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LE GRAFFIATURE
di Antonio Ratti
Se non ci fossero i pirati
della strada a disattendere etica, codice, logica e sano egoismo …..
Se non ci fossero i
rapinatori, i ladri e gli scippatori …
Se non ci fossero gli usurai e
gli sfruttatori …
Se non ci fossero i
sequestratori, gli stupratori e i pedofili …..
Se non ci fossero quelli che,
sollecitati da una ciclonica “tempesta emotiva” piena d’amore, uccidono le
amate compagne e ottengono comprensione con sconti di pena ….
Se non ci fossero i corruttori
e i corrotti ……..
Se non ci fossero i
guerrafondai nel nome della democrazia diffusa ….
Se non ci fossero gli evasori
fiscali, le scatole cinesi dei finanzieri, le acrobazie fiscali e finanziarie
dei vip e i paradisi fiscali dove
godersi la refurtiva …..
Se non ci fossero coloro che
interpretano Bibbia, Corano e Vangeli a proprio uso e perfido consumo……
Se non ci fossero i terroristi
e il terrorismo nel nome di Dio e della pace tra i popoli …..
Se non ci fossero i pacifisti
di mestiere, sempre pronti a manifestare con cortei sfascia tutto ……
Se non ci fossero i potenti
arroganti …….
Se non ci fossero gli
aspiranti potenti, peggiori dei precedenti ……
Se non ci fossero le
raccomandazioni ed i raccomandati di mezza tacca …..
Se non ci fossero i politici
di mestiere e le furberie connesse …..
Se non ci fossero la mafia, la
‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita e le tante altre senza nome ……
Se non ci fossero i vuoti di
spirito ( non i poveri ) bisognosi di droga e di sballi …….
Se non ci fossero coloro che,
non sapendo perché sono al mondo, occorre spiegare loro che sono necessari
sempre un padre ed una madre, mentre cercano
emozioni forti, per sentirsi vivi, nella tecnologia che deve fare “ cose” non “persone”
……
Se non ci fossero coloro che,
nel nome dei propri, non riconoscono i diritti degli altri ….
Finalmente verrebbe da pensare ad un mondo migliore.
Niente di più inverosimile. Ci
sarebbero solo tanta monotonia con i
giornali, i TG e le troppe trasmissioni
di informazioni-gossip, utili solo alle conduttrici, senza notizie da
proporre e milioni di esuberi nel pubblico impiego, nelle forze dell’ordine e
nella magistratura che deve già mettercela tutta per non farsi mai finire gli
arretrati. E i non pochi factotum, senza arte né parte e competenze come potrebbero senza
la forza della politica urlata ambire ad un posto in Parlamento, a dirigere un
Ministero o assurgere al rango di manager di ASL, Aziende pubbliche e
partecipate e centri di potere? Grazie italiani per la nostra
immensa capacità di digerire ogni assurdità presentino al nostro desco e tirare
innanzi sognando che, forse, tutto ha un limite. Resta da stabilire quando …..Ma, soprattutto,
spetterebbe a noi, non a loro, deciderlo.
Gennaio 1998
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La sua famiglia
di Romano Parodi
Abbiamo constatato con un certo stupore che Ceccardo, non
nomina mai né il padre, che morrà suicida nel 1900, ne il fratello Rinaldo, che
morrà in manicomio, ne la sorella Valentina, della quale, a tutt’oggi, non si è
saputo mai nulla. I numerosi biografi non sapevano nemmeno della loro
esistenza, perché lui non ne ha mai accennato a nessuno, neanche a Viani.
Nessuno è mai venuto a Ortonovo ad informarsi. I miei nonni li conoscevano
tutti. Rinà, il matto (“La casa dei matti?”) fu la causa prima della rovina della
famiglia: “la rovina dei miei”, diceva Ceccardo. Secondogenito, di Lazzaro e di
Giovanna Battistini, Rinaldo nacque a Genova nel 1873. Per le sue condizioni
psichiche (la madre diceva che gli era stato scambiato al baliatico), il
ragazzino, isterico, ingestibile, urlava sempre. La famiglia, per la vergogna,
quando il bambino aveva già 5 anni, da Genova si trasferì a Ortonovo, nella
casa avita; ma anche qui erano continue urla. Il ragazzo, tirava ogni forma
d’oggetto a quanti passavano lungo Via Chiasso. Il padre, esasperato, lo
rinchiuse nei bassifondi del palazzo, nutrito dalla servitù; e questo creò
forti dissapori in famiglia e nel paese, al punto che, con una rivolta popolare
guidata dalla leggendaria Gervà, lo liberarono, facendolo fuggire da una
porticina in via del Fosso. Fu ospitato in casa della tabaccaia stessa. Il
medico, dott. Francesco Andreani, nipote della Gervà, quando viene in vacanza a
Ortonovo, dice che in quella stanza “ci si sente” e che c’è ancora il letto con
lo stemma della famiglia Ceccardi. Lazzaro, oramai in rotta con la moglie,
prende la terzogenita Valentina, nata nel 1875, e ritorna a Genova, lasciando
la moglie e i tre figli maschi: Ceccardo, Rinaldo e l’ultimogenito Luigi, nato
nel 1878 a Ortonovo. Giovanna, però si prenderà sempre cura del povero Rinaldo,
al punto che quando viene ricoverato in manicomio, pagherà sempre puntualmente
l’alta retta, vendendo tutto il vasto patrimonio di famiglia: “Uno stormo di
villici, a nube di loppa, rapìa le nostre terre”, dirà Ceccardo. Di Luigi,
anche lui poeta d’aperto intelletto, ne abbiamo già parlato molto. Prima si
arruolò nella Legione Straniera, poi, evaso, ritornò. Infine si arruolò nelle
guardie di Finanza e morì di tifo, a Frizzon, sul confine austriaco: aveva 24
anni. Ceccardo lo ricorda con infinito affetto in una bella poesia. Di
Valentina non si è mai saputo nulla. Sappiamo però che ha frequentato le scuole
a Ortonovo. Ho una pagella dell’anno scolastico 1887 – 88, donatami dal prof.
Marchi, che testimonia il buon apprendimento della dodicenne. Guardate un po’
se vi trovate qualche bisnonna?:
Roccatagliata Valentina voto 23
Andreani Marietta voto 21
Andreani Rosa voto 19
Andreani Annetta voto 21
Andreani Ida voto 19
Bruschi Spinalba
voto 14
Corsanini Matilda voto 15
Coppini Carmela voto 19
Coppini Rosa voto 23
Damarciasi Palmira voto 19
Damarciasi Rosa voto 18
Ferrari Ginevra voto
15
Franciosi Viola 14
Pellistri Settima 15
Musetti Oliva voto 18
Poli Isabella voto 20
Ma ecco una poesia, quasi sconosciuta, dedicata a Valentina,
da un Ceccardo 21ne, pubblicata su un giornale milanese il 1° Gen. 1893.
Scritta a Genova, dove Ceccardo dimorava con il padre e la sorella, e dove,
studiava per diventare notaio. (L’Italia ha perso un notaio ma ha trovato un
grande poeta - Baratono). A quei tempi non aveva ancora rotto con loro. Nel 92,
a Ortonovo, quando morì l’adorata mamma, lui non c’era. Solo il 13enne Luigi,
supportato dall’Avv. Bianchi era vicino alla mamma morente. (P.s. Circolavano
pettegolezzi che dicevano essere Luigi, figlio dell’avv. Bianchi, ma... non
faceva la fine che ha fatto se avesse avuto quella fortuna lì).
Una
triste pensée:
Oh,
d’Ottobre, ne l’ultima gloria dei giorni aurati,
ne la
suprema gioia che a la città da il sole,
ritornano
le bimbe a le ben note scuole,
tornan ai
campi ai libri e ai ricami usati…
Che
stormo di donnine, dai nastri albi rosati,
tutte
chiacchiere e risa e garrule parole!...
son
bianche, snelle, brune – gigli, rose, viole -;
le
guatano i palagi vecchi – meravigliati…
Ed io
chiedo, o Signore, o mio Dio, quale vita
di queste
svolazzanti gaie farfalle umane
sarà,
prima, da morbo feroce inaridita?
E quante
angele i baci d’amore non sapranno,
non
sapran le tenere follie, l’ebbrezze vane…
quante
anime, o Signore, non spezzerà l’inganno?
A Genova, in via Caffaro nascono: Ceccardo (1871), Rinaldo
(1873) e Valentina (1875). Accuditi e coccolati dalle
sorelle Antonietti, le due serve ortonovesi. Nel 1877 ritorno a Ortonovo nella
casa avita, dove nel 1878, nasce Luigi.
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Siamo sicuri che il matrimonio sia fuori moda?
di Marino Bertocci
Napoleone, personaggio molto
caro a più di un Nicolese, per via di una sua probabile ascendenza da quel
Borgo, a proposito dei diritti delle persone che convivevano ebbe ad affermare:
“loro se ne fregano delle leggi dello Stato, giusto quindi che le leggi dello Stato
se ne freghino di loro”. Questo pensare, però, appartiene ad un recentissimo
passato del nostro tempo Senza volere entrare in dotte, quanto, ahimè, inutili
e forse fuori luogo disquisizioni sulla modifica dei costumi e della percezione
attuale della morale, dobbiamo prendere atto che l’istituto del matrimonio, almeno
così come noi l’abbiamo conosciuto, è decisamente in crisi. I tempi in cui
eravamo abituati a vedere coppie di uomo e donna accedere al sacramento del
matrimonio sembrano tramontati, aumentano semmai i matrimoni civili e, andando oltre,
oggi i nostri giovani, sempre più numerosi, preferiscono la convivenza che
così, da antico disordine religioso e civico, è quasi diventata la prassi e
vede sempre più allontanarsi la tradizionale scelta del matrimonio, religioso o
civile che sia. Il fenomeno ha assunto
proporzioni tali che lo Stato, evidentemente pressato dagli eventi, ha dovuto
prenderne atto ed emanare una serie di norme che in qualche modo tutelino i
diritti delle parti conviventi. Ecco, allora, che ci si può iscrivere in
registri, si firmano patti, si interrompono convivenze e…ognuno per la propria
strada…molto più semplice così! Ma…ne siamo sicuri? Siamo
sicuri che questa sia la soluzione? Credo che noi cattolici dobbiamo porci
qualche domanda. La Chiesa ci dice che il matrimonio è un sacramento contratto
tra un uomo ed una donna. Anche se molti
storcono il naso. O girano la testa altrove... la Chiesa ci dice anche che il
matrimonio per noi è Indissolubile al punto che nella formula del rito
l’ipotesi di scioglimento della stessa unione è talmente lontana dal suo
spirito da venire addirittura lasciata alla morte. La Grazia che deriva ai
contraenti dal Sacramento stesso è garante di questo, eppure…troppo spesso
siamo costretti a confrontarci con situazioni che ci dicono che, nel quotidiano
divenire, questo non avviene... La storia dell’uomo ci insegna che l’istituto
del matrimonio è nato essenzialmente per esigenze di mutuo soccorso e di
perpetuazione dei contraenti. Nel matrimonio “storico” qualora una delle due
parti, non importa quale, si trovasse in posizione di difficoltà per una
qualsiasi motivazione, l’altra dovrebbe per vincolo prestargli la necessaria
assistenza. Concetto nelle società laiche rafforzato e difeso dalla
legislazione fintanto che l’evoluzione sociale, con la conseguente crisi della
società patriarcale, ci ha condotti alla situazione odierna in cui, appunto, il
matrimonio ha perso il suo appeal a favore delle così dette unioni civili. Unioni
che comunque in qualche maniera cercano di tutelare la parte contraente più
debole o bisognosa di tutela giuridica. Inevitabile qui interrogarsi sul perché
il matrimonio, religioso o civile che sia, abbia potuto appesantirsi nel tempo
con una serie di formalismi che lo hanno sempre più ingessato ed allontanato
dal suo vero significato originario, con il risultato che per soddisfare il
contorno l’impegno economico ha sopraffatto l’impegno della coppia nella
realizzazione del progetto di vita proprio del matrimonio stesso. I risultati…li vediamo…Ultimamente mi sono
ritrovato con compagni di infanzia. La gioia del ritrovarci ha avuta la sua
ombra di malinconia dal censimento di coloro che sono riusciti a mantenere viva
l’unione coniugale. Su oltre sessanta persone presenti infatti solo sette
eravamo ancora quelli “regolarmente” sposati. Che tristezza! Esiste una
soluzione a questa situazione? Il matrimonio è un progetto di vita, un’opera
d’arte, in cui gli sposi sono gli artisti. Il Papa, quando parla di unione
coniugale, ce la presenta sempre quale palestra di pazienza, tolleranza,
umiltà, talvolta sopportazione per i difetti dell’altro…che non di rado sono
anche i nostri, coraggio di riconoscere le proprie mancanze, desiderio di
camminare insieme e quindi…di condividere la propria vita con l’altro. E…non
guasta mai…anche un poco di preghiera…il Sacramento farà il resto! In
definitiva…se con il sacramento del matrimonio un premio. La felicità coniugale. ci è stato promesso, questi
sarà riservato certamente a coloro che avranno perseverato, provarci per credere!!!
Nulla è impossibile, con l’aiuto di Dio! Auguri a tutti gli sposi!
Luni, 2 aprile 2019
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Il “Mausoleo” di Augusto
di Giorgio Bottiglioni
Nel 1787 il grande scrittore
tedesco Johann Wolfgang Goethe, in visita a Roma, scrive: “oggi abbiamo avuto una ‘giostra’ di animali al mausoleo
di Augusto. Questo grandioso edificio, vuoto nell’interno, aperto in alto e
perfettamente rotondo, è stato ora allestito a circo di lotta e precisamente di
tori, come una specie di anfiteatro. Potrà contenere dalle quattro alle
cinquemila persone. Lo spettacolo in sé non mi ha molto entusiasmato”. In
queste poche righe tratte dallo scritto Viaggio
in Italia 1786-1788, Goethe parla di quello che i romani all’epoca
chiamavano Anfiteatro Corea, luogo di spettacoli seguitissimi dal pubblico
locale e di grande attrazione anche per visitatori stranieri. Di fatto, nel
1780 il marchese Vivaldi, proprietario del Mausoleo di Augusto, aveva fatto
costruire sopra il grande edificio circolare un anfiteatro ligneo, ben presto
sostituito da uno più stabile in muratura, in cui venivano messi in scena
spettacoli molto amati dai romani: le giostre con tori e i cosiddetti “fochetti”.
Di rudimentali corride si ha notizia a Roma fin dal medioevo e pare venissero
organizzate nella zona di Monte Testaccio, ma anche nel Foro Romano, nelle
piazze dei SS. Apostoli e di San Pietro. I “fochetti” erano, invece, feste notturne
con musiche ed elaborati giochi pirotecnici. Quando si passò dall’anfiteatro di
legno a quello in muratura si potè aumentare la grandiosità di questi
spettacoli fino a rappresentare celebri incendi storici, primo fra tutti quello
della città di Troia. La denominazione Corea venne data a questo edificio in
virtù della presenza nei pressi del Mausoleo di numerose proprietà del marchese
portoghese Vincenzo Mani Correa e ancora oggi una piccola via nei dintorni
ricorda il vecchio anfiteatro. Le strutture dell’anfiteatro si impostavano
direttamente sulle murature antiche del mausoleo, in modo che il terzo anello a
partire dal centro servisse da muro di contenimento delle gradinate e dei
palchetti dell’anfiteatro. Il mausoleo, infatti, era una complessa struttura
determinata da un basamento in travertino sul quale appoggiava l’edificio
circolare composto da sette anelli concentrici, collegati fra loro da muri
radiali. Il primo ambiente praticabile si trovava al termine del lungo
corridoio d’ingresso: un settore ad arco si cerchio, fronteggiato in origine da
un alto muro di grande spessore, rivestito di travertino, nel quale si aprivano
due ingressi. Questo muro certamente si faceva carico di sostenere un secondo
ripiano, facendo risultare così il mausoleo non un semplice sepolcro a tumolo,
ma una struttura complessa, a piani sovrapposti, probabilmente derivata da
monumenti funerari ellenistici. Al di là del grosso muro si trovava la cella principale
con un unico ingresso e tre nicchie dove trovavano posto le tombe dei congiunti
di Augusto. Al centro, un grande pilastro, con una stanzetta quadrata, dovrebbe
corrispondere alla tomba del primo imperatore romano: questa era collocata
dunque in significativa corrispondenza con la statua bronzea dell’imperatore,
che sorgeva sulla sommità del pilastro, svettando al di sopra di tutto l’enorme
monumento. Oltre ad Augusto, presero posto nel mausoleo i resti di illustri
personaggi della famiglia imperiale quali Marcello, nipote e genero di Augusto,
cui fu dedicato il celebre teatro, Ottavia, la sorella dell’imperatore che si
ricorda per il famoso portico presente nel ghetto di Roma, Agrippa, noto per la
costruzione del Pantheon, gli imperatori Tiberio e Claudio, Agrippina, madre di
Nerone e, per ultimo, l’imperatore Nerva. La porta dell’edificio, si apriva
verso sud, era preceduta da due obelischi. Questi furono rinvenuti nel 1527 da
Baldassarre Peruzzi e portati altrove su ordine del Papa Sisto V che li volle
posizionati uno sul Quirinale e l’altro sull’Esquilino, dove ancora oggi si trovano.
Gli ultimissimi scavi ancora in corso nel 2009 hanno portato alla luce due
grandi piastre di calcestruzzo gettate ai tempi dei Flavi che hanno fatto
chiarezza sulla collocazione originaria dei due obelischi e sulla datazione
della loro posa. In più sono stati ritrovati frammenti di granito rosa appartenenti
alla punta dell’obelisco ora al Quirinale: il Papa, certamente irritato per il
danno subito dall’obelisco durante il suo rinvenimento, ordinò di coprire il
fallo col puntale di bronzo che ancora oggi svetta sul monolite. Su due
pilastri a lato dell’ingresso erano fissate le tavole di bronzo con
l’autobiografia di Augusto-le celeberrime “Res gestae divi Augusti” - un esemplare
della quale, inciso sulle pareti d’ingresso del Tempio di Roma e Augusto ad
Ankara, è pervenuta fino a noi. Questo importante testo è visibile a tutti,
riprodotto sulla fiancata del moderno padiglione che contiene l’Ara Pacis. La
particolare forma del mausoleo di Augusto, che potrebbe farci pensare ad una
moderna torta nunziale, ha fatto riflettere molti studiosi circa il nodello cui
gli architetti di Augusto avrebbero fatto riferimento. Si è pensato alle tombe
a tumulo etrusche, ai leggendari tumuli funerari della Troia omerica. Alla
maestosa tomba di Alessandro Magno che Augusto avrebbe visitato nel 28 a.C.
subito dopo la battaglia di Azio e la definitiva sconfitta di Antonio. Molto
probabilmente le intenzioni di Augusto erano quelle di creare un monumento del
tutto nuovo a Roma, in grado di evocare tradizioni e culture diverse di fatto
riunite nel concetto di romanità della sua nuova politica. Per di più il fatto
che questo sia uno dei primi monumenti fatti edificare dall’imperatore- il
mausoleo venne iniziato nel 29 a.C. e appena 6 anni dopo i resti del corpo di
Marcello vi prendevano già posto- sta ad indicare quanto fosse chiaro in
Augusto il progetto di una dinastia che per molti anni avrebbe governato Roma.
Nel Medioevo il grandioso monumento divenne fortilizio della potente famiglia
dei Colonna per passare poi nel cinquecento ai Soderini che lo trasformarono in
un meraviglioso giardino di sculture antiche, meta di viaggiatori e artisti.
Nel seicento il giardino del mausoleo, passato di proprietà ai Fioravanti, venne
progressivamente spogliato delle sue celebri sculture, e il monumento, sempre
più accerchiato da costruzioni moderne, rimase escluso dagli itinerari turistici
e quasi dimenticato da artisti e studiosi di antichità. Nel Settecento
ripresero gli scavi nell’area del mausoleo fino alle indagini molto accurate
del marchese Vivaldi, a fine secolo, che portarono alla realizzazione del
famoso anfiteatro Corea. Nonostante i cardinali fossero tra i più fedeli spettatori,
le giostre vennero vietate dal Papa Leone XII e poi nuovamente da Pio VIII nel
1829 perché ritenute troppo violente e pericolose. Tuttavia dovettero
continuare ancora alcuni anni visto che il poeta Giuseppe Gioacchino Belli nel
1831 scrive il sonetto “La ggiostra a Ggorèa “. Pochi anni dopo, lo stesso
poeta ci ricorda una particolare esibizione di un elefante nel medesimo
anfiteatro (“Er liofante”, 1843). Con la definitiva soppressione delle corride
popolari e dei “Fochetti” notturni, interrotti intorno al 1844, l’arena del
Corea si trasformò in teatro per rappresentazioni pomeridiane, come tombole,
giochi equestri o acrobazia, a cui presto si sostituirono veri e propri spettacoli
di prosa. Con l’unità d’Italia (1870) l’anfiteatro del mausoleo di Augusto,
passato di proprietà del conte Telfener, mutò il nome in politeama Umberto I,
ma mantenne invariata la sua funzione di teatro di prosa. Chiuso per alcuni
anni su ordine della Commissione archeologica, nei primissimi anni del ‘900
l’anfiteatro venne adibito ad officina pe la fusione della statua equestre di
Vittorio Emanuele, realizzata dagli scultori Enrico Chiaradia e Emilio Gallori
per l’altare della pace, inaugurato nel 1911. Nel 1907, tuttavia, il mausoleo
tornò nuovamente ad ospitare spettacoli pubblici diventando il nuovo Auditorium
comunale, meglio noto come Augusteo, ben presto sede dell’Orchestra Sinfonica
della Reale Accademia di Santa Cecilia. Il Conte Enrico di San Martino
Valperga, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia ed Ernesto Nathan, sindaco
di Roma, furono i principali fautori di questo importante progetto. Alla
presenza di numerose personalità tra cuoi Gabriele D’Annunzio –vittima peraltro
di un comico episodio quando, mancando la seduta sulla poltrona, si ritrovò a
terra e a gambe per aria – il 16 febbraio 1908 Giuseppe Martucci faceva risuonare
le note della Sinfona da L’Assedio di
Corinto di Rossini, ideale omaggio alla genialità musicale italiana, prima
di dare spazio ai testimoni illustri del sinfonismo: Beethoven, Mozart e
Wagner. Nei primi anni della sua attività l’Augusteo ospitò famosissimi
direttori d’orchestra fra cui Richard Strauss, Gustav Mahler, Bruno Walter,
Gorge Enescu e gli italiani Giuseppe Marcucci, Pietro Mascagni, Lorenzo Perosi,
Arturo Toscanini e Alfredo Casella, molti dei quali diressero le prime italiane
di proprie composizioni. Moltissimi furono anche i grandi solisti che si
esibirono All’Augusteo: i pianisti Ferruccio Busoni e Artur Rubistein, il
violoncellista Pablo Casals , il tenore Beniamino Gigli, il contrabbassista
Koussevitzky, il violinista Carl Flesch. Nei primi anni trenta continuarono a
susseguirsi “famose bacchette” del calibro di Riccardo Zandonai e Otto
Klemperer e solisti importanti quali Jasha Heifetz e l’enfant prodige Yehudi
Menhuin. Alcuni grandi compositori vollero presentare all’Augusteo le loro
produzioni in qualità di solisti: Sergej Prokof’ev nel 1915 propose al pubblico
romano il Concerto n° 2 per pianoforte e orchestra in Sol minore, mentre
Paul Hindemith si esibì nel 1930 come violista con la sua Kammermusik n° 5. In tutti questi anni il direttore stabile fu
sempre Bernardino Molinari a cui toccò, fra le altre, la “prima esecuzione”
assoluta dei Pini di Roma si Otorino
Respighi (1921). Il 14 maggio 1936 sul
giornale “Il popolo di Roma” uscì un articolo al titolo” l’ultimo concerto
all’Augusteo, scuola musicale dei romani”. “L’Augusteo ha chiuso ieri sera per
sempre i suoi battenti alla musica. Vi si è dato, diretto da Molinari, l’ultimo
concerto della stagione e insieme della sua esistenza quale centro della musica
sinfonica italiana…… il commiato del pubblico dalle vecchie mura, che
risuonarono per ventotto stagioni della musica di tutto il mondo, è stato
commovente, quasi patetico. Giacchè l’Augusteo fu la scuola dove i romani
appresero ad amare l’arte sinfonica e i suoi migliori interpreti”. Già del 1934
Mussolini aveva iniziato a demolire alcune strutture dell’Auditorium e gli
edifici nei paragi mutando completamente la topografia della zona. Il progetto
di pulitura del mausoleo di Augusto sarà compiuto nel 1937 in occasione dei 2000
anni dalla nascita di Augusto. Oggi si attende la fruttuosa conclusione delle
indagini archeologiche iniziate nel 2007 e una nuova sistemazione di tutta la
Piazza Augusto Imperatore.
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QUELLA VECCHIA QUERCIA
di MARTA
Sovente il ricordo va ad una
vecchia bellissima pianta di quercia, quando da bambina andavo con la mamma a
trovare i nostri parenti. Con i loro
ragazzi si correva sotto la quercia, che solitaria si trovava sul confine del
podere all’inizio del bosco, per raccontarci le nostre storie. Tra noi non mancavano i più intrepidi che
salivano sull’albero, come scoiattoli, raggiungendone la cima esultanti
dell’impresa compiuta. Quando ero lontana pensavo spesso a quello spazio di
gioco in libertà e alla gioia che avrei provato tutte le volte nel ritrovarlo.
Sul tronco alcuni hanno inciso i loro nomi e sono sicura che a distanza di
tanto tempo sono ancora leggibili. Oggi lo spazio che mi rimane molto caro è il
mio piccolo divano e i pochi metri quadrati dove è presente tutto quello che mi serve per sentirmi a mio
agio e rilassata, oltre che al sicuro dal resto del mondo. Ormai basta una
finestra dalla quale guardare il cielo, le cime degli alberi, che ondeggiano al
vento e il passare del tempo al mutare delle stagioni. Ma ….. a pensarci bene, ho qualche altro spazio a me
caro, come il ritrovarmi immersa nel silenzio ristoratore della piccola Pieve
di San Martino nel raccoglimento di una
riflessione e di una preghiera al Signore e alla Madonna per tutti i nostri
cari. Pensando ai miei piccoli spazi mi
accorgo quanto poco mi sia bastato e mi basti nella vita per sentirmi davvero
in pace. Mi rendo conto quanto sia bello
concentrarsi anche sui nostri riti quotidiani lasciando parlare i rumori che ci
accompagnano, e, al nostro risveglio, quando inizia un nuovo giorno, gioire del
profumo del pane, appena sfornato, che emana una fragranza unica, e, ancora,
durante la giornata nello sbrigare le varie mansioni fino a sera, quando mi
ritrovo nel mio piccolo spazio e mi riprendo i miei pensieri e i miei ricordi. E’
qui che appartengo solo a me stessa. Sono anni che non vado a trovare la
vecchia quercia: i parenti non ci sono più; altri proprietari si sono
succeduti, ma il ricordo rimane vivo e dolce.
Ora che è primavera, immagino la vecchia quercia piena di foglie novelle
e il fruscio delle sue fronde al vento, sempre maestosa ostentare a tutti la
sua bellezza, la sua vigoria, la sua longevità.
Forse perché quello era il tempo della fanciullezza semplice e
spensierata che riaffiora oggi, che non c’è più, con forza e nostalgia. Chissà quanti altri bambini ha visto e fatto
giocare sotto il grande ombrello della sua ombra. E chissà se qualcuno, un giorno,
potrà o saprà scriverne la sua storia.
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