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IL “BUON SEME”
di PADRE DAMARCO
Proseguiamo
la pubblicazione delle relazioni che hanno caratterizzato il 30 ottobre scorso
il convegno tenutosi alla Casa della Missione di Sarzana nell’ambito delle
iniziative per i 45 anni dalla morte di padre Vincenzo Damarco, dei Preti della
Missione. Il testo di questo mese è della relazione tenuta da don Giovanni
Cereti. Genovese e illustre teologo, don Cereti vive da molto tempo a Roma,
dove ha fondato il gruppo di spiritualità “Fraternità degli Anawin”. Grazie anche
al tramite prezioso e all’amicizia con l’ortonovese Giuseppe Pedroni, collabora
ormai da anni con il gruppo degli “Amici di padre Damarco”. Sul tema della
relazione che pubblichiamo oggi sul “Sentiero”, ha svolto numerosi studi e
conferenze nel solco di una riflessione critica sul sempre difficile stato di
attuazione del Concilio Vaticano II e quindi di un contributo vivo di fermento
alla comunità ecclesiale.
(e.b.)
DIGNITA'
DELLA PERSONA E APERTURA AGLI ALTRI
DAL
CONCILIO VATICANO II A PAPA FRANCESCO
di
Giovanni Cereti
"Dignità
della persona e apertura agli altri": un’affermazione che costituisce il
cuore dell'Evangelo e quindi che dovrebbe esserlo anche del messaggio della
chiesa intesa come popolo di Dio. Queste due tematiche sono inoltre
riconosciute come il frutto dell'evoluzione propria della nostra tradizione,
almeno per l'Europa occidentale, e nonostante gli orrori della prima metà del
ventesimo secolo. Le tre parole che ci parlano di eguaglianza, libertà e
fraternità esprimono concetti pienamente cristiani, anche se talvolta sono
state usate proprio in funzione anticlericale. Nella stessa linea occorre
ricordare che i diritti umani fondamentali sono stati affermati innanzitutto
nella scuola domenicana spagnola del sedicesimo secolo (Bartolomeo de Las Casas,
Francisco de Victoria) per essere poi sviluppati da Ugo Grozio e
nell’illuminismo rivendicati contro posizioni ecclesiastiche meno aperte.
Purtroppo il riconoscimento della dignità della persona umana e della
necessaria apertura agli altri furono nel sedicesimo secolo compromessi e
quindi considerati quasi estranei nella Chiesa cattolica per il fatto che le Chiese evangeliche sottolinearono alcuni di quei valori civili e comunitari per
cui nel clima dell’epoca per i cattolici essi rimasero piuttosto nell’ombra. Per
quanto in ritardo di 200 anni, come diceva il cardinal Martini, di fatto anche
nella chiesa cattolica agli inizi del ‘900 si svilupparono dei movimenti di
risveglio che trovavano alimento proprio nella riflessione sulle Scritture. I
movimenti biblico, patristico, liturgico e molti altri prepararono la Chiesa
cattolica ai rinnovamenti che finalmente vennero almeno in parte affermati
anche se non compiutamente realizzati con il Concilio Vaticano II. Il Vaticano
II affrontò infatti con molto coraggio tutti i temi presenti e discussi nelle
comunità cristiane, cercando di darvi una risposta in chiave riformatrice. Sono
soprattutto tre le affermazioni fondamentali per il tema della riforma. Vi è
innanzitutto un riferimento alla capacità di discernere i segni dei tempi, per
cui certi valori emersi nella società venivano fatti propri dall'assemblea
conciliare (GS 4 e Il). Infatti, viviamo in un mondo in profonda evoluzione (GS
4), per cui "il genere umano passa da una concezione piuttosto statica
dell'ordine, a una concezione più dinamica ed evolutiva" (GS 5). Di
conseguenza, “le istituzioni, le leggi, i modi di pensare e di sentire,
ereditati dal passato, sembra che non si adattino bene alla situazione
attuale" (GS 7). Un'affermazione straordinariamente importante, che può
supportare qualsiasi riforma che appaia oggi necessaria, dalla soppressione del
celibato richiesto per legge a quanti si presentano per l'ordinazione al
ministero presbiterale, all'ordinazione delle donne allo stesso ministero. In
secondo luogo, nel decreto sull' ecumenismo "Unitatis Redintegratio", la riforma
della Chiesa (e delle Chiese) è considerata necessaria per potere realizzare la
riconciliazione dei cristiani. "La Chiesa pellegrinante sulla terra è
chiamata da Cristo a questa perenne riforma della quale essa, in quanto
istituzione umana e terrena, ha continuo bisogno" (UR 6), e questo tanto
nei costumi, quanto nella disciplina ecclesiastica, quanto infine nel modo di
esporre la dottrina. Per quello che riguarda infine la dignità della persona e
l'apertura agli altri, basti pensare ai due primi capitoli della prima parte
della "Gaudium et Spes", consacrati proprio a riaffermare la grandezza e dignità
della persona umana e il suo carattere sociale, aperto agli altri. Nel primo
capitolo il Concilio affronta il discorso sulla persona umana, sul suo valore
per credenti e non credenti, sulla sua dignità in quanto creata a immagine di
Dio, come uomo e donna, dotato di libertà, composto di corpo e spirito, capace
di conoscenza e di sapienza, dotato di una coscienza morale. "Nell'intimo
della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale
invece deve obbedire ... L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio nel suo
cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo, e seconda questa egli
sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo,
dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità
propria" (GS 16). Un'affermazione che dev'essere ricordata a quanti
affermano che non esiste una coscienza personale, ma vi è solo la coscienza
della chiesa, alla quale occorrerebbe obbedire. Il secondo capitolo della prima
parte della GS è dedicato poi alla comunità degli uomini, e lì troviamo i
principi di quell' amore universale verso gli altri e di quel superamento di
un'etica individualistica, che ha trovato i più recenti sviluppi nell'enciclica "Fratelli tutti" di papa Francesco. Ambienti che sembravano meno segnati
dall'incontro con la modernità, come per esempio gli ambienti missionari, hanno
potuto conoscere una crisi, proprio alla vigilia del Vaticano II, a causa degli
eventi legati alla decolonizzazione e al nuovo rispetto che si portava alle
culture locali, crisi superata proprio con la 'missio Dei': non siamo noi che
andiamo in missione, è Iddio stesso, Padre Figlio e Spirito, che ci manda (AG
1-4). Il Concilio ha soprattutto parlato dell'unica Chiesa di Cristo, alla
quale tutti apparteniamo per il battesimo e la fede (UR 3). Di conseguenza,
tutte le ricchezze delle altre chiese, ricchezze legate al patrimonio umano,
cioè al numero delle persone credenti che vivono in queste comunità, e ai
patrimoni liturgici e spirituali di queste chiese, in quanto tutte appartenenti
all'unica Chiesa di Cristo, le possiamo considerare ricchezze di quest'unica Chiesa per la quale dobbiamo rendere grazie al Signore, superando tutte le
dispute del passato. Mentre esponenti di altre Chiese cristiane si
riavvicinavano alla Chiesa cattolica, lieti dei rinnovamenti realizzati, la
novità di tante affermazioni conciliari mise in allarme le forze più
conservatrici esistenti all'interno della Chiesa cattolica, che si coalizzarono
nel cercare di vanificare le decisioni del Concilio. L'opposizione nei
confronti di Giovanni XXIII e di Paolo VI non fu minore di quella che oggi conosce
papa Francesco. Purtroppo, essa incise proprio sugli ultimi anni di papa Paolo
VI e sulle sue ultime decisioni; prese per scongiurare uno scisma che gli
veniva minacciato da cardinali e da vescovi. Nell'ultima enciclica di papa
Francesco "Fratelli Tutti" si mettono in primo piano "gli scartati". In
un gruppo di lettori dell'enciclica che io seguo, una persona si lamentò di
questa espressione. Non vi furono scartati nelle Chiese? Furono innumerevoli,
per motivi politici e ideologici. Gli scartati di cui parla papa Francesco
furono per esempio nella stessa Chiesa i preti che avrebbero potuto diventare
vescovi in Italia e nel mondo e che furono scartati per la scelta costante per
l'episcopato di preti conservatori, donde il livello mediocre dello stesso episcopato
in tanti paesi. Ma soprattutto furono i molti preti, ricordati in un intervento
di Pietro Lazagna, che ebbero a soffrire in molti modi ("pubbliche
censure, trasferimenti, riduzioni allo stato laicale"), e con loro le
comunità cristiane, che si videro private da un'autorità ecclesiastica poco
illuminata di preti che volevano vivere nella fedeltà al concilio e che
guidavano con grande generosità le loro comunità. Questo sia detto pur
rispettando la buona fede e la rettitudine di intenti di quanti presero queste
decisioni, che erano condizionati dalla formazione ricevuta e dalla presenza di
tanti esponenti del popolo cattolico ma soprattutto dell'episcopato italiano
che pensavano e agivano nello stesso modo. L'esegesi biblica ha posto in
risalto nella lettura del Primo Testamento il conflitto fra il sacerdozio e il
profetismo. Il sacerdozio trasmetteva gli insegnamenti alle nuove generazioni,
cercando di conservarli in tutte le loro esigenze. I profeti intravedevano le
nuove necessità, ma non avevano altro potere che quello della parola. Un
conflitto che forse ha accompagnato nei secoli la storia della chiesa, e del
quale ha sofferto anche il nostro carissimo padre Vincenzo Damarco, che aveva
compreso le necessità del popolo di Dio e che voleva essere fedele alle
aperture conciliari, ma che ebbe a soffrire incomprensioni ed emarginazioni
proprio per questo motivo. Mi limito a rilevare quanto scrissi nella prefazione
alla nuova edizione dei “Commenti ai vangeli" di padre Damarco, e cioè che
è possibile che proprio le persone che meglio avevano compreso il Concilio
siano state squalificate come contestatori e quindi non ascoltate ed
emarginate. Nelle comunità religiose, le persone più aperte alle acquisizioni
conciliari si trovarono spesso in minoranza e molte di esse dovettero lasciare
le loro comunità e quindi la vita religiosa per la resistenza che si era
manifestata nell'accettare i rinnovamenti conciliari. Furono molte le vittime
di questa situazione, ma soprattutto furono molti anche i responsabili nella Chiesa
e nelle comunità religiose che si irrigidirono e che giunsero a esercitare
l'autorità in forme di "potere" e di decisioni prese senza rispetto
per la persona dell'altro, forme che avrebbero dovuto essere estranee al popolo
di Dio. Fra le vittime di questo orientamento conservatore e di questa
resistenza anche inconscia ad accettare gli orientamenti del Concilio, che
portò a confondere il politico con lo spirituale ma che non tenne alcun conto
di quanto aveva detto il Concilio intorno ai segni dei tempi e soprattutto
intorno alla coscienza personale alla quale siamo tenuti a obbedire, ci fu come
si è detto padre Vincenzo Damarco. Altri hanno dato conto di questa
straordinaria incisività di padre Damarco, testimoniata dal fatto che dopo 45
anni dalla sua morte la sua persona e il suo insegnamento restano vivi in una
comunità cristiana. Personalmente ho riletto il discorso di don Sandro
Lagomarsini al suo funerale e mi sono commosso al pensiero di un uomo tanto
buono e ragionevole e che tanto ha sofferto da parte di chi deteneva il potere,
sia come vescovo sia nel suo ordine religioso. Lasciando agli storici il
compito di ricostruire meglio la storia dei due pontificati di Giovanni Paolo
II e di Benedetto XVI, papi che comunque sono stati eletti dopo la morte di
padre Damarco, possiamo aggiungere che essi operarono certamente in fedeltà
alla loro vocazione e in conformità alla loro coscienza, ma che l'orientamento
a scelte e decisioni di carattere conservatore continuò anche se spesso con
incoerenze e portò a una mancanza di attenzione alle decisioni del Concilio che
contribuì forse alla morte di tante esperienze vitali di comunità locali e
all'allontanamento dalla Chiesa di tanti fratelli e sorelle di buona volontà.
Così come merita di essere rilevata una incapacità di misericordia nei
confronti di quanti erano stati costretti a lasciare il sacerdozio e la vita
religiosa, talvolta ridotti in miseria nella nuova situazione che dovevano
affrontare senza adeguate ricompense della comunità per quanti avevano per anni
posto la loro vita al servizio della Chiesa. In conclusione, la dignità della
persona e l'apertura agli altri furono in molti casi ignorate o represse, come
accadde proprio con padre Damarco e con la sua capacità di animare la comunità
cristiana a lui affidata. Oggi tuttavia, con papa Francesco, si sono riaccese
molte speranze per un rinnovamento della chiesa in piena fedeltà al Concilio e
ancor più all'Evangelo. Le encicliche "Laudato sì" e "Fratelli tutti" sono
impregnate di questa volontà di rinnovamento, e delineano un'umanità capace di
superare le barriere che dividono le chiese e le stesse religioni, capace di
accogliere i credenti come i non credenti, nella ricerca di una convergenza di
tutta l'umanità nel perseguire un-avvenire di pace e di giustizia e nell'
impegno a salvaguardare la vita sulla nostra terra. Mi viene in mente uno
scritto di Teilhard de Chardin, redatto al momento della prima guerra mondiale
a Verdun, dove egli prestava servizio militare. Di fronte alla visione di due
eserciti impegnati allo spasimo per avere il sopravvento l'uno sull' altro, con
un'infinità di giovani che immolavano la vita per la loro rispettiva patria,
scriveva di sognare il tempo in cui l'umanità avrebbe fatto fronte comune per
combattere malattie, povertà, e violenze di ogni genere. Viviamo in tempo di
pandemia, la violenza è ancora presente, ma forse quel tempo è venuto, e papa
Francesco ci insegna a varcare i confini per riconoscere il valore infinito di
ogni persona umana e la necessità di unirci a tutte le altre persone che
popolano la terra per fare fronte comune in modo da poter dare vita tutti
insieme a una nuova umanità.
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Gesù è vicino
di Enzo Mazzini
La Chiesa ci invita alla
gioia, una grande gioia, perché è ormai vicina la nascita del Signore che viene
a noi per restare sempre accanto a noi e soprattutto vicino ai poveri ed
ai diseredati.
Tutto questo emerge con prorompente chiarezza nel Vangelo della terza domenica
di Avvento che per la seconda domenica di seguito contempla la figura di un
grande Santo: San Giovanni Battista.
Io in questo periodo di pandemia per il covid, essendo relegato in casa anche
per la mia età ormai avanzata e quindi come soggetto particolarmente
esposto, ne approfitto per assistere a molte Sante Messe trasmesse da TV 2000,
da Padre Pio TV e da Tele Liguria Sud. Ebbene, in questa terza domenica di
Avvento, assistendo alla S. Messa trasmessa su Padre Pio TV, ho ascoltato
un'omelia davvero profonda, rivolta ai fedeli da parte di S.E.Mons.Franco
Moscone, Vescovo di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo, omelia che mi
ha particolarmente colpito e che ritengo utile estendere ai lettori del
Sentiero: "Cari fratelli e sorelle, mi sembra che la frase iniziale della
seconda lettura di questa domenica abbia qualche cosa di straordinario e
sconvolgente e lasciamo che parli al nostro cuore.
San Paolo ci indica qual è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di noi.
Qual'è questa volontà di Dio in Cristo Gesù? Lo sappiamo: è la nostra salvezza,
è la pienezza della vita, è la vittoria del bene e renderci in Cristo suoi
figli, adottivi ed eredi. Lo abbiamo ascoltato domenica scorsa e nella festa
dell'Immacolata, ma la frase che anticipa questa volontà di Dio in Gesù, che è
volontà di salvezza per tutti e sempre, fa aggiungere tre osservazioni, quasi tre
comandi fondamentalmente e detti con intensità: il primo comando è: "Siate
sempre lieti" il secondo è: "Pregate ininterrottamente" e il
terzo: "In ogni cosa rendete grazie ". Mi domando sovente: "Ma è
possibile comandare questo? Una gioia che perdura sempre? Una preghiera
ininterrotta? La capacità di vedere su ogni cosa l'occasione per dire "Grazie"?
Credo che dal punto di vista umano e dal punto di vista esperienziale di
ciascuno di noi non sia così. Senza dubbio, come desiderio, vogliamo essere
sempre lieti e siamo anche disponibili, come desiderio e da persone di fede, ad
avere la mente in Dio e quindi una preghiera ininterrotta e vorremmo una
relazione corretta con la nostra storia, con gli avvenimenti e con le
persone, in modo da trovare motivi di ringraziamento e di gratitudine, ma
l'esperienza, i limiti della nostra vita, le incomprensioni e gli avvenimenti
della storia ci impediscono di vivere queste realtà in una forma così continua
come vorrebbe Paolo e come sarebbe la volontà di Dio in Cristo Gesù per tutti
noi. Ma se è impossibile letteralmente, lo può diventare realmente nella vita,
ad una condizione, ed è San Paolo stesso che lo ribadisce immediatamente dopo,
e la condizione è di non spegnere la voce dello Spirito che è dentro di noi,
che ci è stata comunicata attraverso il Battesimo: non spegnere questa sorgente
che Dio ci ha inserito nel nostro cuore che è poi il dono della fede, non
disprezzare quella voce, che è interiore, della coscienza, che è la voce di Dio
e metterci, dice ancora Paolo, a vagliare ogni cosa, a renderci conto di quello
che capita, cercando di setacciare e di conservare ciò che è bene, trascurando
e mettendo da parte ciò che è male. I momenti di vera gioia, di preghiera
autentica e soprattutto di gratitudine, anche se a volte potrebbero sembrarci
pochi, se li vogliamo, se li conserviamo, se li vediamo momento per momento
nella nostra vita, allora renderanno tutta la nostra vita una vita di vera
gioia, di preghiera ininterrotta e di gratitudine e copriranno tutti gli
avvenimenti che vanno in altra direzione. Saremo stati capaci di vagliare e
tenere veramente il bene e fare sì che questo bene abbia la meglio su tutto e
recuperi le condizioni negative. Diventeremo, in questo modo, capaci e
portatori di giustizia, di verità e di pace: è quanto diceva anche il
profeta Isaia.
Il testo del profeta Isaia è importantissimo anche perché Gesù nella Sua prima
predicazione, quando si presenta ai suoi concittadini a Nazareth, nella
Sinagoga e per la prima volta prende ufficialmente la parola, commenta questo
testo e lo applica a Se stesso: "Lo Spirito del Signore, lo Spirito di
Dio, è su di me, mi ha consacrato con la sua unzione e mi ha mandato a portare
questo lieto annuncio, questa gioia che deve rimanere sempre e mi ha mandato a
portarla incominciando da chi apparentemente è più lontano dalla situazione di
gioia e di sicurezza. Mi ha mandato a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a
proclamare la libertà e, con la scarcerazione, a promulgare l'anno di grazia
del Signore ". Quanto sono belle queste parole di Gesù e vere e quanto
sono necessarie sempre e quanto le sentiamo necessarie in questo particolare
momento della nostra storia e della storia di tutta l'umanità! Abbiamo bisogno
di questo Spirito, di questa vita cristiana, che faccia di ognuno di noi, in
questa situazione di pandemia, comunque, dei portatori di un annuncio, di un
annuncio lieto che è il Vangelo e soprattutto capace di fasciare le piaghe, le
piaghe fisiche, ma soprattutto le piaghe dei cuori (e quanti cuori si stanno
spezzando!) e capaci di dire quella parola che libera, incominciando dalla
mente, dal cuore e dallo spirito di ogni persona. Ecco, a questo il Signore ci
abilita e ci rende capaci perché quello Spirito che era su di Lui, quello
Spirito che Dio ha messo, fin dalla creazione del mondo, sull'intera creazione,
non se ne è andato, non è fuggito da questa terra, non è lontano, non ci
ha abbandonati: è ancora presente, ma tocca a noi riuscire a riconoscerLo e
tocca a noi soprattutto sentirLo presente dentro di noi, aprirgli la porta del
cuore e della mente perché si sprigioni e porti frutti di gioia, di gratitudine
e di quel pensiero costante in Dio e nei fratelli. Ecco, questi sono i temi
della prima parte della liturgia della parola di questa terza domenica di
Avvento, che ci indica la nostra vocazione di cristiani come persone che donano
al mondo la gioia e la donano con la loro testimonianza di vita completa. Ma
c'è anche il testo del Vangelo, il Vangelo di Giovanni, che ci presenta, come
domenica scorsa, però domenica scorsa era l'Evangelista Marco, la figura di
Giovanni Battista. Ce lo presenta però in un momento particolare: di domande.
Non ci presenta Giovanni che sta battezzando, ma piuttosto un Giovanni che
viene interpellato, interpellato dai Sacerdoti, da quelli che allora avevano
nelle loro mani la storia di fede e civile del popolo eletto. I sacerdoti e i
leviti lo interrogano, gli buttano addosso una serie continua di domande:
"Ma tu chi sei? Sei forse il Cristo? Sei Elia, che si pensava
dovesse tornare? Sei uno dei profeti? E se non sei questo, dici qualche cosa:
perché fai questo? Perché battezzi? Giovanni sta alle domande, non fugge
lontano da queste domande, risponde e risponde senza fingere. Avrebbe potuto
fingere, avrebbe potuto dire: "Sì, sono io il Cristo ". Avrebbe
potuto cercare, fra virgolette, il proprio interesse personale e la propria
riuscita. Avrebbe ottenuto di sicuro applausi e forse ancora maggiori persone
che andavano dietro di Lui. No! Giovanni sta alle domande, non rinuncia a
cercare la risposta e non finge nel rispondere. Ecco, anche per noi deve
avvenire qualcosa di simile. Anche noi dobbiamo imparare ad ascoltare le
domande vere ed autentiche che provengono da ogni luogo, quelle che portiamo
dentro di noi, alla ricerca del significato della vita e dei nostri
comportamenti, quelle che ci vengono dall'esterno, dalla storia. Quante domande
questa pandemia e questa situazione mondiale ci portano! Quelle che ci vengono
dalla intera situazione creaturale.
Anche noi dobbiamo rispondere a "Chi siamo?" e dobbiamo dircelo con
certezza: "Non siamo i creatori, non siamo i padroni, non siamo forti ma
siamo pieni di fragilità, scopriamo continuamente le nostre debolezze: siamo
creature e abbiamo bisogno di ritornare e di riscoprire Colui che può
darci una mano e riportarci alla verità". Ecco, ascoltare le domande che
ci sono in noi, attorno a noi e che continuamente ogni giorno ci arrivano ed è
importante questo : l'ascolto è il primo elemento della fede. Se non
ascoltiamo le domande vere della vita, ben poco di fede riusciremo a
testimoniare! Ma se ascoltiamo e tiriamo fuori queste domande senza paura, senza
fingere, con risposte semplici, senza illudere, ecco che il Signore ci
accompagnerà a crescere nella fede e soprattutto a diventare Suoi
testimoni.
C'è una parola chiave nel Vangelo di questa domenica ed è la parola
"testimone" o "testimonianza ": "Venne un uomo mandato
da Dio. Il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone " e poi
c'è il verbo "per dare testimonianza alla luce" e poi "Questa è
la testimonianza di Giovanni". Se andiamo a vedere il termine che il Vangelo
pone, nell'originale greco il verbo testimoniare è il verbo del martirio.
Ascoltare le domande senza fingere risposte, ma cercando la risposta vera, ci
porta a diventare anche noi testimoni: quella testimonianza vera che ci fa ”martiri"
di Cristo. Non avremo più bisogno di parole per dire la nostra fede perché la
parola si incarna in noi, come si è incarnata in Gesù: "Il Verbo si è
fatto carne". La nostra vita diventa automaticamente espressione di questa
parola. Diventa carne della parola. Diventa testimonianza, diventa
eloquenza e ci permette di vedere che il volto del nostro fratello e della
nostra sorella è il volto di Cristo, ci permette di riconoscere che chi è in
difficoltà e in sofferenza è lì il Cristo nella carne, ci permette di
sentire che ci possiamo avvicinare, come Cristo, da buoni samaritani e fare la
nostra parte. La testimonianza, il martirio è il martirio nella carne in ogni
giorno e questa testimonianza, questo martirio, farà di noi dei tanti
Giovanni Battista, che sanno portare in questo mondo, in
questi giorni, in questa situazione, quella che è la luce di Cristo che è
tenerezza, puro conforto, per portare quella voce che rende la testimonianza di
una presenza, di una verità che è ancora una volta il Signore Crocifisso e
Risorto e ci renderà in questo modo capaci di quei tre verbi e di quei
tre impegni che San Paolo ci ha detto all'inizio. Ci permetterà di essere
veramente lieti in qualsiasi situazione perché la gioia è quella che viene da
Lui. Ci permetterà di avere un atteggiamento costante di visione e quindi di
preghiera anche quando fisicamente non preghiamo e ci renderà grati in ogni
cosa, in ogni incontro, in ogni avvenimento. Ecco, che sia così.
Chiediamo questo dono, il dono di questo martirio di testimonianza che nello spirito ci
permette di essere persone capaci di preghiera ininterrotta, di gioia sempre e
di rendimento di grazia in ogni momento e per ogni cosa. Amen".
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