giornate con un tocco di
magica spensieratezza. Quasi animati dal passaggio di graziose farfalle, per la
varietà dei disegni e colori. Caratterizzando le ali, la parte più affascinante
del loro corpo. Anche gli alberi da frutto sono sbocciati con romantici fiori,
nei toni del rosa e del bianco. Si confida che non si manifestino grandinate e
temporali impetuosi, che possono arrecare danni alla fioritura. Con
trepidazione attendiamo le rose, le più affascinanti.
Il loro delicato profumo inebria le nostre menti e i loro lucenti colori ne
fanno un quadro d’autore. La rosa è il fiore più amato e più regalato nelle sue
differenti versioni. Si adegua a tutte le situazioni e, più di ogni altro
fiore, fa parte della nostra storia. Con
la primavera avviene il miglioramento delle condizioni atmosferiche e l’aria si
intiepidisce. A questo proposito tornano gli uccelli migratori e
particolarmente le rondini che ne annunciano l’arrivo. E’ rincuorante il
mattino svegliarsi al cinguettio di rondini e di passeri. Un vero canto
musicale che ricorda un’armoniosa e soave melodia. La primavera ha ispirato
poeti, nello stendere meravigliose poesie durante soleggiate giornate.
Particolarmente quando la brezza scompiglia i pensieri e negli occhi guizza
un’emozione. E’ questa la stagione per concedersi weekend nelle campagne in
camper e visite nelle città d’arte, gite fuori porta tra borghi, giardini e
parchi.
Toccasana per grandi e piccini. Oppure
spostarsi in treno per raggiungere città di mare. E’ il modo ideale per dare sfogo
all’energia dei bambini.
Correndo e scatenandosi, risultano più tranquilli poi in casa, scaricando le
tensioni e lo stress. La primavera comunica l’arrivo della Santa Pasqua.
La giornata di festa più importante per la religione cristiana. La resurrezione
di Gesù Cristo rappresenta il simbolo del rinnovamento, della gioia e della
rinascita nel cuore di tutti noi. La santa Pasqua porta allegria ad ogni
bambino. Come renderli felici? Un uovo
di cioccolata ed un altro ancora a forma di coniglietto. Avranno il loro da fare, con sorprese ed
inventive.
Mi auguro che sia anche la rinascita di questo periodo di paura, di malcontento
e di insoddisfazione in tutti noi. Affinché si possa ancora credere di poter
intraprendere un nuovo viaggio nello splendore della luce. A voi tutti Buona Pasqua.
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AZIONISTI PER LA “GEMMA DELLA VITA”:
di Rosa Lorenzini
AZIONISTI
PER LA “GEMMA DELLA VITA”:
PROGETTO
GEMMA:
Adozione prenatale a distanza, che sostieni
una mamma in difficoltà
e che salva
il suo bambino.
Oggi il denaro è gestito con più attenzione e
parsimonia poiché siamo in tempo di crisi. Tutti si prodigano per risparmiare e
prima di fare acquisti o investimenti ragionano utilizzando prudenza e buon
senso. C’è chi usando buon senso,
prudenza e generosità investe una piccola somma mensile per la vita nascente
diventando “azionista per la gemma della vita”. Questi azionisti sono presenti
in tutta Italia, non hanno molti soldi, non ostentano le loro “azioni mensile”,
ma in un silenzio proficuo e fertile investono la loro offerta su un’azione che
non delude e non si svaluta mai: la vita nascente. Per 18 mesi adottano una mamma in attesa di
un bambino e l’accompagnano, senza
pubblicità nell’ anonimato, nel periodo più dolce per una donna in attesa di un
bambino: l’attesa di un bambino. Sono
azionisti della speranza, della gioia, della tenerezza, delle lacrime davanti
al miracolo della vita, hanno “scommesso” sul sorriso di una mamma e sulla luce
che proviene dagli occhi di un bimbo, che malgrado tutto gli fosse contro, ha
vinto nascendo. Questi “azionisti” della vita nascente esistono anche nelle
nostre parrocchie, e senza vantarsi delle loro azioni, hanno vinto per la
seconda volta la battaglia della vita. Nessuna banca accetterebbe questi
“azionisti” perché gli interessi che producono sono bambini sorridenti e felici
di essere vivi e non soldi.
Il nostro
parroco Don Carlo, è convinto sostenitore di questa iniziativa,
che ogni mese scommette con una piccola cifra puntando sulla speranza,
sulla vita, sulla gioia e sulla tenerezza materna e ha confermato la sua
benedizione su questa opera che ”salvando una vita, salva tutta l’umanità”
Tutti possono diventare “azionisti per la gemma della
vita” rivolgendosi a DON CARLO –
VITTORIA – MARTA – FEDERICA - CATERINA
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Da “Diario di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
RICORDATI DI VERGOGNARTI QUALCHE VOLTA
E’ un invito di mons. Della
Casa nel suo “Galateo ovvero dé costumi”.
Se a quel tempo, l’esortazione era attuale, oggi è attualissima. Sono in
circolazione molte facce di bronzo. Le vediamo di continuo e la bocca dice
quello che i loro occhi non dicono. In politica, in economia e su tanti altri
fronti.
Pontificano insegnando sobrietà a chi non arriva in fondo al mese, parlando di
sacrifici mentre spenderanno un milione di euro per le agende 2013 ai
parlamentari, poverini. I partiti sono ricchissimi e diversi loro
amministratori hanno acquistato diamanti e lussuosi appartamenti. Anche i
sindacati non scherzano a proposito di cassa ben fornita. Equitalia, nome
peggiore non si poteva inventare, invia avvisi di pagamento e molti che li
ricevono, si ammazzano. Non c’entra l’Ente, ma c’entra il sistema che è tutto,
fuori che equo.
Deludono anche i cristiani nelle Istituzioni. Dovrebbero differenziarsi, dare segni
credibili che, almeno loro, pensano “all’Attesa della povera gente” di cui scriveva e anche si impegnava il grande
La Pira. Si crede ancora all’indicazione
di Paolo VI: “La politica è la più alta
forma di carità”? Tanti, di varie caste, si meritano la sferzante battuta
di Mark Twain: “L’uomo è l’unico animale
capace di arrossire. Ma è anche l’unico ad averne bisogno.”
Nota della Redazione: “
Dal 2013 la situazione è migliorata o peggiorata?”
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