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CANZON D’INVERNO
di Lorenzo Rossi Centori
N’à sera d’inverno ka er pù straco che arposo, pasando dal
Codtin a sent dir da drentro n’à kà: - O
gh’è ghj’ othj frodati? No ste lì a cinquantar, mushinev, n vdè che la bina la
ragn? Ntl sntir stà parola antica a m
ferm a mirar. La gh’er la nea ntl paeso e i lumshin d la kà i barbaghjeon tra l
biancoro dì tethj. Dala finestra s vdeo
l fòco shofiar sot’al cannicio e l nonno as’tato nt la scrana chi n sao com mòrs. La bina la ragnest pù forta, po’ pian e la
dish: -nonna, arcontem n’à fòla. – -Dopo - d’arspond la
nonna - mo d’è tardhjo e a doren
c’ar. – Me, so n m’arcontè la fòla a n
magn! - la dish la bina, ngrugnita ntl
canton com crosha con tuti. – O sen
capriciosa e n po’, tsoro - la fa la
nonna - fe la cecia e stem a sntir. Ma
dop cena ndè fito a dormir che domatina gh’è la scola. A v’arcontrò la
canzon di sèt fradei. “Na’olta quand’aer giona me gh’er la fama
ntl paeso, la castagna d’ern poga e i
campi i buteon malo. Cuscì la genta d’arcateo i poghi bagaron k d’ao e la ndeo
foravia n cerca d farina, pù la donna
che ghj’òmi prché lor i doeon ndar chi ala cava e chi ala carbonara. S’ndeo a
pè pr’arsparmiar, i dì dhj’er lunghi e la sera la n’arieon mai pr’arposar.
N’olta k’andeo pr farina con me mà a capitestn nt’n paesoluntantra kì monti con
la nea. Caminando a ncontrestn’à bina, n po’ pù granda d vò, apontata al
cancedo d kà. D’ao ot’anni, com la m dis’, la trecia bionda e ghj’othj cuscì
bei chi gh voleon via. A digh: - fighjola, quant’o sen n famighja? - A san sèt fradei - d’arspond. –E dond’ì dhj’en dhj’altri? - a digh. - Do dhj’en n maro, do n cità e ntl camposanto kì vishin –
d’arspond. –Vo dishé, bina, che do
ghj’en in maro, do in cità e do ntl camposanto e ko sen n sèt. M par nveci ko
sen armasi n cink, o n’v sbaghjré a contar?
- A san set fradei tra femnae masthj – la nsisteo cola bina con la
goshina com quela d n’à fatina – do dhj’arposn kì vshin, nt’n canto sot’al
cipreso. –Ma vò, cara bina, a digh - o v mòe, la n’è vera? o cant, o fe la
capriola, o gh’è fama e seta. Se chi do dhj’en ntl camposanto, d’è thjara ko
sen armasi n cink. -I stan nt’n posto verdo, con tanti fiori d stàda - la continuest la bina com s la n’m stes a
sntir e moendoa pr caminar – ol podré vder
da vò so volé, dhj’en desh pasi da kì. Al dì a vagh a far la calza da lor, e
arpèz i vstiti; a m’aset n tera sot’al cipreso e a gh’arcont la fòla. E po’,
quand ven sera e d’aria d’ènk tebda, a vagh là con la merenda ntl coroghjolo e
a cen con lor. La prima a morir d’è stata la me soreda. D’è stata n leto pù dì,
e la sofrìo. Po’ l Signoro i d’à guarita e i d’à porta via. D’è stata sotrata
là e quand d’erba la n’er bagnata me e l
me fradedo pù zigo a ndeon a giocar con lé.poi, quand vens la nea e a dhj’arest
vosuto giocar con lù, nk l me fradedo i doest partir, e mo ‘ gh sta
arento. –E quanti, adora, o sen armasi
– digh –se kì do dhj’en n paradiso? _A
san sèt fradei - dish la bina
maravighjata - a san sèt fradei. –Ma kì do dhj’en morti - digh
- dhj’en do angioli ncielo, i n
stan pù kì. _ La n’è vera, a san
sèt - la disheo la bina alontanandos – a
san sèt fradei. E cuscì dishendo la
sparist dreto al cancedo e a nd’arvid pù.” Quand la nonna d’est fnito d’arcontar pr’n po’ nishun
fiatest, s sntìo solo i ciochi shofiar e la pignata bodhjr al fòco. Dop n
po’: -Nonna - la dish la bina capriciosa con ghj’othj
blushkenti - vò scì ko la sé arcontar la
storia bela. Stanota a vorei shombiar cola bina dai ricioli d’oro d col
biancòro chi pareo confondr l tempo e la m’moria s sntio i bin ciamptar nt la
nea e la mà thjamar pr la merenda. A m’aviest nvers kà, e l rumoro d la nea
sot’ì pé i m fest nir fama: i m spteon i cian caldi e l casho dì pastori.
CANZONE D’INVERNO
Una sera d’inverno che ero più stanco che riposato, passando
dal Collettino sento dire dall’interno di una casa: - Siete orbo? Non state lì impalato,
muovetevi, non vedete che la bambina piange?
Sentendo queste parole antiche mi fermo a guardare dalla finestra. C’era
la neve in paese ed i lumicini delle case luccicavano tra il biancore dei
tetti. Dalla finestra si vedeva il fuoco scoppiettare sotto l’essicatoio ed il
nonno seduto nella panca che non sapeva come muoversi. La bimba si mise a
piangere più forte, poi piano e dice: -Nonna, raccontami una favola. _Dopo, - risponde la nonna – ora è tardi e dobbiamo cenare. – Se non mi raccontate la favola io non
mangio -
dice la bimba, rannicchiata nel cantuccio come se fosse imbronciata con
tutti. _ Siete proprio capricciosa,
tesoro, - dice la nonna - sedetevi e statemi a sentire. Ma dopo cena
subito a dormire che domattina c’è la scuola. Vi racconterò la canzone dei
sette fratelli. “ Un tempo quand’ero giovane io c’era la fame in paese, le castagne erano
poche ed i campi non producevano abbastanza. Così la gente raccoglieva i pochi
soldi che aveva e andava in cerca di farina, più le donne che gli uomini perché
loro dovevano andare chi alla cava e chi alla carbonaia. Andavamo a piedi per
risparmiare, le giornate erano lunghe e la sera non arrivava mai per riposare.
Una volta che andavo per farina con mia mamma capitammo in un paese lontano tra
quei monti con la neve. Camminando incontrai una bambina, un po’ più grande di
voi, appoggiata al cancello di casa. Aveva otto anni, come mi disse, le trecce
bionbe e gli occhi così belli che volavano via. Dico: -Figliola, quanti siete
in famiglia? -Siamo sette fratelli -
risponde. – E dove sono gli
altri? – dico. – Due sono in mare, due
in città e due ne camposanto. –
risponde. – Voi dite, bimba, che due
sono in mare, due in città e due sono morti, e siete in sette. Mi sembra invece
che siate rimasti in cinque. Non vi sbaglierete a contare? - Siamo sette fratelli tra femmine e maschi –
insisteva la bambina con una vocina come quella di una fatina – due riposano
qui vicino, in un angolo sotto al cipresso.
_ Ma voi, cara bambina - dico
- vi muovete è vero? Cantate, fate le
capriole, avete fame e sete. Se quei due riposano nel camposanto è chiaro che
siete rimasti in cinque. -Stanno in un posto verde, con tanti fiori d’estate –
continuò la bambina come se non mi stesse a sentire, e muovendosi come per
camminare – potrete vederlo se volete, sono dieci passi da qui. Al giorno vado
là a fare la maglia e rammendare i vestiti. Mi siedo in terra sott’al cipresso
e gli racconto le favole. Poi, quando viene sera e l’aria è ancora tiepida,
vado là con la cena e ceno con loro. La prima a morire è stata mia sorella. E’
stata a letto parecchi giorni e soffriva. Poi, il Signore l’ha guarita e l’ha
portata via. E’ stata seppellita là, e quando l’erba non era bagnata io e mio
fratello più piccolo andavamo a giocare con lei. Poi quando venne la neve e
avrei voluto giocare con lui, anche mio fratello dovette partire e ora le stà accanto. -E quanti allora siete rimasti -
dico - se quei due sono in
paradiso? -Siamo sette fratelli
- dice la bimba meravigliata – siamo sette fratelli. – Ma quei due sono morti - dico-sono due angeli in paradiso, non
stanno più qui. – Non è vero, siamo
sette – diceva la bambina allontanandosi – siamo sette fratelli. E così dicendo sparì dietro al cancello e non
la rividi più.” Quando la nonna ebbe finito di raccontare per un po’ ci fu silenzio, si sentiva solo il
fuoco scoppiettare e la pentola bollire.
Dopo un po’ : - Nonna -- dice la bambina
capricciosa con le lacrime agli occhi --
voi sì che sapete raccontare le storie belle. Questa notte vorrei sognare
quella bambina dai ricciolo d’oro di quel paese lontano. Fuori la neve fioccava vicino e lontano, ed
in quel biancore che sembrava confondere il tempo e la memoria si sentivano i
bambini giocare nella neve e le mamme chiamare per la cena. Mi avviai verso casa, ed il rumore della neve sotto i piedi
mi fece venire fame: mi aspettavano i cian caldi ed il formaggio dei pastori.
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LE GRAFFIATURE
di Antonio Ratti
L’IMMOBILISMO
Ho trovato per caso -- ricordarmi tutto non basterebbe la capacità
del server del Pentagono ! -- ciò che scrivevo 10 anni orsono. Merita riproporlo
nella speranza, molto tenue, che qualcuno degli addetti ai lavori voglia almeno
leggerlo. Forse potrebbe essere un aiuto per iniziare un’analisi onesta su dati
di fatto incontrovertibili, rifiutando l’idea che il Fato sia avverso e che così
va il mondo. Ho la provata sensazione che ogni anno si ripetano sempre le
stesse iniziative, preoccupati di farle
e non di valutarne i risultati. Tre esempi. Ricordo Walter quando mi
parlava del grande pullman Lorenzini pieno di fedeli per i pellegrinaggi mensili,
oggi siamo ridotti ai pulmini parrocchiali. Da quel che mi risulta non sono
solo gli ortonovo-lunensi ad essersi un po’ stancati, ma anche la stragrande
maggioranza dei sacerdoti, se consideriamo le scarse presenze e di conseguenza
quelle dei loro parrocchiani. Ho dinnanzi a me due Calendari pastorali (
anni 18/19 e 19/20 ) che riportano le iniziative e le proposte parrocchiali, vicariali
e diocesane: sono perfettamente sovrapponibili e identici a dimostrazione che
l’impegno principale è palesemente l’aspetto estetico-artistico e la maniacale precisione coloristica nell’ evidenziare le
varie attività. Per i bambini, i ragazzi e i giovani sono presenti solo le date
delle confessioni pre-prima comunione e pre-cresima, oltre all’Adorazione Eucaristica
periodica animata dall’oratorio che non c’è. Di formazione religiosa permanente
il vuoto assoluto come fosse un elemento irrilevante o di pertinenza di altri
non identificabili. Preparare un incontro vicariale per i ragazzi e i giovani con la presenza del Vescovo e non
avere nessuno della propria parrocchia non importa, ciò che conta è poter dire
“fatto” e porre la classica croce sul
Calendario pastorale. Immagino la soddisfazione dell’autorevole autore ogni
qual volta può fare la croce per indicare “fatto”. Perché non analizzare i
risultati? Perché non cercare approcci nuovi?
Sono domande impertinenti che non meritano risposta. Ma fanno di me un
rompiscatole da emarginare ed emarginato. E nessuno si fa premura di spiegarmi
che sono fuori rotta e perché. Tutto questo e quello scritto nel 2010, a mio parere, si chiama
esegesi del “comodo immobilismo conservatore “ di “burocrati funzionari del
sacro” come con dolore ripete papa Francesco.
Analisi per capire il valore dell’educare
alla fede
In ambito ecclesiale si fa un
gran parlare di pastorali (es, giovanile, della famiglia, della comunicazione,
dei migranti, ecc.ecc.) e di catechesi; è tutto un apparente fiorire di
iniziative che, per me, danno per scontato ciò che scontato non è: l’interesse
da parte di coloro cui tutto questo teorico lavorio vorrebbe essere destinato.
Perché una qualsiasi iniziativa abbia una qualche probabilità di successo sono
insostituibili, per la loro essenzialità, la disponibilità degli interlocutori
a riconoscersi e la capacità di ascoltarsi. In aggiunta a questi due elementi è
condizione “sine qua non”, che colui,
che è il destinatario, si ponga il problema esistenziale, più volte ribadito da
Benedetto XVI: chi sono e a cosa sono destinato? Per coloro che si sentono
soddisfatti del loro non cercare la verità della vita, non c’è pastorale o
catechesi che tengano: l’indifferenza e la risposta negativa alla
sollecitazione sono l’atteggiamento che non si può non aspettare. In
questi giorni di gennaio i negozi e le attività commerciali sono in manifesta
agitazione per i saldi. Cosa sono? Un
palese tentativo di far nascere nel cliente indifferente (ovvero, che finora
non ha sentito alcuna necessità) il forte bisogno di un acquisto: tra i
possibili, il vantaggio economico, come insegna l’esperienza, può rivelarsi
l’elemento determinante. Questa incursione nel marketing mi serve a
sottolineare che occorre, prima di tutto, cercare e trovare metodi di lavoro
atti a richiamare l’attenzione dei lontani sull’essenza della vita e del suo
intrinseco valore, che non è stato mai così basso come in questi tempi. Gli
evidenti segni di secolarizzazione e scristianizzazione devono porci di fronte
alla realtà per analizzarne le origini e studiare possibili medicine: agli
europei, italiani inclusi, non interessa rimarcare le evidenti origini
cristiane della società, della cultura, della democrazia, dei valori etici. La
ragione è chiara: la fede nel trascendente e le regole che ne discendono non
sono più ritenute prioritarie per dare una giustificazione, un filo logico e un
significato all’esistenza. Quindi è un predicare nel deserto con le metodiche e
il tran tran tradizionali, anzi, spesso, sono controproducenti. Se queste
considerazioni hanno un succo, la conclusione appare scontata: come il
venditore, a qualunque livello appartenga, sa che la vendita comincia quando il
cliente ha detto no, perché questo è il punto di riferimento da cui partire per
tentare di instaurare un dialogo coerente e rigoroso che potrà convertire il no
in un sì convinto, così ogni cristiano, a qualunque livello, davanti al rifiuto
da indifferenza, deve provare a scovare la chiave per aprire un dialogo che
miri a far trovare vivo interesse là dove c’è disinteresse da non conoscenza,
o, peggio, da parziale e distorta conoscenza. Gesù ai suoi miracolati non chiede mai “ sei contento?”, ma afferma cose che
mettono i presenti nel pensatoio: “va, ti
sono rimessi i tuoi peccati” oppure “la
tua fede ti ha salvato”. Chi è costui che può asserire e fare simili cose?
s’interrogavano in tanti, spianandosi la strada alla conversione. Nella
speranza di essermi fatto capire senza distorsioni, né comportamenti saccenti, ritengo
che prima di catechesi, pastorali e catechismi, occorra suscitare il bisogno di
avere una fede, cioè è necessario porre il ragazzo, il giovane e l’adulto nelle
condizioni razionali (la ragione e la conoscenza aiutano la fede, dice il Papa
Benedetto) e psicologiche di accedere alla fede come insostituibile bisogno (anche
egoistico, purchè sia sano egoismo = amor proprio) di dare una levatura alla
vita che trascenda l’umano quotidiano. Altrimenti corriamo, e il più delle
volte è così, il rischio di fare un forzoso nozionismo appiccicaticcio e senza
futuro di un’ora alla settimana per 6 anni ( catechismo ). La chiave di tutto sta nell’individuare la
capacità di portare gl’indifferenti a conseguire la giusta evidenza di un principio che è un
valore non negoziabile: vivere senza un progetto di futuro eterno è solo un
vegetare che svilisce la dignità che il Progettista-Creatore ci ha messo a
disposizione. Occorrono idee e strumenti di comunicazione e dialogo permanenti che
sappiano scuotere l’apatia, la disinformazione, l’ostilità preconcetta di chi,
spesso, non vuole sentire parlare di fede o del valore trascendente della vita
nel timore, se coinvolto, di dover ammettere che, forse, è in errore. Quando
queste, per me, ovvie fondamenta avranno trovato la loro solidità, allora il
gioco è quasi fatto: catechesi, catechismi e pastorali potranno trovare
accoglienza convinta e la voglia della ricerca non si arresterà più. E’ ancora
fresco il ricordo dei Magi, misteriosi personaggi di altissimo lignaggio, che
sentono l’irrefrenabile bisogno di dare compiutezza alla loro sapienza
elevandola a saggezza; così partono da terre lontane alla ricerca, che non è al
buio, di quel “qualcosa” che sentono mancare alla loro pur importante
esistenza. E il bisogno trova il suo premio davanti alla grotta di Betlemme.
L’esigenza di dare un senso compiuto al proprio esistere è la molla del
cercare, quindi il primo contributo da fornire è aiutare ad uscire
dall’indifferenza stagnante, se non ostile. Il compito è arduo, ma è il solo
possibile nell’azione missionaria, dovere primario di ogni credente. Qualcosa
che mi aveva fatto sperare è stata la
“sfida educativa” del vescovo Moraglia, ma temo che siano ben pochi a
ricordarsela e, peggio, ad avere capito il significato del progetto a lungo
termine: difatti, dopo la frenetica giornata
d’incontro nel salone Fanelli, è entrata rapidamente nella sfera
dell’oblio. Tutt’al più se ne festeggerà qualche compleanno ad aprile per poi continuare come
prima a crogiolarsi nello sterile tran tran.
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LA SHOAH
di Mila
Oggi è il giorno del ricordo,
il ricordo di quello che avrebbe dovuto essere lo sterminio degli ebrei e di
tutta la loro tragica e dolorosa persecuzione, la Shoah. Veramente shoah non
significa ricordo e neanche deportazione, è una parola, così ho letto, scritta
nella Bibbia dal profeta Isaia e significa: “tempesta devastante” . Diciamo che
è stata peggio di una tempesta devastante, non solo per loro ma anche per tanti
che hanno vissuto quella tragedia anche se solo marginalmente. Io avevo solo
sei anni quando vidi quelle foto, che oggi sono apparse in televisione e che
non sono riuscita a guardare, appiccicate su di una bacheca in piazza nel mio
paese. Non le potrò mai dimenticare e ancora oggi il loro ricordo suscita in me
una grande angoscia. Però, con tutto il rispetto per questa immane e
terrificante vicenda, non posso fare a meno di pensare a tante altre terribili
tragedie successe durante e soprattutto alla fine della guerra e a quante ne
succedono tuttora e tutte dovute alla crudeltà e alla cattiveria degli uomini e
mi domando ma perché? Eppure c'è stato un Uomo, proprio un Ebreo, diceva di
essere figlio di Dio, quest'uomo è stato messo in croce perché predicava
l'amore. Ai dieci comandamenti che Dio diede a Mosè ne ha aggiunto uno che dice:
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con
tutta la tua mente. Amerai il prossimo tuo come te stesso. Basterebbe osservare
questo Comandamento e tutte le cattiverie sparirebbero dal mondo, ma noi Lo ascoltiamo mai?
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Tonina Masanello, la guerriera di Garibaldi
di Romano Parodi
Dopo l’eroina dei Mille, Rosalia Montmasson, cancellata
dalla storia per volere dell’ex marito Francesco Crispi e poi dal suo discepolo
e mentore Benito Mussolini, ci fu un’altra donna che partì da Genova subito
dopo i mille. La padovana Tonina Masanello, che, affidata la figlioletta ai
parenti, travestendosi da uomo, segui il marito spacciandosi per suo fratello. Subito dopo l’impresa; consegnata l’Italia ai Savoia, si
trasferì a Firenze con marito e figlia, ma morì presto, consumata dalla
tubercolosi “acquistata nelle fatiche della guerra”. Era il 20 maggio
del 1862, non aveva ancora 29 anni. Al suo funerale c’era una folla di
garibaldini giunti da tutta Italia.
Lo “ZENZERO”: “..Sapete di chi era quella bara che ieri
avete portato all’ultima dimora? Una vivandiera garibaldina? No! Combatté come
un leone nella sanguinosa battaglia di Milazzo e poi fino al Volturno”. Garibaldi
stesso la promosse caporale. Sembra che fosse uno dei primi ad accorgersi che
era una donna, perché nel furore di un attacco gli cadde il capello. Al suo
funerale c’era anche uno dei poeti più amati del Risorgimento: Francesco
Dell’Ongaro, che scrisse una struggente poesia, musicata in seguito da Carlo
Castoldi, e molto popolare nei primi anni a seguire :
L'abbiam deposta, la garibaldina
all'ombra della torre di San Miniato
colla faccia rivolta a la marina
perché pensi a Venezia e al lido amato.
Era bella, era bionda, era piccina,
ma avea cuor da leone e da soldato!
E se non fosse ch'era nata donna,
porteria le spalline e non la gonna,
e poserebbe sul funereo letto
colla medaglia del valor sul petto.
Ma che fa la medaglia e tutto il resto?
Pugnò con Garibaldi e basti questo!
I versi vennero incisi sulla
lapide. Di Tonina ne parlarono anche i giornali esteri, anche in America (“an
italian heroin”), fra realtà e leggenda. Era ritratta con fucile e
baionetta in canna, lanciata all’attacco. Nel suo paese natio Montemerlo
Cervarese Santa Croce, Padova, sculture e lapidi:
“Fra
i tanti eroi della nostra storia/
registrar dovemo la Masenela/
par conservar viva la memoria/
de sta gueriera dona, forte e bela;/
sui campi de bataglia tanta gloria/
e tanto onor l’à vudo, e come stela/
la sluse in alto, su nel firmamento/
questa eroina del Risorgimento....”
Su di lei furono dati alla stampa ben cinque
libri. L’ultimo di Alberto Aspen: “Da Montemerlo al Volturno”, con la
prefazione di Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze. Quindi, non solo gentiluomini e ufficiali s’infiammarono
per aggregarsi a quella fiumana umana che da tutta Italia e dall’estero (A.
Dumas padre*, F. Engels* e tanti giornalisti) raggiunse la Sicilia per vestire
la camicia rossa (ben 35mila), ma anche la nostra Tonina. Alla battaglia di
Milazzo, seconda dopo Calatafimi, erano già oltre cinquemila. Scrive Cesare
Abba, presente: «Quando giunse il Generale, fu proprio un delirio… non si
vedevano che braccia alzate e armi brandite; chi giurava, chi s’inginocchiava,
chi benediceva… Il popolo vede lui e piglia fuoco; magia dell’aspetto o del
nome..., non si conosce che lui…” E’ proprio alla vigilia di Milazzo, che
fra i volontari, circolava la celeberrima frase di Garibaldi a Calatafimi:
“Nino: qui si fa l’Italia o
si muore”, rivolta a Bixio che consigliava di ritirarsi. (A Calatafimi i garibaldini
erano in numero molto inferiori ai borbonici (1 a 10); ai mille si erano
aggiunti poco più di 500 contadini male armati, ingaggiati dal patriota
siciliano Rosolino Pilo, morto proprio a Calatafimi (è Pilo che convinse
Garibaldi all’impresa). La Battaglia di
Calatafimi è un enigma ancora irrisolto: sono stati i tradimenti nelle alte
sfere borboniche o il valore delle camice rosse a vincere? Perché fu una
vittoria senza gloria?) Antonia Masanello era donna, di modesta estrazione sociale,
innamorata di Mazzini, “l’Apostolo del Risorgimento”. Stando ai dati
essenziali annotati nei registri dell’esercito meridionale di Garibaldi, si
arruolò col nome di Antonio Marinello, e raggiunse i mille a Salemi, subito
dopo la battaglia di Calatafimi, proprio la vigilia della battaglia di Milazzo.
Allorché decise di partecipare alla spedizione, viveva a
Modena, perché, già sorvegliata dalla polizia asburgica come sovversiva, aveva
preferito, assieme all’uomo che amava, Bartolomeo Marinello e alla figlioletta,
l’esilio.
*
Dumas, amico personale di Garibaldi, raggiunse la Sicilia col suo Yacht carico
di fucili. Nella città partenopea, ad impresa ultimata, Garibaldi, a quel tempo
Dittatore, lo nomina Conservatore dei musei e lì dirige
per quattro anni il giornale L’Indipendente, il
cui titolo si deve allo stesso Garibaldi.
*
Engels, amico dei figli Ricciotti e Menotti, fu un gran sostenitore
dell’impresa, cosi, come Marx e Bakunin: “Si
tratta di una delle più stupefacenti e leggendarie imprese militari del nostro
secolo”
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Caro Papa Francesco
di Adele
Luni, 10 Dicembre 2019
Caro Papa Francesco,
Anche quest’anno ti scrivo per
farti gli auguri di Buon Compleanno, perché io e te festeggiamo il compleanno
il solito giorno! Ti faccio anche gli auguri di
Buon Natale da me e dai miei fratelli Emma e Gianmaria, mia mamma Elena e mio
babbo Gabriele.
Io prego sempre per te
ciao Adele
Segreteria di Stato
Dal Vaticano, Natale 2019
Capodanno 2020
Prima Sezione- Affari Generali
N° 474.251
Papa Francesco ha accolto con
piacere l'affettuoso messaggio augurale che Gli hai inviato in occasione delle
Festività Natalizie e delle Sue ricorrenze personali. Grato per il delicato pensiero, il Santo
Padre invita a contemplare nel presepe il Dio che si è fatto bambino per dirci,
attraverso la sua piccolezza e il suo sorriso, quanto è grande il suo amore per
ogni uomo e, mentre invoca i doni di pace e di amore che Egli ha portato nel
mondo per riempire il nostro cuore di una grande gioia, ti affida, insieme ai
tuoi cari, alla celeste protezione della Santa Famiglia di Nazareth e di cuore
imparte la Benedizione Apostolica.
Mons.
L. Roberto Cona
Assessore
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S. ANTONIO ABATE
di Enzo Mazzini
Festa solenne oggi all'Annunziata in onore del Patrono, S. Antonio Abate.
Il diacono Agostino Antognetti dedica, encomiabilmente, tutte le sue energie
per fare di questa Casa di Dio un vero gioiello e cura anche i minimi
particolari per solennizzare le funzioni religiose.
Oggi, ricorrendo la festa patronale, la chiesa è veramente stipata di fedeli
provenienti anche dalle altre parrocchie del nostro Comune e dei territori
limitrofi. Anche i parroci del Vicariato di Luni sono presenti al gran completo
per dar vita ad una Santa Messa davvero meravigliosa e ad essi si sono uniti Don
Romano, che offre sempre, con tanta generosità, la sua preziosa collaborazione
e Padre Amil. È presente anche il diacono Agostino Cavirani che, come sempre,
si dà un gran da fare.
Anch'io sono stato pregato da Agostino di accompagnare all'organo i canti dei
fedeli e, come ogni anno, sono ben felice di rispondere a questo invito,
insieme a Federico, a Vasco ed a Rita, che sono sempre presenti per unirsi,
nei canti, agli altri fedeli.
Come sempre, è stata eseguita una bellissima "Messa De Angelis”, arricchita
da altri canti tradizionali.
Molto profonda l'omelia di Padre Amil che, dopo aver ricordato il Natale appena
trascorso, ha sottolineato l'importanza della odierna ricorrenza del Patrono S.
Antonio Abate. Ha quindi richiamato la prima lettura, tratta dal primo libro di
Samuele che esorta il popolo di Dio ad operare secondo giustizia, in onore del
nostro Signore, invitandoci a seguire questi insegnamenti, volti ad operare
secondo giustizia in onore di nostro Signore, come ci insegna S. Antonio Abate,
il nostro Patrono, che è stato un grande testimone dell'amore a Dio ed ora ci è
vicino e ci aiuta ad aprire i nostri cuori.
Antonio era figlio di ricchi agricoltori e, rimasto presto orfano (non aveva
ancora vent'anni) e con una sorella ancora più giovane da accudire, ben presto
sentì il richiamo evangelico: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello
che possiedi e dallo ai poveri”. E questo fece Antonio: va, vende tutto quello
che possiede e dona tutto il ricavato ai poveri e, dopo aver affidato la
sorella ad una comunità femminile, si ritira nel deserto, vivendo in preghiera,
povertà e castità.
Fu anche il fondatore del monachesimo cristiano ed il primo degli abati. È lui
infatti il primo a costituire, in forma permanente, delle famiglie di monaci
che sotto la guida di un padre spirituale, "abbà", si consacrarono al
servizio di Dio.
Seguendo l'esempio di S. Antonio, anche noi dobbiamo vivere con spirito di
fraternità, sempre pronti al nostro perdono, seguendo l'esempio di Gesù ed
ascoltando la parola di Dio ogni giorno. L'omelia termina con l'esortazione a
chiedere l'intercessione di Maria, la nostra Madre Celeste.
La bellissima Santa Messa si conclude con un accorato ringraziamento di
Agostino, rivolto ai sacerdoti ed al diacono Agostino Cavirani che, con la loro
preziosa presenza, hanno dato vita ad una cerimonia davvero solenne ed intensa.
Visibilmente commosso, ma dimostrando una perfetta padronanza fisica e mentale
che fanno onore ai suoi novant'anni, ringrazia tutti i presenti che hanno
partecipato a questa bellissima cerimonia. Ma, a dispetto della ostentata
padronanza di sé, lo tradisce un velo di malcelata malinconia: sicuramente il
suo pensiero ed il suo cuore sono volati verso un angelo del Paradiso che da
lassù veglia costantemente su di lui. La sua adorata Aldemara il 28 gennaio
2014 si è infatti staccata da lui, dai suoi cari e da tutti noi per andare a
prepararci un posto nell'eterno Paradiso. Gli Angeli volano in cielo, ma il
profumo che lasciano su questa terra rimane a spronarci per unirci a loro nell'eterna
felicità.
Prende quindi la parola Padre Mario per ringraziare, a nome dell'intera
comunità, Agostino per l'impegno continuo e per la totale dedizione al servizio
della Parrocchia.
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Verdi Speranze per questo nuovo anno 2020
di Marta
Il 2020 sia per tutti noi proficuo,
laborioso e felice. L'anno 2020 è PALINDROMO. Si può leggere in due sensi,
inoltre è anche bisestile, ha febbraio con i suoi 29 giorni. Febbraio ha anche
un altro motivo per essere ricordato perché in questo mese ci sono quattro
domeniche, quattro lunedì, quattro martedì, quattro mercoledì, quattro giovedì,
quattro venerdì, quattro sabato e questo
avvenimento succede ogni 800 anni. Ci sono persone scaramantiche che fanno gli
scongiuri per l'anno bisestile, che porta sfortuna!!! Noi non siamo
superstiziosi ma certi di riuscire a superare tutti i nostri intoppi con forza,
caparbietà e fiducia in noi stessi. Certo, non è facile, specialmente quando,
come in questi primi giorni di Gennaio siamo stati sconvolti con i venti di
Guerra Mondiale. In un martoriato Oriente, una Cina armata fino ai denti, con
una Russia pronta al balzo e un'America nervosa.
Basta poco per accendere una scintilla. Credo che tra i capi di governo ci
siano delle persone con giudizio e lotteranno contro questo cancro della
guerra; in questo caso, una guerra mondiale dove non ci sarebbe nessun
vincitore ma tutti perdenti. Il primo giorno di Gennaio, è stato il giorno
della pace; tutto il mondo prega che ciò avvenga nella semplicità, in eterno.
Bisognerebbe pregare per la nostra Madre Terra ammalata a causa di uomini senza
scrupoli, ma ambizioni di arricchimento e di potere; uomini che non hanno
saputo gestire tutti i veleni e scorie da loro create, lasciandole nel suolo
all'intemperie del tempo nel nostro pianeta! Ci siamo ammalati tutti anche per
loro non vi è scampo! Ma soprattutto la nostra Madre Terra che piange! Ci fa
vedere la sua agonia con i disgeli dei ghiacciai, con le alluvioni, con
terremoti, con incendi come quello australiano. Bravissima la ragazzina svedesi
Greta Thunberg, con la sua tenacia ha saputo richiamare l'attenzione degli
Stati di tutto il mondo. Per me Greta può essere paragonata all'altra ragazza
francese "La pulzella d'Orleans" ovvero Giovanna D'Arco; giovanissima
e determinata. Noi abbiamo bisogno di prendere coscienza e sostenere nel nostro
piccolo, come Greta, la battaglia contro il consumo della plastica.
Un'altra sciagura si è abbattuta sulla Cina, che come la spada di Damocle,
appesa sul capo coinvolge tutta l'umanità. Il Corona virus ha contagiato un
numero altissimo di persone, inoltre ci sono state 1400 vittime. In tutto il
mondo c'è allerta; tutti insieme uniti per combattere un nemico senza confini.
Chissà tutto questo quali conseguenze porterà????
Lunedì 10 Febbraio 2020, nel
giorno del ricordo, voglio citare un pensiero di un'altra ragazza divenuta
famosa per il suo diario: "Chi è felice farà felice anche gli altri, chi
ha coraggio e fiducia non sarà mai sopraffatto dalla sventura. Che bello il
fatto che nessuno debba aspettare un momento particolare per iniziare a
migliorare il mondo. Non penso a tutta la miseria ma alla bellezza che rimane
ancora" di Anna Frank.
Il 2020 è incominciato molto male, ma speriamo che nel proseguire vada sempre a
migliorare.
Luni, 20.02.2020 Un'altra data storica
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