N° 3 - Marzo 2020
Storie dei lettori
  CANZON D’INVERNO
di Lorenzo Rossi Centori


 

N’à sera d’inverno ka er pù straco che arposo, pasando dal Codtin a sent dir da drentro n’à kà:  - O gh’è ghj’ othj frodati? No ste lì a cinquantar, mushinev, n vdè che la bina la ragn?  Ntl sntir stà parola antica a m ferm a mirar. La gh’er la nea ntl paeso e i lumshin d la kà i barbaghjeon tra l biancoro dì tethj.  Dala finestra s vdeo l fòco shofiar sot’al cannicio e l nonno as’tato nt la scrana chi n sao com mòrs.  La bina la ragnest pù forta, po’ pian e la dish:  -nonna, arcontem n’à fòla. –
-Dopo  - d’arspond la nonna -  mo d’è tardhjo e a doren c’ar.  – Me, so n m’arcontè la fòla a n magn!  - la dish la bina, ngrugnita ntl canton com crosha con tuti.  – O sen capriciosa e n po’, tsoro  - la fa la nonna  - fe la cecia e stem a sntir. Ma dop cena ndè fito a dormir che domatina gh’è la scola. A v’arcontrò la canzon  di sèt fradei.   “Na’olta quand’aer giona me gh’er la fama ntl paeso, la castagna d’ern  poga e i campi i buteon malo. Cuscì la genta d’arcateo i poghi bagaron k d’ao e la ndeo foravia  n cerca d farina, pù la donna che ghj’òmi prché lor i doeon ndar chi ala cava e chi ala carbonara. S’ndeo a pè pr’arsparmiar, i dì dhj’er lunghi e la sera la n’arieon mai pr’arposar. N’olta k’andeo pr farina con me mà a capitestn nt’n paesoluntantra kì monti con la nea. Caminando a ncontrestn’à bina, n po’ pù granda d vò, apontata al cancedo d kà. D’ao ot’anni, com la m dis’, la trecia bionda e ghj’othj cuscì bei chi gh voleon via. A digh: - fighjola, quant’o sen n famighja?    - A san sèt fradei  - d’arspond.    –E dond’ì dhj’en dhj’altri? -  a digh.
- Do dhj’en n maro, do n cità e ntl camposanto kì vishin – d’arspond.   –Vo dishé, bina, che do ghj’en in maro, do in cità e do ntl camposanto e ko sen n sèt. M par nveci ko sen armasi n cink, o n’v  sbaghjré  a contar?  - A san set fradei tra femnae masthj – la nsisteo cola bina con la goshina com quela d n’à fatina – do dhj’arposn kì vshin, nt’n canto sot’al cipreso.  –Ma vò, cara bina, a digh  - o v mòe, la n’è vera? o cant, o fe la capriola, o gh’è fama e seta. Se chi do dhj’en ntl camposanto, d’è thjara ko sen armasi n cink.

-I stan nt’n posto verdo, con tanti fiori d stàda  - la continuest la bina com s la n’m stes a sntir e moendoa pr caminar – ol  podré vder da vò so volé, dhj’en desh pasi da kì. Al dì a vagh a far la calza da lor, e arpèz i vstiti; a m’aset n tera sot’al cipreso e a gh’arcont la fòla. E po’, quand ven sera e d’aria d’ènk tebda, a vagh là con la merenda ntl coroghjolo e a cen con lor. La prima a morir d’è stata la me soreda. D’è stata n leto pù dì, e la sofrìo. Po’ l Signoro i d’à guarita e i d’à porta via. D’è stata sotrata là e quand d’erba la n’er bagnata  me e l me fradedo pù zigo a ndeon a giocar con lé.poi, quand vens la nea e a dhj’arest vosuto giocar con lù, nk l me fradedo i doest partir, e mo ‘ gh sta arento.    –E quanti, adora, o sen armasi – digh –se kì do dhj’en n paradiso?   _A san sèt fradei  - dish la bina maravighjata  - a san sèt fradei.   –Ma kì do dhj’en morti  - digh  -  dhj’en do angioli ncielo, i n stan pù kì.   _ La n’è vera, a san sèt  - la disheo la bina alontanandos – a san sèt fradei.   E cuscì dishendo la sparist dreto al cancedo e a nd’arvid pù.”
Quand la nonna d’est fnito d’arcontar pr’n po’ nishun fiatest, s sntìo solo i ciochi shofiar e la pignata bodhjr al fòco. Dop n po’:  -Nonna  - la dish la bina capriciosa con ghj’othj blushkenti  - vò scì ko la sé arcontar la storia bela. Stanota a vorei shombiar cola bina dai ricioli d’oro d col biancòro chi pareo confondr l tempo e la m’moria s sntio i bin ciamptar nt la nea e la mà thjamar pr la merenda. A m’aviest nvers kà, e l rumoro d la nea sot’ì pé i m fest nir fama: i m spteon i cian caldi e l casho dì pastori.

   CANZONE D’INVERNO

Una sera d’inverno che ero più stanco che riposato, passando dal Collettino sento dire dall’interno di una casa:  - Siete orbo? Non state lì impalato, muovetevi, non vedete che la bambina piange?  Sentendo queste parole antiche mi fermo a guardare dalla finestra. C’era la neve in paese ed i lumicini delle case luccicavano tra il biancore dei tetti. Dalla finestra si vedeva il fuoco scoppiettare sotto l’essicatoio ed il nonno seduto nella panca che non sapeva come muoversi. La bimba si mise a piangere più forte, poi piano e dice: -Nonna, raccontami una favola.  _Dopo, - risponde la nonna –  ora è tardi e dobbiamo cenare.  – Se non mi raccontate la favola io non mangio  -  dice la bimba, rannicchiata nel cantuccio come se fosse imbronciata con tutti.  _ Siete proprio capricciosa, tesoro,  - dice la nonna -  sedetevi e statemi a sentire. Ma dopo cena subito a dormire che domattina c’è la scuola. Vi racconterò la canzone dei sette fratelli.
“ Un tempo quand’ero giovane io  c’era la fame in paese, le castagne erano poche ed i campi non producevano abbastanza. Così la gente raccoglieva i pochi soldi che aveva e andava in cerca di farina, più le donne che gli uomini perché loro dovevano andare chi alla cava e chi alla carbonaia. Andavamo a piedi per risparmiare, le giornate erano lunghe e la sera non arrivava mai per riposare. Una volta che andavo per farina con mia mamma capitammo in un paese lontano tra quei monti con la neve. Camminando incontrai una bambina, un po’ più grande di voi, appoggiata al cancello di casa. Aveva otto anni, come mi disse, le trecce bionbe e gli occhi così belli che volavano via. Dico: -Figliola, quanti siete in famiglia?
-Siamo sette fratelli -  risponde.  – E dove sono gli altri? – dico.  – Due sono in mare, due in città e due ne camposanto.  – risponde.  – Voi dite, bimba, che due sono in mare, due in città e due sono morti, e siete in sette. Mi sembra invece che siate rimasti in cinque. Non vi sbaglierete a contare?  - Siamo sette fratelli tra femmine e maschi – insisteva la bambina con una vocina come quella di una fatina – due riposano qui vicino, in un angolo sotto al cipresso.  _ Ma voi, cara bambina  - dico -  vi muovete è vero? Cantate, fate le capriole, avete fame e sete. Se quei due riposano nel camposanto è chiaro che siete rimasti in cinque.

-Stanno in un posto verde, con tanti fiori d’estate – continuò la bambina come se non mi stesse a sentire, e muovendosi come per camminare – potrete vederlo se volete, sono dieci passi da qui. Al giorno vado là a fare la maglia e rammendare i vestiti. Mi siedo in terra sott’al cipresso e gli racconto le favole. Poi, quando viene sera e l’aria è ancora tiepida, vado là con la cena e ceno con loro. La prima a morire è stata mia sorella. E’ stata a letto parecchi giorni e soffriva. Poi, il Signore l’ha guarita e l’ha portata via. E’ stata seppellita là, e quando l’erba non era bagnata io e mio fratello più piccolo andavamo a giocare con lei. Poi quando venne la neve e avrei voluto giocare con lui, anche mio fratello dovette partire e ora le stà accanto.
-E quanti allora siete rimasti  -  dico  - se quei due sono in paradiso?

-Siamo sette fratelli  - dice la bimba meravigliata – siamo sette fratelli.  – Ma quei due sono morti  - dico-sono due angeli in paradiso, non stanno più qui.  – Non è vero, siamo sette – diceva la bambina allontanandosi – siamo sette fratelli.  E così dicendo sparì dietro al cancello e non la rividi più.”
Quando la nonna ebbe finito di raccontare  per un po’ ci fu silenzio, si sentiva solo il fuoco scoppiettare  e la pentola bollire. Dopo un po’ : - Nonna  -- dice la bambina capricciosa con le lacrime agli occhi  -- voi sì che sapete raccontare le storie belle. Questa notte vorrei sognare quella bambina dai ricciolo d’oro di quel paese lontano.   Fuori la neve fioccava vicino e lontano, ed in quel biancore che sembrava confondere il tempo e la memoria si sentivano i bambini giocare nella neve e le mamme chiamare per la cena.

Mi avviai verso casa, ed il rumore della neve sotto i piedi mi fece venire fame: mi aspettavano i cian caldi ed il formaggio dei pastori.


  LE GRAFFIATURE
di Antonio Ratti


       

    L’IMMOBILISMO   

Ho trovato per caso  -- ricordarmi tutto non basterebbe la capacità del server del Pentagono ! -- ciò che scrivevo 10 anni orsono. Merita riproporlo nella speranza, molto tenue, che qualcuno degli addetti ai lavori voglia almeno leggerlo. Forse potrebbe essere un aiuto per iniziare un’analisi onesta su dati di fatto incontrovertibili, rifiutando l’idea che il Fato sia avverso e che così va il mondo. Ho la provata sensazione che ogni anno si ripetano sempre le stesse iniziative, preoccupati di farle  e non di valutarne i risultati. Tre esempi. Ricordo Walter quando mi parlava del grande pullman Lorenzini pieno di fedeli per i pellegrinaggi mensili, oggi siamo ridotti ai pulmini parrocchiali. Da quel che mi risulta non sono solo gli ortonovo-lunensi ad essersi un po’ stancati, ma anche la stragrande maggioranza dei sacerdoti, se consideriamo le scarse presenze e di conseguenza quelle dei loro parrocchiani.
Ho dinnanzi a me due Calendari pastorali ( anni 18/19 e 19/20 ) che riportano le iniziative e le proposte parrocchiali, vicariali e diocesane: sono perfettamente sovrapponibili e identici a dimostrazione che l’impegno principale è palesemente l’aspetto estetico-artistico e la maniacale  precisione coloristica nell’ evidenziare le varie attività. Per i bambini, i ragazzi e i giovani sono presenti solo le date delle confessioni pre-prima comunione e pre-cresima, oltre all’Adorazione Eucaristica periodica animata dall’oratorio che non c’è. Di formazione religiosa permanente il vuoto assoluto come fosse un elemento irrilevante o di pertinenza di altri non identificabili. Preparare un incontro vicariale per i ragazzi e i  giovani con la presenza del Vescovo e non avere nessuno della propria parrocchia non importa, ciò che conta è poter dire “fatto” e porre la classica croce  sul Calendario pastorale. Immagino la soddisfazione dell’autorevole autore ogni qual volta può fare la croce per indicare “fatto”. Perché non analizzare i risultati? Perché non cercare approcci nuovi?   Sono domande impertinenti che non meritano risposta. Ma fanno di me un rompiscatole da emarginare ed emarginato. E nessuno si fa premura di spiegarmi che sono fuori rotta e perché. Tutto questo e quello scritto nel 2010, a mio parere, si chiama esegesi del “comodo immobilismo conservatore “ di “burocrati funzionari del sacro” come con dolore ripete papa Francesco.    

                   Analisi per capire il valore dell’educare alla fede

In ambito ecclesiale si fa un gran parlare di pastorali (es, giovanile, della famiglia, della comunicazione, dei migranti, ecc.ecc.) e di catechesi; è tutto un apparente fiorire di iniziative che, per me, danno per scontato ciò che scontato non è: l’interesse da parte di coloro cui tutto questo teorico lavorio vorrebbe essere destinato. Perché una qualsiasi iniziativa abbia una qualche probabilità di successo sono insostituibili, per la loro essenzialità, la disponibilità degli interlocutori a riconoscersi e la capacità di ascoltarsi. In aggiunta a questi due elementi è condizione “sine qua non”, che colui, che è il destinatario, si ponga il problema esistenziale, più volte ribadito da Benedetto XVI: chi sono e a cosa sono destinato? Per coloro che si sentono soddisfatti del loro non cercare la verità della vita, non c’è pastorale o catechesi che tengano: l’indifferenza e la risposta negativa alla sollecitazione sono l’atteggiamento che non si può non aspettare.   In questi giorni di gennaio i negozi e le attività commerciali sono in manifesta agitazione per i saldi.  Cosa sono? Un palese tentativo di far nascere nel cliente indifferente (ovvero, che finora non ha sentito alcuna necessità) il forte bisogno di un acquisto: tra i possibili, il vantaggio economico, come insegna l’esperienza, può rivelarsi l’elemento determinante. Questa incursione nel marketing mi serve a sottolineare che occorre, prima di tutto, cercare e trovare metodi di lavoro atti a richiamare l’attenzione dei lontani sull’essenza della vita e del suo intrinseco valore, che non è stato mai così basso come in questi tempi. Gli evidenti segni di secolarizzazione e scristianizzazione devono porci di fronte alla realtà per analizzarne le origini e studiare possibili medicine: agli europei, italiani inclusi, non interessa rimarcare le evidenti origini cristiane della società, della cultura, della democrazia, dei valori etici. La ragione è chiara: la fede nel trascendente e le regole che ne discendono non sono più ritenute prioritarie per dare una giustificazione, un filo logico e un significato all’esistenza. Quindi è un predicare nel deserto con le metodiche e il tran tran tradizionali, anzi, spesso, sono controproducenti. Se queste considerazioni hanno un succo, la conclusione appare scontata: come il venditore, a qualunque livello appartenga, sa che la vendita comincia quando il cliente ha detto no, perché questo è il punto di riferimento da cui partire per tentare di instaurare un dialogo coerente e rigoroso che potrà convertire il no in un sì convinto, così ogni cristiano, a qualunque livello, davanti al rifiuto da indifferenza, deve provare a scovare la chiave per aprire un dialogo che miri a far trovare vivo interesse là dove c’è disinteresse da non conoscenza, o, peggio, da parziale e distorta conoscenza.  Gesù ai suoi miracolati non chiede mai “ sei contento?”, ma afferma cose che mettono i presenti nel pensatoio: “va, ti sono rimessi i tuoi peccati” oppure “la tua fede ti ha salvato”. Chi è costui che può asserire e fare simili cose? s’interrogavano in tanti, spianandosi la strada alla conversione. Nella speranza di essermi fatto capire senza distorsioni, né comportamenti saccenti, ritengo che prima di catechesi, pastorali e catechismi, occorra suscitare il bisogno di avere una fede, cioè è necessario porre il ragazzo, il giovane e l’adulto nelle condizioni razionali (la ragione e la conoscenza aiutano la fede, dice il Papa Benedetto) e psicologiche di accedere alla fede come insostituibile bisogno (anche egoistico, purchè sia sano egoismo = amor proprio) di dare una levatura alla vita che trascenda l’umano quotidiano. Altrimenti corriamo, e il più delle volte è così, il rischio di fare un forzoso nozionismo appiccicaticcio e senza futuro di un’ora alla settimana per 6 anni ( catechismo ).  La chiave di tutto sta nell’individuare la capacità di portare gl’indifferenti a conseguire  la giusta evidenza di un principio che è un valore non negoziabile: vivere senza un progetto di futuro eterno è solo un vegetare che svilisce la dignità che il Progettista-Creatore ci ha messo a disposizione. Occorrono idee e strumenti di comunicazione e dialogo permanenti che sappiano scuotere l’apatia, la disinformazione, l’ostilità preconcetta di chi, spesso, non vuole sentire parlare di fede o del valore trascendente della vita nel timore, se coinvolto, di dover ammettere che, forse, è in errore. Quando queste, per me, ovvie fondamenta avranno trovato la loro solidità, allora il gioco è quasi fatto: catechesi, catechismi e pastorali potranno trovare accoglienza convinta e la voglia della ricerca non si arresterà più. E’ ancora fresco il ricordo dei Magi, misteriosi personaggi di altissimo lignaggio, che sentono l’irrefrenabile bisogno di dare compiutezza alla loro sapienza elevandola a saggezza; così partono da terre lontane alla ricerca, che non è al buio, di quel “qualcosa” che sentono mancare alla loro pur importante esistenza. E il bisogno trova il suo premio davanti alla grotta di Betlemme. L’esigenza di dare un senso compiuto al proprio esistere è la molla del cercare, quindi il primo contributo da fornire è aiutare ad uscire dall’indifferenza stagnante, se non ostile. Il compito è arduo, ma è il solo possibile nell’azione missionaria, dovere primario di ogni credente. Qualcosa che mi aveva fatto  sperare è stata la “sfida educativa” del vescovo Moraglia, ma temo che siano ben pochi a ricordarsela e, peggio, ad avere capito il significato del progetto a lungo termine: difatti, dopo la frenetica giornata  d’incontro nel salone Fanelli, è entrata rapidamente nella sfera dell’oblio. Tutt’al più se ne festeggerà qualche  compleanno ad aprile per poi continuare come prima a crogiolarsi nello sterile tran tran. 


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  LA SHOAH
di Mila


  

Oggi è il giorno del ricordo, il ricordo di quello che avrebbe dovuto essere lo sterminio degli ebrei e di tutta la loro tragica e dolorosa persecuzione, la Shoah. Veramente shoah non significa ricordo e neanche deportazione, è una parola, così ho letto, scritta nella Bibbia dal profeta Isaia e significa: “tempesta devastante” . Diciamo che è stata peggio di una tempesta devastante, non solo per loro ma anche per tanti che hanno vissuto quella tragedia anche se solo marginalmente. Io avevo solo sei anni quando vidi quelle foto, che oggi sono apparse in televisione e che non sono riuscita a guardare, appiccicate su di una bacheca in piazza nel mio paese. Non le potrò mai dimenticare e ancora oggi il loro ricordo suscita in me una grande angoscia. Però, con tutto il rispetto per questa immane e terrificante vicenda, non posso fare a meno di pensare a tante altre terribili tragedie successe durante e soprattutto alla fine della guerra e a quante ne succedono tuttora e tutte dovute alla crudeltà e alla cattiveria degli uomini e mi domando ma perché? Eppure c'è stato un Uomo, proprio un Ebreo, diceva di essere figlio di Dio, quest'uomo è stato messo in croce perché predicava l'amore. Ai dieci comandamenti che Dio diede a Mosè ne ha aggiunto uno che dice: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Amerai il prossimo tuo come te stesso. Basterebbe osservare questo Comandamento e tutte le cattiverie sparirebbero dal mondo, ma noi   Lo ascoltiamo mai?

 


  Tonina Masanello, la guerriera di Garibaldi
di Romano Parodi



Dopo l’eroina dei Mille, Rosalia Montmasson, cancellata dalla storia per volere dell’ex marito Francesco Crispi e poi dal suo discepolo e mentore Benito Mussolini, ci fu un’altra donna che partì da Genova subito dopo i mille. La padovana Tonina Masanello, che, affidata la figlioletta ai parenti, travestendosi da uomo, segui il marito spacciandosi per suo fratello.
Subito dopo l’impresa; consegnata l’Italia ai Savoia, si trasferì a Firenze con marito e figlia, ma morì presto, consumata dalla tubercolosi “acquistata nelle fatiche della guerra”. Era il 20 maggio del 1862, non aveva ancora 29 anni. Al suo funerale c’era una folla di garibaldini giunti da tutta Italia.

          Lo “ZENZERO”: “..Sapete di chi era quella bara che ieri avete portato all’ultima dimora? Una vivandiera garibaldina? No! Combatté come un leone nella sanguinosa battaglia di Milazzo e poi fino al Volturno”. Garibaldi stesso la promosse caporale. Sembra che fosse uno dei primi ad accorgersi che era una donna, perché nel furore di un attacco gli cadde il capello. Al suo funerale c’era anche uno dei poeti più amati del Risorgimento: Francesco Dell’Ongaro, che scrisse una struggente poesia, musicata in seguito da Carlo Castoldi, e molto popolare nei primi anni a seguire :

 

L'abbiam deposta, la garibaldina
all'ombra della torre di San Miniato
colla faccia rivolta a la marina
perché pensi a Venezia e al lido amato.
Era bella, era bionda, era piccina,
ma avea cuor da leone e da soldato!
E se non fosse ch'era nata donna,
porteria le spalline e non la gonna,
e poserebbe sul funereo letto
colla medaglia del valor sul petto.
Ma che fa la medaglia e tutto il resto?
Pugnò con Garibaldi e basti questo!

 

          I versi vennero incisi sulla lapide. Di Tonina ne parlarono anche i giornali esteri, anche in America (“an italian heroin”), fra realtà e leggenda. Era ritratta con fucile e baionetta in canna, lanciata all’attacco. Nel suo paese natio Montemerlo Cervarese Santa Croce, Padova, sculture e lapidi:

Fra i tanti eroi della nostra storia/
 registrar dovemo la Masenela/
 par conservar viva la memoria/
de sta gueriera dona, forte e bela;/
 sui campi de bataglia tanta gloria/
e tanto onor l’à vudo, e come stela/
 la sluse in alto, su nel firmamento/
questa eroina del Risorgimento...
.”

 Su di lei furono dati alla stampa ben cinque libri. L’ultimo di Alberto Aspen: “Da Montemerlo al Volturno”, con la prefazione di Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze.
Quindi, non solo gentiluomini e ufficiali s’infiammarono per aggregarsi a quella fiumana umana che da tutta Italia e dall’estero (A. Dumas padre*, F. Engels* e tanti giornalisti) raggiunse la Sicilia per vestire la camicia rossa (ben 35mila), ma anche la nostra Tonina. Alla battaglia di Milazzo, seconda dopo Calatafimi, erano già oltre cinquemila. Scrive Cesare Abba, presente: «Quando giunse il Generale, fu proprio un delirio… non si vedevano che braccia alzate e armi brandite; chi giurava, chi s’inginocchiava, chi benediceva… Il popolo vede lui e piglia fuoco; magia dell’aspetto o del nome..., non si conosce che lui…” E’ proprio alla vigilia di Milazzo, che fra i volontari, circolava la celeberrima frase di Garibaldi a Calatafimi:

“Nino: qui si fa l’Italia o si muore”, rivolta a Bixio che consigliava di ritirarsi. (A Calatafimi i garibaldini erano in numero molto inferiori ai borbonici (1 a 10); ai mille si erano aggiunti poco più di 500 contadini male armati, ingaggiati dal patriota siciliano Rosolino Pilo, morto proprio a Calatafimi (è Pilo che convinse Garibaldi all’impresa).  La Battaglia di Calatafimi è un enigma ancora irrisolto: sono stati i tradimenti nelle alte sfere borboniche o il valore delle camice rosse a vincere? Perché fu una vittoria senza gloria?)
Antonia Masanello era donna, di modesta estrazione sociale, innamorata di Mazzini, “l’Apostolo del Risorgimento”. Stando ai dati essenziali annotati nei registri dell’esercito meridionale di Garibaldi, si arruolò col nome di Antonio Marinello, e raggiunse i mille a Salemi, subito dopo la battaglia di Calatafimi, proprio la vigilia della battaglia di Milazzo.

Allorché decise di partecipare alla spedizione, viveva a Modena, perché, già sorvegliata dalla polizia asburgica come sovversiva, aveva preferito, assieme all’uomo che amava, Bartolomeo Marinello e alla figlioletta, l’esilio.

 

* Dumas, amico personale di Garibaldi, raggiunse la Sicilia col suo Yacht carico di fucili. Nella città partenopea, ad impresa ultimata, Garibaldi, a quel tempo Dittatore, lo nomina Conservatore dei musei e lì dirige per quattro anni il giornale L’Indipendente, il cui titolo si deve allo stesso Garibaldi.

* Engels, amico dei figli Ricciotti e Menotti, fu un gran sostenitore dell’impresa, cosi, come Marx e Bakunin: “Si tratta di una delle più stupefacenti e leggendarie imprese militari del nostro secolo”  

  Caro Papa Francesco
di Adele




Luni, 10 Dicembre 2019

Caro Papa Francesco,

Anche quest’anno ti scrivo per farti gli auguri di Buon Compleanno, perché io e te festeggiamo il compleanno il solito giorno!
Ti faccio anche gli auguri di Buon Natale da me e dai miei fratelli Emma e Gianmaria, mia mamma Elena e mio babbo Gabriele.

Io prego sempre per te

                                                                               ciao  Adele

 

 

 

Segreteria di Stato  

Dal Vaticano, Natale 2019

Capodanno 2020

Prima Sezione- Affari Generali

 

       N° 474.251   

 

Papa Francesco ha accolto con piacere l'affettuoso messaggio augurale che Gli hai inviato in occasione delle Festività Natalizie e delle Sue ricorrenze personali.  Grato per il delicato pensiero, il Santo Padre invita a contemplare nel presepe il Dio che si è fatto bambino per dirci, attraverso la sua piccolezza e il suo sorriso, quanto è grande il suo amore per ogni uomo e, mentre invoca i doni di pace e di amore che Egli ha portato nel mondo per riempire il nostro cuore di una grande gioia, ti affida, insieme ai tuoi cari, alla celeste protezione della Santa Famiglia di Nazareth e di cuore imparte la Benedizione Apostolica.

                                                                     Mons. L. Roberto Cona

                                                                               Assessore

  S. ANTONIO ABATE
di Enzo Mazzini



 

Festa solenne oggi all'Annunziata in onore del Patrono, S. Antonio Abate.
Il diacono Agostino Antognetti dedica, encomiabilmente, tutte le sue energie per fare di questa Casa di Dio un vero gioiello e cura anche i minimi particolari per solennizzare le funzioni religiose.
Oggi, ricorrendo la festa patronale, la chiesa è veramente stipata di fedeli provenienti anche dalle altre parrocchie del nostro Comune e dei territori limitrofi. Anche i parroci del Vicariato di Luni sono presenti al gran completo per dar vita ad una Santa Messa davvero meravigliosa e ad essi si sono uniti Don Romano, che offre sempre, con tanta generosità, la sua preziosa collaborazione e Padre Amil. È presente anche il diacono Agostino Cavirani che, come sempre, si dà un gran da fare.
Anch'io sono stato pregato da Agostino di accompagnare all'organo i canti dei fedeli e, come ogni anno, sono ben felice di rispondere a questo invito, insieme a Federico, a Vasco ed a Rita, che sono sempre presenti per unirsi, nei canti, agli altri fedeli.
Come sempre, è stata eseguita una bellissima "Messa De Angelis”, arricchita da altri canti tradizionali.
Molto profonda l'omelia di Padre Amil che, dopo aver ricordato il Natale appena trascorso, ha sottolineato l'importanza della odierna ricorrenza del Patrono S. Antonio Abate. Ha quindi richiamato la prima lettura, tratta dal primo libro di Samuele che esorta il popolo di Dio ad operare secondo giustizia, in onore del nostro Signore, invitandoci a seguire questi insegnamenti, volti ad operare secondo giustizia in onore di nostro Signore, come ci insegna S. Antonio Abate, il nostro Patrono, che è stato un grande testimone dell'amore a Dio ed ora ci è vicino e ci aiuta ad aprire i nostri cuori.
Antonio era figlio di ricchi agricoltori e, rimasto presto orfano (non aveva ancora vent'anni) e con una sorella ancora più giovane da accudire, ben presto sentì il richiamo evangelico: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri”. E questo fece Antonio: va, vende tutto quello che possiede e dona tutto il ricavato ai poveri e, dopo aver affidato la sorella ad una comunità femminile, si ritira nel deserto, vivendo in preghiera, povertà e castità.
Fu anche il fondatore del monachesimo cristiano ed il primo degli abati. È lui infatti il primo a costituire, in forma permanente, delle famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, "abbà", si consacrarono al servizio di Dio.
Seguendo l'esempio di S. Antonio, anche noi dobbiamo vivere con spirito di fraternità, sempre pronti al nostro perdono, seguendo l'esempio di Gesù ed ascoltando la parola di Dio ogni giorno. L'omelia termina con l'esortazione a chiedere l'intercessione di Maria, la nostra Madre Celeste.
La bellissima Santa Messa si conclude con un accorato ringraziamento di Agostino, rivolto ai sacerdoti ed al diacono Agostino Cavirani che, con la loro preziosa presenza, hanno dato vita ad una cerimonia davvero solenne ed intensa. Visibilmente commosso, ma dimostrando una perfetta padronanza fisica e mentale che fanno onore ai suoi novant'anni, ringrazia tutti i presenti che hanno partecipato a questa bellissima cerimonia. Ma, a dispetto della ostentata padronanza di sé, lo tradisce un velo di malcelata malinconia: sicuramente il suo pensiero ed il suo cuore sono volati verso un angelo del Paradiso che da lassù veglia costantemente su di lui. La sua adorata Aldemara il 28 gennaio 2014 si è infatti staccata da lui, dai suoi cari e da tutti noi per andare a prepararci un posto nell'eterno Paradiso. Gli Angeli volano in cielo, ma il profumo che lasciano su questa terra rimane a spronarci per unirci a loro nell'eterna felicità.
Prende quindi la parola Padre Mario per ringraziare, a nome dell'intera comunità, Agostino per l'impegno continuo e per la totale dedizione al servizio della Parrocchia.


  Verdi Speranze per questo nuovo anno 2020
di Marta



 

Il 2020 sia per tutti noi proficuo, laborioso e felice. L'anno 2020 è PALINDROMO. Si può leggere in due sensi, inoltre è anche bisestile, ha febbraio con i suoi 29 giorni. Febbraio ha anche un altro motivo per essere ricordato perché in questo mese ci sono quattro domeniche, quattro lunedì, quattro martedì, quattro mercoledì, quattro giovedì, quattro venerdì, quattro sabato  e questo avvenimento succede ogni 800 anni. Ci sono persone scaramantiche che fanno gli scongiuri per l'anno bisestile, che porta sfortuna!!! Noi non siamo superstiziosi ma certi di riuscire a superare tutti i nostri intoppi con forza, caparbietà e fiducia in noi stessi. Certo, non è facile, specialmente quando, come in questi primi giorni di Gennaio siamo stati sconvolti con i venti di Guerra Mondiale. In un martoriato Oriente, una Cina armata fino ai denti, con una Russia pronta al balzo e un'America nervosa.
Basta poco per accendere una scintilla. Credo che tra i capi di governo ci siano delle persone con giudizio e lotteranno contro questo cancro della guerra; in questo caso, una guerra mondiale dove non ci sarebbe nessun vincitore ma tutti perdenti. Il primo giorno di Gennaio, è stato il giorno della pace; tutto il mondo prega che ciò avvenga nella semplicità, in eterno. Bisognerebbe pregare per la nostra Madre Terra ammalata a causa di uomini senza scrupoli, ma ambizioni di arricchimento e di potere; uomini che non hanno saputo gestire tutti i veleni e scorie da loro create, lasciandole nel suolo all'intemperie del tempo nel nostro pianeta! Ci siamo ammalati tutti anche per loro non vi è scampo! Ma soprattutto la nostra Madre Terra che piange! Ci fa vedere la sua agonia con i disgeli dei ghiacciai, con le alluvioni, con terremoti, con incendi come quello australiano. Bravissima la ragazzina svedesi Greta Thunberg, con la sua tenacia ha saputo richiamare l'attenzione degli Stati di tutto il mondo. Per me Greta può essere paragonata all'altra ragazza francese "La pulzella d'Orleans" ovvero Giovanna D'Arco; giovanissima e determinata. Noi abbiamo bisogno di prendere coscienza e sostenere nel nostro piccolo, come Greta, la battaglia contro il consumo della plastica.
Un'altra sciagura si è abbattuta sulla Cina, che come la spada di Damocle, appesa sul capo coinvolge tutta l'umanità. Il Corona virus ha contagiato un numero altissimo di persone, inoltre ci sono state 1400 vittime. In tutto il mondo c'è allerta; tutti insieme uniti per combattere un nemico senza confini. Chissà tutto questo quali conseguenze porterà????

Lunedì 10 Febbraio 2020, nel giorno del ricordo, voglio citare un pensiero di un'altra ragazza divenuta famosa per il suo diario: "Chi è felice farà felice anche gli altri, chi ha coraggio e fiducia non sarà mai sopraffatto dalla sventura. Che bello il fatto che nessuno debba aspettare un momento particolare per iniziare a migliorare il mondo. Non penso a tutta la miseria ma alla bellezza che rimane ancora" di Anna Frank.
Il 2020 è incominciato molto male, ma speriamo che nel proseguire vada sempre a migliorare.

 

Luni, 20.02.2020 Un'altra data storica

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