N° 1 - Gennaio 2020
Storie dei lettori
  Padre Damarco
di Giuseppe Pedroni



In una mail di qualche tempo fa, a proposito della partecipazione ad un convegno su padre Vincenzo Damarco, Gaetano Lettieri mi scriveva che, per via di impegni accademici, familiari e altri, gli era difficile ritagliarsi un paio di giorni per salire ad Aosta ma aggiungeva che la figura di padre  Damarco, “Sacerdote e insegnante che sapeva parlare ai cristiani e non… e la cui vita fu spesa per il rinnovamento della fede nella chiesa sarzanese seguendo l’insegnamento del ConcilioVaticano2”, e l'affetto dimostratogli dagli organizzatori costituivano un grosso stimolo a partecipare Concludeva che comunque era praticamente impossibile rifiutarsi a Paola Gari. 

Gaetano Lettieri è professore ordinario di Storia del Cristianesimo e delle Chiese alla Sapienza di Roma ma anche direttore del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo e infine Accademico Pontificio del Comitato di Scienze Storiche nominato da papa Francesco, avrebbe avuto un sacco di scuse per declinare l'invito ma c'era di mezzo Paola Gari e dunque...
La sua mail mi è venuta in mente perché mi è piuttosto difficile scrivere della giornata dell'undici luglio 2016 e del convegno sulla figura di padre Damarco al quale avevo partecipato, quasi trascinandovi Walter, soltanto perché caldamente invitato da Paola. Mi è difficile perché proprio da quella commemorazione ero partito per ricordare mio fratello in un articolo su questo stesso giornale. Tornare a parlare di quella occasione mi mette in imbarazzo non soltanto perché si tratta di una ripetizione ma soprattutto perché la cosa rimanda a Walter e dunque quello che contava è stato scritto in quell'articolo. Rimane che, si parva licet, come per Gaetano Lettieri, mi è difficile rifiutare una sollecitazione di Paola che, in mancanza di un commento sulla giornata commemorativa del 45°anniversario della morte di padre Damarco del 14 novembre scorso e a cui mi è stato impossibile partecipare, mi ha chiesto un ricordo di quella di tre anni fa. Inoltre se in quell'articolo parlavo di quella giornata e di quanto l'aveva preceduta, oggi posso ricordare come, attraverso quel convegno, abbia potuto stringere delle amicizie che mi sono molto care e delle quali sono davvero onorato. Tra le tante belle persone conosciute in quel convegno, non posso non ricordare Pino Lena che troppo generosamente mi mantiene ancora nel cerchio dei suoi amici. Pino è una forza della natura ed è capace di mettere in relazione le figure più disparate. Laico, laicissimo, dubitante, per usare un eufemismo, è appassionato della figura di padre Damarco e spesso vicino a religiosi nella sua lotta contro le ingiustizie del mondo e a fianco degli esclusi. Ha operato molti anni come volontario nella cooperazione anche in Africa e oggi si occupa soprattutto di aiuto agli immigrati. Vicino al mondo del volontariato anche religioso, Pino è molto impegnato anche con il Museo della Resistenza di Fosdinovo e grazie a lui ho potuto conoscere lo Storico gramsciano Angelo D'Orsi. D'Orsi è una delle maggiori autorità nell’ambito degli studi su Gramsci e non solo ed è professore ordinario presso il Dipartimento di Studi Storici dell'università di Torino. Non è facile farlo muovere da Torino ma, anche grazie all'opera di persuasione di Pino, non passa anno che D'Orsi non intervenga alla manifestazione di Fino al Cuore della Rivolta a Fosdinovo, in genere insieme a Maurizio Maggiani che di Pino è amico intimo da tanti anni, e al geniale Bobo Rondelli. Una volta Pino è riuscito perfino a organizzare un incontro a Roma tra D'Orsi e Lettieri e da allora i due sono rimasti in costante contatto. A quell'incontro ho avuto l'onore di partecipare anch'io; Pino era accompagnato dal caro Giorgio Pellitti, un altro esponente della favolosa banda degli amici di padre Damarco che comprende anche Egidio Banti.

Di Gaetano Lettieri ci sarebbe moltissimo da dire, ricorderò soltanto che allora ebbi il privilegio di passare abbastanza tempo con lui da diventarne in qualche modo amico. Con lui ci siamo visti anche alla Galleria Nazionale d'Arte moderna dove lavora e in altre occasioni. Gli avevo presentato Walter per cui, qualche mese dopo quando mi chiese di lui, gli dissi della sua morte e com'era andata. La cosa lo rattristò molto, mi chiese i numeri de Il Sentiero che lo ricordavano e li ha letti con interesse e, mi ha detto, con commozione. Poco tempo dopo fu il suo turno di parlarmi della precoce scomparsa di sua sorella e il mio di fargli le condoglianze. Un’altra volta che con Gaetano ci siamo trovati a Sarzana è stata in occasione di un convegno interculturale e, in qualche modo, interreligioso, organizzato anche allora dagli amici di padre Damarco, sulle tematiche dell’incontro con l’altro e in particolare con chi è in cerca di un approdo, di un rifugio. Un convegno al quale ha partecipato anche l’imam di Trieste Nader Akkad e che ha avuto un momento particolarmente interessante nell’incontro di Gaetano e Nader con gli studenti delle scuole medie superiori Parentuccelli-Arzelà di Sarzana.  Infine, ma non per importanza, quella commemorazione costituì l'occasione per conoscere don Giovanni Cereti. Anche di lui ci sarebbero pagine da dire; per la grandissima competenza specifica in diritto canonico e non solo, benché ancora giovane, ha svolto un ruolo importante nella preparazione del Concilio Vaticano Secondo. Da allora ha lavorato non senza difficoltà al rinnovamento della chiesa e proprio un libro su quell'argomento è stata l'ultima lettura di cui Walter, durante quella sua ultima estate, mi parlò con entusiasmo.  Per questo fu per me un piacere davvero particolare potergli presentare l'autore.  Ho avuto il piacere e l'onore di andare a trovare don Giovanni altre volte, in via dei Genovesi a Roma, in un chiostro di una bellezza mozzafiato e davvero inaspettata in quella stradina di trastevere. L'ultima volta è stata con mia sorella Oriana e per lei si è trattato di una visita memorabile. Don Giovanni è stato gentile, caloroso e generoso come sempre. Abbiamo ricordato Paola, sua amica dei tempi dell'università a Genova dove entrambi seguivano i corsi di giurisprudenza, e Walter e abbiamo parlato un po' dei temi del concilio che sono ancora di strettissima attualità. Accomiatandoci ci ha riempito di libri. 

L'insegnamento di padre Damarco, come si può evincere anche dal suo commento ai vangeli e quello di don Giovanni Cereti, se da una parte rivelano proprio oggi il loro spirito profetico, hanno, dall'altra, bisogno di essere costantemente ricordati e, in qualche modo, difesi. Tutto questo perché, se per un verso l'insegnamento di papa Francesco sembra proprio volto ad attualizzare lo spirito del Concilio Vaticano Secondo, non si può tuttavia non rilevare come, quello stesso insegnamento, incontri molte resistenze e opposizioni anche aspre.

In questo articoletto ho ricordato alcune figure che mi sono care ma queste pagine vogliono soprattutto essere un omaggio alla persona che ha costituito il tessuto connettore di tutte le esperienze ricordate, un omaggio alla forza trascinante, alla resilienza di Paola.


  LA VENDITRICE
di Marino Bertocci



 Quella signora bionda, elegante ed appariscente, con ai piedi stivali neri dal tacco sottilissimo ed alto. . le cui mani curate tradivano comunque la sua origine, che non poteva essere aristocratica.., benché lei fosse alta e slanciata e le sue unghie , coperte da un generoso strato di smalto, venivano involgarite dal giallo tipico dell’abuso di nicotina , che copriva buona parte del dito indice e medio.
I capelli sciolti e lunghi coprivano, ondeggianti e tinti, quel collo di pelliccia di chissà quale animale su un cappotto di panno leggero dal colore tra il beige ed il marroncino.
Insomma. Voleva darsi un’aria di fascino e di mistero ed, in effetti, ad un primo distratto sguardo. Ci riusciva pure. Ma poi, appena iniziava a parlare, un forte accento dialettale la tradiva ancora una volta…quella sua incapacità di usare i verbi giusti nel giusto contesto, quel congiuntivo assassinato , quel gesticolare continuamente , mettendo bene in evidenza quelle manone puzzolenti di tabacco.., allora stregavano le donne ,  inducevano  in tentazione gli uomini  ed accendevano le prime  fantasie adolescenziali dei bambini ma oggi mi spingerebbero ad un moto di complice tenerezza…Doveva pure campare anche lei!. Onestamente…
Tutta l’aria di mistero che la circondava si scioglieva improvvisamente, non appena rivelava la sua “missione”! Non era una “femme fatale “capitata a disorientare le menti dei poveri provinciali, era semplicemente una giovane donna di bell’aspetto impegnata a vendere anonimi fustini di detersivo per lavatrice, di chissà quale sconosciutissima azienda.
La sua scellerata ansia di venditrice, tuttavia, non reclamizzava le qualità miracolose del detersivo però, tutta la sua arte di piazzista riusciva a catturare l’attenzione delle 10/15 massaie che le sue complici, le due proprietarie del negozio di alimentari, vigliacche, avevano solennemente convocate in quel tardo pomeriggio primaverile, solo ed esclusivamente perché ogni due fustini avrebbero ricevuto in dono ben un ombrello! Meraviglia delle meraviglie! Quando ancora la spesa per un ombrello era considerata roba da “signori” la bionda non prometteva la solita tazza o zuppiera di plastica, non il solito strofinaccio da cucina, non il solito tovagliolo destinato ad una tragica solitudine nel cassetto perché privo della sua tovaglia. Ma un ombrello! Grande, nero, di nylon!

Come resistere alla tentazione?

Infatti tutte le massaie, dopo quel mezzo pomeriggio di imbonimento uscivano fiere da quel negozio con i due fustini di detersivo e con il prezioso ombrello.., del quale si erano affrettate a controllare l’integrità, prima di nuovamente con cura riporlo nella sua nera custodia!

Sarebbero andate a casa e l’avrebbero gelosamente nascosto per non farlo prendere dai bambini e l’avrebbero ripreso solo all’arrivo della pioggia…che presto sarebbe venuta.. (In primavera è frequente che piova) e l’avrebbero esibito con orgoglioso cipiglio, quel prezioso bene, a testimonianza di una recente crescita sociale!

Naturalmente quella bionda visione mai più sarebbe tornata con il suo mirabolante dono. Chissà che fine avrà fatto, lei, i suoi fustini ed i suoi ombrelli.e.chissà se avrà mai smesso di fumare e chissà da dove veniva…piccolo spaccato di una provincia semplice e credulona sparito con lei nell’incertezza dei ricordi ma, tutto sommato. Onesto!

Luni, 13 dicembre 2019


  Rosa Montmasson
di Romano Parodi



 Ho cercato nei libri se fra i volontari garibaldini ci fosse anche l’Abate Antonio Montefiori, come ipotizza un suo lontano parente. Nei mille non c’è, ma non dobbiamo dimenticarci che all’impresa parteciparono 35 mila volontari: solo nella decisiva battaglia del Volturno i garibaldini erano più di 20.000 e c’erano anche cappellani militari).
Ho trovato però un personaggio sconosciuto e affascinante, cancellato dalla storia; prima da Francesco Crispi (fautore di uno stato forte) e poi dal suo successore e discepolo Benito Mussolini. Era una donna, si chiamava Rosalie Montmasson.

Maria Attanasio nel suo ultimo romanzo, “La ragazza di Marsiglia” (Sellerio editore, 2018, pag 386, 15 euro), va sulle tracce di quest’eroina, cancellata dalla memoria collettiva, per restituirle dignità ed esistenza storica.

Fu l’unica donna a ottenere da Garibaldi l’autorizzazione a imbarcarsi nella spedizione dei Mille (anche se ce ne furono altre due raccolte lungo la strada: una, “la guerriera di Garibaldi”, Tonina Masanello, padovana, che si travestì da uomo, e l’altra Colomba  Antonietti Porzi, definita “l’eroina di Foligno” da Garibaldi, morta in combattimento).

Rosalie, fu moglie per 25 anni di Francesco Crispi. La loro storia sentimentale poi finì, e Crispi, grazie al suo grande potere politico, la fece cancellare anche dai suoi diari.

Navigando su internet mi sono imbattuto in un sito che racconta l’inaugurazione di una targa a Firenze: IN QUESTO PALAZZO / ABITO’ CON IL CONSORTE FRANCESCO CRISPI (ai tempi di Firenze capitale)/ ROSE MONTMASSON/ SBARCATA CON I MILLE A MARSALA/ FU LA GENEROSA INFERMIERA ROSALIA/ DELLA GIORNATA DI CALATAFIMI e del Volturno .

Nata in Alta Savoia, allora parte del Regno di Sardegna da una famiglia poverissima, Rosalie Montmasson sapeva leggere, scrivere e fare di conto e si manteneva lavorando come lavandaia e stiratrice. A Marsiglia, nel 1849, incontrò Francesco Crispi, esule dalla Sicilia, dove aveva partecipato alla rivoluzione del 1848. Si rincontreranno a Torino, nacque un grande amore e una passione politica comune: lui era mazziniano e lei lo diventò, anche più di lui. Si sposarono a Malta nel 1854: il matrimonio durerà 25 anni. Nel 1864 Crispi cambiò fede politica e da repubblicano diventò monarchico. Lei rimase repubblicana e continuarono a vivere assieme, ma cominciarono i contrasti di tipo esistenziale e politico. «La storia di Rosalie è la storia di un grande amore e di una grande utopia politica, legata alla militanza mazziniana: le due cose non sono scindibili in lei», spiega Maria Attanasio.  Grazie al lavoro di stiratrice e lavandaia, poté mantenere se stessa e il marito per molto tempo.

Girava l’Europa da sola per consegnare ai vari “fratelli” le lettere e i messaggi di Mazzini, che le voleva bene e aveva fiducia in lei. Lo conobbe a Londra, dove andò a vivere con il marito, dopo l’esilio da Malta. Lei e Crispi erano entrambi grandi seguaci di Mazzini. Si pensava, addirittura, che fossero coinvolti nell’attentato a Napoleone III, anche se Crispi ha sempre negato. Fu amica di Garibaldi; ci sono lettere che lo testimoniano.

Fu una grande protagonista, sia nella cospirazione, sia soprattutto nell’organizzare la spedizione dei Mille. In seguito a un colloquio privato con Garibaldi a Genova, ottenne il consenso a imbarcarsi sul Piemonte.

Non si sa esattamente come convinse il Generale, che aveva dato un ordine tassativo: né mogli, né madri, né volontarie”. Probabilmente ottenne il consenso perché fu tra coloro che avevano costruito la spedizione. All’inizio di aprile infatti fu mandata in Sicilia e a Malta dal marito e da tutto il gruppo che voleva organizzare lo sbarco, per organizzare e raccordare i comitati siciliani e maltesi con quelli della Liguria, e raccogliere soldi per comprare armi. Quindi fu un’attiva protagonista della spedizione.

Il matrimonio di Crispi e Rosalie entrò in crisi perché lui si innamorò di una giovane donna, Lina Barbagallo, che aveva la metà dei suoi anni. Ancora sposato con Rosalie, Crispi organizzò un matrimonio clandestino a Napoli con Lina, che venne scoperto dalla stampa. Scoppiò un grande scandalo.

Crispi rischiava la condanna per bigamia. Ci fu un’istruttoria molto parziale e manipolata, con giudici complici, che egli gestì per via della sua posizione di potere. Il matrimonio con Rosalie fu dichiarato nullo per motivi formali, cioè per mancanza delle pubblicazioni. «Era invece validissimo: ho trovato i documenti a Malta, compresa la dichiarazione di libre consentement del padre», spiega Maria Attanasio.  “Che mascalzone quel Crispi! Bigamo, preferì una aristocratica alla donna che lo aveva seguito e mantenuto per tanti anni. Lei di umili origini, fedele e leale, lo mantenne fino a quando lui non diventò deputato, poi viene mollata per una donna nobile con un ignobile sotterfugio” scrivono i giornale dell’epoca. Perfino la regina Margherita si rifiutò di ricevere il primo ministro: “un mascalzone”, mentre invitò a corte Rosalie.

Mentre i memorialisti successivi alla spedizione dei Mille elogiano Rosalie come un’eroina, tutta la storiografia successiva alla sentenza di annullamento del matrimonio la cancella in ossequio a Crispi, diventato presidente del consiglio. Rosalie fu totalmente rimossa dalla storia, come se non fosse mai esistita, e Crispi si prodigò di cancellare la presenza di Rosalie dai suoi diari precedenti, che furono pubblicati negli anni ‘90. Per Mussolini, che vide in Crispi il suo precursore e mentore, e ne segui le orme politiche e sentimentali, questa vicenda non poteva trapelare, perché avrebbe macchiato non solo la figura di Crispi, ma anche la sua. Quindi dal fascismo in poi scompare di lei ogni minima traccia. 

In età senile però, dopo che si erano separati in modo così duro a causa dell’istruttoria manipolata, Crispi tornò da Rosalie (sentimentalmente).  Infatti, Maria Attanasio, scopre che nel museo di Caltagirone c’è un busto commemorativo dell’eroina dei Mille e uno di Crispi, commissionato dallo stesso Crispi allo scultore Salvatore Grita. Una cosa inattesa. «Grazie a quest’opera ho potuto ricostruire per indizi la seconda parte della vita dell’eroina dei Mille», spiega l’Attanasio, che aveva bisogno di un dato storico dopo la cancellazione iniziata nel 1878.

“La ragazza di Marsiglia” non è solo il romanzo di Rosalie ma è un romanzo corale, che vive di questo respiro di libertà: quello che si è respirato in Italia e a Ortonovo nella seconda metà dell’800.

  L MICIO E L CAVADO
di Lorenzo Rossi Centori


                                                     

N’à sera al tempo d noèna dì morti a ern a veghjo dai nonni.  Ma dop l rosaro l fòco i steo pr morir k ngh’er pù legna da brushar, e pr solito tokeo a noialtri bin ndarla arcatar ntl fondo. Cod’olta però nishun voleo ndargh, n po’ pr voghja, n po’ prché fora i pioeo, ma pù pr la paura ki gh’ern i spirti a sptars.  Cuscì a festn para e pata pr vder ki doeo mòrs.  Ma la storia la s feo lunga, e ntanto l fòco dhj’er  sempr pù mòdo e d’er thjara chi ndeo a morir.
La Palmina pr’n po’ la sta a mirars ntanto k d’artizeo la poga brasha armasa. Po’, straca d sptar, la s’arcont n’ à fòla k la pareo fata aposta  pr noialtri. La fòla disheo cuscì: “N’òmo i ndeo su pr l violo d Fan col micio e l cavado. L micio in porteo la soma e nveci l cavado i ndeo mptito senza gnent n basto.  Ariati n Bolognan l micio, straco d portar tuta cola soma, i dish al cavado:  - A dhj’ò tropa soma n basto, a n pos pù portarla da me, a dhj’o paura d sguidar; porten n po’ nk vò, cuscì a m’alg’ rish la sthjiena e a camin pù spdito.

L cavado, chi pareo l padron dl mondo, i fest uso d no sntirdo e i continuest a trotar.  Ma ariati al Cardeto l micio, che mo dhj’er proprio drocato dala fadiga, i n’est pù la forza d mòr i ciampin, e scapuciando nt’n groto n mez’al violo, lì pr lì i cask n tera morto stchito.  E cusc’ l padron i mis tut la soma n gropa al cavado, e pù i gh mis a cavacin nk la peda dl micio.   E adora l cavado i ncomncest a ragnar: - Oh, me poreto! Che doloro, com’à son dsgraziato.

A nd’ò vosuto aidar cod’altro poreto chi dhj’er sthjenco dala fadiga, e mo m tok portar nk la so peda.”
Finito d’arcontar la Palmina d’artiz col pogo fòco armaso bushiando la brasha con la mòghja, e la dish:  “Miré k n capìt nk’à vò com’à col cavado, k sarei meio aidars da vivi che quand’à san morti a ngh san pù.”

E adora noialtri bin, tuti nsema pr via dì spirti, a ndest’n lesti arcatar la legna.  E arento al fòco, chì pareo vivo da tanto dhj’er bèdo, la Palmina la s’arcontest la fola dl castedo ncantato, ka v’ardirò n’atr’olta.

 

                                  L’ASINO E IL CAVALLO

Una sera al tempo della novena dei morti eravamo a veglio dai nonni. Ma dopo il rosario il fuoco stava per morire perché non c’era più legna, e di solito toccava a noi bimbi andarla a prendere nella legnaia. Quella sera però nessuno voleva andarci. Così facemmo a pari e dispari per decidere chi doveva andare. Ma la contesa si faceva lunga ed intanto il fuoco era sempre più debole e si vedeva che andava a morire.
Per un po’ la Palmina ci sta a guardare, intanto che cercava di mantenere la brace accesa. Poi, stanca di aspettare, ci racconta una favola che sembrava fatta su misura per noi. La favola diceva così: “Un uomo andava su per il sentiero di fano con l’asino ed il cavallo. L’asino portava la soma e invece il cavallo andava impettito senza carico.  Giunti in Bolignano l’asino, stanco di portare tutto quel carico, dice al cavallo: -Ho troppa soma in basto, non posso più portarla da solo, ho paura di scivolare, dividiamola, così mi alleggerisco la schiena e cammino più sicuro.
Il cavallo, che sembrava il padrone del mondo, fece finta di non sentirlo e continuò a trottare. Ma giunti al Cardeto l’asino, che era proprio sfinito dalla fatica, non ebbe più la forza di muoversi, e inciampando in un sasso in mezzo al sentiero lìm per lì cade a terra morto stecchito. Così il padrone mise tutta la soma in groppa al cavallo e in più aggiunse anche la pelle dell’asino. Allora il cavallo cominciò a lamentarsi: -Oh! Povero me, che dolore, come sono disgraziato. Non ho voluto aiutare quel poveretto che era sfinito dalla fatica ed ora devo portare anche la sua pelle.”
Finito di raccontare la Palmina riattizza il poco fuoco rimasto rivoltando la brace con la moglia e dice:“ Guardate che non capiti anche a voi come a quel cavallo, perché è meglio aiutarsi da vivi che quando siamo morti non ci siamo più.”
Allora noi bimbi, tutti insieme per paura degli spiriti, andammo di filato a prendere la legna. E vicino al fuoco che sembrava vivo da tanto era bello, la Palmina ci raccontò la favola del castello incantato che vi dirò un’altra volta.


  Quando tornerà Natale
di Enzo Mazzini



 

Paolo Devoti non finisce mai di stupirci. Ci ha ormai abituati a farci vivere momenti di vera commozione con le sue storiche rappresentazioni che ci riserva quasi ogni anno, il Venerdì Santo, nell'area prospiciente la Chiesa di San Martino ed anche questa estate (29 luglio) è stata rappresentata una sua creatura che è un vero gioiello ("I TOPAROLA"), di cui ho riferito ampiamente nel Sentiero di Ottobre.
Ebbene, lunedì 23 Dicembre , in piena atmosfera natalizia, è stata presentata al pubblico, nell'antica e bellissima Chiesa di San Martino, la novella natalizia con canzoni e riflessioni, scritta da Paolo Devoti e dallo stesso interpretata.
La Chiesa è piena di spettatori e, dopo la presentazione di Padre Michele e l'introduzione di Ottavia, viviamo momenti di profonda commozione. Paolo, nelle vesti di un anziano nonno ed attorniato da alcuni nipoti, interloquisce con loro e risponde alle loro domande ed in particolare a quelle di Giovanni, rivolte ad un vegliardo pieno di esperienza di vita e quindi portatore di profonda sapienza umana. I monologhi, intervallati da bellissimi canti natalizi eseguiti dalla Corale di San Giuseppe, diretta da Piergiuseppe, rappresentano un crescendo davvero coinvolgente.
Una intensa vena poetica ed una dolce malinconia fanno della novella:"QUANDO TORNERÀ NATALE?", scritta ed interpretata da Paolo Devoti, un'intensa riflessione sui grandi valori universali, trasportando soavemente il pubblico alla riscoperta della vera essenza del Natale.
Risulta chiara anche la denuncia di alcuni mali che caratterizzano la società moderna, come l'uso eccessivo e sproporzionato del mondo virtuale e l'ansia quotidiana imposta da un vivere frenetico, costretto ad inseguire solo interessi frivoli e materiali.
Grazie Paolo! C'è davvero tanto bisogno di riscoprire i valori essenziali che devono essere alla base di una società fondata più sul bene comune che sull'interesse egoistico del singolo.
E Paolo, attraverso gli insegnamenti che scaturiscono dalla vissuta ed elevata esperienza di un nonno, munito di profonda saggezza, mira a riscoprire i veri principi che dovrebbero riformare la consumistica società moderna. Davvero significativa ed eloquente la funzione riservata alle persone anziane, che non devono essere considerate un peso per la società, merce di scarto, bensì un vero tesoro da riscoprire e mai utilizzato a sufficienza. Quanto cammino dobbiamo ancora fare per raggiungere questo doveroso traguardo! La Chiesa, attraverso i suoi insegnamenti millenari, ci ha tracciata la via da percorrere: a noi spetta il compito di dare la nostra misera ma indispensabile risposta positiva. E Paolo, con le sue significative iniziative, ci dona un prezioso contributo da non lasciar cadere nel vuoto.

 


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