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Dal Diario di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
Le racconta Marquez nel suo “Cent’anni di solitudine”. Purtroppo il ‘tema’ non finisce con i
romanzi, ma invade la vita, oggi.
Qualcuno definisce la solitudine “il male del secolo” e non a caso molti
suicidi sono “figli” di questo virus infernale. Quanti i colpiti: il barbone
che intirizzisce nei cartoni, l’anziano in vana attesa di una telefonata, il
disoccupato che, pur bussando a cento porte, non ne trova una aperta.
Il “virus” si accanisce sui giovani in cerca di lavoro,costretti a casa, a
friggere dentro.
C’è pure la solitudine del prete, narrata da Quoist nella “Preghiera del
sacerdote la domenica sera”: “Signore stasera sono solo. A poco a poco, i rumori si sono spenti nella
chiesa, ed io sono rientrato in casa, solo.” Con una risposta, però, che vale per tutte le
solitudini: “Figlio, non sei solo. Io sono con te. Sono te.”
Non basta che i discepoli del Signore si limitino a osservare il fenomeno.
Occorre farsi prossimo “nelle periferie esistenziali” direbbe Francesco. Si
genererebbe una “risposta” come la sognava Carver: “Hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto? Sì. E cosa volevi? Potermi dire amato,
sentirmi amato sulla terra. E’ della tenerezza che m’importa. Questo è il dono
che stamattina mi commuove e sostiene. Al pari di ogni mattina”.
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Una vera quaresima
di Paola G. Vitale
Il Padre ha detto: “Basta:!
Abbiamo sbagliato strada ma
Lui ci ama ancora. È un po' come essere a Ninive dove Giona proclamò, nei tre
giorni cammino, la distruzione di Ninive entro quaranta giorni. E questo,
perché Dio amava ancora quel popolo depravato. Da oggi, 10 Marzo 2020, l'Italia è ferma in ogni direzione, allo scopo di
bloccare ed arrestare il virus rinforzato che sta invadendo il Pianeta. È una
vera Quaresima, una opportunità per meritare ancora la Pasqua di Resurrezione
di Cristo, per tutti i battezzati e per tutta la terra. Sia fermo il nostro
cuore, fuori da ogni desiderio mondano e da ogni malvagità. Sia puro e
penitente dinnanzi a Dio mentre anche l'atmosfera attorno alla Terra, riprende
un poco di sollievo a causa della drastica riduzione dei voli. Cosa significa tutto questo? Vuol dire che siamo ammoniti ed indirizzati verso
un cammino di modestia, onestà, moderazione e prudenza, se aspiriamo ancora
alla vita, soprattutto per le nuove generazioni. Cerchiamo di intendere!
Un forte augurio di Buona
Pasqua a tutti!
Luni Mare 10 Marzo 2020
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Il vero scopo della vita
di Enzo Mazzini
Un giovane medico si converte
grazie all'incontro con un santo sacerdote nelle corsie dell'ospedale dove sono
ricoverati i malati di Coronavirus.
La testimonianza commovente sta circolando sui social e, in base a quanto
riportato, sarebbe di un medico sul fronte di battaglia contro il Coronavirus ,
in servizio in un ospedale della Lombardia e provvedo a riportarla: "Mai
negli incubi più oscuri ho immaginato che avrei potuto vedere e vivere quello
che sta succedendo qui nel nostro ospedale da tre settimane. L'incubo scorre,
il fiume diventa sempre più grande. All'inizio ne arrivavano alcuni, poi decine
e poi centinaia e ora non siamo più dottori, ma siamo diventati dei
selezionatori sul nastro. Siamo costretti a decidere chi deve vivere e chi
dovrebbe essere mandato a casa a morire, anche se tutte queste persone hanno
pagato le tasse italiane per tutta la vita.
Fino a due settimane fa, io e i miei colleghi eravamo atei: era normale, perché
siamo medici e abbiamo imparato che la scienza è portata ad escludere la
presenza di Dio. Ho sempre riso dei miei genitori che andavano in chiesa. Nove
gironi fa un sacerdote di 75 anni venne da noi. Era un uomo gentile, aveva
gravi problemi respiratori, ma aveva una Bibbia con sé e ci ha impressionati
perché la leggeva ai morenti e li teneva per mano.
Eravamo tutti dottori stanchi, scoraggiati psicologicamente e fisicamente
sfiniti, quando abbiamo avuto il tempo di ascoltarlo.
Ora dobbiamo ammetterlo: noi come umani abbiamo raggiunto i nostri limiti: di
più non possiamo fare e sempre più persone muoiono ogni giorno. Siamo sfiniti,
abbiamo due colleghi che sono morti ed altri sono stati contagiati. Ci siamo
resi conto che dove finisce ciò che l'uomo può fare, abbiamo bisogno di Dio. E
abbiamo iniziato a chiedere aiuto a Lui: quando abbiamo qualche minuto libero
parliamo tra di noi e non possiamo credere che da feroci atei siamo adesso,
ogni giorno, alla ricerca della nostra pace, chiedendo al Signore di aiutarci a
resistere in modo che possiamo prenderci cura dei malati. Abbiamo preso
coscienza che senza Dio siamo un nulla.
Ieri è morto il sacerdote 75enne: Lui che, fino ad oggi, nonostante avessimo
avuto oltre 120 morti in 3 settimane qui e fossimo tutti sfiniti, distrutti,
era riuscito, malgrado le sue condizioni e le nostre difficoltà, a portarci una
PACE che non speravamo più di trovare.
Il sacerdote è andato dal Signore e, se continua così, presto lo seguiremo
anche noi.
Abbiamo preso coscienza che senza Dio siamo un nulla.
Non sono a casa da 6 giorni; non so quando ho mangiato l'ultima volta e mi
rendo conto della mia inutilità su questa terra e voglio dedicare il mio ultimo
respiro ad aiutare gli altri. Sono felice di essere tornato a Dio mentre sono
circondato dalla sofferenza e dalla morte dei miei simili”. Ebbene, questa
testimonianza viene a confermare che la vita senza Dio è una vita senza una
vera motivazione. Solo in Lui può rifugiarsi la nullità umana e possiamo
ritrovare il vero scopo della vita. L'esempio di questo santo sacerdote non è
l'unico esempio di vera fratellanza fornito dai nostri fratelli religiosi: in
questi giorni tanti volano in cielo dopo aver dedicato un'intera vita a tutti
noi: basterebbe ricordare il sacerdote che qualche giorno fa, mentre era
ricoverato, aveva ricevuto dai suoi parrocchiani un dono prezioso: un
respiratore che era per lui indispensabile. Ebbene questo santo sacerdote si è
privato di questo strumento per lui indispensabile, per metterlo a disposizione
di altri fratelli sofferenti, affrontando la morte nella sofferenza.
La sua anima è volata in cielo e voglia Iddio che possa essere d'esempio a
tutti noi e possa guidarci a gioire con lui in Paradiso, insieme a tutti gli
operatori sanitari che hanno dato la vita, in questi giorni, per averla messa
al servizio dei fratelli ammalati. Che Dio li abbia in gloria!
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Ippolito Nievo
di Romano Parodi
Ippolito
Nievo
Da
centocinquant’anni l’impresa dei garibaldini ha infiammato gli italiani e mi
riesce un po’ triste aggiungere un’altra versione - oggi obliata - data da
molti articoli e libri:
Fu vera gloria? Ci sono molti misteri irrisolti; ne cito solo due. E’ vero che
il generale Rosolino Pilo, l’organizzatore dell’impresa, con Mazzini, Cavour,
Crispi, etc., fu ucciso a Calatafimi in combattimento? Molti sono gli scritti
che lo negano: fu assassinato. Cosa è successo a Ippolito Nievo, uno dei mille?
Ci sono centinaia di conti che non
tornano. “Tutta la vicenda è piena di stranezze”. Esistono decine di
libri al riguardo che parlano di queste stranezze. Uno anche di Umberto Eco,
che, su Ippolito Nievo ipotizza una strage di Stato; strage con la quale si è
inaugurata l’Unità d’Italia: affondato dalla destra sabauda, per paura delle
sinistre camicie rosse: “Il cimitero di Praga - 2010”.
Ippolito Nievo, che a Cavour “assicurava
eterno odio..”, a 26
anni ha scritto “Le confessioni di un italiano”, considerato, dopo “I
Promessi Sposi”, il secondo capolavoro della letteratura italiana, prima di
Pirandello, terzo: “Anche se non è stato lavato nell’Arno è un romanzo
impareggiabile e possente... è la storia di una nazione e del suo riscatto...
con un personaggio femminile, la Pisana, davanti alla quale Anna Karenina o
Natascia Rostova sono meno che steli inodori..” (Capolavoro che, come i
Promessi Sposi, oggi non legge più nessuno, e poco anche Pirandello). Nato a Padova nel 1831 è morto
a Mar Tirreno nel 1861 (pensavo fosse una località); no, è “naufragato”, e non
si sapeva dove.
Nel centenario della sua scomparsa, un suo pronipote, Stanislao Nievo, ha
scritto “Il prato in fondo al mare”, che ha vinto il Campiello, dove
racconta le vicissitudine fatte per ritrovare il relitto del piroscafo.
Un’impresa alla quale hanno partecipato varie associazioni pubbliche, con
sommozzatori di fama mondiale; persino il batiscafo dell’oceanografo e sub
Jacques Cousteau.
Dopo 8 anni di ricerche l’hanno trovato; ma non i sei bauli di documenti e di
piastre d’oro; questi erano stati mangiati dal mare (non sapevo che il mare
mangia l’oro scozzese).
Era quello che si erano prefissi gli affondatori del piroscafo che li
trasportava assieme ai 78 garibaldini, fra i quali tre ufficiali, e
l’equipaggio.
Il colonnello Ippolito Nievo aveva cariche speciali nell’impresa dei Mille, una
era quella di tesoriere, ed annottava tutto, anche le minime spese, anche le
minime entrate. Testa calda e fanatico mazziniano (un popol morto dietro a
lui si mise), già nel 48, a 17 anni, partecipa all'insurrezione di Mantova,
e la famiglia per “calmarlo” lo allontana e lo manda a studiare in Toscana, a
Pisa; ma ci ricasca subito: nel 49 partecipa alla rivolta di Livorno contro gli
austriaci, accorsi in aiuto del granduca Leopoldo. Nel 57 fu processato a
Milano per aver scritto libelli contro l’Austria. Poi si arruolò volontario nei
“Cacciatori delle Alpi” con Garibaldi.
Malgrado fosse partito coi Mille per combattere (n° 690), ne ha avuto poche
occasioni. Combatté solo a Calatafimi e a Palermo e poi fu nominato “Intendente
di prima classe con compiti amministrativi e cronista ufficiale dell’Impresa”.
Restò a Palermo fino al 4 marzo del 61 (l’impresa era iniziata ai primi di
maggio del 60), poi prese un piroscafo, l’Ercole, per raggiungere Garibaldi a
Napoli e consegnare i conti della spedizione: richiesti d’urgenza dall’ala
conservatrice del governo subalpino che stava per proclamare il regno d’Italia
(13 giorni dopo: martedì 17 marzo) e voleva sapere a quanto ammontava il
bottino di guerra e il rendiconto delle spese sostenute.
Nievo aveva amministrato “un immenso patrimonio”, un bottino miliardario: solo
i soldi del Banco di Sicilia, confiscati, ammontavano a 200 milioni di Euro
odierni, ma, soprattutto, amministrava anche gli “aiuti”, che arrivavano da
tutto il mondo, grazie alla Massoneria Inglese; si parla addirittura di un
baule d’oro pieno di piastre turche e scozzesi.
Non ci sono più dubbi: furono gli inglesi a muovere i fili di tutto (Malta era
una loro colonia, a Malta avevano la flotta che permise lo sbarco a Marsala, a
Malta andò Rosalia Montamasson, su mandato di Crispi e Mazzini, a cercare
aiuti. Il regno dei Borboni dava noia: aveva una forte flotta navale nel
Mediterraneo e in Sicilia aveva lo zolfo, ambito da tutti). A cosa era servito
tutto quell’oro, oltre che al vettovagliamento dei volontari? a comprare i
vertici dell’esercito borbonico e della mafia. Vertici corrotti da chi? Chi
sono i corrotti, chi sono i corruttori? Montanelli
ne cita uno: il mammasantissima barone Sant'Anna. I mandanti affondatori, non
volevano che trapelassero quei nomi e quegli stati, e il grande Ippolito Nievo e le sue carte,
scomparvero per sempre.
“C’è sempre del marcio in
Italia” - direbbe Shakespeare – ma: “Dietro grandi fortune, ci sono
grandi crimini ovunque” - dice Goethe - “l’ultimo uomo
universale a camminare sulla terra”.
P. s. Abbiamo toccato con mano, in questi
tre brevi articoletti: Rosa Montmasson, Tonina Masaniello e Ippolito Nievo,
l’amore per Mazzini; ma tutti lo hanno tradito, anche Garibaldi. Il “Santo” ha
sempre propugnato una Repubblica popolare - invece - “hanno consegnato l’Italia
ai moriana”. - dice Ceccardi.
Solo nel Referendum del 1946 Mazzini ha visto il suo trionfo: Dio e Popolo (senza
re).
N.B.. Forse esiste un’altra scrittura, ma io
conosco solo questa, di notte, quando la paura di dover pensare, non mi lascia
dormire. Il mese prossimo scriverò una paginetta su Mazzini, speriamo che Mario
non s’incavoli.
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I RAGAZZI DEL SANTUARIO
di Sauro Repiccioli
Dalla mia infanzia sono
cresciuto sotto questo Santuario. Alla mattina alle ore sette suonavano le
campane per la messa e noi bambini si andava a servirla.
Alla domenica per noi era festa; il Santuario era aperto , tutto per noi.
C’erano tanti giochi: il gioco delle bocce, c’era il croquet, l’altalena, il
trapezio e gli anelli. Nel piazzale si giocava a pallone e ad altri diversi
giochi.
Per noi il Santuario era come una famiglia.
Io sono cresciuto nell’azione cattolica, dalle “fiamme bianche” fino agli
“uomini di azione cattolica”. Si faceva teatro, dai più piccoli ai più grandi.
A quattordici anni con Don Vignola, Gino e Carlo abbiamo dipinto tutta la
Chiesa del Santuario.
La mia vita qui al Santuario è stata tutta un percorso. Sono fiero di aver
fatto tanto volontariato e ora che ho ottantacinque anni e non posso più far
niente, mi rattristo. Pazienza.
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Gli occhi di un bambino
di Marino Bertocci
Avete mai provato a guardare
negli occhi un bambino poco prima che muova i suoi primi passi o lo abbia fatto
da pochissimo? I suoi occhi brillano di una lucidissima gioia
indescrivibile e di una grande curiosità verso tutto ciò che è loro intorno.
Allo stesso tempo, nel loro assoluto bisogno di tutto, trasmettono ,quasi
tangibile, la fiducia, pulita ed inesauribile , che hanno verso il mondo.
Insomma: si fidano, senza ipoteche e senza riserve, affidando la loro sorte al
mondo che li circonda ed abbandonandosi nelle braccia di chiunque loro le
porga.
Ebbene, i popoli, i piccoli, i semplici del mondo non differiscono molto dai
bambini innocenti…quando incondizionatamente affidano la loro esistenza nelle
mani di chiunque proponga loro una vita migliore …Ecco perché penso alla grave,
gravissima responsabilità che ricade sugli educatori, sui politici , gli
amministratori in generale ed i tutori della cosa pubblica e privata
quando chiedono che venga loro affidata l’ esistenza ed il futuro dei
popoli perché con la loro capacità di governo, indirizzo , gestione
e tutela possano migliorarne la vita.
Costoro dovrebbero di tanto in tanto fermarsi e perdersi negli occhi dei
bambini innocenti…questo gesto sarebbe per loro, così come lo è per qualsiasi
uomo, una vitamina di onestà e di amore per il servizio del prossimo.
Questo pensiero, come un turbine, me ne porta tanti altri uno fra questi è che
i bambini crescono e…diventano giovani.
Dall’odierna società la loro crescita umana, e non solo, viene data un po’ troppo
per scontata…quindi spesso trascurata, se non abbandonata …eppure , questo è il
convincimento di noi credenti .(mi pare una frase del profeta Isaia..) “anche i
giovani faticano e si stancano, (così come gli adulti) inciampano e cadono; ma
quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono le ali come aquile,
corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”, .
Bisogna che qualcuno lo dica!!! Ed è qui che “entra in campo” l’educatore.,
che io, ovviamente, vorrei cristiano… Come sarebbe bello se così effettivamente fosse! Invece quanti fra noi si sono
confrontati , e quotidianamente si confrontano, con le inquietudini di una gioventù
che pare perduta al bene? La mia esperienza tra i giovani mi insegna che c’è tra questi qualcuno il cui
apparire è strepitoso, ma la cui sostanza umana e spirituale è pressoché nulla.
Questo giovane è impeccabile nel vestire , seducente e simpatico nel parlare,
talora "scolpito "da qualche palestra o qualche chirurgo plastico per
anzi tempo togliersi di dosso la patina del tempo, che comunque nessuno
risparmia, si è trasformato quasi esclusivamente in cornice ,in addobbo.
.insomma in apparenza...praticamente nel nulla...insomma in miseria... eppure ,
contro tutte le apparenze, forse i più tra questi , sono buoni, sono “sani” al
punto da avere assurdamente paura di essere giudicati tali e quindi…come tanti
moderni figliuoli prodighi apparentemente ribelli a ciò che una società
disorientata loro trasmette quale omologazione, quindi da rifiutare. Eppure la Vita, quella “vera” intendo, tutti li ( e ci) acchiappa, con i suoi
dolori, le sue disillusioni, le sue fatiche e…allora l’apparenza non basta
più.. non può bastare! E’ necessario l’Amore, quello vero, quello che viene da “dentro”! Ecco, allora, la grande responsabilità delle generazioni precedenti, o di
coloro che, come dicevo all’inizio, si propongono quali guide o educatori:
aiutare almeno qualcuno , comunque quanti più possibile, tra questi giovani a
crescere, a diventare “uomini”. ! Tenendo ben presente che il figliol
prodigo ha avuto una grande fortuna perché, benché sconfitto dalla vita, ha
potuto scegliere di tornare da trionfatore nella accogliente casa del
padre...che non aveva mai smesso né di amarlo né di attenderlo...ma quanti
giovani hanno la stessa fortuna?
Quanti giovani trovano qualcuno che, contro il pensare omologato delle mode
dice loro che si può andare oltre l’apparire e che l’importante è l’essere ?
In conclusione penso sia dovere di ogni credente trasmettere fiducia e speranza
senza mai stancarsi o dimenticare che tutti a volte cerchiamo dai moderni
"guru" quello che qualcun altro ci ha già detto con qualche migliaio
di anni di anticipo.. “ecco, io sto sulla porta e busso. Se qualcuno ascolta la
mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me ”(Apocalisse)...
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Don Bosco
di Mila
Alcune sere fa ero a tavola
con mio marito, stavamo finendo di cenare, sullo schermo televisivo, alla fine
del telegiornale, le notizie sportive, calcio. Ecco che l'arbitro fischia un
rigore e mio marito si mette a ridere, perché? Allora mi racconta: era ancora
piccolino ed era andato con suo fratello Eliano, più grande di lui di alcuni
anni, ad assistere ad una partita di calcio all'oratorio dei Salesiani. A quei
tempi l'oratorio dei Salesiani di La Spezia era molto frequentato specialmente
dai ragazzi del “proletariato” anche perché nel cortile c'era e dovrebbe
esserci ancora un campetto per giocare a calcio. Grazie a quel campetto si
erano formate delle squadre di calcio a seconda del quartiere dove abitavano
quei ragazzi. Squadre che disputavano fra loro un vero e proprio campionato.
Quel giorno si giocava una partita molto importante, una finale. Mio marito
sugli spalti con suo fratello e un bel fischietto da arbitro al collo
recuperato non si sa dove. Ecco che un attaccante si stacca dalla mischia e
corre libero verso la porta avversaria, il pubblico immobile trattiene il
fiato, è un gol, deve essere un gol, il gol della vittoria, ma ecco un fischio
acuto, improvviso, il calciatore ha un attimo di esitazione e il pallone se ne
va per conto suo a colpire il palo. Tutti guardano con gli occhi sbarrati Don Francesco,
direttore spirituale di quei ragazzi e quel giorno arbitro della partita. Ma
perché quel fischio? Era tutto da manuale! Non c'era nessun fallo! Perché quel
fischio! Ma, povero don Francesco, non
era stato lui, la colpa era di un ragazzino un po' petulante che quel giorno
era andato sugli spalti con un fischietto da arbitro e voleva dirigere lui la
partita riuscendo solo a combinare un bel guaio. Un urlo, il ragazzino
impallidì, ma gli andò bene, perché invece di menarlo fu solo interdetto da quel
campo fino a nuovo ordine. Erano dai Salesiani e c'era Don Francesco e la
parola d'ordine era Amore e Compressione. Questo nei ricordi di mio marito che,
ancor oggi, quando parla dell'oratorio dei Salesiani gli si velano gli occhi di
malinconia, dolce malinconia, “saudagi” direbbero i brasiliani. Adesso diciamo
una cosa: dire Salesiani è dire Don Bosco, San Giovanni Bosco. Per parlare di
Lui e della sua opera non è sufficiente un numero del “Sentiero” e poi io non
sono così brava, mi accontenterò di qualche accenno e dirò subito che qui nel
nostro Vicariato lo si festeggia nella parrocchia di Isola dedicata a Maria
Ausiliatrice.
Giovanni Melchiorre Bosco, nato a Castelnuovo d'Asti – oggi Castelnuovo Don
Bosco- il 16 agosto del 1815 e morto a Torino il 31 gennaio 1888 è considerato
uno dei santi sociali torinesi più noti.
Presbitero e pedagogo, straordinario
educatore e indimenticabile parroco, nacque in una famiglia contadina
poverissima e a due anni rimase orfano di padre. Sua madre rimase con tre
figli: Giovanni e altri due che il marito aveva avuti dalla prima moglie e la
suocera anziana e inferma. Anni difficili, fame e epidemie ma Giovanni cresceva
robusto e intelligente, purtroppo avversato dal fratellastro Antonio che non
voleva farlo studiare. A nove anni ebbe un sogno che
gli indicò la sua strada: vide un gruppo di ragazzi che si picchiavano tra urla
e bestemmie. Lui si lanciò tra loro a pugni tesi urlando per cercare di
dividerli ma fu fermato da un giovane avvolto da un fascio di luce che gli disse:”
Io sono il figlio di Colei che tua madre ti ha insegnato a salutare almeno tre
volte al giorno. Poi gli spiegò che non con le percosse, le ingiurie e la
rabbia si educano i giovani ma con la mansuetudine e la carità. “Dovrai
guadagnarti questi ragazzi per farli diventare tuoi amici, istruiscili sulla
bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù”. Poi Giovanni vide la
Madonna circondata da bestie feroci ma ecco le bestie feroci trasformarsi in
agnelli e capretti. “Ecco questo è il campo nel quale dovrai lavorare, renditi
umile, forte e robusto” e, posandogli la mano sul capo concluse:” A suo tempo
capirai.” Da allora Giovanni alla domenica dopo i vespri incominciò a riunire tutti i
suoi compagni, divenne per loro un
apostolo in grado di affascinarli con il gioco e la sua gioiosa compagnia,
imparò anche l'arte del giocoliere pur di tenerli legati a se in modo di farli
crescere nella fede con la preghiera. Nonostante le difficoltà riuscì a
diventare sacerdote nel 1841. Fu un Santo prete plasmato secondo il cuore di
Dio. Vissuto nel XIX secolo e diventato famoso per la sua opera a favore della
gioventù povera e abbandonata di Torino e dintorni, in un periodo difficile di
profonde trasformazioni sociali e politiche. Grande era la miseria allora, bambini di sette o otto anni che facevano gli
spazzacamini. Giovani appena adolescenti che finivano in galera, e si può
immaginare che razza di galera, e nessuno si occupava più di loro. Don Bosco
combatté contro tutto e contro tutti per avvicinarli alla chiesa, dar loro
amore, dignità, istruzione, tutela sul lavoro, insomma una vita tutta dedicata
ai giovani e al loro benessere morale e materiale, il tutto con un metodo
educativo innovativo basato sulla comprensione, l'allegria e la fede. San
Domenico Savio cresciuto vicino a lui disse:” Alla scuola di don Bosco noi
facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell'adempimento
perfetto dei nostri doveri.” Nell'anno in cui divenne
sacerdote, il1841, fondò anche il primo oratorio e di fatto iniziò l'opera che
poi diventò la Società Salesiana fondata nel 1854. Nel 1872, con santa Maria
Domenica Mazzarello fondò l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice che si
sarebbe occupato dell'educazione delle ragazze. Don Bosco scriveva anche
molto, non perché cercasse fama, ma perché aveva la certezza che questa fosse
la volontà divina, scriveva per educare e a gloria di Dio. E' patrono degli
educatori, scolari, giovani, studenti e editori. Insomma tutto ciò che ha a che
fare con l'insegnamento dei giovani. Beatificato da papa Pio XI il 2 giugno 1929 Il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II lo
dichiarò “padre e maestro della gioventù.” Vorrei ancora dire una cosa.
In fondo alla basilica di Maria Ausiliatrice a Torino si trova il dipinto
raffigurante il famoso “Sogno delle due colonne” considerato profetico sul
futuro della Chiesa. In sogno Don Bosco vide una terribile battaglia tra una
grande nave attaccata da una moltitudine di imbarcazioni che stavano per
sopraffarla. La nave, guidata dal papa, si riparò sicura e vittoriosa, fra due
alte colonne emerse dal mare. Queste ultime rappresentano l'Eucarestia,
simboleggiata da una grande ostia con la scritta “Salus credentium”, la seconda
la Madonna, simboleggiata da una statua dell'Immacolata con la scritta
“Auxilium Christianorum”.
San Giovanni Bosco morì a 72 anni di bronchite e venne sepolto nella Basilica
di Maria Ausiliatrice a Torino.
Un augurio di serenità a tutti
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