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Gesù è vicino
di Enzo Mazzini
La Chiesa ci invita alla
gioia, una grande gioia, perché è ormai vicina la nascita del Signore che viene
a noi per restare sempre accanto a noi e soprattutto vicino ai poveri ed ai
diseredati.
Tutto questo emerge con prorompente chiarezza nel Vangelo della terza domenica
di Avvento che per la seconda domenica di seguito contempla la figura di un
grande Santo: San Giovanni Battista.
Io in questo periodo di pandemia per il covid, essendo relegato in casa anche
per la mia età ormai avanzata e quindi
come soggetto particolarmente esposto, ne approfitto per assistere a
molte Sante Messe trasmesse da TV 2000, da Padre Pio TV e da Tele Liguria Sud.
Ebbene, in questa terza domenica di Avvento,
assistendo alla S. Messa trasmessa su Padre Pio TV, ho ascoltato un'omelia
davvero profonda, rivolta ai fedeli da parte di S.E.Mons.Franco Moscone,
Vescovo di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo, omelia che mi ha
particolarmente colpito e che ritengo utile estendere ai lettori del Sentiero:
"Cari fratelli e sorelle, mi sembra che la frase iniziale della seconda
lettura di questa domenica abbia qualche
cosa di straordinario e sconvolgente e lasciamo che parli al nostro cuore.
San Paolo ci indica qual'è la volontà di
Dio in Cristo Gesù verso di noi. Qual è questa volontà di Dio in Cristo Gesù?
Lo sappiamo: è la nostra salvezza, é la pienezza della vita, é la vittoria del
bene e renderci in Cristo suoi figli,figli adottivi ed eredi. Lo abbiamo
ascoltato domenica scorsa e nella festa dell'Immacolata, ma la frase che anticipa
questa volontà di Dio in Gesù, che è volontà di salvezza per tutti e sempre, fa
aggiungere tre osservazioni, quasi tre comandi fondamentalmente e detti con
intensità: il primo comando è: "Siate sempre lieti" il secondo è:
"Pregate ininterrottamente" e il terzo: "In ogni cosa rendete
grazie ". Mi domando sovente: "Ma è
possibile comandare questo? Una gioia
che perdura sempre? Una preghiera ininterrotta? La capacità di vedere su ogni
cosa l'occasione per dire "Grazie"? Credo che dal punto di vista umano
e dal punto di vista esperienziale di ciascuno di noi non sia così. Senza
dubbio, come desiderio, vogliamo essere sempre lieti e siamo anche disponibili,
come desiderio e da persone di fede, ad avere la mente in Dio e quindi una
preghiera ininterrotta e vorremmo una relazione corretta con la nostra storia,
con gli avvenimenti e con le persone, in
modo da trovare motivi di ringraziamento e di gratitudine, ma l'esperienza, i
limiti della nostra vita, le incomprensioni e gli avvenimenti della storia ci
impediscono di vivere queste realtà in una forma così continua come vorrebbe
Paolo e come sarebbe la volontà di Dio in Cristo Gesù per tutti noi. Ma se è
impossibile letteralmente, lo può diventare realmente nella vita, ad una condizione,
ed è San Paolo stesso che lo ribadisce immediatamente dopo, e la condizione è
di non spegnere la voce dello Spirito che è dentro di noi, che ci è stata
comunicata attraverso il Battesimo: non spegnere questa sorgente che Dio ci ha
inserito nel nostro cuore che è poi il dono della fede, non disprezzare quella
voce, che è interiore, della coscienza, che è la voce di Dio e metterci, dice
ancora Paolo, a vagliare ogni cosa, a renderci conto di quello che capita,
cercando di setacciare e di conservare
ciò che è bene, trascurando e mettendo da parte ciò che è male. I momenti di
vera gioia, di preghiera autentica e soprattutto di gratitudine, anche se a
volte potrebbero sembrarci pochi, se li vogliamo, se li conserviamo, se li
vediamo momento per momento nella nostra vita, allora renderanno tutta la
nostra vita una vita di vera gioia, di preghiera ininterrotta e di gratitudine
e copriranno tutti gli avvenimenti che vanno in altra direzione. Saremo stati
capaci di vagliare e tenere veramente il bene e fare sì che questo bene abbia
la meglio su tutto e recuperi le condizioni negative. Diventeremo, in questo
modo, capaci e portatori di giustizia, di verità e di pace: è quanto diceva
anche il profeta Isaia. Il testo del profeta Isaia è
importantissimo anche perché Gesù nella Sua prima predicazione, quando si
presenta ai suoi concittadini a Nazareth, nella Sinagoga e per la prima volta
prende ufficialmente la parola, commenta questo testo e lo applica a Se stesso:
"Lo Spirito del Signore, lo Spirito di Dio, è su di me, mi ha consacrato con
la sua unzione e mi ha mandato a portare questo lieto annuncio, questa gioia
che deve rimanere sempre e mi ha mandato a portarla incominciando da chi
apparentemente è più lontano dalla situazione di gioia e di sicurezza. Mi ha
mandato a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà e,con
la scarcerazione, a promulgare l'anno di grazia del Signore ". Quanto sono
belle queste parole di Gesù e vere e quanto sono necessarie sempre e quanto le
sentiamo necessarie in questo particolare momento della nostra storia e della
storia di tutta l'umanità! Abbiamo bisogno di questo Spirito, di questa vita
cristiana, che faccia di ognuno di noi, in questa situazione di pandemia,
comunque, dei portatori di un annuncio, di un annuncio lieto che è il Vangelo e
soprattutto capace di fasciare le piaghe, le piaghe fisiche, ma soprattutto le
piaghe dei cuori (e quanti cuori si stanno spezzando!) e capaci di dire quella
parola che libera, incominciando dalla mente, dal cuore e dallo spirito di ogni
persona. Ecco, a questo il Signore ci abilita e ci rende capaci perché quello
Spirito che era su di Lui, quello Spirito che Dio ha messo, fin dalla creazione
del mondo, sull'intera creazione, non se ne è andato, non è fuggito da questa
terra, non è lontano, non ci ha abbandonati:
è ancora presente, ma tocca a noi riuscire a riconoscerLo e tocca a noi
soprattutto sentirLo presente dentro di noi, aprirgli la porta del cuore e
della mente perché si sprigioni e porti frutti di gioia, di gratitudine e di
quel pensiero costante in Dio e nei fratelli.
Ecco, questi sono i temi della prima parte della liturgia della parola di
questa terza domenica di Avvento, che ci indica la nostra vocazione di
cristiani come persone che donano al mondo la gioia e la donano con la loro
testimonianza di vita completa. Ma c'è anche il testo del
Vangelo, il Vangelo di Giovanni, che ci presenta, come domenica scorsa, però
domenica scorsa era l'Evangelista Marco, la figura di Giovanni Battista. Ce lo
presenta però in un momento particolare: di domande. Non ci presenta Giovanni
che sta battezzando, ma piuttosto un Giovanni che viene interpellato,
interpellato dai Sacerdoti, da quelli che allora avevano nelle loro mani la
storia di fede e civile del popolo eletto. I sacerdoti e i leviti lo interrogano, gli buttano addosso una serie continua
di domande: "Ma tu chi sei? Sei forse il Cristo? Sei Elia, che si pensava dovesse tornare? Sei
uno dei profeti? E se non sei questo, dici qualche cosa: perché fai questo?
Perché battezzi? Giovanni sta alle domande, non fugge lontano da queste
domande, risponde e risponde senza fingere. Avrebbe potuto fingere, avrebbe
potuto dire: "Sì, sono io il Cristo ". Avrebbe potuto cercare, fra
virgolette, il proprio interesse personale e la propria riuscita. Avrebbe
ottenuto di sicuro applausi e forse ancora maggiori persone che andavano dietro
di Lui. No! Giovanni sta alle domande, non rinuncia a cercare la risposta e non
finge nel rispondere. Ecco, anche per noi deve avvenire qualcosa di
simile. Anche noi dobbiamo imparare ad ascoltare le domande vere ed
autentiche che provengono da ogni luogo, quelle che portiamo dentro di noi,
alla ricerca del significato della vita e dei nostri comportamenti, quelle che
ci vengono dall'esterno, dalla storia. Quante domande questa pandemia e questa
situazione mondiale ci portano! Quelle che ci vengono dalla intera situazione
creaturale.Anche noi dobbiamo rispondere a "Chi siamo?" e dobbiamo dircelo con
certezza: "Non siamo i creatori, non siamo i padroni, non siamo forti ma
siamo pieni di fragilità, scopriamo continuamente le nostre debolezze: siamo
creature e abbiamo bisogno di ritornare e di riscoprire Colui che può darci una
mano e riportarci alla verità". Ecco, ascoltare le domande che ci sono in noi,
attorno a noi e che continuamente ogni giorno ci arrivano ed è importante questo:
l'ascolto è il primo elemento della fede.
Se non ascoltiamo le domande vere della vita, ben poco di fede
riusciremo a testimoniare! Ma se ascoltiamo e tiriamo fuori queste domande
senza paura, senza fingere, con risposte semplici, senza illudere, ecco che il
Signore ci accompagnerà a crescere nella fede e soprattutto a diventare Suoi
testimoni. C'è una parola chiave nel
Vangelo di questa domenica ed è la parola “testimone" o
"testimonianza ": "Venne un uomo mandato da Dio. Il suo nome era Giovanni. Egli venne come
testimone " e poi c'è il verbo "per dare testimonianza alla
luce" e poi "Questa è la testimonianza di Giovanni". Se andiamo
a vedere il termine che il Vangelo pone, nell'originale greco il verbo testimoniare
è il verbo del martirio. Ascoltare le domande senza fingere risposte, ma
cercando la risposta vera, ci porta a diventare anche noi testimoni: quella
testimonianza vera che ci fa “martiri" di Cristo. Non avremo più bisogno
di parole per dire la nostra fede perché la parola si incarna in noi, come si è
incarnata in Gesù: "Il Verbo si è fatto carne". La nostra vita
diventa automaticamente espressione di questa parola. Diventa carne della parola. Diventa
testimonianza, diventa eloquenza e ci permette di vedere che il volto del
nostro fratello e della nostra sorella è il volto di Cristo, ci permette di
riconoscere che chi è in difficoltà e in sofferenza è lì il Cristo nella carne,
ci permette di sentire che ci possiamo avvicinare, come Cristo, da buoni
samaritani e fare la nostra parte. La testimonianza, il martirio è il martirio
nella carne in ogni giorno e questa testimonianza, questo martirio, farà di noi
dei tanti Giovanni Battista, che sanno portare in questo mondo, in questi giorni, in questa situazione,
quella che è la luce di Cristo che è
tenerezza, puro conforto, per portare quella voce che rende la testimonianza di
una presenza, di una verità che è ancora una volta il Signore Crocifisso e
Risorto e ci renderà in questo modo
capaci di quei tre verbi e di quei tre impegni che San Paolo ci ha detto
all'inizio. Ci permetterà di essere veramente lieti in qualsiasi situazione
perché la gioia è quella che viene da Lui. Ci permetterà di avere un
atteggiamento costante di visione e quindi di preghiera anche quando
fisicamente non preghiamo e ci renderà grati in ogni cosa, in ogni incontro, in
ogni avvenimento. Ecco, che sia così.
Chiediamo questo dono, il dono di questo martirio di testimonianza che
nello spirito ci permette di essere
persone capaci di preghiera ininterrotta, di gioia sempre e di rendimento di
grazia in ogni momento e per ogni cosa. Amen".
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IL CONVEGNO NEL RICORDO DI PADRE DAMARCO
di Egidio Banti
IL CONVEGNO NEL RICORDO DI PADRE
DAMARCO
DIGNITA’ DELLA PERSONA E APERTURA
AGLI ALTRI:
Come
“Il sentiero” aveva già riferito, si sono concluse a Sarzana le iniziative per
ricordare il religioso vincenziano padre Vincenzo Damarco a 45 anni dalla
morte, avvenuta il 29 ottobre 1974. Padre Damarco, popolarissimo a Sarzana,
dove è stato uno dei sacerdoti più significativi nel periodo del Concilio e del
“dopo Concilio”, era molto conosciuto in tutta la Val di Magra e a Carrara.
Inoltre, il gruppo degli “Amici di padre Damarco”, composto sia da persone
credenti sia non credenti, è coordinato sin dal suo inizio da Paola Gari,
ortonovese “di adozione”.
Per questo sabato 31 ottobre si è tenuto un convegno sul tema “Padre Vincenzo
Damarco: la dignità della persona e l’apertura agli altri”. I lavori, per le note restrizioni in atto, si sono svolti a distanza, grazie al
collegamento reso possibile da don Franco Martini, attuale responsabile della
“Casa della Missione” di Sarzana, e dai suoi collaboratori. Per tali ragioni riteniamo di dare spazio all’evento, pubblicando sul
“Sentiero”, a partire da oggi, la sintesi dei diversi interventi di quel
giorno. E’ stata infatti una occasione di rilievo, come forse ce ne sono ancora
poche, per riflettere “a tutto campo” sulle prospettive della Chiesa cattolica
e più in generale del confronto tra fede religiosa e impegno sociale, di
autentica promozione umana. Come del resto ha sottolineato Giorgio Pagano in un articolo pubblicato dopo
l’evento, “è sorprendente la sintonia tra il messaggio di papa Bergoglio e
quello che ci ha lasciato cinquant’anni fa padre Vincenzo Damarco”. Occasione
dunque importante per riflettere, tanto più nell’ambito delle comunità
ecclesiali. Il convegno di Sarzana ha avuto come promotori il gruppo sarzanese “Amici di
padre Damarco” e il circolo ACLI locale, intitolato anch’esso al nome di
Damarco. L’aspetto davvero importante è stata la partecipazione ai lavori di padre
Erminio Antonello, visitatore provinciale per l’Italia dei religiosi della congregazione
fondata nel ‘600 da San Vincenzo de’ Paoli ed alla quale Damarco apparteneva.
Nel 1971, infatti, quando Damarco fu trasferito a Verona per le sue idee
considerate troppo “progressiste” (in realtà semplicemente evangeliche e
conciliari), a Sarzana ci furono tensioni. Il 23 maggio 1971 l’inviato speciale del Corriere della sera scriveva un
articolo di apertura di pagina su cinque colonne, intitolato “Sarzana rivuole
il suo prete”. Damarco accettò con obbedienza il trasferimento, invitando a
sospendere ogni manifestazione di protesta. Ma questo non ricucì subito lo
“strappo”, compreso quello con il vescovo di allora Giuseppe Stella. Oggi, per
tanti motivi, molte cose sono cambiate, ma è stata la prima volta della
partecipazione del responsabile italiano dei Vincenziani ad una iniziativa a
ricordo del suo confratello di allora. Per questo iniziamo la serie degli articoli dedicati al convegno proprio con le
parti salienti dell’intervento di padre Erminio. Non senza però aver ricordato gli altri relatori. Gabriella Raschi, spezzina ma
presidente nazionale del Volontariato Vincenziano femminile, ha parlato sulla
storia, il ruolo e le prospettive del volontariato legato all’opera di Vincenzo
de’ Paoli. Sono seguite le relazioni di Gaetano Lettieri, docente di Storia del
Cristianesimo all’Università Sapienza di Roma (“La figura e il pensiero di
padre Damarco quale emerge dai suoi Commenti ai Vangeli”) e del sacerdote e
teologo genovese monsignor Giovanni Cerreti (“La dignità della persona umana
dal Concilio Vaticano II a papa Francesco”). Dopo l’intervento di padre Antonello, chi scrive ha parlato sulla “Presenza dei
Vincenziani a Sarzana: 250 anni di storia e di impegno”, mentre don Sandro
Lagomarsini, parroco di Cassego che fu amico di padre Damarco e che condivise
con lui quei tempi difficili, ha ripercorso una sintesi di quel cammino
importante per la storia della Chiesa locale, e non solo. Ci sono stati anche
brevi interventi di monsignor Paolo Cabano, responsabile culturale della
diocesi, e di don Franco Martini.
Egidio
Banti
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L’INTERVENTO DI PADRE ERMINIO ANTONELLO
di Egidio Banti
L’INTERVENTO
DI PADRE ERMINIO ANTONELLO:
IL
VALORE PROFETICO DI PADRE DAMARCO
Padre Erminio ha iniziato
il suo intervento su due ricordi personali di Damarco, ma prima ancora
esprimendo apprezzamento per una iniziativa – ha detto - dalla quale emerge il cuore che P. Damarco è riuscito a generare in
tante persone.
“Per un anno io ho seguito le sue lezioni di latino. Io avevo
11 anni, lui 34, ma il divario di età non creava distacco. In quel periodo nella
scuola apostolica di Verona, in cui P. Damarco era presente da due o tre anni, vigeva una fraternità familiare fra
Padri e allievi. P. Damarco era un po' come il peperoncino, dava briosità alla
convivenza. Il suo modo di insegnare era sobrio ed essenziale, Eravamo davanti
ai primi rudimenti di latino, un tema ostico ma ricordo il suo parlare
accattivante e astuto nell’alimentare, eppure ci sapeva fare con molta
maestria. Ricordo alla fine del II trimestre si presentò in classe con un
sacco, letteralmente un sacco, di caramelle; divise la classe in due gruppi e
inscenò una gara fra i due gruppi per vedere chi rispondeva correttamente alle
sue domande. Era il 1956, il tempo delle prime gare di Lascia o raddoppia,
questa ne era una riproduzione in piccolo. Il gioco si protrasse per alcune
settimane, funzionò in modo egregio per ripassare tutte le lezioni di latino. In conclusione, il mio ricordo è il suo modo di insegnare, che era simpatico ...
Ricordo poi il modo in cui aveva i capelli non stavano mai al posto, ribelli, lui
era un po' così: questo suo modo, questa sua figura . Fu uno dei primi fari della mia formazione morale e intellettuale e
volentieri sono qua a ricordarlo”. La seconda fonte di
conoscenza di Damarco, ha proseguito padre Erminio, sono i testi dei suoi
commentari ai Vangeli: “Anch’io ho letto
quel testo, lo recuperai circa 30 anni fa a Verona, perché non era molto in
auge nella Congregazione, e lo depositai come testimonianza preziosa nella
nostra biblioteca vincenziana di Torino ...
Certo questa fonte scritta è interessante ma è priva di quella
testimonianza sensibile di chi ha potuto ascoltare dal vivo la vivacità della
sua parola e vivere un rapporto con lui. L’energia affettiva e la parola in P. Damarco erano coniugate in modo così
sintonico da sciogliere ogni forma di banalità espressiva .In ogni caso
ripercorrerla a distanza mi ha fatto riscoprire un’eco della sua persona. La parola evangelica che vi risuona è una parola che va
direttamente all’esistenza e non indulge mai alla retorica, il suo scrivere è schietto
e trasparente, dice quel che vuol dire in maniera diretta e senza involuzioni,
si fa capire immediatamente, è questo il segno
della sua intelligenza che sapeva coniugare profondità, essenzialità e
semplicità”. Il pregio maggiore del testo, ha osservato padre Erminio, “è la centratura sulla rivelazione
cristologica. Questo è quello che a me è parso più pregnante. Prima di tutto Gesù raccontato da Damarco è vivo, operante nella coscienza
umana capace di dare alla vita cristiana carità verso il prossimo come il
centro da cui si può continuare la presenza di Cristo nella storia”. Proseguendo nella sua analisi dei commenti, la relazione si è soffermata su
alcuni brani specifici, per poi proseguire così: “Un secondo elemento che mi ha colpito di questa centratura cristologica
è che essa conserva la carica profetica tipica del Gesù dei Vangeli. P. Damarco
ridice, interpreta le parole del Vangelo in modo che queste penetrino le
coscienze, mettano in discussione atteggiamenti formali di ieri ed oggi. Questo
emerge bene nel commento al Vangelo di Marco della domenica 28 gennaio 1962 (Marco
I, 21,28): ”.E proseguendo: <“Nella parabola
del giudizio universale Gesù riduce al solo comandamento dell’amore la
valutazione morale della vita di ogni individuo”: certo, essere cristiano vuol
dire avere la carità. Ma questo messaggio meravigliosamente semplice, ad un
esame più approfondito, finisce per essere conturbante: chi può dire di aver
praticato o anche solo di saper praticare ora in modo veramente cristiano il
servizio di bontà per gli altri? Chi può garantirsi da tutte le infiltrazioni
egoistiche pure nello stesso esercizio della carità? Purtroppo dobbiamo
ammettere che viviamo ancora nel tempo precopernicano del mondo morale:
onestamente diciamoci pure che al centro siamo sempre noi, e non ancora
Dio.>E’ qui, dice padre Erminio, che ci soccorre la fede: <Credere è ammettere che proprio nel
comandamento fondamentale siamo in deficit, che abbiamo bisogno che Dio
completi la nostra insufficienza. Attraverso la fede noi rompiamo il tragico
cerchio della nostra autosufficienza e possiamo uscire dal nostro egoismo.
L’insegnamento di Cristo, a differenza di quello impartito dagli scribi, non
aveva lo scopo di interpretare in modo sempre più acuto la legge per fare di
noi degli osservanti; ma quello di individuare la radice del nostro egoismo e
la grande azione sanatrice di Dio, in modo che noi stessi possiamo collaborare
con lui alla cristianizzazione della nostra vita, cioè alla graduale osservanza
del precetto della carità. I dogmi e la morale, intesi come fine a se stessi, e
non in funzione di questa maturazione, sono da considerarsi alienanti ed
estranei al cristianesimo. Ecco la carica profetica direi molto profonda a
partire da questa centratura cristologica che mi pare elemento portante di
questi commenti al Vangelo>. “Alla fine – ha detto il relatore
- mi permetto un breve accenno critico, senza il quale farei solo
retorica e questo per Damarco, se mi ascoltasse, suonerebbe come un
imperdonabile sgarbo verso di lui, per lui
per il quale la critica e il
dibattito, erano sale di un discorso
sensato. Al tempo in cui Damarco scriveva eravamo poco dopo il Concilio e non era stato
ancora metabolizzato il significato mistico della chiesa nel suo rapporto con
la storia. C’erano correnti del tempo che tendevano a ridurre ad una dimensione
eminentemente sociologica e solo immanente la Chiesa. Mi è parso che in alcune
parti del suo commentario P. Damarco abbia ceduto in modo monocorde a questi
autori, quasi identificando la Chiesa nella sua storia, fatta di uomini, e non
la Chiesa nella sua trascendenza. Ma alla Chiesa della storia mancherà sempre
la coerenza esaustiva del Vangelo: il Vangelo nella sua inarrivabilità è
pungolo costante alla storia, per questo è capace nella Chiesa umana che lo
contiene. Forse è proprio questo che certe formule di P. Damarco volevano
dire>.Ed ecco le conclusioni: <Nel
contrasto fra antico e nuovo, padre Damarco ha dovuto districarsi e lo ha fatto
nella direzione di riscoprire il Vangelo. E circa le incomprensioni di allora
verso il suo operato, desidero citare le parole di una sua sorella camilliana,
suor Benigna, in una lettera scritta al suo superiore e che si trova
nell’archivio di Torino: “Negli anni in cui P. Damarco era a Sarzana mi disse
‘Nel passato i fedeli andavano in chiesa per cercare il sacerdote e per essere
da lui aiutati, al giorno d’oggi i fedeli non vanno più in chiesa e per questo il sacerdote deve uscire e mettersi in mezzo
al popolo, solo così potrà evangelizzarlo’. Lui ha fatto così ed ha pagato di
persona. Se in qualcosa ha sbagliato, lo ha fatto in buona fede e le sofferenze
fisiche e morali sono state una riparazione. Sono anche certa che chi ha preso
provvedimenti drastici nei suoi riguardi l’ha fatto in buona fede perciò non ho
risentimenti, né escludo nessuno dalla mia carità fraterna”. Così scriveva suor
Benigna l’8 novembre 1974, pochi giorni dopo la morte di Damarco. A questo pensiero
mi attengo anch’io e continuo a portare nel mio cuore la riconoscenza verso di
lui>.
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