N° 6 - Giugno-Luglio 2019
Storie dei lettori
  LE GRAFFIATURE
di Antonio Ratti


Se non ci fossero i pirati della strada a disattendere etica, codice, logica e sano egoismo …..

Se non ci fossero i rapinatori, i ladri e gli scippatori …

Se non ci fossero gli usurai e gli sfruttatori …

Se non ci fossero i sequestratori, gli stupratori e i pedofili …..

Se non ci fossero quelli che, sollecitati da una ciclonica “tempesta emotiva” piena d’amore, uccidono le amate compagne e ottengono comprensione con sconti di pena ….

Se non ci fossero i corruttori e i corrotti ……..

Se non ci fossero i guerrafondai nel nome della democrazia diffusa ….

Se non ci fossero gli evasori fiscali, le scatole cinesi dei finanzieri, le acrobazie fiscali e finanziarie dei vip e i   paradisi fiscali dove godersi la refurtiva …..

Se non ci fossero coloro che interpretano Bibbia, Corano e Vangeli a proprio uso e perfido consumo……

Se non ci fossero i terroristi e il terrorismo nel nome di Dio e della pace tra i popoli …..

Se non ci fossero i pacifisti di mestiere, sempre pronti a manifestare con cortei sfascia tutto ……

Se non ci fossero i potenti arroganti …….

Se non ci fossero gli aspiranti potenti, peggiori dei precedenti ……

Se non ci fossero le raccomandazioni ed i raccomandati di mezza tacca …..

Se non ci fossero i politici di mestiere e le furberie connesse …..

Se non ci fossero la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita e le tante altre senza nome ……

Se non ci fossero i vuoti di spirito ( non i poveri ) bisognosi di droga e di sballi …….

Se non ci fossero coloro che, non sapendo perché sono al mondo, occorre spiegare loro che sono necessari sempre un padre ed una madre,  mentre cercano emozioni forti, per sentirsi vivi, nella tecnologia che deve fare “ cose” non “persone” ……

Se non ci fossero coloro che, nel nome dei propri, non riconoscono i diritti degli altri ….

               Finalmente  verrebbe da pensare ad un mondo migliore.

Niente di più inverosimile. Ci sarebbero solo tanta monotonia  con i giornali, i TG e le troppe trasmissioni  di informazioni-gossip, utili solo alle conduttrici, senza notizie da proporre e milioni di esuberi nel pubblico impiego, nelle forze dell’ordine e nella magistratura che deve già mettercela tutta per non farsi mai finire gli arretrati.
E i non pochi factotum, senza arte né parte e competenze come potrebbero senza la forza della politica urlata ambire ad un posto in Parlamento, a dirigere un Ministero o assurgere al rango di manager di ASL, Aziende pubbliche e partecipate e centri di potere?
Grazie italiani per la nostra immensa capacità di digerire ogni assurdità presentino al nostro desco e tirare innanzi sognando che, forse, tutto ha un limite.

Resta da stabilire quando …..Ma, soprattutto, spetterebbe a noi, non a loro, deciderlo.

                       Gennaio 1998   

  La sua famiglia
di Romano Parodi



Abbiamo constatato con un certo stupore che Ceccardo, non nomina mai né il padre, che morrà suicida nel 1900, ne il fratello Rinaldo, che morrà in manicomio, ne la sorella Valentina, della quale, a tutt’oggi, non si è saputo mai nulla. I numerosi biografi non sapevano nemmeno della loro esistenza, perché lui non ne ha mai accennato a nessuno, neanche a Viani. Nessuno è mai venuto a Ortonovo ad informarsi. I miei nonni li conoscevano tutti.
Rinà, il matto (“La casa dei matti?”) fu la causa prima della rovina della famiglia: “la rovina dei miei”, diceva Ceccardo. Secondogenito, di Lazzaro e di Giovanna Battistini, Rinaldo nacque a Genova nel 1873. Per le sue condizioni psichiche (la madre diceva che gli era stato scambiato al baliatico), il ragazzino, isterico, ingestibile, urlava sempre. La famiglia, per la vergogna, quando il bambino aveva già 5 anni, da Genova si trasferì a Ortonovo, nella casa avita; ma anche qui erano continue urla. Il ragazzo, tirava ogni forma d’oggetto a quanti passavano lungo Via Chiasso. Il padre, esasperato, lo rinchiuse nei bassifondi del palazzo, nutrito dalla servitù; e questo creò forti dissapori in famiglia e nel paese, al punto che, con una rivolta popolare guidata dalla leggendaria Gervà, lo liberarono, facendolo fuggire da una porticina in via del Fosso. Fu ospitato in casa della tabaccaia stessa. Il medico, dott. Francesco Andreani, nipote della Gervà, quando viene in vacanza a Ortonovo, dice che in quella stanza “ci si sente” e che c’è ancora il letto con lo stemma della famiglia Ceccardi. Lazzaro, oramai in rotta con la moglie, prende la terzogenita Valentina, nata nel 1875, e ritorna a Genova, lasciando la moglie e i tre figli maschi: Ceccardo, Rinaldo e l’ultimogenito Luigi, nato nel 1878 a Ortonovo. Giovanna, però si prenderà sempre cura del povero Rinaldo, al punto che quando viene ricoverato in manicomio, pagherà sempre puntualmente l’alta retta, vendendo tutto il vasto patrimonio di famiglia: “Uno stormo di villici, a nube di loppa, rapìa le nostre terre”, dirà Ceccardo. Di Luigi, anche lui poeta d’aperto intelletto, ne abbiamo già parlato molto. Prima si arruolò nella Legione Straniera, poi, evaso, ritornò. Infine si arruolò nelle guardie di Finanza e morì di tifo, a Frizzon, sul confine austriaco: aveva 24 anni. Ceccardo lo ricorda con infinito affetto in una bella poesia. Di Valentina non si è mai saputo nulla. Sappiamo però che ha frequentato le scuole a Ortonovo. Ho una pagella dell’anno scolastico 1887 – 88, donatami dal prof. Marchi, che testimonia il buon apprendimento della dodicenne. Guardate un po’ se vi trovate qualche bisnonna?:

 

Roccatagliata Valentina voto 23

Andreani Marietta voto 21

Andreani Rosa voto 19

Andreani Annetta voto 21

Andreani Ida voto 19

Bruschi      Spinalba voto 14

Corsanini Matilda voto 15

Coppini Carmela voto 19

Coppini Rosa voto 23

Damarciasi Palmira voto 19

Damarciasi Rosa voto 18   

Ferrari Ginevra   voto 15

Franciosi Viola    14

Pellistri Settima 15

Musetti Oliva voto 18

Poli Isabella voto 20

 

Ma ecco una poesia, quasi sconosciuta, dedicata a Valentina, da un Ceccardo 21ne, pubblicata su un giornale milanese il 1° Gen. 1893. Scritta a Genova, dove Ceccardo dimorava con il padre e la sorella, e dove, studiava per diventare notaio. (L’Italia ha perso un notaio ma ha trovato un grande poeta - Baratono). A quei tempi non aveva ancora rotto con loro. Nel 92, a Ortonovo, quando morì l’adorata mamma, lui non c’era. Solo il 13enne Luigi, supportato dall’Avv. Bianchi era vicino alla mamma morente. (P.s. Circolavano pettegolezzi che dicevano essere Luigi, figlio dell’avv. Bianchi, ma... non faceva la fine che ha fatto se avesse avuto quella fortuna lì).

 

Una triste pensée:

 

Oh, d’Ottobre, ne l’ultima gloria dei giorni aurati,

ne la suprema gioia che a la città da il sole,

ritornano le bimbe a le ben note scuole,

tornan ai campi ai libri e ai ricami usati…

 

Che stormo di donnine, dai nastri albi rosati,

tutte chiacchiere e risa e garrule parole!...

son bianche, snelle, brune – gigli, rose, viole -;

le guatano i palagi vecchi – meravigliati…

 

Ed io chiedo, o Signore, o mio Dio, quale vita

di queste svolazzanti gaie farfalle umane

sarà, prima, da morbo feroce inaridita?

 

E quante angele i baci d’amore non sapranno,

non sapran le tenere follie, l’ebbrezze vane…

quante anime, o Signore, non spezzerà l’inganno?

 

A Genova, in via Caffaro nascono: Ceccardo (1871), Rinaldo (1873)  e   Valentina (1875). Accuditi e coccolati dalle sorelle Antonietti, le due serve ortonovesi. Nel 1877 ritorno a Ortonovo nella casa avita, dove nel 1878, nasce Luigi.

 


  Siamo sicuri che il matrimonio sia fuori moda?
di Marino Bertocci


Napoleone, personaggio molto caro a più di un Nicolese, per via di una sua probabile ascendenza da quel Borgo, a proposito dei diritti delle persone che convivevano ebbe ad affermare: “loro se ne fregano delle leggi dello Stato, giusto quindi che le leggi dello Stato se ne freghino di loro”. Questo pensare, però, appartiene ad un recentissimo passato del nostro tempo Senza volere entrare in dotte, quanto, ahimè, inutili e forse fuori luogo disquisizioni sulla modifica dei costumi e della percezione attuale della morale, dobbiamo prendere atto che l’istituto del matrimonio, almeno così come noi l’abbiamo conosciuto, è decisamente in crisi. I tempi in cui eravamo abituati a vedere coppie di uomo e donna accedere al sacramento del matrimonio sembrano tramontati, aumentano semmai i matrimoni civili e, andando oltre, oggi i nostri giovani, sempre più numerosi, preferiscono la convivenza che così, da antico disordine religioso e civico, è quasi diventata la prassi e vede sempre più allontanarsi la tradizionale scelta del matrimonio, religioso o civile che sia.
Il fenomeno ha assunto proporzioni tali che lo Stato, evidentemente pressato dagli eventi, ha dovuto prenderne atto ed emanare una serie di norme che in qualche modo tutelino i diritti delle parti conviventi. Ecco, allora, che ci si può iscrivere in registri, si firmano patti, si interrompono convivenze e…ognuno per la propria strada…molto più semplice così!
Ma…ne siamo sicuri? Siamo sicuri che questa sia la soluzione? Credo che noi cattolici dobbiamo porci qualche domanda. La Chiesa ci dice che il matrimonio è un sacramento contratto tra un uomo ed una donna.  Anche se molti storcono il naso. O girano la testa altrove... la Chiesa ci dice anche che il matrimonio per noi è Indissolubile al punto che nella formula del rito l’ipotesi di scioglimento della stessa unione è talmente lontana dal suo spirito da venire addirittura lasciata alla morte.

La Grazia che deriva ai contraenti dal Sacramento stesso è garante di questo, eppure…troppo spesso siamo costretti a confrontarci con situazioni che ci dicono che, nel quotidiano divenire, questo non avviene... La storia dell’uomo ci insegna che l’istituto del matrimonio è nato essenzialmente per esigenze di mutuo soccorso e di perpetuazione dei contraenti. Nel matrimonio “storico” qualora una delle due parti, non importa quale, si trovasse in posizione di difficoltà per una qualsiasi motivazione, l’altra dovrebbe per vincolo prestargli la necessaria assistenza. Concetto nelle società laiche rafforzato e difeso dalla legislazione fintanto che l’evoluzione sociale, con la conseguente crisi della società patriarcale, ci ha condotti alla situazione odierna in cui, appunto, il matrimonio ha perso il suo appeal a favore delle così dette unioni civili. Unioni che comunque in qualche maniera cercano di tutelare la parte contraente più debole o bisognosa di tutela giuridica. Inevitabile qui interrogarsi sul perché il matrimonio, religioso o civile che sia, abbia potuto appesantirsi nel tempo con una serie di formalismi che lo hanno sempre più ingessato ed allontanato dal suo vero significato originario, con il risultato che per soddisfare il contorno l’impegno economico ha sopraffatto l’impegno della coppia nella realizzazione del progetto di vita proprio del matrimonio stesso.  I risultati…li vediamo…Ultimamente mi sono ritrovato con compagni di infanzia. La gioia del ritrovarci ha avuta la sua ombra di malinconia dal censimento di coloro che sono riusciti a mantenere viva l’unione coniugale. Su oltre sessanta persone presenti infatti solo sette eravamo ancora quelli “regolarmente” sposati. Che tristezza! Esiste una soluzione a questa situazione? Il matrimonio è un progetto di vita, un’opera d’arte, in cui gli sposi sono gli artisti. Il Papa, quando parla di unione coniugale, ce la presenta sempre quale palestra di pazienza, tolleranza, umiltà, talvolta sopportazione per i difetti dell’altro…che non di rado sono anche i nostri, coraggio di riconoscere le proprie mancanze, desiderio di camminare insieme e quindi…di condividere la propria vita con l’altro. E…non guasta mai…anche un poco di preghiera…il Sacramento farà il resto! In definitiva…se con il sacramento del matrimonio un premio.  La felicità coniugale. ci è stato promesso, questi sarà riservato certamente a coloro che avranno perseverato, provarci per credere!!! Nulla è impossibile, con l’aiuto di Dio! Auguri a tutti gli sposi!

 

Luni, 2 aprile 2019


  Il “Mausoleo” di Augusto
di Giorgio Bottiglioni



Nel 1787 il grande scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe, in visita a Roma, scrive: “oggi abbiamo avuto una ‘giostra’ di animali al mausoleo di Augusto.  Questo grandioso edificio, vuoto nell’interno, aperto in alto e perfettamente rotondo, è stato ora allestito a circo di lotta e precisamente di tori, come una specie di anfiteatro. Potrà contenere dalle quattro alle cinquemila persone. Lo spettacolo in sé non mi ha molto entusiasmato”. In queste poche righe tratte dallo scritto Viaggio in Italia 1786-1788, Goethe parla di quello che i romani all’epoca chiamavano Anfiteatro Corea, luogo di spettacoli seguitissimi dal pubblico locale e di grande attrazione anche per visitatori stranieri. Di fatto, nel 1780 il marchese Vivaldi, proprietario del Mausoleo di Augusto, aveva fatto costruire sopra il grande edificio circolare un anfiteatro ligneo, ben presto sostituito da uno più stabile in muratura, in cui venivano messi in scena spettacoli molto amati dai romani: le giostre con tori e i cosiddetti “fochetti”. Di rudimentali corride si ha notizia a Roma fin dal medioevo e pare venissero organizzate nella zona di Monte Testaccio, ma anche nel Foro Romano, nelle piazze dei SS. Apostoli e di San Pietro. I “fochetti” erano, invece, feste notturne con musiche ed elaborati giochi pirotecnici. Quando si passò dall’anfiteatro di legno a quello in muratura si potè aumentare la grandiosità di questi spettacoli fino a rappresentare celebri incendi storici, primo fra tutti quello della città di Troia. La denominazione Corea venne data a questo edificio in virtù della presenza nei pressi del Mausoleo di numerose proprietà del marchese portoghese Vincenzo Mani Correa e ancora oggi una piccola via nei dintorni ricorda il vecchio anfiteatro. Le strutture dell’anfiteatro si impostavano direttamente sulle murature antiche del mausoleo, in modo che il terzo anello a partire dal centro servisse da muro di contenimento delle gradinate e dei palchetti dell’anfiteatro. Il mausoleo, infatti, era una complessa struttura determinata da un basamento in travertino sul quale appoggiava l’edificio circolare composto da sette anelli concentrici, collegati fra loro da muri radiali. Il primo ambiente praticabile si trovava al termine del lungo corridoio d’ingresso: un settore ad arco si cerchio, fronteggiato in origine da un alto muro di grande spessore, rivestito di travertino, nel quale si aprivano due ingressi. Questo muro certamente si faceva carico di sostenere un secondo ripiano, facendo risultare così il mausoleo non un semplice sepolcro a tumolo, ma una struttura complessa, a piani sovrapposti, probabilmente derivata da monumenti funerari ellenistici. Al di là del grosso muro si trovava la cella principale con un unico ingresso e tre nicchie dove trovavano posto le tombe dei congiunti di Augusto. Al centro, un grande pilastro, con una stanzetta quadrata, dovrebbe corrispondere alla tomba del primo imperatore romano: questa era collocata dunque in significativa corrispondenza con la statua bronzea dell’imperatore, che sorgeva sulla sommità del pilastro, svettando al di sopra di tutto l’enorme monumento. Oltre ad Augusto, presero posto nel mausoleo i resti di illustri personaggi della famiglia imperiale quali Marcello, nipote e genero di Augusto, cui fu dedicato il celebre teatro, Ottavia, la sorella dell’imperatore che si ricorda per il famoso portico presente nel ghetto di Roma, Agrippa, noto per la costruzione del Pantheon, gli imperatori Tiberio e Claudio, Agrippina, madre di Nerone e, per ultimo, l’imperatore Nerva. La porta dell’edificio, si apriva verso sud, era preceduta da due obelischi. Questi furono rinvenuti nel 1527 da Baldassarre Peruzzi e portati altrove su ordine del Papa Sisto V che li volle posizionati uno sul Quirinale e l’altro sull’Esquilino, dove ancora oggi si trovano. Gli ultimissimi scavi ancora in corso nel 2009 hanno portato alla luce due grandi piastre di calcestruzzo gettate ai tempi dei Flavi che hanno fatto chiarezza sulla collocazione originaria dei due obelischi e sulla datazione della loro posa. In più sono stati ritrovati frammenti di granito rosa appartenenti alla punta dell’obelisco ora al Quirinale: il Papa, certamente irritato per il danno subito dall’obelisco durante il suo rinvenimento, ordinò di coprire il fallo col puntale di bronzo che ancora oggi svetta sul monolite. Su due pilastri a lato dell’ingresso erano fissate le tavole di bronzo con l’autobiografia di Augusto-le celeberrime “Res gestae divi Augusti” - un esemplare della quale, inciso sulle pareti d’ingresso del Tempio di Roma e Augusto ad Ankara, è pervenuta fino a noi. Questo importante testo è visibile a tutti, riprodotto sulla fiancata del moderno padiglione che contiene l’Ara Pacis. La particolare forma del mausoleo di Augusto, che potrebbe farci pensare ad una moderna torta nunziale, ha fatto riflettere molti studiosi circa il nodello cui gli architetti di Augusto avrebbero fatto riferimento. Si è pensato alle tombe a tumulo etrusche, ai leggendari tumuli funerari della Troia omerica. Alla maestosa tomba di Alessandro Magno che Augusto avrebbe visitato nel 28 a.C. subito dopo la battaglia di Azio e la definitiva sconfitta di Antonio. Molto probabilmente le intenzioni di Augusto erano quelle di creare un monumento del tutto nuovo a Roma, in grado di evocare tradizioni e culture diverse di fatto riunite nel concetto di romanità della sua nuova politica. Per di più il fatto che questo sia uno dei primi monumenti fatti edificare dall’imperatore- il mausoleo venne iniziato nel 29 a.C. e appena 6 anni dopo i resti del corpo di Marcello vi prendevano già posto- sta ad indicare quanto fosse chiaro in Augusto il progetto di una dinastia che per molti anni avrebbe governato Roma. Nel Medioevo il grandioso monumento divenne fortilizio della potente famiglia dei Colonna per passare poi nel cinquecento ai Soderini che lo trasformarono in un meraviglioso giardino di sculture antiche, meta di viaggiatori e artisti. Nel seicento il giardino del mausoleo, passato di proprietà ai Fioravanti, venne progressivamente spogliato delle sue celebri sculture, e il monumento, sempre più accerchiato da costruzioni moderne, rimase escluso dagli itinerari turistici e quasi dimenticato da artisti e studiosi di antichità. Nel Settecento ripresero gli scavi nell’area del mausoleo fino alle indagini molto accurate del marchese Vivaldi, a fine secolo, che portarono alla realizzazione del famoso anfiteatro Corea. Nonostante i cardinali fossero tra i più fedeli spettatori, le giostre vennero vietate dal Papa Leone XII e poi nuovamente da Pio VIII nel 1829 perché ritenute troppo violente e pericolose. Tuttavia dovettero continuare ancora alcuni anni visto che il poeta Giuseppe Gioacchino Belli nel 1831 scrive il sonetto “La ggiostra a Ggorèa “. Pochi anni dopo, lo stesso poeta ci ricorda una particolare esibizione di un elefante nel medesimo anfiteatro (“Er liofante”, 1843). Con la definitiva soppressione delle corride popolari e dei “Fochetti” notturni, interrotti intorno al 1844, l’arena del Corea si trasformò in teatro per rappresentazioni pomeridiane, come tombole, giochi equestri o acrobazia, a cui presto si sostituirono veri e propri spettacoli di prosa. Con l’unità d’Italia (1870) l’anfiteatro del mausoleo di Augusto, passato di proprietà del conte Telfener, mutò il nome in politeama Umberto I, ma mantenne invariata la sua funzione di teatro di prosa. Chiuso per alcuni anni su ordine della Commissione archeologica, nei primissimi anni del ‘900 l’anfiteatro venne adibito ad officina pe la fusione della statua equestre di Vittorio Emanuele, realizzata dagli scultori Enrico Chiaradia e Emilio Gallori per l’altare della pace, inaugurato nel 1911. Nel 1907, tuttavia, il mausoleo tornò nuovamente ad ospitare spettacoli pubblici diventando il nuovo Auditorium comunale, meglio noto come Augusteo, ben presto sede dell’Orchestra Sinfonica della Reale Accademia di Santa Cecilia. Il Conte Enrico di San Martino Valperga, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia ed Ernesto Nathan, sindaco di Roma, furono i principali fautori di questo importante progetto. Alla presenza di numerose personalità tra cuoi Gabriele D’Annunzio –vittima peraltro di un comico episodio quando, mancando la seduta sulla poltrona, si ritrovò a terra e a gambe per aria – il 16 febbraio 1908 Giuseppe Martucci faceva risuonare le note della Sinfona da L’Assedio di Corinto di Rossini, ideale omaggio alla genialità musicale italiana, prima di dare spazio ai testimoni illustri del sinfonismo: Beethoven, Mozart e Wagner. Nei primi anni della sua attività l’Augusteo ospitò famosissimi direttori d’orchestra fra cui Richard Strauss, Gustav Mahler, Bruno Walter, Gorge Enescu e gli italiani Giuseppe Marcucci, Pietro Mascagni, Lorenzo Perosi, Arturo Toscanini e Alfredo Casella, molti dei quali diressero le prime italiane di proprie composizioni. Moltissimi furono anche i grandi solisti che si esibirono All’Augusteo: i pianisti Ferruccio Busoni e Artur Rubistein, il violoncellista Pablo Casals , il tenore Beniamino Gigli, il contrabbassista Koussevitzky, il violinista Carl Flesch. Nei primi anni trenta continuarono a susseguirsi “famose bacchette” del calibro di Riccardo Zandonai e Otto Klemperer e solisti importanti quali Jasha Heifetz e l’enfant prodige Yehudi Menhuin. Alcuni grandi compositori vollero presentare all’Augusteo le loro produzioni in qualità di solisti: Sergej Prokof’ev nel 1915 propose al pubblico romano il Concerto n° 2 per pianoforte e orchestra in Sol minore, mentre Paul Hindemith si esibì nel 1930 come violista con la sua Kammermusik n° 5. In tutti questi anni il direttore stabile fu sempre Bernardino Molinari a cui toccò, fra le altre, la “prima esecuzione” assoluta dei Pini di Roma si Otorino Respighi (1921).  Il 14 maggio 1936 sul giornale “Il popolo di Roma” uscì un articolo al titolo” l’ultimo concerto all’Augusteo, scuola musicale dei romani”. “L’Augusteo ha chiuso ieri sera per sempre i suoi battenti alla musica. Vi si è dato, diretto da Molinari, l’ultimo concerto della stagione e insieme della sua esistenza quale centro della musica sinfonica italiana…… il commiato del pubblico dalle vecchie mura, che risuonarono per ventotto stagioni della musica di tutto il mondo, è stato commovente, quasi patetico. Giacchè l’Augusteo fu la scuola dove i romani appresero ad amare l’arte sinfonica e i suoi migliori interpreti”. Già del 1934 Mussolini aveva iniziato a demolire alcune strutture dell’Auditorium e gli edifici nei paragi mutando completamente la topografia della zona. Il progetto di pulitura del mausoleo di Augusto sarà compiuto nel 1937 in occasione dei 2000 anni dalla nascita di Augusto. Oggi si attende la fruttuosa conclusione delle indagini archeologiche iniziate nel 2007 e una nuova sistemazione di tutta la Piazza Augusto Imperatore.


  QUELLA VECCHIA QUERCIA
di MARTA


          

Sovente il ricordo va ad una vecchia bellissima pianta di quercia, quando da bambina andavo con la mamma a trovare i nostri parenti.  Con i loro ragazzi si correva sotto la quercia, che solitaria si trovava sul confine del podere all’inizio del bosco, per raccontarci le nostre storie.  Tra noi non mancavano i più intrepidi che salivano sull’albero, come scoiattoli, raggiungendone la cima esultanti dell’impresa compiuta. Quando ero lontana pensavo spesso a quello spazio di gioco in libertà e alla gioia che avrei provato tutte le volte nel ritrovarlo. Sul tronco alcuni hanno inciso i loro nomi e sono sicura che a distanza di tanto tempo sono ancora leggibili. Oggi lo spazio che mi rimane molto caro è il mio piccolo divano e i pochi metri quadrati dove è presente  tutto quello che mi serve per sentirmi a mio agio e rilassata, oltre che al sicuro dal resto del mondo. Ormai basta una finestra dalla quale guardare il cielo, le cime degli alberi, che ondeggiano al vento e il passare del tempo al mutare delle stagioni. Ma …..  a pensarci bene, ho qualche altro spazio a me caro, come il ritrovarmi immersa nel silenzio ristoratore della piccola Pieve di San Martino nel  raccoglimento di una riflessione e di una preghiera al Signore e alla Madonna per tutti i nostri cari.  Pensando ai miei piccoli spazi mi accorgo quanto poco mi sia bastato e mi basti nella vita per sentirmi davvero in pace.  Mi rendo conto quanto sia bello concentrarsi anche sui nostri riti quotidiani lasciando parlare i rumori che ci accompagnano, e, al nostro risveglio, quando inizia un nuovo giorno, gioire del profumo del pane, appena sfornato, che emana una fragranza unica, e, ancora, durante la giornata nello sbrigare le varie mansioni fino a sera, quando mi ritrovo nel mio piccolo spazio e mi riprendo i miei pensieri e i miei ricordi. E’ qui che appartengo solo a me stessa. Sono anni che non vado a trovare la vecchia quercia: i parenti non ci sono più; altri proprietari si sono succeduti, ma il ricordo rimane vivo e dolce.  Ora che è primavera, immagino la vecchia quercia piena di foglie novelle e il fruscio delle sue fronde al vento, sempre maestosa ostentare a tutti la sua bellezza, la sua vigoria, la sua longevità.  Forse perché quello era il tempo della fanciullezza semplice e spensierata che riaffiora oggi, che non c’è più, con forza e nostalgia.  Chissà quanti altri bambini ha visto e fatto giocare sotto il grande ombrello della sua ombra. E chissà se qualcuno, un giorno, potrà o saprà scriverne la sua storia.

                                                                            

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