N° 4 - Aprile 2019
Storie dei lettori
  I CECCARDI
di Romano Parodi



Il personaggio più illustre e “famoso” di Ortonovo è senz’altro, Ambrogio Monticola Ceccardi. Nato nel 1499 e morto nel 1569, è sepolto nella basilica di Segni. Pur lontano da Ortonovo, aveva “sempre a cuore gli interessi spirituali e materiali della patria mia”, è scritto in una pergamena conservata nella biblioteca del Seminario. In S. Lorenzo c’è l’altare di Sant’Antonio da lui edificato già nel 1529 e lì trasportato nel 1620 dalla vecchia chiesetta in mezzo al borgo. Studiò a Roma, e questo comincia a darci un’idea del potere e prestigio di questa grande famiglia. Per duecento anni i Ceccardi studiarono a Roma il mestiere più prestigioso di quei tempi: la carriera ecclesiastica, governare l’Italia e il mondo.
Nel 1537, già Signifero del pontefice, mentre si trovava dai genitori, assisté al miracolo della Madonna del Mirteto e toccò con mano le lacrime di sangue che scendevano da un dipinto dentro la Casaccia dei Disciplinati.
Eletto vescovo da Giulio II, “non solo per bontà di vita, ma eziandio per le scienze teologali e canoniche” - Ambrogio Monticola - Cechardus Lunensis - Vescovo di Segni, fu uno protagonisti del Concilio di Trento. Raccontò ai Padri del miracolo di Ortonovo ed ebbe l’autorizzazione ad edificare un santuario mariano, unico in Liguria avallato dalla Chiesa. In quei tempi i miracoli erano quotidiani e solo uno su mille veniva approvato dalle autorità, e solo dopo lunghe indagini, ma il miracolo di Ortonovo fu approvato subito e senza accertamenti (Se lo dici tu…). Alla Madonna c’è la lapide, in latino, del Proloquium e carmine (Sentenza e ode) del vescovo al Concilio Tridentino.
L’ode inizia così: Orti diva novi... (Madonna di Ortonovo, che cosa piangi? … perché bagni la terra col (tuo) sacro sangue… piuttosto i turchi disperdi...), erano i tempi di “mamma li turchi”. Questa Sentenza, tanto è bella, è citata nell’ateneo ligustico dell’Olduini e del Cantalupo. Dovrebbe essere messa in una cartolina per il pubblico, diceva il dott. Gilli.
 Altro fatto storico che lo riguarda: quando Filippo II di Spagna, nella sua guerra contro il Papa incendiò la città (il sacco di Segni avvenne il 15 agosto del 1557), Ambrogio, malgrado le sollecitazioni del Papa, non abbandonò la nunziatura e diventò per il suo popolo il simbolo della rinascita.
Ma soffermiamoci sul “Cechardus Lunensis”. Cosa significa? Prima di tutto che la sua famiglia era Lunigiana. Io penso che era originaria di Massa, ma soprattutto che già allora era una famiglia “gentilizia”, scrive il Gerini. Altra considerazione ancora più significativa: come mai tutti i Ceccardi, decine di ecclesiastici, studiavano a Roma? E qui il discorso diventa lungo e intrigante, ma è sicuramente legato al nome di Niccolo V°, eletto Papa nel 1447, lucchese di vita se non di nascita.
Un fatto curioso destò la mia curiosità; del caso interpellai anche Laganà, uno storico lucchese che invitai e venne a pranzo a casa mia con la moglie, e che scrisse molti libri e anche alcuni articoli sul Sentiero e sulla potente famiglia lucchese dei Di Giovanni. E cioè questo: subito dopo l’elezione a Papa di Tommaso Parentucelli, una delegazione ortonovese, guidata dal parroco Di Giovanni partì per Roma, non solo per omaggiarlo, ma anche per chiedere un aiuto economico per rifare il tetto della chiesetta di san Lorenzo, quella in mezzo al borgo. Mi si sono rizzate le antenne, ma ve lo immaginate un semplice prete che va a chiedere dei soldi al Papa per rifare il tetto del Dopolavoro. La delegazione ortonovese, nell’attraversamento della lucchesia, fu assalita e sterminata dai briganti, ed il Papa in persona scrive alla Repubblica di Lucca, governata da un triunviro, uno dei quali era il nobile Ceccardi di Massa, affinché assicuri alla giustizia gli assassini. Laganà ha scritto un libro sulla potente famiglia dei Di Giovanni, una famiglia di medici al servizio di molti potenti, ed ho letto che il medico della signora Andreoli, mamma del Papa, era un Di Giovanni sposato con la figlia del nobile Ceccardi. Quindi è facile supporre che il prete ortonovese facesse parte di questa potente famiglia e sia venuto a Ortonovo, portandosi dietro nipoti e parenti, come l’usanza del tempo. Anche i due vescovi ortonovesi avevano al loro seguito preti e familiari; sia Monticola che Viola.
Quindi, Ambrogio Monticola Ceccardi è “fautore” del miracolo e dell’edificazione del Santuario e Ambrogio Viola Ceccardi dell’Abbazia di San Lorenzo. Fu lui che la consacrò nel 1650, anno della sua morte.
Una volta, come provocazione, scrissi un articolo che suscitò l’ironia di molti, e cioè che Nicolò V° fosse nato a Ortonovo, e non a Nicola, a Lucca, a Pisa, a Barbarasco, a Sarzana, a Fivizzano, a Bagnone, come scritto da vari storici. A Ortonovo c’era l’altare della Madonna del Soccorso della famiglia Parentucelli.
Una volta, a Bagnone, il conferenziere disse che non sapremo mai dove sia nato veramente Nicolò, perché il padre era un cerusico “condotto”. Si credette per anni che fosse pisano, finché trovarono la scritta: “mia patria lunense”. Ma non c’è dubbio alcuno che la famiglia Parentucelli fosse presente a Sarzana, quindi sarzanese è, e così sia..., mah… Quando con la sconfitta del ghibellino Paolo Guinigi, Lucca diventò una repubblica, guidata dal nobile Ceccardi, in città imperversava la peste e la repubblica rastrellò tutti i medici dei suoi territori, e quindi anche il cerusico Parentucelli (Ortonovo era lucchese, Sarzana genovese). Tommaso aveva solo due anni.

P.s. l’Antonio Andreoli che istituì una scuola pubblica a sue spese, era amministratore e sub- locatore dei terreni del potente “Capitolo dei Canonici” di Sarzana, da Ortonovo a Sarzana e Lerici ed era probabilmente parente dei Parentucelli. Sposò prima Maria Ceccardi e poi, alla di lei morte, la sorella Caterina, ed è, con Monticola, il più grande benefattore del nostro paese. A lui bisognerebbe intitolare strade, piazze e scuole. Il lascito Andreoli durò duecento anni, e solo con gli interessi si pagavano i maestri. Che fine hanno fatto i 700mlioni (?) di lire depositati nelle banche? Li incamerò il Comune quando nel 1877, fu istituita la scuola dell’obbligo (primarie) a carico dei comuni, solo nel 1911 diventarono statali; ma a Ortonovo la scuola c’era già dal 1670. Anche solo per questo bisognerebbe fargli un monumento…Una curiosità: fra i maestri si dovevano privilegiare alcune famiglie nostrane: una di queste erano i Bosoni.

  LA VECCHIEZZA
di MARTA


                                        

Nonostante i messaggi negativi che vengono dalla società contemporanea, io rimango fermamente convinta che la vecchiaia sia una stagione della vita meravigliosa e assai produttiva. Certo, occorrono alcuni fattori positivi come la salute, per farcela apprezzare, ma … la salute è determinante a ogni età.  Perché alludo ai fattori negativi? Perché gli ultracinquantenni, rimasti senza lavoro a causa delle varie crisi e delle  profonde trasformazioni del mondo del lavoro, non hanno più la possibilità di ricollocarsi, quindi si presenta sempre la stessa amara riflessione: è troppo presto per tirare i remi in barca e troppo tardi per rifarsi una vita professionalmente attiva, onde evitare pesanti difficoltà economiche e non cadere nella depressione di chi si sente fallito ed accantonato come uno scarto dal dinamismo feroce della moderna società.
Oggi sui social la vecchiaia, pur con i suoi limiti, ma anche con le sue potenzialità ed esperienze, non viene trattata in modo adeguato. Questa ultima fase della vita è vista come una scontata incapacità di sostenere i ritmi e i cambiamenti veloci; è intesa come una malattia da emarginare, perché il futuro, più o meno prossimo, è già segnato. Eppure tutto ci mostra il contrario come ci insegna la storia, maestra di vita, e tantissimi esempi – non rare eccezioni -  di grandi uomini che nella loro maturità hanno saputo dare il meglio di sé.  Quando mi sento dire “sei troppo vecchia” per fare una cosa, come reazione faccio il possibile e l’impossibile per realizzarla. La volontà, la capacità di creare, l’appassionato desiderio di vita non sono legati all’età anagrafica, al contrario sembrano affinarsi man mano che l’età avanza. Certo, cambiano i modi di approcciare e di aggredire la vita e gli eventi da affrontare. Prendiamo ad esempio il variegato mondo dei pensionati che, avendo terminato il periodo lavorativo, si iscrivono all’Università portando a termine con profitto il corso di laurea. Per taluni può essere la seconda, per altri il raggiungimento di un obiettivo che in gioventù è rimasto incompiuto, mentre nell’età matura si è ripresentato con forza. Altri li vediamo impegnati nel sociale. Qualche esempio: il Progetto Gemma, la Croce Rossa, l’Avis, i volontari dei Vigili del fuoco e della Protezione civile. Il nostro bollettino Il Sentiero ha come protagonisti volontari dalla maturità in su con rarissime eccezioni. Altro tema caldo: che dire della missione dei nonni? Vi sembra poco? Benedetti nonni sempre pronti a rispondere alla esigenze dei figli che lavorano e dei nipoti da seguire!
Un tempo la donna aveva la vocazione della casalinga e lavorare era quasi un’ambizione personale o un hobby: oggi se non lavora, arrivare a fine mese è dura, se non impossibile. Ecco la forte presenza dei nonni.

Guardando il mondo dei pensionati ci accorgiamo come sia tutt’altro che monocorde: ci sono anche gli amanti dei viaggi e, partecipando a gite turistiche, hanno l’opportunità di scoprire usi e abitudini di vita e culture diverse dalla nostra arricchendo il proprio bagaglio di conoscenze.
Quanti amano il ballare!   Spesso vengono organizzate serate con gare di ballo dove i partecipanti sono così presi dalle danze da sembrare veri professionisti, attenti a non sbagliare un passo o il tempo.

In conclusione, è doveroso dare dignità e rispetto a chi non è più giovane, come questi ultimi devono farlo con i giovani, che, a loro volta, diventeranno anziani, ma soprattutto li (dignità e rispetto) dobbiamo a noi stessi. Come in natura ogni stagione ha i suoi punti di forza caratteristici, così succede anche per l’uomo.
Sarebbe bene non dimenticarlo.

                 Buona e serena Pasqua a tutti.


  UN VIAGGIO D’ALTRI TEMPI
di Millene Lazzoni Puglia


 

 

Oggi con i moderni mezzi di trasporto e la costruzione dagli anni sessanta delle autostrade, le distanze kilometriche si sono molto ridotte. Un esempio: per andare a Parma in auto da Sarzana ora basta un’ora circa, perché non ci sono più le salite e le discese e gli angolati tornanti del Passo della Cisa che rendevano molto più lungo e tortuoso il percorso.
Nei miei ricordi di bambina degli anni quaranta ci sono i racconti di chi faceva quel viaggio estenuante attraverso l’Appennino con un carretto tirato o spinto a mano e costruito alla buona  con due vecchie ruote di bicicletta, che al ritorno era pesante, perché carico di derrate alimentari. Spesso si dovevano sfidare intemperie e disagi imprevedibili: il viaggio era una vera sfida fatto per estrema necessità. Questo succedeva durante la seconda guerra mondiale ( anni ’40 – ’45 ) quando la fame si faceva sentire nella maggioranza delle persone con  limitate possibilità economiche che non permettevano di approvvigionarsi al mercato nero molto caro e in mano a soggetti con pochi scrupoli.

Era fatale che in tanti sentissero l’attrazione e la costrizione di quel viaggio verso la terra emiliana fatta di fertilissime pianure e di gente generosa e accogliente che non speculava con i meno fortunati.  Così i più forti e volenterosi partivano a piccoli gruppi con i carretti a mano. C’era anche chi andava con un carro agricolo e al ritorno rivendeva ciò che portava in più del suo fabbisogno , mettendo in atto una forma di commercio speculativo. La merce consisteva tutta in cereali: soprattutto farina di grano, di mais. A volte portavano anche altri prodotti della terra come legumi vari e magari insaccati di maiale e formaggi per chi poteva permetterselo. Il viaggio a piedi,  andata e ritorno, Sarzana - Parma e dintorni era troppo lungo per essere completato in una o due giornate, quindi quei volenterosi erano costretti a dormire più notti dove capitava, magari in qualche stalla o in condizioni di estrema precarietà. Le difficoltà non finivano sicuramente qui, perché durante il ritorno il carretto, reso pesante dal carico, era difficile da governare e trainare nelle salite e nelle discese: questo spiega perché era necessario l’impiego di più persone per ogni rudimentale carretto.  Tutto questo non bastava a rendere complicato il ritorno a casa. Spesso ci si poteva trovare nel bel mezzo di un bombardamento o fare incontri poco piacevoli con soldati tedeschi e ladri. I genitori di mio marito Silvano hanno fatto più volte quel viaggio con altri parenti, perché abitavano in città a Sarzana e non avevano altra possibilità per sopravvivere alla guerra. Chi viveva in campagna era più facilitato nel reperire i prodotti alimentari. Chi poi aveva un po’ di terreno era un privilegiato. La mia famiglia era molto avvantaggiata avendo un orto e dei campi da coltivare, oltre ad un piccolo uliveto che garantiva il preziosissimo olio. Come molti altri, mia madre faceva il “baratto”: con un litro d’olio poteva ottenere anche una decina di Kg di farina di grano, di mais o di castagne. Il che bastava per non soffrire la fame e non farci mancare lo stretto necessario. Infiniti erano i rischi di quei viaggi nel cuore dell’Emilia, oltre alla fatica e ai disagi, bisognava mettere nel conto anche brutti incontri quando si pensava di essere ormai al sicuro alle porte di casa; infatti nei dintorni di Sarzana operavano dei veri e propri “banditi” che rapinavano la preziosa merce, tanto sudata. Era voce comune che costoro altro non fossero che nazi-fascisti italiani, che spesso conoscevano bene le loro vittime. Per questa ragione erano mascherati e agivano di sera per non essere riconosciuti. Ora è chiaro come per la maggioranza delle famiglie di allora fosse assai più difficile di oggi mettere in tavola un dignitoso pranzo e una modesta cena.
Comunque in quella difficile realtà c’era anche un lato positivo: quei cibi semplici e non sempre abbondanti erano apprezzati da tutti, grandi e piccini, mentre niente rischiava di finire sprecato e buttato nei rifiuti come capita in questi nostri tempi di tanto e confusionario benessere. La filosofia dello scarto, oggi tanto praticata, allora non era ancora conosciuta.

I nostri giovani e meno giovani farebbero bene a riflettere, a imparare e a capire che il cibo è, non soltanto essenziale, ma anche “sacro”, perché la morte per fame continua a mietere più vittime delle tante guerre e guerriglie sparse nel mondo di oggi.

                                                                


  Fiducia
di Marino Bertocci



Mi trovavo, qualche domenica fa, in una grande città del nord e sono andato a messa- Tante teste grigie, moltissime bianche, pochissime nere, qualche decina di bambini. Sono rimasto colpito, ed affascinato, da un paio di cose: la cura per la celebrazione liturgica, la poca risposta vocale dei presenti, quasi timorosi di “esporsi” e la meravigliosa corsa dei bambini verso l’altare, prima della benedizione finale, per ognuno ricevere la personale benedizione da parte del sacerdote celebrante. Considerata la scarsa partecipazione, almeno esteriormente, dei presenti alla celebrazione, questo gesto mi è stato di grande conforto…La Diocesi di quella città, così ho letto, lamenta una scarsità di vocazioni…eppure oltre cinquanta giovani sono gli studenti del seminario diocesano…e la cosa, al confronto con la nostra, mi ha fatto un poco sorridere. Ma, più di tutto mi ha fatto pensare un evento: sul giornalino parrocchiale (che differenza con il nostro ciclostilato, carta patinata, stampa in tipografia, abbondanza di fotografie a colori) si dava il benvenuto ad una nuova componente di una comunità religiosa operante in parrocchia: una Suora di 81, avete letto bene, ottantun anni, venuta a dare manforte al piccolo gruppo di suore che, ansiose, aspettavano questa “forza nuova” per mantenere in vita l’asilo parrocchiale. In una età in cui ci si aspetta di godere di un meritato riposo, questa donna ha eroicamente poste nuovamente al servizio della sua Comunità le sue forze. Possa Dio, per la Sua gloria, concederle ancora molto tempo! Al di là del facile sconforto…ho provato a fare un confronto statistico con la mia “memoria”… io bambino nel mio piccolo paese della riviera ligure.. , eravamo quasi 9000 abitanti, oggi non arrivano a 6000.., erano presenti tre comunità delle Figlie della misericordia di Savona, alle quali devo la mia vita fisica, le Giannelline, che curavano sul territorio, con le altre comunità delle Suore della Provvidenza, della Dorotee e delle Somasche orfanatrofi femminili ..mentre le Carmelitane si occupavano di anziani ed infermi a domicilio, e le Missionarie Francescane del Verbo Incarnato, alle quali devo la mia vita spirituale… era anche vivo un monastero maschile Benedettino Olivetano , presso il quale ho imparato, e con me tanti altri bambini,  i primi rudimenti del canto corale e della lingua latina.  Oggi, di tutta questa vitalità religiosa, rimane una sola casa religiosa ed il Monastero benedettino che, benché un quinquennio fa tristemente destinato alla riconversione in mega albergo, vede oggi una sua confortante rifioritura, con la presenza di alcuni giovani novizi. È evidente che il Signore chiama ma…pochi rispondiamo…ma è certo che Lui conosce le esigenze della Sua Chiesa, non possiamo fare una colpa al “Padrone” di questa situazione. È pur vero che, per dirla con sant’Agostino “Dio che ti ha creato senza di te non ti salva senza di te”
Qualche anno fa, così mi dicono, anche nel nostro territorio ortonovese era assicurata la presenza di religiose, oggi scomparsa (rimpianta?). È pur vero che tutte queste Congregazioni, generalmente nate nel secolo XIX per fronteggiare una emergenza rappresentata da una abnorme presenza di orfani ed analfabeti… oggi vedono praticamente scomparsa quella specifica esigenza quindi qualcuno potrebbe pensare allora che hanno naturalmente terminata la loro missione ma non dimentichiamo che il servizio sociale da sempre svolto è funzionale al loro primo compito, ovvero la evangelizzazione! Non è ininfluente il fatto che, come tutte le epoche storiche, anche la nostra sia caratterizzata da altre emergenze sociali, come, ad esempio, l’emarginazione economica o la tutela dell’anziano, ecco perché molte antiche e nuove famiglie religiose oggi, accanto allo storico carisma delle loro fondazioni, si votano, riconvertendosi, anche a queste missioni, ma se, secondo uno studio sociologico, entro il 2050 non avremo più (Dio non voglia!) Suore…cosa succederà? Non possiamo - oggi – saperlo ma un compito preciso l’abbiamo: pregare perché il Padrone mandi operai per la sua messe forse il nocciolo del problema è tutto qui. Proviamo a fidarci di “Lui” ed a fare la nostra parte. Lui, che sa il fatto suo, a sua volta farà la sua!

Ortonovo, 3 marzo 2019


  La Musica nelle Arti figurative
di Giorgio Bottiglioni


La Musica nelle Arti figurative

L’Arte Greca

 Il mondo della musica, con la varietà dei suoi strumenti e le diverse pose dei suonatori, ha da sempre affascinato pittori, scultori e miniaturisti. Grazie a queste riproduzioni è possibile non solo ricostruire strumenti e tecniche strumentali che diversamente sarebbero rimaste sconosciute, ma anche comprendere i diversi ruoli che la musica rivestì in epoche e civiltà più o meno remote. Si data all’incirca al 2000 a.C. una statuetta in marmo proveniente dall’isola di Keros rappresentante  un arpista. La cosiddetta Arte Cicladica si sviluppò nelle isole Cicladi tra la fine del III millennio a.C. e la fine del VII secolo a.C., ma fu nella prima fase che si ebbe il periodo più creativo. Le statuette marmoree sono senza dubbio le espressioni più originali dell’artigianato cicladico. Esse vengono distinte in due serie: la prima “a forma di violino” presenta delle immagini femminili molto stilizzate; la seconda annovera, fra le altre, i famosi suonatori di lira e di doppio flauto. Ancora gli studiosi dibattono sull’interpretazione da dare a queste statuette. Essendo state rinvenute perlopiù in contesti funerari, pare giusto ritenere che si tratti di rappresentazioni di divinità, esseri eroici o ninfe legati al ciclo della vita e della morte. Resta il fatto che l’Arte Cicladica raggiunge il più alto grado di perfezione proprio nelle statuette dei suonatori, dove l’eccezionale struttura geometrica mette di fronte ad una capacità architettonica di questi artigiani assolutamente inusitata per quell’epoca così remota. Contemporaneamente all’Arte Cicladica si sviluppa l’Arte Minoica che prende il nome da Minosse, mitico re di Creta. L’arte di questa grande isole del Mediterraneo raggiunge sommi livelli nelle ben note pitture parietali del palazzo di Cnosso, databili intorno al 1500 a.C. Di poco posteriore (fine XV secolo) è un sarcofago di pietra calcarea ricoperto di stucco proveniente da Haghia Triada, nel sud dell’isola. Le scene, contornate da un fregio grazioso, raffigurano un rito funebre e sono da considerarsi una delle più importanti testimonianze della religione minoica. Sul lato anteriore sono due cortei che procedono in senso opposto; quello che va a sinistra è formato di tre personaggi, l’ultimo dei quali   è un citaredo dalla lunga veste rossastra, che tiene alto nelle mani lo strumento. L’accuratezza della figura se, da una parte, testimonia che già in quest’epoca la cetra aveva raggiunto le fattezze caratteristiche, dall’altra, offre un’ulteriore testimonianza, dopo quella delle statuette cicladiche, della centralità della musica nell’antichissima cultura dell’Età del Bronzo. Nella cosiddetta Tarda Età del Bronzo prende il sopravvento la cultura micenea, così chiamata dal nome dell’importante centro di Micene, nel Peloponneso. Nelle arti di questo periodo si prediligono scene di guerra e di caccia, e difficilmente trovano spazio raffigurazioni di aspetti della vita comune, compresi, ovviamente, i suonatori di cetra o flauto. Prima di ritrovare la musica nell’arte greca bisogna attendere circa 700 anni: nel mezzo si staglia il Medioevo Ellenico, un periodo troppo parco di testimonianze dirette e per questo definito “dei secoli bui”. Le poche forme d’arte si esplicano nei vasi in terracotta dipinti a motivi geometrici dapprima molto semplici e poi, piano piano, più complessi. Le figure umane ricompaiono verso l’VIII secolo, ma sono molto stilizzate e ricordano veramente poco la raffinatezza dell’arte minoica ormai perduta. Sul finire dell’VIII secolo, grazie a un rinnovato vigore dei porti greci, influenze provenienti dall’oriente danno una forte spinta alla produzione artistica ed ecco comparire vasi quali l’Olpe Chigi. Si tratta di una brocca dalla bocca circolare prodotta a Corinto intorno al 640 a.C. e ritrovata nel 1882 in una tomba etrusca a Veio, probabilmente prezioso regalo per il principe della zona. Caratteristica fondamentale di questo vaso è la policromia, tipica delle produzioni artistiche dell’epoca orientaleggiante. La guerra e la caccia sono i due temi raffigurati bei tre fregi del vaso. Nel fregio più alto, proprio nel mezzo di una schiera di soldati armati di scudo e di lancia compare un suonatore di doppio flauto, curiosamente più piccolo rispetto agli altri personaggi, ma senza dubbio in una posizione di grande rilievo, accentuata ancor di più dallo strumento diretto verso l’alto. Nei secoli VI e V a.C. il principale centro culturale, e quindi anche artistico, della Grecia è Atene. Le straordinarie architetture dell’Acropoli testimoniano l’altissimo livello raggiunto dall’occidente. Sfortunatamente poco o nulla è giunto della pittura greca e le uniche considerazioni che possiamo fare devono necessariamente riferirsi alle terrecotte dipinte. Il VI secolo è il secolo dei vasi “a figure nere”: i temi prediletti dai pittori sono di carattere mitologico, o legati al mondo fella palestra e di giochi ginnici, come nell’anfora di Kleofrades; qui due atleti, uno con i pesi per il lancio in lungo e l’altro con il disco, insieme al loro allenatore, si presentano alla gara al suono del doppio flauto. Intorno al 535 a.C. fa la sua comparsa una nuova tecnica di pittura vascolare definita “a figure rosse”: la vernice nera, con la quale fino allora si riempivano le figure, viene adoperata soltanto per i contorni, oppure, applicata con esile pennello, per dare soltanto quei particolari che prima venivano indicati dal bulino. All’aristocrazia dominante piacciono ancora le scene tratte dal mondo mitologico oppure i banchetti dai toni spesso audaci o episodi dell’educazione sportiva e delle competizioni atletiche. La nuova tecnica permette di raggiungere livelli di raffinatezza altissimi, come ben si può vedere nell’opera del Pittore di Colmar in cui un Eracle banchettante viene allietato da un suonatore di doppio flauto. All’inizio del V secolo è comunemente datata un’opera molto discussa: il Trono Ludovisi. Si tratta di una scultura in marmo proveniente dalle fabbriche artigiane della polis magno-greca di Locri Epizefiri, nell’odierna Calabria. L’opera, nella sua decorazione a bassorilievo, raffigura sulla parte frontale Afrodite che nasce dalla spuma del mare (anche se qualche studioso vede in essa Persefone che risale sulla terra dal mondo degli inferi) e aiutata ad uscire dall’acqua da due ancelle, mentre sui lati sinistro e destro appaiono, rispettivamente, una suonatrice di flauto adagiata su un cuscino ed una donna coperta da un manto intenta a deporre l’incenso in un brucia-essenze. Qui troviamo chiaramente accostato l’elemento musicale ad una scena di purificazione rituale. Sul finire del V secolo, probabilmente a seguito della decadenza della nobiltà e della presa del potere da parte della borghesia, cambiano notevolmente i temi trattati dai pittori vascolari: il mito, la guerra, le gare sportive, i banchetti licenziosi lasciano spazio a scene famigliari, raffigurazioni di mestieri, ginecei, temi ben più consoni a una clientela diventata in maggioranza femminile. In questo contesto trova espressione il pittore di Midia, l’artista “della grazia e della bellezza”. Pur mutando profondamente il carattere delle raffigurazioni, non mancano anche qui i suonatori di cetra, reinterpretati certo, ma ancora presenti, a voler significare la centralità della musica nella cultura greca di ogni tempo. Nell’età Ellenistica viene piano piano meno la moda dei vasi dipinti e subentra quella dei mosaici. Per trovare scene di carattere musicale occorre però andare a cercare le piccole lucerne in terracotta decorate dalla figura in rilievo del singolo suonatore di cetra, cembali o doppio flauto. Molte di queste lucerne sono conservate presso il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma. Per concludere, si può affermare senza ombra di dubbio che in tutto l’arco della storia dell’arte greca, a parte la parentesi dello Stile Geometrico, la rappresentazione degli strumenti musicali e dei rispettivi suonatori ha avuto una presenza continua: da soggetto unico a semplice complemento di scene più articolate, l’elemento musicale non ha mai abbandonato l’universo delle arti figurative greche, a riprova della grande importanza conferita alla musica da questa civiltà. Veramente, come spiegano i filosofi antichi, la Musica rivestiva un posto centrale nella vita dell’uomo greco: non si trattava quindi soltanto di un semplice passatempo, piuttosto di un elemento fondamentale per l’esistenza stessa, legata com’era alle sfere più varie, dall’educazione scolastica al mito, dalle gare di atletica ai riti funerari e di purificazione, dalla guerra ai banchetti, finanche ai delicati consessi femminili nei ginecei.


  Donazione
di Barbara


A seguito della donazione da me fatta a favore dall’Associazione Sightsavers di duemila euro, ho ricevuto questa lettera di ringraziamento che è di seguito riportata.

Carla Beggi

 

Lettera da SIGHTSAVERS Italia Onlus:

Milano, 13 Febbraio 2019

Cara Carla,

ti scrivo per ringraziarti di cuore per essere riuscita, ancora una volta, a realizzare un evento straordinario che cambierà tante vite.
I mio ringraziamento va naturalmente anche a coloro che con tanto impegno hanno dato una mano nell'organizzazione e a tutti i partecipanti che hanno permesso di raggiungere un risultato eccezionale.
Tutti voi siete riusciti a trasformare una grigia domenica invernale, fredda e piovosa in un'occasione per stare insieme in allegria e fare del bene.

E il bene che farete è davvero tanto: grazie alla vostra donazione  sarà infatti possibile curare 2.941 bambini dal tracoma e operare 30 persone di trichiasi, la fase avanzata della malattia.
Così non solo avete salvato tutti loro dalla cecità, ma anche da tante sofferenze, dall'emarginazione e dalla povertà che questa terribile infezione porta con sè.

Ciascuno dei partecipanti al pranzo e alla lotteria del 27 gennaio potrà essere certo di aver trasformato delle vite dall'altra parte del mondo e di aver contribuito alla grande iniziativa per l'eliminazione del tracoma: se tra pochi anni questa malattia sarà solo un ricordo sarà anche grazie a voi e al vostro cuore.
Siamo davvero fieri di avervi al nostro fianco e grati per la grande generosità che continuate a dimostrare.

Ti prego di trasmettere il nostro grazie a tutta la vostra splendida comunità.

Un abbraccio e a presto.


  La preghiera dell'infermiera
di Lucy


Buon Dio, ti prego, ascolta questa umile preghiera di un’infermiera. Carissimo Signore, grazie dei doni che mi hai dato, fa che possa aiutare chi ha avuto meno di me. Che possa ben svolgere il lavoro per cui sono nata. Se riuscirò ad essere utile, mi sentirò davvero ricompensata. Benedici o Signore le mie mani perché si dovranno tanto adoperare. Ancora Ti chiedo: fa che non abbia ad insuperbirmi nella lode né a cedere alla sfiducia nella fatica.


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  SAN GUGLIELMO di AQUITANIA
di Elio Gentili


 

  Domenica 3 marzo la comunità di Nicola celebra la festa del patrono S. Guglielmo di Aquitania. Grazie anche la giornata primaverile, la gente è accorsa numerosa in paese. Già di primo mattino in piazza era stato allestito un mercatino di prodotti artigianali, mentre nel salone parrocchiale era in funzione la lotteria di beneficenza animata dalle ragazze del paese. Alle 11 la folla dei fedeli che riempiva la chiesa faceva ala all'ingresso del parroco don Carlo, accompagnato da diacono Paolo Casani e dal novello diacono Agostino Cavirani. Il canto dell'antico inno a san Guglielmo dava inizio alla solenne celebrazione della Messa. Dopo le letture proprie della solennità, don Carlo all'omelia tratteggiava i punti salienti della vita di Guglielmo, dapprima potente Duca di una regione della Francia, gran peccatore, fiero oppositore della chiesa e dei suoi ministri.  La sua conversione fu dovuta a S. Bernardo di Chiaravalle che un giorno, mentre Guglielmo disturbava sul sagrato la celebrazione della Messa, lo affrontò ponendogli davanti l'ostensorio sfidandolo ad offendere Gesù eucaristico. Guglielmo, come folgorato, crollò in ginocchio e si mise a piangere. Il santo lo rialzò e lo invitò ad andare in pellegrinaggio come atto penitenziale, dapprima a Roma, e poi in Terrasanta. Fu in occasione di uno di quei viaggi che Guglielmo passò da Nicola accolto e rifocillato dagli abitanti, ai quali lasciò in dono il segreto di un'erba capace di guarire molte piaghe e infermità. Cosa ci può insegnare oggi la vita di San Guglielmo? Innanzi tutto che la santità deve essere la meta di ogni cristiano, che non esiste peccato seppur grave che il Signore non possa perdonare, ed infine la vita di Guglielmo ci insegna che il potere, il denaro e la lontananza da Dio non danno la felicità. Lui che possedeva tutto, abbandonò le ricchezze terrene per farsi pellegrino ed eremita, ottenendo la vera pace del cuore e la serenità. Al termine della messa don Carlo ha fatto baciare la preziosa reliquia del santo invitando i fedeli e prendere come ricordo le bustine della erba medicinale di S, Guglielmo che da quasi mille anni la comunità di Nicola offre ai devoti che salgono in paese in occasione della festa. Nel pomeriggio, dopo la solenne celebrazione dei Vespri, si è svolta nel salone comunale “A. Cervia” la presentazione del libro di Elio Gentili “Il poeta del Sogni. Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi”. Dopo il saluto del sindaco e dell'assessore alla cultura il volume è stato commentato dal dott, Giuseppe Cecchinelli e dal prof. Giuseppe Benelli, presidente dell'Accademia lunigianese di studi storici e scientifici “G. Capellini”.


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