N° 6 - Giugno-Luglio 2019
Spiritualità

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  I DOGMI MARIANI
di Antonio Ratti


 

  I quattro dogmi sono:

§  Maria, Madre di Dio (1 gennaio)

§  Annunciazione del Signore (25 marzo)

§  Assunzione al cielo della Vergine Maria (15 agosto)

§  Immacolata Concezione (8 dicembre)

                                

Nell’antichità cristiana il sostantivo dogma ( dal verbo greco dokèin: parer bene, credere, decidere ) designava l’insegnamento di Gesù in contrapposizione a interpretazioni umane e successivamente alle dottrine eretiche.
Con questo si voleva indicare la provenienza divina di una specifica verità di fede che non può essere messa in discussione, quindi è una verità da credere senza riserve mentali. Difatti la Costituzione Dei Filius ( Concilio Vaticano I, 1870 ) definisce il dogma come una verità divinamente rivelata che l’autorità della Chiesa propone di credere a tutti i fedeli. In altri termini, è la dichiarazione formale e sostanziale che un determinato contenuto dottrinale appartiene al deposito della fede e non può essere oggetto di libere interpretazioni. I quattro dogmi mariani sono la diretta testimonianza del significato di dogma e spiegano come e perché la Chiesa abbia deciso di porre dei punti fermi su alcuni contenuti dottrinali, come il ruolo di Maria nel progetto divino di salvezza, divenuti nei secoli oggetto di interpretazioni teologiche discordanti e devianti.

                             MARIA, MADRE DI DIO

La solennità di Maria  Madre di Dio è la più antica festa mariana della Chiesa cattolica. Fin dal VI secolo la liturgia celebrava una memoria con questo titolo della Vergine e diversi riti orientali la celebrano tuttora intorno al Natale. Nel 1931 Pio XI la include nel Calendario Romano per commemorare il XV centenario del Concilio di Efeso e ne fissa la data all’11 ottobre. La riforma liturgica del 1969 la trasferisce al 1° gennaio, ultimo giorno dell’Ottava di Natale con il grado di Solennità. Nel 1967, nel nome di Maria Madre di Dio, Paolo VI aveva già istituito  la Giornata mondiale della pace da tenersi  il 1° gennaio. La pace, in senso biblico, è il dono messianico per eccellenza, è la salvezza portata da Gesù, è la nostra riconciliazione e pacificazione con Dio. La pace è anche un valore umano da realizzare sul piano politico e sociale, ma affonda le sue radici nel mistero di Cristo e di sua Madre, pertanto unire nello stesso giorno le due celebrazioni ha sottolineato, e se possibile, rafforzato il ruolo di mediatrice tra il divino e l’umano di Maria.( Basta ricordare quanto detto da Maria a Bernadette e ai tre pastorelli di Fatima in merito alla preghiera per la pace.)
Nei primi secoli la Chiesa, attraverso importanti scuole teologiche medio orientali, i grandi Padri della Chiesa e i tanti Concili ecumenici, ha saputo dotarsi di un’organizzazione gerarchica e teologica in grado di tutelare la Parola di Gesù in modo corretto e fedele al suo insegnamento. Per più secoli si è discusso della natura  di Gesù, più vero uomo o più vero Dio ( le cosidette “controversie cristologiche” ), solo con il Concilio di Efeso ( 431 d.C. ) si è trovata la precisa definizione della natura e del ruolo di Gesù, il Cristo. Le bizantinissime argomentazioni e le accese, talvolta poco edificanti, discussioni, portano finalmente alla definitiva collocazione di Gesù, pertanto è possibile, come naturale conseguenza, definire anche quella di Maria, sua madre. Nasce così il primo dogma mariano: la divina maternità di Maria, cioè vera madre di Dio, la Theotokòs.
Il monaco-teologo Nestorio, del Patriarcato di Antiochia di Siria, contesta la consuetudine di chiamare Maria, dal  Concilio di Nicea (325 d.C. ) in poi, Theotokòs, cioè Madre di Dio e sostiene più corretto chiamarla Cristosthokòs, cioè Madre di Cristo, poiché ella ha generato l’uomo Gesù nel quale Dio “abita come in un tempio” ( inabitazione ), quindi Cristo è solo un Theòphoros, termine greco che significa “portatore di Dio.”  Il nestorianesimo enfatizza la natura umana di Gesù a spese di quella divina; infatti  condivide la duplice natura divina ed umana in Cristo, in linea con i deliberati di Nicea, ma distinte tra loro, una completamente Dio e una completamente uomo, cioè non accetta l’unità ipostatica
( sostanza unica e immutabile) della persona. Diceva:“Questa è l’esatta definizione del dogma:Colui che è nato ed ebbe bisogno di tempo per la crescita e fu portato nell’utero per i mesi necessari, ha natura umana congiunta a Dio. Una cosa è dire che Colui che nacque da Maria era congiunto al Verbo, altra cosa è dire che la divinità ebbe bisogno di una nascita decorrente secondo un numero di mesi….Colui che è nato da Maria era consustanziale a noi nell’umanità, ma, congiunto a Dio, era ben lontano dalla nostra sostanza…. Diciamo dunque nostro Signore Gesù Cristo duplice per la natura  e una sola persona in quanto Figlio di Dio.” Come si può notare, Nestorio si propone di affermare l’umanità di Cristo senza confusione con la divinità. Ne consegue che la nascita e la passione devono essere attribuite alla sua umanità, rifiutando la tesi dell’unica natura umana-divina come sostiene Cirillo, divenuto, in seguito, padre e dottore della Chiesa. La disputa, tutta teologica, si fa scontro quando Nestorio diventa patriarca di Costantinopoli nel 428. Ora l’alleanza tra i patriarcati di Costantinopli e di Antiochia preoccupa non poco Cirillo che rende partecipe del problema il patriarca d’Occidente ( papa Celestino I ) e invita l’imperatore Teodosio II a convocare un concilio ecumenico per ridare pace e unità all’intera cristianità. Il 21 giugno del 431 si apre ad Efeso, nella chiesa dedicata a Maria, il concilio sotto la presidenza di Cirillo di Alessandria. Il 22 giugno, chiamato inutilmente per tre volte Nestorio ad esporre all’assemblea plenaria le sue tesi, Cirillo decide di procedere e di far votare all’unanimità le sue argomentazioni, che ribadiscono quanto stabilito a Nicea: l’unione delle due nature, divina ed umana, si è compiuta in modo perfetto nel seno di Maria, specificando come la divinità del Verbo non ha avuto inizio nel corpo di Maria, ma da lei ha acquistato la piena natura umana. Stemperate le tensioni tra i patriarcato di Alessandria d’Egitto e quelli alleati di Antiochia e di Costantinopoli, nel 433, si arriva alla definitiva riconciliazione con la seguente Formula di Unione: “Noi quindi confessiamo che nostro signore Gesù, figlio unigenito di Dio, è perfetto uomo composto di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima di tutti i secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l’umanità; è consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi secondo l’umanità, essendo avvenuta l’unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. Conforme a questo concetto di unione in confusa, noi confessiamo che la vergine santa è madre di Dio, essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento il tempio assunto da essa.”

Se Gesù Cristo, generato dal Padre prima di tutti i secoli, è Dio, Maria, sua madre non può che essere la Theotokòs, cioè,  Madre di Dio. In conclusione, il  dogma di Maria Madre di Dio è la diretta conseguenza della dottrina cristologica affermata dai concili di Nicea, di Costantinopoli e di Efeso.
Riflettendo su questo dogma si potrebbero  fare molte considerazioni sul suo significato che darebbero un senso diverso a tanti aspetti della nostra vita: il riscatto della maternità e della genitorialità, che oggi fanno acqua da tutte le parti, il rifiuto di ogni strumentalizzazione della sessualità al solo fine edonistico e di piacere, la cultura della vita,  della solidarietà e del rispetto della persona troppo spesso beffardamente negata, il contrasto ad una cultura che globalmente diventa sempre più fredda, dura, arida, spietata, promotrice di tensioni, di divisioni, di violenza gratuita, di morte. La squallida  cronaca quotidiana parla da sé.


  L’Abbraccio del Padre
di Roberto



“Sia Santificato il Tuo nome”
Quante volte abbiamo ripetuto questa invocazione del Padre Nostro: “Sia Santificato il Tuo Nome”; ma siamo certi di aver compreso bene che cosa significhi e come dobbiamo intendere questa vocazione? Forse ci aiuterebbe a comprenderla, se traducessimo: sia riconosciuta la Tua Presenza Santa. Invitandoci a pregare “sia riconosciuto come santo il nome di Dio”, Gesù vuol dire: “sia riconosciuta la sua persona, la sua presenza”. Ricordandoci che Dio ha un nome, Gesù vuol farci capire che non è una energia, un essere apersonale, ma è una persona, una presenza che si manifesta nella nostra vita come Tu che è possibile incontrare, che possiamo ascoltare, al quale possiamo parlare, con cui possiamo instaurare un rapporto personale. Ma non illudiamoci di poter noi fare onore a Dio, il quale con riceve santità da nessuno. L’espressione “sia santificato”, il tuo nome è al passivo e senza complemento d’agente, perché la santificazione è azione di Dio. Invocando “sia santificato il tuo nome”, intendiamo dire: “Signore, manifesta quello che sei, che sei buono, sei santo, sei forte, ci ami”. Intervieni nella nostra storia travagliata, di peccato. Intervieni Tu che sei Santo. Ma è pur vero che anche noi possiamo, dobbiamo santificare il nome di Dio, riconoscendolo, glorificandolo, celebrando la gloria di Dio e mostrandola agli uomini con le nostre opere buone, perché quelli che vedono le nostre opere diano pure gloria a Dio. Ricordate l’esperienza di Mosè di fronte al roveto ardente, quando chiese in nome di Dio, perché ne aveva colto la sua presenza? Mosè si sentì rispondere: “Non ti avvicinare, togliti i sandali dai piedi, perché questo luogo è una terra santa. È il luogo della mia presenza”. Mettiamoci in questo atteggiamento di rispetto e di stupore di fronte al Nome Santo di Dio, che santificheremo non tanto con le parole, quanto con il comportamento della nostra vita, testimoniando con le nostre opere che Dio, il Signore, è Padre, è l’Amore assoluto. Nell’invocazione “sia santificato il tuo Nome” c’è un programma di conversione, di trasformazione profonda dei nostri modi correnti di pensare e di agire. Dio dà gloria a se stesso e a noi con la vita, con l’amore, con la gioia, con il suo esserci, con la sua presenza, non con la distruzione e la morte. Allora voi vedete quanto lontani siano da questo spirito biblico quelli che pensano di santificare il nome di Dio ammazzando gli altri, addirittura uccidendo se stessi come Kamikaze. Martiri sono quelli che accettano, subendolo, il martirio, non provocandolo, non infliggendolo a sé e agli altri. Dobbiamo essere fieri di questo modo positivo, gioioso, gratificante di stabilire il nostro rapporto col Signore. “Sia santificato il tuo nome”, vuol dire sii riconosciuto per quello che sei: il Santo, il Buono, il Giusto, il Salvatore, colui che vuole dare fora e coraggio, fede e speranza e amore, vita, non morte, alla travagliata esistenza di questa umanità inquieta. Il senso profondo di questa invocazione del Padre Nostro ci è offerto da Gesù, quando prima della sua Passione prega: “Santificali nella verità: la tua parola è verità…… Per loro santifico me stesso, perché anch’essi siano santificati nella verità”.   La santificazione del nome di Dio è legata alla verità della rivelazione, è conseguenza della nostra conoscenza ed adesione alla vita del Padre. Sia santificato il tuo nome vuol dire riconoscere che il Dio di Gesù non è un Dio morto e muto, ma un Dio vivo che si prende cura della miseria degli uomini, che parla, che agisce e interviene, che libera, redime e salva.   Sia santificato il tuo Nome, vuol dire: fa’ che ti riconosciamo per quello che sei; il Santo, il solo Tutto Santo, perché anche noi possiamo avere    parte alla tua Santità e alla tua Gloria.

    

Prossimamente mons. Grampa ci parlerà del passo: “Venga il Tuo Regno”

  IL CROCIFISSO – 2° PARTE
di Don Lavaggi Prete e vostro conterraneo


Stavo scrivendo l’articolo religioso per il bollettino mensile delle ACLI levantesi “Il Carugio”, riguardante la Pasqua prossima, quando vidi davanti alla mia scrivania una coppia di giovani. Chiesi il motivo della loro presenza ed il giovane mi disse che, avendo deciso di sposarsi, desideravano sapere quali fossero i documenti preliminari. Risposi: “atto di battesimo, di cresima, atto di nascita, di cittadinanza e residenza civile”. A quel punto intervenne la ragazza dicendo: “mio padre si dichiara ateo e non ha voluto che ricevessi il battesimo”. Io ribattei: “si può celebrare il matrimonio anche se tu non hai ricevuto il battesimo, ma devo chiedere al Vescovo la dispensa e tu devi firmare un documento in cui dichiari che farai battezzare i figli che verranno”. Lei mi fermò dicendomi: “sono maggiorenne e voglio essere battezzata”.  “Però hai bisogno di essere preparata – risposi – io sono disponibile, ma tu scegli il giorno e l’ora degli incontri”. Ci accordammo per il giovedì pomeriggio dalle 3 alle 4. Dopo Pasqua iniziammo la preparazione al battesimo. Durante gli incontri successivi le chiesi se avesse provveduto ad avvisare i genitori. Mi rispose: “mia madre ha scritto che è felice della mia decisione, mio padre invece ha scritto ‘sei maggiorenne e puoi fare ciò che vuoi, a me non interessa ‘ “. Un pomeriggio mi chiese se fossi a conoscenza della professione esercitata dal padre, io risposi di no e lei mi spiegò: “ha una galleria d’arte moderna dove raccoglie quadri di pittori contemporanei olandesi, belgi e tedeschi; gli autori glieli lasciano in vendita concordando la percentuale da trattenersi”; “poco tempo dopo mi scrisse dicendomi: ho un quadro, mio personale, lasciatomi dal pittore e desidero che sia collocato nella chiesa dove tu riceverai il battesimo”. All’inizio dell’estate i genitori decisero di venire a Levanto in quanto desideravano acquistare una casetta con terreno; la trovarono sulla collina, sulla strada che da Levanto conduce al Bracco e là si trasferirono con tutto il mobilio di casa, compreso il quadro. Allora vollero conoscermi ed il padre portò con sé il quadro affinché lo vedessi. Me lo mostrò dicendo: “l’autore è un ebreo belga ed ha rappresentato Cristo crocifisso”.
Caro Lettore, ti starai chiedendo perché un ebreo ha dipinto il crocifisso. Anch’io mi sono posto questa domanda, ma poi, con il tempo, ho trovato questa risposta: Gesù era un Uomo ebreo ed è vissuto nel tempo della dominazione romana, che considerava schiavi i popoli dei paesi occupati, e che aveva ideato per loro la morte per crocifissione. Il quadro si presenta così: Sullo sfondo nero risalta il crocifisso bianco, e per me ha questo significato: Il tempo in cui è stato crocifisso Gesù era il tempo nero della dominazione romana. Il tempo in cui l’autore ebreo ha dipinto il quadro era il tempo nero della dominazione nazista. Cristianamente la morte di Gesù illumina il buio mondo romano. Artisticamente il crocifisso bianco del quadro illumina il tempo buio nazista. Il pittore ebreo nel crocifisso ha inteso dare memoria all’olocausto dove 6 milioni di ebrei sono morti crocifissi nei lager nazisti. Questa è la mia interpretazione e, se vieni a Levanto, te lo posso mostrare e parlarne insieme. In seguito, il pittore, fuggendo dalla propria patria invasa, si rifugiò a Parigi e, quando la città fu invasa dai tedeschi, preferì togliersi la vita insieme alla moglie, immaginando la fine che avrebbe fatto nel lager nazista.
A settembre decidemmo la data del battesimo ma io chiesi al Vescovo di autorizzarmi ad amministrarle anche la cresima. Il Vescovo volle conoscere la coppia e quindi mi autorizzò ad amministrare tutti i sacramenti. Decidemmo per un sabato di metà settembre. La domenica precedente la data prescelta, avvertii le persone presenti in chiesa che il sabato successivo ci sarebbe stata una celebrazione speciale. Quel sabato la chiesa era piena di gente. Alla presenza anche dei genitori, iniziammo la celebrazione davanti alla parete dove avevo collocato il quadro descritto. La ragazza era accompagnata dalla futura suocera e dalla futura zia, sorella della suocera. Avevo suggerito alla zia di preparare una veste bianca e, dopo i preliminari del battesimo, salimmo all’altare dove avevo precedentemente preparato il bacile di rame contenente l’acqua del battesimo. La ragazza ed io ci inginocchiammo davanti al bacile e, al momento del battesimo, tuffai la sua testa nell’acqua pronunciando le parole per quel sacramento. Quando ci alzammo la madrina fece indossare la veste bianca alla catecùmena ed io le consegnai il cero pasquale che rappresenta la luce di Gesù risorto. Quindi, assistito dalla madrina e dalla suocera, somministrai la cresima. Terminata questa celebrazione la ragazza tornò a sedere tra i genitori ed io andai all’altare per celebrare la messa. Dopo il “Padre Nostro” la ragazza ricevette la Prima Comunione, come avveniva nella chiesa iniziale, così come quando un convertito riceveva battesimo, cresima e prima comunione, definiti sacramenti iniziali della vita cristiana.
Ora, Caro Lettore, ti sembrerà una cosa strana che nella Chiesa di S. Andrea a Levanto esista un quadro che rappresenta un crocifisso, dipinto da un ebreo e donato da un ateo; ma le vie di Dio sono diverse da quelle dell’uomo. Dio non fa distinzioni. Per Lui l’uomo è l’immagine Sua nel mondo.



  La parola a don Carlo
di La parola a don Carlo



Carissimi, è bello pensare che insieme ci sforziamo di incontrare Cristo nella nostra vita, di vivere nel quotidiano la sua parola che allarga il nostro cuore alla speranza.  In una società sempre più confusa e triste, dove assistiamo  inermi ad un decadimento dei valori più grandi, famiglia, amore, amicizia, non ci stanchiamo di vivere i valori evangelici che trasmettono la pace interiore che rende più vera la nostra vita.  La forza di questo cammino sta nella nostra unità, nel sentirci fratelli amati in modo straordinario da Cristo, che ci rende un'unica famiglia desiderosa di mettere a disposizione gli uni degli altri i doni che Dio ci ha donato. Certamente questo cammino iniziato insieme non è privo di difficoltà, pericoli, tentazioni che tendono a soffocare il grido di speranza che sale dal nostro cuore, proprio per questo necessitano momenti spirituali che ci offrano quel riposo sereno che è dono di Dio, riassunto in quella famosa frase di Sant'Agostino: “Il nostro cuore inquieto, si riposerà soltanto nel cuore di Dio...". L' Eucarestia, la preghiera, la carità rendono possibile questo miracolo, avvicinano Dio alla nostra vita, in Cristo uomo nuovo capace di fermarsi accanto a noi e infondere speranza al nostro cuore.  La speranza, quella vera, è una virtù, è una forza dell’anima, un atto disinteressato, una determinazione eroica.  Perciò la definizione di un grande scrittore francese Bernanos, è stupendamente vera:" La speranza è una disperazione superata. " E noi possiamo constatarlo quando sentiamo parlare di circostanze difficili, tragiche:" abbiamo lottato con il coraggio della disperazione e con forza disperata...”. "I Santi", diceva ancora Bernanos "sono i campioni della speranza che combattono sempre da disperati...". E desidero ancora citare un suo testo:" Colui che in una tragica sera, calpestato da vigliacchi, disperato di tutto, consuma le sue ultime risorse urlando di rabbia, costui senza saperlo, muore in una piena affermazione di speranza...La speranza è affrontare". La speranza, come la fede non si sente.  Non si può sapere se si possiede o meno la speranza: è sufficiente compiere le opere. Oggi alcuni criticano l'atto di speranza, che invece è qualcosa di veramente grande:" Mio Dio, io spero con la fiducia assoluta che tu mi darai la Tua grazia in questo mondo e la Tua Gloria nell'altro. E, perché io lo spero? Perché tu stesso me lo hai promesso, tu che sei fedele". C'è già in questa preghiera della speranza qualcosa di immenso, perché il fondamento di quest'atto sono le parole:" perché tu me lo hai promesso ". Ciò dunque non dipende da noi, ma solo da Dio che è fedele. Ma io devo anche fare degli atti, delle opere di speranza.  La speranza scaturisce ancora dall'incontro di due parole spesso ripetute ma che è necessario ripeterle ancora.  Due frasi, una di Gesù, l’altra la risposta di San Paolo.  Dice Gesù:" senza di me non potete fare nulla "-Gv:15,15- Voi non potete fare nulla di nulla!" Ma San Paolo replica:" Tutto è possibile in colui che mi dà forza...". Queste due espressioni non devono essere mai separate. La nostra vita non è una scommessa di tipo lascia o raddoppia:" Tutto o niente ", ma è nello stesso tempo il niente e il tutto. Continuiamo insieme questo cammino senza stancarsi mai.

 

 
  Il Santo Rosario
di Mila


Sono tornata da poco Dal Rosario; è il mese di maggio, il mese dedicato a Maria, la Madre di Gesù. Quest’anno è stato deciso di ritrovarci in chiesa alle cinque del pomeriggio sperando che fosse un’ora comoda specialmente per le signore più anziane, ma tant’è siamo sempre i soliti quattro gatti. Mi dicono che anche nelle altre parrocchie l’affluenza è scarsa.
E’ vero non è facile trovare un’ora di tempo tutti i giorni: problemi di salute per i più anziani, poi chi ha i bimbi piccoli, chi lavora, chi studia, lo sport e tante altre cose, ma credo che il motivo principale sia che in pochi ormai sentono la necessità di comunicare con il Cielo.

L’altro giorno leggevo sul foglietto della Messa che per parlare con Dio ci vuole il silenzio, purtroppo oggi il clamore che abbiamo intorno a noi e dentro di noi è talmente grande che a mala pena riusciamo a sentire i nostri pensieri. Venerdì è il giorno che ho i bambini alla dottrina e venerdì scorso invece di fare il solito incontro li ho portati in chiesa mentre si recitava il Rosario. Ho dato ad ognuno una coroncina ed ho spiegato loro come dovevano fare.

Erano interessati.

Adesso voglio preparare qualcosa di scritto su questo argomento per far sì che lo conoscano meglio e rimanga loro impresso; d’altra parte per praticare qualcosa bisogna conoscerla capirla. Il nostro parroco dice sempre di non rimpiangere i tempi passati perché erano peggio degli attuali; ma io ricordo le belle sere di maggio, quando ero una ragazzina. Andavamo in chiesa dopo cena, per lo più donne e ragazze, ma c’erano anche dei ragazzi, degli uomini adulti e dei giovanotti; questi ultimi magari venivano non per il Rosario ma per corteggiare le ragazze più grandi.

Finito il rosario, prima di rientrare a casa, si faceva una passeggiata lungo la strada fiancheggiata dagli ulivi, chiacchierando e ridendo e per noi più piccoli si correva dietro le lucciole cercando di acchiapparle.

Beh! Allora la televisione non c’era e neanche gli smart phone, ma lasciamo perdere e diamoci un po’ di importanza. Siamo pochi ma buoni!
Cerchiamo di volerci bene e di aiutarci nel nome di Maria, forse se riusciamo ad essere più uniti, meno competitivi e più caritatevoli gli uni con gli altri…” Amatevi come io vi ho amato” … Se non sbaglio le parole di Gesù nel Vangelo della domenica scorsa, la nostra chiesa risorgerà più bella e più radiosa di prima.

                                                                                

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