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L'ABBRACCIO DEL PADRE
di Roberto
L'ABBRACCIO DEL PADRE
“Rimetti a noi i nostri
debiti”
Dopo la domanda del pane, del
pane di ogni giorno, del pane materiale, ma anche spirituale, di che cosa ha
bisogno l'uomo?
L'invocazione che segue, nella
preghiera, è una domanda di perdono: dopo il pane, il perdono. L'invocazione
di perdono è espressa da Matteo e Luca con qualche diversità di
linguaggio.
Dobbiamo essere convinti che
il perdono è fondamentale per la vita dell'uomo e dell'umanità; senza perdono
non c'è crescita né personale, né sociale, né comunitaria. E non perdoneremo
mai gli altri, se prima non avremo noi sentito il bisogno del perdono per noi:
- chi si ritiene senza debiti,
che sono i nostri limiti;
- senza peccati, che sono le
nostre fragilità e debolezze;
- inganna se stesso, non è
nella verità, e non conosce la verità dell'altro;
- è un illuso, quando
addirittura non è un orgoglioso, un presuntuoso;
- chi pensa di non avere
bisogno di perdono, chi non è disposto a perdonare.
Gesù ci ricorda cosa deve
essere il perdono: la Misericordia.
Il perdono è un bene
essenziale, intrinseco al cristianesimo; anzi è un bene senza il quale la vita
umana non è pensabile. Potremmo infatti avere tutte le ricchezze del mondo, ma
se mancano la pace, l'armonia in famiglia, la fiducia tra gli amici, se ci sono
offesi ed offensori che si guardano con diffidenza e odio, allora la ricchezza
non produce altro che aridità e solitudine.
Allora dicevamo che ci sono un
paio di sfumature diverse in Matteo rispetto a Luca.
- Matteo parla di
“debiti”, usando un linguaggio più semitico e metaforico, che però ci ricorda
come l'uomo è per essenza debitore davanti a Dio e davanti agli altri. Noi
riteniamo che tutto ci sia dovuto, mentre tutto è ricevuto, è inizialmente
dono.
- Luca sostituisce la
parola debito con “peccato” e ci fa dire invece di “rimetti a noi i nostri
debiti”, “perdona i nostri peccati”.
Peccato di
per se significa errore, sbaglio, che completa la visione di Matteo.
Luca ci
vuol dire che il nostro debito nasce da un'offesa.
– Il
peccato è il rifiuto del dono, non semplicemente l'insolvenza di un debito.
– Vuol
dire non solo riconoscere semplicemente i propri limiti o i propri sbagli, ma
avere la percezione chiara che le nostre colpe sono azioni che offendono Dio,
non soltanto gli altri o noi stessi.
– Vuol
dire andare alla radice della propria vita e prendere coscienza che dietro le
proprie trasgressioni c'è un'errata concezione di Dio; la concezione di
un Dio padrone, la cui presenza limita la libertà dell'uomo e la paura che,
obbedendo al Signore, l'uomo perda la propria consistenza.
Chi recita il Padre
Nostro e chiede “rimetti a noi i nostri debiti”, è
consapevole di essere impotente di fronte alla forza del peccato.
Non basta che Dio condoni i
debiti: l'uomo ne rifarebbe subito di nuovi. Occorre che la potenza di Dio
rinnovi radicalmente l'uomo. Non basta il condono, occorre una traformazione,
secondo la preghiera: “Crea in me, o Dio, un cuore nuovo, rinnova in me
uno spirito fermo” (Salmo 50,12).
Pregando “rimetti a noi
i nostri debiti”, il cristiano si appella alla potenza di Dio, non
soltanto alla sua bontà. Chiedere il perdono dei peccati significa allora:
– riconoscere
la propria impotenza,
– proclamare
la propria fiducia nella Misericordia del Padre,
– affidarsi alla sua potenza che rinnova.
Un'ultima riflessione sul
fatto che c'è un rapporto stretto e decisivo tra il nostro perdono e quello che
noi dobbiamo dare al prossimo.
“Rimetti a noi i nostri
debiti, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”, dice
la versione di Matteo e quella di Luca: “Perché noi
possiamo perdonare a ogni nostro debitore”.
Non ci sono dubbi: il perdono
ai fratelli è la verifica del perdono di Dio, è la realizzazione della sua Misericordia.
Attenzione: il perdono al
fratello non è la condizione perché Dio, a sua volta, ci perdoni. Dio ci ha già
perdonato. E', però, la prova che il perdono di Dio lo abbiamo veramente
ricevuto, accolto, e che veramente ci ha traformati.
E per concludere voglio
ricordare che il perdono non è mai debolezza, ma forza.
E' l'unica forza che spezza il cerchio perverso della violenza. Portiamo la
nostra umanità ferita al Padre di ogni bontà, per sperimentare
nella fede che la grazia è più forte del peccato, l'amore è più grande del
nostro egoismo, e che il perdono è possibile per quanti lo sanno accogliere e
donare.
Prossimamente mediteremo il
passo: “ e non lasciarci soccombere nella tentazione”
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"I passi del mio vagare tu li hai contati. Le mie lacrime nell'otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?"
di Don Carlo
"I passi del mio vagare tu li hai contati.
Le mie lacrime nell'otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo
libro?"
La nostra esistenza è legata profondamente alla Rivelazione di Dio, operata da
Gesù di Nazareth. Il senso del nostro esistere è ricercare sempre la verità e
desiderare il dono inestimabile della Sapienza. La vita stessa ci chiama ad
ascoltare il grido di speranza che sale dalle profondità del nostro essere, la
vita che cerca di emergere, di farsi strada anche attraverso gli ostacoli
costruiti con il procedere degli anni e le nostre esperienze negative, che
ancora vorremmo soffocare e dimenticare. Riflettiamo e mettiamoci in dialogo e
se occorre anche in discussione per essere liberi di ricostruire il meglio di
noi stessi. Il mistero della Rivelazione è la scoperta che quel Dio misterioso
e invisibile, ha voluto essere Padre in Cristo Gesù, Padre di tutti noi.
Ha assunto la nostra natura umana per liberarci da quelle schiavitù che tengono
ancorate le nostre vite all'indifferenza e all'appiattimento. Noi siamo
creature libere, trasformate dall'amore di Cristo, chiamate a testimoniare con
le parole e con le opere la bellezza e il fascino del nostro vivere. Anche la
sua Parola ci invita a percorrere il sentiero del silenzio: " attività
profonda dell'amore che ascolta" (Paolo VI) in questo vivere così
frettoloso e misterioso che ci ripaga con mille paure e incertezze."
Fermatevi", ci dice il Profeta uomo di Dio, "nelle strade e guardate,
informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e
prendetela, così troverete pace per le vostre anime". È la stessa vita che
ci chiede chiarimenti sul nostro essere, di ripercorrere le tracce del nostro
cammino, confidando nell'annuncio di speranza che si irradia dall'unico e
irripetibile sacrificio del Cristo Crocifisso.
Con la consapevolezza che Dio è fedele alla parola data, e la certezza che
renderà giustizia ad ogni uomo calpestato, abbandonato e crocifisso.
Invitandoci a cantare con il cuore e la mente la preghiera del Salmo 56 (55)
che infonde in noi la gioia di essere considerati almeno per una volta Figli:
"
I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell'otre tuo
raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?". Mentre rileggevo queste
riflessioni, lo sguardo si è rivolto ad un articolo di Gianfranco Ravasi che
riportava uno scritto di Paul Valéry " Se un angelo o un ipotetico
extraterrestre si mettesse ad osservare il nostro comportamento, rimarrebbe per
lo meno stupito e sconcertato. Ci sono tra di noi Santi e criminali, guerre che
uccidono e ospedali che curano i feriti, si odia e si ama, queste
contraddizioni spesso albergano nella stessa persona. La nostra storia sembra
da un lato, un filo d'oro di splendori e di eroismi e dall'altro lato, un filo
rosso di sangue e di vergogna. Goethe nel Faust definiva l’uomo, un microcosmo
di pazzia.
Eppure tutti potremmo brillare in noi quell' " immagine di Dio " che
è sepolta sotto strati di crudeltà, stupidità e follia. È questo l'appello che
ogni domenica ci viene rivolto dal Vangelo che ascoltiamo che sta a noi
far diventare guida per l'esistenza.
don
Carlo
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Dal Santuario
di P. Domingo Daniel Patix Gomez, fmm.
Cominciamo un nuovo tempo liturgico e un nuovo
anno. Avvento parola deriva dal latino e significa “Venuta”. Il tempo
dell’Avvento ha duplice carattere: è tempo di preparazione alla solennità del
Natale, che commemora la prima venuta del Figlio di Dio tra gli uomini; ed è
anche tempo in cui, mediante questo ricordo, l'animo deve orientarsi verso
l'attesa della seconda venuta di Cristo, alla fine di tempi.
Per questi due motivi, il tempo di Avvento è tempo di fedele e gioiosa ripresa
spirituale, “nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro
Salvatore Gesù Cristo. Esso però non è solo “preparazione”: è anche
celebrazione delle due “Venute”.
L'Avvento è un periodo di quattro settimane dedicate a preparare una degna
accoglienza interiore alla “prima venuta di Gesù che si celebra nel Natale,
quando Gesù è nato come noi nella povertà del presepio; e alla “seconda venuta”
alla fine dei tempi, quando Gesù si manifesterà come giudice glorioso della
storia e dell'umanità.
Questo tempo ci aiuta a preparaci per vivere un Natale diverso, dove possiamo
ringraziare Dio Padre che ci ha dato Gesù il nostro salvatore che ci ha
mostrato il cammino, anzi lui è il cammino, la verità e la vita. In questa
preparazione ricordiamo l’importanza della famiglia: Dio sceglie una coppia per farla diventare la sua sacra famiglia.
Chiediamo alla nostra Madre Maria santissima di aiutarci ad avere
l'atteggiamento migliore per accogliere suo Figlio.
Vi auguro un buon cammino di Avvento in preparazione del Natale di Gesù, un
buon fine anno civile e tante cose belle per le vostre famiglie e buone feste.
Vi saluto nel nome di Gesù.
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MIGRANTI
di Don Domenico Lavaggi(prete e vostro conterraneo)
Quando Giuseppe tornò con
l’acqua nella grotta, Maria con un pannolino inumidito pulì il bambino, lo
asciugò e lo avvolse in un sottile panno di lana.
Nel frattempo Giuseppe stese qualche manciata di paglia nella mangiatoia per
renderla calda e morbida. Subito dopo giunsero alcuni pastori che stavano sulla
collina di guardia al gregge : si inchinarono al Bambino dimostrando
gratitudine e devozione, poi dissero a Maria e Giuseppe : “ stavamo di guardia
al gregge quando siamo rimasti colpiti da un raggio luminoso e da una voce che
diceva – “ vi annuncio una gioia grande, oggi, nella città di Davide
(Betlemme), è nato per voi e per tutte le genti della terra il Messia, Signore
e Salvatore, promesso da Dio e predetto dai profeti” - siamo dunque venuti per vedere e
ringraziare”. Poi, mentre alcuni tornavano sulla collina, uno di loro si
rivolse a Maria e Giuseppe dicendo: “la mia casa è disponibile”, offrendogli
così ospitalità comoda e dignitosa. Maria e Giuseppe accettarono l’invito e si
trasferirono tutti e tre nella casa del pastore, dove Maria diede la prima
poppata al bambino. Appena il bambino finì di succhiare il latte, entrarono
nella casa tre personaggi venuti da terre lontane; erano scienziati che
studiavano la natura ed il movimento delle stelle e quando videro una stella
muoversi e brillare più delle altre, la seguirono. Prima la videro sostare sul
cielo di Gerusalemme e si fermarono entrando nella reggia di Erode chiedendo:
“abbiamo seguito una stella che annunciava la nascita di un giovane re, dov’è?”
Erode chiese al rabbino presente: “cosa dicono i testi sacri?” E il rabbino
rispose: “…e tu Betlemme non sei la più piccola tra le città di Giuda (dal
libro del profeta Michea), perché da te nascerà un re che guiderà tutte le
genti della terra”. Noi siamo stati educati a chiamare questi personaggi
“magi”, ma il termine esatto è “maghi”, in quanto anticamente lo scienziato era
considerato mago. Questo significa perciò che la scienza umana ed il mondo
pagano si inchinano a Gesù. Si prostrarono quindi al bambino, deponendo ai suoi
piedi tre cofanetti con oro, incenso e mirra.
Oro perché riconobbero nel bambino la sovranità regale, incenso perché
riconobbero in Lui la maestà divina e mirra perché riconobbero in Lui l’umanità
mortale. Gli scienziati non tornarono da Erode, ma ritornarono alle loro terre,
ognuno per una via diversa. Quando venne il tempo prescritto dalla Legge, Maria
e Giuseppe presentarono Gesù al Tempio poi, una voce misteriosa parlò a
Giuseppe dicendogli: “prendi con te il bambino e la madre e va in Egitto perché
Erode ha deciso di uccidere il bimbo!” Così Gesù, com’era accaduto alla
discendenza di Abramo, migrò in Egitto. Tutta la natura è voce misteriosa di Dio:
bisogna ascoltarla! Quindi, quando ti affacci alla finestra e vedi una pianta
di fico, ricorda che anch’essa è la voce di Dio. Caro Lettore, ti devo una
precisazione: Gesù è stato concepito dallo Spirito Santo, che è l’amore di Dio,
nel grembo di una donna (Maria) e la natura divina di Gesù è opera di Dio, ma
possiede pure la natura umana datagli da Maria che ne ha plasmato la carne nel
suo grembo. Quando guardi il crocifisso devi pensare che sulla croce è morta la
natura umana di Gesù e quando ricordi la Pasqua devi pensare che Gesù è risorto
in virtù della sua natura divina e, dopo essere risorto, si è presentato a
Maria di Magdala ed agli Apostoli come lo avevano visto prima di morire: UOMO.
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FEDE, DESIDERIO E FIDUCIA
di Don Domenico Lavaggi(prete e vostro conterraneo)
Nei suoi viaggi apostolici
Gesù un giorno arrivò a Gerico, città di confine e centro per gli scambi
commerciali tra Israele ed i popoli vicini. A Gerico viveva un uomo di nome
Zacheo, capo di tutti i pubblicani della Galilea.
I pubblicani erano gli incaricati di raccogliere le tasse da versare,
all’erario di Roma, dagli artigiani, commercianti, contadini, pastori e
pescatori. Roma aveva concesso loro di chiedere una tangente che regolarmente
intascavano.
Di questa tangente ognuno ne dava una parte a Zacheo, il capo, che quindi si
arricchiva. Zacheo aveva sentito parlare di Gesù e desiderava conoscerlo; egli
era piccolo di statura e così, quando Gesù arrivò in città, circondato da una
gran folla, gli fu impossibile vederlo. Salì quindi su di un albero per poterlo
vedere almeno dall’alto, scatenando l’ilarità dei presenti; ma Gesù, giunto ai
piedi dell’albero, alzò gli occhi, lo vide e gli disse: “Zacheo, scendi presto
dall’albero perché voglio sedermi alla tua tavola e mangiare con te”. Queste
parole scatenarono l’ira della folla in quanto Zacheo era considerato un nemico
di Israele al servizio dei romani. Ma Zacheo, commosso per l’attenzione
ricevuta da Gesù, gli disse: “mi sono appropriato del denaro di molta gente, ma
da questo momento restituisco il quadruplo di quanto ho preso loro”. Gesù lo
lodò. Uscì quindi dalla casa e la folla, rimasta fuori, lo accompagnò
all’uscita della città, dove sedeva un cieco che, sentendo rumoreggiare la
folla, ebbe paura di essere travolto, così, quando un uomo si avvicinò a lui
per dargli un obolo, chiese che cosa stesse accadendo e l’uomo rispose: “È Gesù
che passa”. Il cieco, sentendo il nome di Gesù, cominciò a dire a voce alta
“abbi pietà di me, Signore”, ma l’uomo gli disse di tacere che Gesù non poteva
ascoltarlo; il cieco, però, continuò a gridare: “pietà di me, Gesù”, il quale
udì, si avvicinò e gli chiese: “che cosa vuoi da me?” Rispose il cieco: “Fa che
io veda”.
Caro Lettore, quando sei in
difficoltà, perché la vita ne è ricca, fa come quel cieco e chiedi a Gesù “che
io possa vedere”.
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