N° 4 - Aprile 2021
Storie dei lettori
  La Torre di Guinigi o del Banco di San Giorgio
di Romano Parodi


Prima di tutto faccio una premessa: io non sono uno storico, sono solo un contastorie. La “Storia è scientifica interpretazione dei documenti, mentre le storie sono lavorio della memoria. Come i romanzi sono costruite con frammenti di una realtà nuova e differente”. M. Maggiani. Quindi della vita del mio amato paese sono solo un portatore di memorie.

          Mi hanno chiesto di scrivere una breve storia della torre campanaria; già se n’è parlato molto sul Sentiero (Gentili, Laganà, Marchi)

Nel 1410 la Camera Pubblica di Lucca, sotto la signoria di Paolo Guinigi, pagava 203 fiorini, 2 lire e 9 soldi a Jacopo di Ortignano, architetto, a saldo dei lavori da lui condotti, per la costruzione della torre di Ortonovo.
La torre però terminava all’altezza del camino, come ben si vede da piazza di Sopra e terminava con delle merlature. Probabilmente aveva anche uno scudo lucchese sopra la porticina di entrata, s’intravvede ancora la nicchia.

Con l’avvento della repubblica di Genova, il Banco di San Giorgio la innalzò con la cupola odierna e la girella, ecco perché per un certo periodo fu chiamata la torre di San Giorgio, come dice Ceccardo. Se osservate bene si distinguono ancora le merlature lucchesi, perché i genovesi usavano i mattoncini mentre i lucchesi no. Naturalmente eliminarono lo stemma di Guinigi e vi misero quello della repubblica genovese. Oggi non c’è più nemmeno quello: credo sia quello finito sopra il portale del Santuario, edificato mezzo secolo dopo. Sopra la porticina del campanile non c’è più nulla.  Rifarlo? Quello dei lucchesi o quello dei genovesi?  O entrambi?
Quando i volpiglionesi si ribellarono al ghibellino Guinigi per andare sotto i guelfi viscontei, Giovanni Sercampi, condottiero e scrittore lucchese, racconta che distrusse Volpiglione e danneggiò i paesi limitrofi, ecco il motivo della ricostruzione della torre di difesa; ma io penso che, come quella di Volpiglione, esistesse già anche a Corficiano–Ortonovo una torre d’avvistamento, anche se molto più bassa.

Il paese aveva e ha due porte d’ingresso: la più importante, quella della Piazzetta, è chiaramente una porta lucchese. Sullo stipite a sn dell’entrata si vede una specie di labirinto (il Tau?) e delle lance: lo stemma dei Guinigi sono delle lance incrociate; sulla ds oltre alla volpe, si vedono delle scalpellature: i genovesi cancellarono la parola Lucens (?). E’ diversa da quella in piazza perché e fatta interamente di macigni.
Quella in piazza è chiaramente genovese, perché di marmo, e soprattutto perché era sovrastata da uno scudo crociato. S’intravedono ancora delle linee nell’intonaco rimasto. E’ stata spostata lì con l’avvento di via Chiasso, nata in un secondo tempo. Quella lucchese era dall’altro lato della torre; nella piazza di Sopra, come si può vedere dal bel disegno di Albè nella piazza stessa. Disegno tratto da uno studio del grande ortonovese: avv. Antonio Bianchi.

Prima la cinta muraria del paese, lato mare, era costituita dalle case torri a destra di via Chiasso, partendo dalla piazza.

  * Perché si chiamava via Chiasso, oggi via Ceccardo Roccatagliata Ceccardi? Molti paesi medievali avevano un luogo con questo nomignolo. Erano le discariche dei borghi (il Fosso, lì sotto, era come la Lama, vi ricordate? una discarica).

  Ceccardo Roccatagliata Ceccardi
di A cura di Romano Parodi


Nel centocinquantesimo anniversario della nascita di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi


Ritrovato sul "Caffaro" del 24 novembre 1895 – un inedito sonetto di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi.

Quel “molti anni fa”, a tergo, rimanda, come dice il prof. Zoboli, al 1890. Ceccardo aveva 19 anni.

Il mio borgo, i miei colli, i miei boschi, il mio torrente Parmignola, il filare di pioppi, la casa: Ortonovo, dove il poeta trascorse l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza: il paesaggio dell’anima di Ceccardo che ritorna sempre nelle sue poesie e nelle sue prose, specialmente in quelle giovanili.

 

Ricordo d’ottobre

A sedici anni, quando d’òr tepea

il borgo, e olìa di mosto la borgata,

se ancor a la città non mi premea

tornar da quella pace ampia e beata

 

Mamma per qualche dì, triste e imbronciata,

mi guardava, e una sera mi dicea:

“E gli studi? La scuola è cominciata

e tu ancora non parti?” Io promettea.

 

E lusingato un dì per salutare

i miei colli, i mie boschi, il mio torrente:

per discorrere un po’ col mio filare

 

di pioppi grigi, tremuli di brina;

e ritornato a casa lentamente

dicevo: o Mamma, parto domattina.

Molti anni fa.


  Cielo grande, cielo blu, quanto spazio c’è lassù!
di marino bertocci


 

Io appartengo a quella generazione che all’apertura del Concilio Vaticano II aveva appena iniziata la scuola elementare. All’asilo le suore ci avevano pazientemente insegnate tutte le “preghiere del buon cristiano”, ovviamente in latino. Tanto clamore era intorno al Concilio ma noi eravamo esclusi da questo grande e storico momento: troppo piccoli, non avremmo capito.

L’unico momento che ci vide coinvolti fu quando Papa Giovanni, affacciatosi dalla sua finestra sulla piazza San Pietro, la sera dell’apertura del Concilio , improvvisò il famosissimo “discorso della luna”, unicamente perché aveva fatto esplicito riferimento ai bambini…diversamente non saremmo nemmeno stati utili quali spettatori di quelle cerimonie che una Chiesa ancora “trionfante” faceva entrare nelle nostre case attraverso la giovanissima televisione.

Percepivamo, tuttavia, il disorientamento dei nostri “preti” che, abituati a dotte disquisizioni, farcite di numerose citazioni in latino, improvvisamente si vedevano obbligati da una nuova visione liturgica a cambiare il registro delle loro prediche, peraltro , per la difficoltà di comprensione, praticamente mai seguite da nessuno di noi piccoli.

Ed è qui , in questo periodo storico, che io ho avuta la grazia di incontrare sul mio percorso formativo di cristiano una suora, una già anziana suora, semplicissima, forse anche un po’ ignorante…che, però, aveva capito, nella sua umiltà, lo spirito del Concilio.

 Non un prete, “loro”, se non tutti almeno una parte.. erano troppo impegnati a leggere , qualcuno pure a studiare…i documenti conciliari per perdere tempo a spiegarli anche a noi bambini.

Fino ad allora la Chiesa ci aveva sottolineato i  soli divieti della fede. Improvvisamente il Concilio , anziché dire:  “non fare, altrimenti vai all’inferno” ci apriva una visione nuova in cui ci veniva con gioia insegnato che “operando il bene si va in Paradiso”.

Questa suora, mia maestra di catechismo, assieme ai precetti del catechismo di San Pio X, comunque da impararsi rigorosamente a memoria, non si stancava di dirci molto semplicemente che la Chiesa  adesso ci indicava con vigore  la via del Paradiso e non più il solo terrore dell’inferno!

Finalmente potevamo tentare di dirci  cristiani, fedeli all’annuncio di Cristo  semplicemente amando e non più temendo!

Credo di dovere molto a questa Donna.

Il dono lasciatomi da Suor Giacomina mi si è ripresentato moltissimi anni dopo, per merito di un anziano sacerdote,  che più volte ha attirata la mia curiosa attenzione .. Questi, infatti, quando  mi capitava di incontrarlo per la strada del paesino nel quale ero stato inviato per esercitare la mia attività lavorativa,  chissà perché , canticchiava sempre la stessa canzone di un noto gruppo musicale degli anni ’70.

La canzone recita:  “Non dire niente , fra un minuto il giorno nascerà e l'uomo che io ero morirà Questa casa non è casa mia . Col primo vento caldo me ne andrò . Cielo grande, cielo blu Quanto spazio c'è lassù.  Capire cosa siamo in fondo noi . So che forse tu non capirai (… ) cielo grande, cielo blu  Quanto spazio c'è lassù”.

Allora, sul momento, non capivo…poi ho compreso!

Col Cristo risorge l’uomo nuovo, l’uomo “vecchio” è destinato a morire e…la nostra casa sarà il cielo, dove tutti potremo trovare spazio…

In quella occasione quell’ Anziano Sacerdote riusciva con leggerezza a donare a chiunque incrociasse sul suo cammino una semplicissima ma meravigliosa lezione di catechismo e di testimonianza di fede,  mentre in me rinverdivano gli insegnamenti ricevuti da Suor Giacomina quando ero bambino!

Di questo  non ho potuto fare a meno di ringraziare l’Onnipotente.

Luni, marzo 2021


  RICORDANDO LA NOSTRA GIO’
di Marta



Giovanna Montefiori è nata a Nicola. I suoi genitori possedevano un pezzo di terreno nel piano sulla strada Provinciale del Comune di Ortonovo (vicino alla scuola Media di Isola). In questo terreno vi era un capanno porta attrezzi; col tempo, un vano alla volta divenne una casa. Poi in seguito tutta la famiglia vi si trasferì venendo giù da Nicola. Giovanna era una giovane ragazza che, insieme ad altre giovinette, sulle orme della sorella maggiore, Diana, già una brava sarta di quegli anni ’50, imparava il mestiere del cucito nella sartoria della sorella. Giorno dopo giorno, e col passare del tempo, divenne lei stessa una brava sarta, succedendo a Diana nella sartoria.
Anche Giò si fece un gran nome per il suo stile ed abilità, per i suoi cappotti, giacconi e tailleur, gonne e camicette, ma soprattutto per gli abiti da sposa. Giovanna, credo che abbia vestito gran parte delle donne del paese, ma la caratteristica della Giò è che da lei si faceva salotto.  Nei pomeriggi non mancavano le signore che si soffermavano per alcune ore a parlare di moda, di modelle, di grandi sarti dai nomi prestigiosi: dalle sorelle Fontana alla fantastica Coco Chanel, dallo stilista spagnolo Balenciaga a Dior, Missoni, Armani - e come non ricordare il più amato - Valentino.
Venivano osservate anche le dive dello spettacolo, che indossavano questi capolavori unici. Non venivano certo trascurate le modelle di fama mondiale come Naomi Campbell, Claudia Schiffer, Carla Bruni, Capucine, fino ad arrivare al tempo odierno con l’italiana Vittoria Cerretti, Gigì Hadid e Carla Delevingne; insomma le più famose del momento. Quando Giò ricordava il passato chiamava per nome e cognome tutte le persone che in qualche maniera avevano condiviso con lei momenti di vita; ne raccontava la storia (non i pettegolezzi come qualcuno può supporre), ma storie di amicizia ed anche di infinita nostalgia e affetto. E’ sempre bello ricordare il tempo già vissuto, perché rievocarlo ci ritornano alla mente i colori, gli odori e le emozioni che ci hanno trasmesso sulla nostra pelle. Giovanna, dopo gli anni ’80, non cuciva più abiti su misura, eccetto qualche rara richiesta, poiché il pronto moda aveva preso il sopravvento sulla sartorialità e spesso era più
economico. Però faceva ritocchi, cioè accorciava, allungava e riparazioni varie. Lavorava sempre, perché molte avevano bisogno di personalizzare un abito, anche se appena acquistato. La vita di ognuno di noi ha i suoi risvolti, si prendono strade diverse che il destino ci offre. Ricordo, dopo una lunga pausa di tempo, forse un decennio, che non la vedevo, ritornai! Nulla era cambiato, le solite macchine da cucire Singer e Necchi. Il solito tavolo in massello di castagno quadrato, dove lì venivano fatti i tagli degli abiti. Tagli di stoffe erano da tutte le parti. Sempre lì anche la finestra dove noi giovani caterinette vedevamo passare la gente, ma soprattutto quelli che, a qualcuna delle ragazze più grandi, facevano sospirare il cuore.
Uno degli habitué era Carlo, cugino di Giò (assomigliava a Gregory Peck) che tutti i pomeriggi scendeva alla stazione di Luni con il treno da Pisa, dove frequentava l’Università. Dello Studente - così lo chiamavano – conoscevano l’orario e a quell’ora le mani non riuscivano più a cucire e da dietro la finestra lo seguivano finché non spariva alla vista. Lui a piedi raggiungeva Nicola; un bel sacrificio, ma è diventato professore e scrittore. Io a quell’epoca ero la più piccola del gruppo, avevo poco meno di suo fratello Vasco. Con la Molinari, la Marcella e altri amici avevamo in comune la voglia di fare nel tempo libero della avventurose scorribande; per esempio, andavamo a visitare la galleria dei tedeschi al Colletto sotto Nicola, quella che passa sotto la strada vicino alla abitazione di don Tito. Si entrava a ovest e si percorreva tutti in fila indiana il corridoio, quattro stanzoni ed infine - mi sembra di ricordare – 22 scalini a salire per poi uscire a est.  Il tutto al buio, senza torcia, per dimostrare il nostro coraggio. Bello il tempo trascorso insieme a te per noi, le ultime affezionate, Marella, Lucilla, Mirella e Simonetta, Maura e quella signora di cui non ricordo il nome che arrivava in bicicletta e trascorreva con te buona parte del pomeriggio, finché il covid non lo ha più permesso.
Cara Giò in pochissimo tempo te ne sei andata lasciandoci sbigottiti. 
Ti ringrazieremo sempre per la bella accoglienza e il calore che trasmettevi. Con te è finito il tempo del laboratorio artigianale e della creatività accessibile a tutti, e, poi, saper fare qualcosa di cucito in famiglia è tanta roba.
Ciao, Giò.  Adesso che sei nell’eternità del cielo, guardaci e aiutaci.
Buona Pasqua a te lassù, cara Giovanna, e Buona Pasqua a tutti.


  LA PRIMAVERA E LA SANTA PASQUA
di Patrizia Giacchè



La primavera si è già annunciata. L’immaginario collettivo riconduce alla primavera come stagione della rinascita della natura. Anche ideale per la ripresa sia fisica che psicofisica di noi tutti. Esalta il nostro umore, tornando la voglia di fare, ideare, scoprire. Anche il piacere di divertirsi, di innamorarsi bussa prepotentemente. Sono già cambiati nell’aria gli odori: dalla legna bruciata, al profumo dei fiori, che regalano ai nostri occhi un tripudio di vivacità. Basta affacciarsi sui prati e sui giardini per scoprire delicate margherite e innumerevoli violette. Dai balconi delle case scendono incantevoli gerani dai colori screziati. Soffermandoci sui giardini, sono i deliziosi tulipani, i garofani, le primule e i giacinti che dipingono le giornate con un tocco di magica spensieratezza. Quasi animati dal passaggio di graziose farfalle, per la varietà dei disegni e colori. Caratterizzando le ali, la parte più affascinante del loro corpo. Anche gli alberi da frutto sono sbocciati con romantici fiori, nei toni del rosa e del bianco. Si confida che non si manifestino grandinate e temporali impetuosi, che possono arrecare danni alla fioritura. Con trepidazione attendiamo le rose, le più affascinanti.
Il loro delicato profumo inebria le nostre menti e i loro lucenti colori ne fanno un quadro d’autore. La rosa è il fiore più amato e più regalato nelle sue differenti versioni. Si adegua a tutte le situazioni e, più di ogni altro fiore, fa parte della nostra storia.  Con la primavera avviene il miglioramento delle condizioni atmosferiche e l’aria si intiepidisce. A questo proposito tornano gli uccelli migratori e particolarmente le rondini che ne annunciano l’arrivo. E’ rincuorante il mattino svegliarsi al cinguettio di rondini e di passeri. Un vero canto musicale che ricorda un’armoniosa e soave melodia. La primavera ha ispirato poeti, nello stendere meravigliose poesie durante soleggiate giornate. Particolarmente quando la brezza scompiglia i pensieri e negli occhi guizza un’emozione. E’ questa la stagione per concedersi weekend nelle campagne in camper e visite nelle città d’arte, gite fuori porta tra borghi, giardini e parchi.
Toccasana per grandi e piccini.  Oppure spostarsi in treno per raggiungere città di mare. E’ il modo ideale per dare sfogo all’energia dei bambini.
Correndo e scatenandosi, risultano più tranquilli poi in casa, scaricando le tensioni e lo stress. La primavera comunica l’arrivo della Santa Pasqua.
La giornata di festa più importante per la religione cristiana. La resurrezione di Gesù Cristo rappresenta il simbolo del rinnovamento, della gioia e della rinascita nel cuore di tutti noi. La santa Pasqua porta allegria ad ogni bambino.  Come renderli felici? Un uovo di cioccolata ed un altro ancora a forma di coniglietto.  Avranno il loro da fare, con sorprese ed inventive. 
Mi auguro che sia anche la rinascita di questo periodo di paura, di malcontento e di insoddisfazione in tutti noi. Affinché si possa ancora credere di poter intraprendere un nuovo viaggio nello splendore della luce.                 
A voi tutti Buona Pasqua.


  AZIONISTI PER LA “GEMMA DELLA VITA”:
di Rosa Lorenzini


AZIONISTI PER LA “GEMMA DELLA VITA”:

PROGETTO GEMMA:

 Adozione prenatale a distanza, che sostieni una mamma in difficoltà

e che salva il suo bambino.

Oggi il denaro è gestito con più attenzione e parsimonia poiché siamo in tempo di crisi. Tutti si prodigano per risparmiare e prima di fare acquisti o investimenti ragionano utilizzando prudenza e buon senso.  C’è chi usando buon senso, prudenza e generosità investe una piccola somma mensile per la vita nascente diventando “azionista per la gemma della vita”. Questi azionisti sono presenti in tutta Italia, non hanno molti soldi, non ostentano le loro “azioni mensile”, ma in un silenzio proficuo e fertile investono la loro offerta su un’azione che non delude e non si svaluta mai: la vita nascente.  Per 18 mesi adottano una mamma in attesa di un bambino   e l’accompagnano, senza pubblicità nell’ anonimato, nel periodo più dolce per una donna in attesa di un bambino: l’attesa di un bambino.  Sono azionisti della speranza, della gioia, della tenerezza, delle lacrime davanti al miracolo della vita, hanno “scommesso” sul sorriso di una mamma e sulla luce che proviene dagli occhi di un bimbo, che malgrado tutto gli fosse contro, ha vinto nascendo. Questi “azionisti” della vita nascente esistono anche nelle nostre parrocchie, e senza vantarsi delle loro azioni, hanno vinto per la seconda volta la battaglia della vita. Nessuna banca accetterebbe questi “azionisti” perché gli interessi che producono sono bambini sorridenti e felici di essere vivi e non soldi.
Il nostro parroco Don Carlo, è convinto sostenitore di questa  iniziativa,  che ogni mese scommette con una piccola cifra puntando sulla speranza, sulla vita, sulla gioia e sulla tenerezza materna e ha confermato la sua benedizione su questa opera che ”salvando una vita,  salva tutta l’umanità”

Tutti possono diventare “azionisti per la gemma della vita” rivolgendosi a  
DON CARLO – VITTORIA – MARTA – FEDERICA - CATERINA

  Da “Diario di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi



RICORDATI DI VERGOGNARTI QUALCHE VOLTA

E’ un invito di mons. Della Casa nel suo “Galateo ovvero dé costumi”. Se a quel tempo, l’esortazione era attuale, oggi è attualissima. Sono in circolazione molte facce di bronzo. Le vediamo di continuo e la bocca dice quello che i loro occhi non dicono. In politica, in economia e su tanti altri fronti.  
Pontificano insegnando sobrietà a chi non arriva in fondo al mese, parlando di sacrifici mentre spenderanno un milione di euro per le agende 2013 ai parlamentari, poverini. I partiti sono ricchissimi e diversi loro amministratori hanno acquistato diamanti e lussuosi appartamenti. Anche i sindacati non scherzano a proposito di cassa ben fornita. Equitalia, nome peggiore non si poteva inventare, invia avvisi di pagamento e molti che li ricevono, si ammazzano. Non c’entra l’Ente, ma c’entra il sistema che è tutto, fuori che equo.
Deludono anche i cristiani nelle Istituzioni. Dovrebbero differenziarsi, dare segni credibili che, almeno loro, pensano “all’Attesa della povera gente” di cui scriveva e anche si impegnava il grande La Pira.  Si crede ancora all’indicazione di Paolo VI: “La politica è la più alta forma di carità”? Tanti, di varie caste, si meritano la sferzante battuta di Mark Twain: “L’uomo è l’unico animale capace di arrossire. Ma è anche l’unico ad averne bisogno.”

 

Nota della Redazione: “ Dal 2013 la situazione è migliorata o peggiorata?”


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