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I CECCARDI
di Romano Parodi
Il
personaggio più illustre e “famoso” di Ortonovo è senz’altro, Ambrogio
Monticola Ceccardi. Nato nel 1499 e morto nel 1569, è sepolto nella basilica di
Segni. Pur lontano da Ortonovo, aveva “sempre a cuore gli interessi spirituali
e materiali della patria mia”, è scritto in una pergamena conservata nella
biblioteca del Seminario. In S. Lorenzo c’è l’altare di Sant’Antonio da lui
edificato già nel 1529 e lì trasportato nel 1620 dalla vecchia chiesetta in
mezzo al borgo. Studiò a Roma, e questo comincia a darci un’idea del potere e
prestigio di questa grande famiglia. Per duecento anni i Ceccardi studiarono a
Roma il mestiere più prestigioso di quei tempi: la carriera ecclesiastica, governare
l’Italia e il mondo.
Nel 1537, già Signifero del pontefice, mentre si trovava dai genitori, assisté
al miracolo della Madonna del Mirteto e toccò con mano le lacrime di sangue che
scendevano da un dipinto dentro la Casaccia dei Disciplinati.
Eletto vescovo da Giulio II, “non solo per bontà di vita, ma eziandio per le
scienze teologali e canoniche” - Ambrogio Monticola - Cechardus Lunensis -
Vescovo di Segni, fu uno protagonisti del Concilio di Trento. Raccontò ai Padri
del miracolo di Ortonovo ed ebbe l’autorizzazione ad edificare un santuario
mariano, unico in Liguria avallato dalla Chiesa. In quei tempi i miracoli erano
quotidiani e solo uno su mille veniva approvato dalle autorità, e solo dopo
lunghe indagini, ma il miracolo di Ortonovo fu approvato subito e senza
accertamenti (Se lo dici tu…). Alla Madonna c’è la lapide, in latino, del
Proloquium e carmine (Sentenza e ode) del vescovo al Concilio Tridentino.
L’ode inizia così: Orti diva novi... (Madonna di Ortonovo, che cosa piangi? …
perché bagni la terra col (tuo) sacro sangue… piuttosto i turchi disperdi...),
erano i tempi di “mamma li turchi”. Questa Sentenza, tanto è bella, è citata
nell’ateneo ligustico dell’Olduini e del Cantalupo. Dovrebbe essere messa in
una cartolina per il pubblico, diceva il dott. Gilli. Altro fatto storico che lo
riguarda: quando Filippo II di Spagna, nella sua guerra contro il Papa incendiò
la città (il sacco di Segni avvenne il 15 agosto del 1557), Ambrogio, malgrado
le sollecitazioni del Papa, non abbandonò la nunziatura e diventò per il suo
popolo il simbolo della rinascita.
Ma soffermiamoci sul “Cechardus Lunensis”. Cosa significa? Prima di tutto che
la sua famiglia era Lunigiana. Io penso che era originaria di Massa, ma
soprattutto che già allora era una famiglia “gentilizia”, scrive il Gerini.
Altra considerazione ancora più significativa: come mai tutti i Ceccardi,
decine di ecclesiastici, studiavano a Roma? E qui il discorso diventa lungo e
intrigante, ma è sicuramente legato al nome di Niccolo V°, eletto Papa nel
1447, lucchese di vita se non di nascita.
Un fatto curioso destò la mia curiosità; del caso interpellai anche Laganà, uno
storico lucchese che invitai e venne a pranzo a casa mia con la moglie, e che
scrisse molti libri e anche alcuni articoli sul Sentiero e sulla potente
famiglia lucchese dei Di Giovanni. E cioè questo: subito dopo l’elezione a Papa
di Tommaso Parentucelli, una delegazione ortonovese, guidata dal parroco Di
Giovanni partì per Roma, non solo per omaggiarlo, ma anche per chiedere un
aiuto economico per rifare il tetto della chiesetta di san Lorenzo, quella in
mezzo al borgo. Mi si sono rizzate le antenne, ma ve lo immaginate un semplice prete
che va a chiedere dei soldi al Papa per rifare il tetto del Dopolavoro. La
delegazione ortonovese, nell’attraversamento della lucchesia, fu assalita e
sterminata dai briganti, ed il Papa in persona scrive alla Repubblica di Lucca,
governata da un triunviro, uno dei quali era il nobile Ceccardi di Massa,
affinché assicuri alla giustizia gli assassini. Laganà ha scritto un libro
sulla potente famiglia dei Di Giovanni, una famiglia di medici al servizio di
molti potenti, ed ho letto che il medico della signora Andreoli, mamma del
Papa, era un Di Giovanni sposato con la figlia del nobile Ceccardi. Quindi è
facile supporre che il prete ortonovese facesse parte di questa potente
famiglia e sia venuto a Ortonovo, portandosi dietro nipoti e parenti, come
l’usanza del tempo. Anche i due vescovi ortonovesi avevano al loro seguito
preti e familiari; sia Monticola che Viola.
Quindi, Ambrogio Monticola Ceccardi è “fautore” del miracolo e
dell’edificazione del Santuario e Ambrogio Viola Ceccardi dell’Abbazia di San
Lorenzo. Fu lui che la consacrò nel 1650, anno della sua morte.
Una volta, come provocazione, scrissi un articolo che suscitò l’ironia di
molti, e cioè che Nicolò V° fosse nato a Ortonovo, e non a Nicola, a Lucca, a
Pisa, a Barbarasco, a Sarzana, a Fivizzano, a Bagnone, come scritto da vari
storici. A Ortonovo c’era l’altare della Madonna del Soccorso della famiglia
Parentucelli.
Una volta, a Bagnone, il conferenziere disse che non sapremo mai dove sia nato
veramente Nicolò, perché il padre era un cerusico “condotto”. Si credette per
anni che fosse pisano, finché trovarono la scritta: “mia patria lunense”. Ma
non c’è dubbio alcuno che la famiglia Parentucelli fosse presente a Sarzana,
quindi sarzanese è, e così sia..., mah… Quando con la sconfitta del ghibellino
Paolo Guinigi, Lucca diventò una repubblica, guidata dal nobile Ceccardi, in
città imperversava la peste e la repubblica rastrellò tutti i medici dei suoi
territori, e quindi anche il cerusico Parentucelli (Ortonovo era lucchese,
Sarzana genovese). Tommaso aveva solo due anni.
P.s.
l’Antonio Andreoli che istituì una scuola pubblica a sue spese, era
amministratore e sub- locatore dei terreni del potente “Capitolo dei Canonici”
di Sarzana, da Ortonovo a Sarzana e Lerici ed era probabilmente parente dei Parentucelli.
Sposò prima Maria Ceccardi e poi, alla di lei morte, la sorella Caterina, ed è,
con Monticola, il più grande benefattore del nostro paese. A lui bisognerebbe
intitolare strade, piazze e scuole. Il lascito Andreoli durò duecento anni, e
solo con gli interessi si pagavano i maestri. Che fine hanno fatto i 700mlioni
(?) di lire depositati nelle banche? Li incamerò il Comune quando nel 1877, fu
istituita la scuola dell’obbligo (primarie) a carico dei comuni, solo nel 1911
diventarono statali; ma a Ortonovo la scuola c’era già dal 1670. Anche solo per
questo bisognerebbe fargli un monumento…Una curiosità: fra i maestri si
dovevano privilegiare alcune famiglie nostrane: una di queste erano i Bosoni.
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LA VECCHIEZZA
di MARTA
Nonostante i messaggi negativi
che vengono dalla società contemporanea, io rimango fermamente convinta che la
vecchiaia sia una stagione della vita meravigliosa e assai produttiva. Certo,
occorrono alcuni fattori positivi come la salute, per farcela apprezzare, ma …
la salute è determinante a ogni età.
Perché alludo ai fattori negativi? Perché gli ultracinquantenni, rimasti
senza lavoro a causa delle varie crisi e delle
profonde trasformazioni del mondo del lavoro, non hanno più la
possibilità di ricollocarsi, quindi si presenta sempre la stessa amara
riflessione: è troppo presto per tirare i remi in barca e troppo tardi per
rifarsi una vita professionalmente attiva, onde evitare pesanti difficoltà
economiche e non cadere nella depressione di chi si sente fallito ed
accantonato come uno scarto dal dinamismo feroce della moderna società. Oggi sui social la vecchiaia, pur con i suoi limiti, ma anche con le sue
potenzialità ed esperienze, non viene trattata in modo adeguato. Questa ultima
fase della vita è vista come una scontata incapacità di sostenere i ritmi e i
cambiamenti veloci; è intesa come una malattia da emarginare, perché il futuro,
più o meno prossimo, è già segnato. Eppure tutto ci mostra il contrario come ci
insegna la storia, maestra di vita, e tantissimi esempi – non rare eccezioni - di grandi uomini che nella loro maturità
hanno saputo dare il meglio di sé.
Quando mi sento dire “sei troppo vecchia” per fare una cosa, come
reazione faccio il possibile e l’impossibile per realizzarla. La volontà, la
capacità di creare, l’appassionato desiderio di vita non sono legati all’età
anagrafica, al contrario sembrano affinarsi man mano che l’età avanza. Certo,
cambiano i modi di approcciare e di aggredire la vita e gli eventi da
affrontare. Prendiamo ad esempio il variegato mondo dei pensionati che, avendo
terminato il periodo lavorativo, si iscrivono all’Università portando a termine
con profitto il corso di laurea. Per taluni può essere la seconda, per altri il
raggiungimento di un obiettivo che in gioventù è rimasto incompiuto, mentre
nell’età matura si è ripresentato con forza. Altri li vediamo impegnati nel
sociale. Qualche esempio: il Progetto Gemma, la Croce Rossa, l’Avis, i
volontari dei Vigili del fuoco e della Protezione civile. Il nostro bollettino Il Sentiero ha come protagonisti
volontari dalla maturità in su con rarissime eccezioni. Altro tema caldo: che
dire della missione dei nonni? Vi sembra poco? Benedetti nonni sempre pronti a
rispondere alla esigenze dei figli che lavorano e dei nipoti da seguire! Un tempo la donna aveva la
vocazione della casalinga e lavorare era quasi un’ambizione personale o un
hobby: oggi se non lavora, arrivare a fine mese è dura, se non impossibile.
Ecco la forte presenza dei nonni. Guardando il mondo dei pensionati
ci accorgiamo come sia tutt’altro che monocorde: ci sono anche gli amanti dei
viaggi e, partecipando a gite turistiche, hanno l’opportunità di scoprire usi e
abitudini di vita e culture diverse dalla nostra arricchendo il proprio
bagaglio di conoscenze. Quanti amano il ballare! Spesso vengono organizzate serate con gare
di ballo dove i partecipanti sono così presi dalle danze da sembrare veri
professionisti, attenti a non sbagliare un passo o il tempo. In conclusione, è doveroso
dare dignità e rispetto a chi non è più giovane, come questi ultimi devono
farlo con i giovani, che, a loro volta, diventeranno anziani, ma soprattutto li
(dignità e rispetto) dobbiamo a noi stessi. Come in natura ogni stagione ha i
suoi punti di forza caratteristici, così succede anche per l’uomo. Sarebbe bene non dimenticarlo.
Buona e serena Pasqua a tutti.
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UN VIAGGIO D’ALTRI TEMPI
di Millene Lazzoni Puglia
Oggi con i moderni mezzi di
trasporto e la costruzione dagli anni sessanta delle autostrade, le distanze
kilometriche si sono molto ridotte. Un esempio: per andare a Parma in auto da Sarzana
ora basta un’ora circa, perché non ci sono più le salite e le discese e gli angolati
tornanti del Passo della Cisa che rendevano molto più lungo e tortuoso il
percorso.
Nei miei ricordi di bambina degli anni quaranta ci sono i racconti di chi faceva
quel viaggio estenuante attraverso l’Appennino con un carretto tirato o spinto
a mano e costruito alla buona con due
vecchie ruote di bicicletta, che al ritorno era pesante, perché carico di
derrate alimentari. Spesso si dovevano sfidare intemperie e disagi imprevedibili:
il viaggio era una vera sfida fatto per estrema necessità. Questo succedeva
durante la seconda guerra mondiale ( anni ’40 – ’45 ) quando la fame si faceva
sentire nella maggioranza delle persone con
limitate possibilità economiche che non permettevano di approvvigionarsi
al mercato nero molto caro e in mano a soggetti con pochi scrupoli. Era fatale che in tanti
sentissero l’attrazione e la costrizione di quel viaggio verso la terra
emiliana fatta di fertilissime pianure e di gente generosa e accogliente che
non speculava con i meno fortunati. Così
i più forti e volenterosi partivano a piccoli gruppi con i carretti a mano.
C’era anche chi andava con un carro agricolo e al ritorno rivendeva ciò che
portava in più del suo fabbisogno , mettendo in atto una forma di commercio
speculativo. La merce consisteva tutta in cereali: soprattutto farina di grano,
di mais. A volte portavano anche altri prodotti della terra come legumi vari e
magari insaccati di maiale e formaggi per chi poteva permetterselo. Il viaggio
a piedi, andata e ritorno, Sarzana -
Parma e dintorni era troppo lungo per essere completato in una o due giornate,
quindi quei volenterosi erano costretti a dormire più notti dove capitava,
magari in qualche stalla o in condizioni di estrema precarietà. Le difficoltà
non finivano sicuramente qui, perché durante il ritorno il carretto, reso
pesante dal carico, era difficile da governare e trainare nelle salite e nelle
discese: questo spiega perché era necessario l’impiego di più persone per ogni
rudimentale carretto. Tutto questo non
bastava a rendere complicato il ritorno a casa. Spesso ci si poteva trovare nel
bel mezzo di un bombardamento o fare incontri poco piacevoli con soldati
tedeschi e ladri. I genitori di mio marito Silvano hanno fatto più volte quel
viaggio con altri parenti, perché abitavano in città a Sarzana e non avevano
altra possibilità per sopravvivere alla guerra. Chi viveva in campagna era più facilitato
nel reperire i prodotti alimentari. Chi poi aveva un po’ di terreno era un
privilegiato. La mia famiglia era molto avvantaggiata avendo un orto e dei
campi da coltivare, oltre ad un piccolo uliveto che garantiva il preziosissimo
olio. Come molti altri, mia madre faceva il “baratto”: con un litro d’olio
poteva ottenere anche una decina di Kg di farina di grano, di mais o di
castagne. Il che bastava per non soffrire la fame e non farci mancare lo
stretto necessario. Infiniti erano i rischi di quei viaggi nel cuore
dell’Emilia, oltre alla fatica e ai disagi, bisognava mettere nel conto anche
brutti incontri quando si pensava di essere ormai al sicuro alle porte di casa;
infatti nei dintorni di Sarzana operavano dei veri e propri “banditi” che
rapinavano la preziosa merce, tanto sudata. Era voce comune che costoro altro
non fossero che nazi-fascisti italiani, che spesso conoscevano bene le loro
vittime. Per questa ragione erano mascherati e agivano di sera per non essere
riconosciuti. Ora è chiaro come per la maggioranza delle famiglie di allora fosse
assai più difficile di oggi mettere in tavola un dignitoso pranzo e una modesta
cena. Comunque in quella difficile
realtà c’era anche un lato positivo: quei cibi semplici e non sempre abbondanti
erano apprezzati da tutti, grandi e piccini, mentre niente rischiava di finire
sprecato e buttato nei rifiuti come capita in questi nostri tempi di tanto e
confusionario benessere. La filosofia dello scarto, oggi tanto praticata,
allora non era ancora conosciuta. I nostri giovani e meno
giovani farebbero bene a riflettere, a imparare e a capire che il cibo è, non
soltanto essenziale, ma anche “sacro”, perché la morte per fame continua a
mietere più vittime delle tante guerre e guerriglie sparse nel mondo di oggi.
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Fiducia
di Marino Bertocci
Mi trovavo, qualche domenica fa,
in una grande città del nord e sono andato a messa- Tante teste grigie, moltissime
bianche, pochissime nere, qualche decina di bambini. Sono rimasto colpito, ed
affascinato, da un paio di cose: la cura per la celebrazione liturgica, la poca
risposta vocale dei presenti, quasi timorosi di “esporsi” e la meravigliosa
corsa dei bambini verso l’altare, prima della benedizione finale, per ognuno
ricevere la personale benedizione da parte del sacerdote celebrante. Considerata
la scarsa partecipazione, almeno esteriormente, dei presenti alla celebrazione,
questo gesto mi è stato di grande conforto…La Diocesi di quella città, così ho
letto, lamenta una scarsità di vocazioni…eppure oltre cinquanta giovani sono
gli studenti del seminario diocesano…e la cosa, al confronto con la nostra, mi
ha fatto un poco sorridere. Ma, più di tutto mi ha fatto pensare un evento: sul
giornalino parrocchiale (che differenza con il nostro ciclostilato, carta
patinata, stampa in tipografia, abbondanza di fotografie a colori) si dava il
benvenuto ad una nuova componente di una comunità religiosa operante in
parrocchia: una Suora di 81, avete letto bene, ottantun anni, venuta a dare
manforte al piccolo gruppo di suore che, ansiose, aspettavano questa “forza
nuova” per mantenere in vita l’asilo parrocchiale. In una età in cui ci si
aspetta di godere di un meritato riposo, questa donna ha eroicamente poste
nuovamente al servizio della sua Comunità le sue forze. Possa Dio, per la Sua
gloria, concederle ancora molto tempo! Al di là del facile sconforto…ho provato
a fare un confronto statistico con la mia “memoria”… io bambino nel mio piccolo
paese della riviera ligure.. , eravamo quasi 9000 abitanti, oggi non arrivano a
6000.., erano presenti tre comunità delle Figlie della misericordia di Savona,
alle quali devo la mia vita fisica, le Giannelline, che curavano sul territorio,
con le altre comunità delle Suore della Provvidenza, della Dorotee e delle Somasche
orfanatrofi femminili ..mentre le Carmelitane si occupavano di anziani ed
infermi a domicilio, e le Missionarie Francescane del Verbo Incarnato, alle
quali devo la mia vita spirituale… era anche vivo un monastero maschile Benedettino
Olivetano , presso il quale ho imparato, e con me tanti altri bambini, i primi rudimenti del canto corale e della
lingua latina. Oggi, di tutta questa
vitalità religiosa, rimane una sola casa religiosa ed il Monastero benedettino
che, benché un quinquennio fa tristemente destinato alla riconversione in mega
albergo, vede oggi una sua confortante rifioritura, con la presenza di alcuni
giovani novizi. È evidente che il Signore chiama ma…pochi rispondiamo…ma è
certo che Lui conosce le esigenze della Sua Chiesa, non possiamo fare una colpa
al “Padrone” di questa situazione. È pur vero che, per dirla con sant’Agostino “Dio
che ti ha creato senza di te non ti salva senza di te” Qualche anno fa, così mi
dicono, anche nel nostro territorio ortonovese era assicurata la presenza di
religiose, oggi scomparsa (rimpianta?). È pur vero che tutte queste Congregazioni,
generalmente nate nel secolo XIX per fronteggiare una emergenza rappresentata
da una abnorme presenza di orfani ed analfabeti… oggi vedono praticamente
scomparsa quella specifica esigenza quindi qualcuno potrebbe pensare allora che
hanno naturalmente terminata la loro missione ma non dimentichiamo che il
servizio sociale da sempre svolto è funzionale al loro primo compito, ovvero la
evangelizzazione! Non è ininfluente il fatto che, come tutte le epoche
storiche, anche la nostra sia caratterizzata da altre emergenze sociali, come, ad
esempio, l’emarginazione economica o la tutela dell’anziano, ecco perché molte antiche
e nuove famiglie religiose oggi, accanto allo storico carisma delle loro
fondazioni, si votano, riconvertendosi, anche a queste missioni, ma se, secondo
uno studio sociologico, entro il 2050 non avremo più (Dio non voglia!) Suore…cosa
succederà? Non possiamo - oggi – saperlo ma un compito preciso l’abbiamo: pregare
perché il Padrone mandi operai per la sua messe forse il nocciolo del problema
è tutto qui. Proviamo a fidarci di “Lui” ed a fare la nostra parte. Lui, che sa
il fatto suo, a sua volta farà la sua!
Ortonovo, 3 marzo 2019
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La Musica nelle Arti figurative
di Giorgio Bottiglioni
La Musica nelle Arti
figurative
L’Arte
Greca
Il mondo della musica, con la varietà dei suoi
strumenti e le diverse pose dei suonatori, ha da sempre affascinato pittori,
scultori e miniaturisti. Grazie a queste riproduzioni è possibile non solo
ricostruire strumenti e tecniche strumentali che diversamente sarebbero rimaste
sconosciute, ma anche comprendere i diversi ruoli che la musica rivestì in
epoche e civiltà più o meno remote. Si data all’incirca al 2000 a.C. una
statuetta in marmo proveniente dall’isola di Keros rappresentante un arpista. La cosiddetta Arte Cicladica si
sviluppò nelle isole Cicladi tra la fine del III millennio a.C. e la fine del VII
secolo a.C., ma fu nella prima fase che si ebbe il periodo più creativo. Le
statuette marmoree sono senza dubbio le espressioni più originali
dell’artigianato cicladico. Esse vengono distinte in due serie: la prima “a
forma di violino” presenta delle immagini femminili molto stilizzate; la
seconda annovera, fra le altre, i famosi suonatori di lira e di doppio flauto.
Ancora gli studiosi dibattono sull’interpretazione da dare a queste statuette.
Essendo state rinvenute perlopiù in contesti funerari, pare giusto ritenere che
si tratti di rappresentazioni di divinità, esseri eroici o ninfe legati al
ciclo della vita e della morte. Resta il fatto che l’Arte Cicladica raggiunge
il più alto grado di perfezione proprio nelle statuette dei suonatori, dove
l’eccezionale struttura geometrica mette di fronte ad una capacità
architettonica di questi artigiani assolutamente inusitata per quell’epoca così
remota. Contemporaneamente all’Arte Cicladica si sviluppa l’Arte Minoica che
prende il nome da Minosse, mitico re di Creta. L’arte di questa grande isole
del Mediterraneo raggiunge sommi livelli nelle ben note pitture parietali del
palazzo di Cnosso, databili intorno al 1500 a.C. Di poco posteriore (fine XV
secolo) è un sarcofago di pietra calcarea ricoperto di stucco proveniente da
Haghia Triada, nel sud dell’isola. Le scene, contornate da un fregio grazioso,
raffigurano un rito funebre e sono da considerarsi una delle più importanti
testimonianze della religione minoica. Sul lato anteriore sono due cortei che
procedono in senso opposto; quello che va a sinistra è formato di tre personaggi,
l’ultimo dei quali è un citaredo dalla
lunga veste rossastra, che tiene alto nelle mani lo strumento. L’accuratezza
della figura se, da una parte, testimonia che già in quest’epoca la cetra aveva
raggiunto le fattezze caratteristiche, dall’altra, offre un’ulteriore
testimonianza, dopo quella delle statuette cicladiche, della centralità della
musica nell’antichissima cultura dell’Età del Bronzo. Nella cosiddetta Tarda
Età del Bronzo prende il sopravvento la cultura micenea, così chiamata dal nome
dell’importante centro di Micene, nel Peloponneso. Nelle arti di questo periodo
si prediligono scene di guerra e di caccia, e difficilmente trovano spazio
raffigurazioni di aspetti della vita comune, compresi, ovviamente, i suonatori
di cetra o flauto. Prima di ritrovare la musica nell’arte greca bisogna
attendere circa 700 anni: nel mezzo si staglia il Medioevo Ellenico, un periodo
troppo parco di testimonianze dirette e per questo definito “dei secoli bui”.
Le poche forme d’arte si esplicano nei vasi in terracotta dipinti a motivi
geometrici dapprima molto semplici e poi, piano piano, più complessi. Le figure
umane ricompaiono verso l’VIII secolo, ma sono molto stilizzate e ricordano
veramente poco la raffinatezza dell’arte minoica ormai perduta. Sul finire
dell’VIII secolo, grazie a un rinnovato vigore dei porti greci, influenze
provenienti dall’oriente danno una forte spinta alla produzione artistica ed
ecco comparire vasi quali l’Olpe Chigi. Si tratta di una brocca dalla bocca
circolare prodotta a Corinto intorno al 640 a.C. e ritrovata nel 1882 in una
tomba etrusca a Veio, probabilmente prezioso regalo per il principe della zona.
Caratteristica fondamentale di questo vaso è la policromia, tipica delle
produzioni artistiche dell’epoca orientaleggiante. La guerra e la caccia sono i
due temi raffigurati bei tre fregi del vaso. Nel fregio più alto, proprio nel
mezzo di una schiera di soldati armati di scudo e di lancia compare un
suonatore di doppio flauto, curiosamente più piccolo rispetto agli altri
personaggi, ma senza dubbio in una posizione di grande rilievo, accentuata
ancor di più dallo strumento diretto verso l’alto. Nei secoli VI e V a.C. il
principale centro culturale, e quindi anche artistico, della Grecia è Atene. Le
straordinarie architetture dell’Acropoli testimoniano l’altissimo livello
raggiunto dall’occidente. Sfortunatamente poco o nulla è giunto della pittura
greca e le uniche considerazioni che possiamo fare devono necessariamente riferirsi
alle terrecotte dipinte. Il VI secolo è il secolo dei vasi “a figure nere”: i
temi prediletti dai pittori sono di carattere mitologico, o legati al mondo
fella palestra e di giochi ginnici, come nell’anfora di Kleofrades; qui due
atleti, uno con i pesi per il lancio in lungo e l’altro con il disco, insieme
al loro allenatore, si presentano alla gara al suono del doppio flauto. Intorno
al 535 a.C. fa la sua comparsa una nuova tecnica di pittura vascolare definita
“a figure rosse”: la vernice nera, con la quale fino allora si riempivano le
figure, viene adoperata soltanto per i contorni, oppure, applicata con esile
pennello, per dare soltanto quei particolari che prima venivano indicati dal
bulino. All’aristocrazia dominante piacciono ancora le scene tratte dal mondo
mitologico oppure i banchetti dai toni spesso audaci o episodi dell’educazione
sportiva e delle competizioni atletiche. La nuova tecnica permette di raggiungere
livelli di raffinatezza altissimi, come ben si può vedere nell’opera del Pittore
di Colmar in cui un Eracle banchettante viene allietato da un suonatore di
doppio flauto. All’inizio del V secolo è comunemente datata un’opera molto
discussa: il Trono Ludovisi. Si tratta di una scultura in marmo proveniente
dalle fabbriche artigiane della polis magno-greca di Locri Epizefiri, nell’odierna
Calabria. L’opera, nella sua decorazione a bassorilievo, raffigura sulla parte
frontale Afrodite che nasce dalla spuma del mare (anche se qualche studioso
vede in essa Persefone che risale sulla terra dal mondo degli inferi) e aiutata
ad uscire dall’acqua da due ancelle, mentre sui lati sinistro e destro
appaiono, rispettivamente, una suonatrice di flauto adagiata su un cuscino ed
una donna coperta da un manto intenta a deporre l’incenso in un brucia-essenze.
Qui troviamo chiaramente accostato l’elemento musicale ad una scena di
purificazione rituale. Sul finire del V secolo, probabilmente a seguito della
decadenza della nobiltà e della presa del potere da parte della borghesia,
cambiano notevolmente i temi trattati dai pittori vascolari: il mito, la
guerra, le gare sportive, i banchetti licenziosi lasciano spazio a scene
famigliari, raffigurazioni di mestieri, ginecei, temi ben più consoni a una
clientela diventata in maggioranza femminile. In questo contesto trova
espressione il pittore di Midia, l’artista “della grazia e della bellezza”. Pur
mutando profondamente il carattere delle raffigurazioni, non mancano anche qui
i suonatori di cetra, reinterpretati certo, ma ancora presenti, a voler
significare la centralità della musica nella cultura greca di ogni tempo.
Nell’età Ellenistica viene piano piano meno la moda dei vasi dipinti e subentra
quella dei mosaici. Per trovare scene di carattere musicale occorre però andare
a cercare le piccole lucerne in terracotta decorate dalla figura in rilievo del
singolo suonatore di cetra, cembali o doppio flauto. Molte di queste lucerne
sono conservate presso il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma. Per
concludere, si può affermare senza ombra di dubbio che in tutto l’arco della
storia dell’arte greca, a parte la parentesi dello Stile Geometrico, la
rappresentazione degli strumenti musicali e dei rispettivi suonatori ha avuto
una presenza continua: da soggetto unico a semplice complemento di scene più
articolate, l’elemento musicale non ha mai abbandonato l’universo delle arti
figurative greche, a riprova della grande importanza conferita alla musica da
questa civiltà. Veramente, come spiegano i filosofi antichi, la Musica
rivestiva un posto centrale nella vita dell’uomo greco: non si trattava quindi
soltanto di un semplice passatempo, piuttosto di un elemento fondamentale per
l’esistenza stessa, legata com’era alle sfere più varie, dall’educazione
scolastica al mito, dalle gare di atletica ai riti funerari e di purificazione,
dalla guerra ai banchetti, finanche ai delicati consessi femminili nei ginecei.
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Donazione
di Barbara
A
seguito della donazione da me fatta a favore dall’Associazione Sightsavers di
duemila euro, ho ricevuto questa lettera di ringraziamento che è di seguito
riportata.
Carla Beggi
Lettera
da SIGHTSAVERS Italia Onlus:
Milano,
13 Febbraio 2019
Cara
Carla,
ti
scrivo per ringraziarti di cuore per essere riuscita, ancora una volta, a
realizzare un evento straordinario che cambierà tante vite. I mio
ringraziamento va naturalmente anche a coloro che con tanto impegno hanno dato
una mano nell'organizzazione e a tutti i partecipanti che hanno permesso di
raggiungere un risultato eccezionale. Tutti
voi siete riusciti a trasformare una grigia domenica invernale, fredda e
piovosa in un'occasione per stare insieme in allegria e fare del bene. E il
bene che farete è davvero tanto: grazie alla vostra donazione sarà infatti possibile curare 2.941 bambini
dal tracoma e operare 30 persone di trichiasi, la fase avanzata della malattia. Così
non solo avete salvato tutti loro dalla cecità, ma anche da tante sofferenze,
dall'emarginazione e dalla povertà che questa terribile infezione porta con sè. Ciascuno
dei partecipanti al pranzo e alla lotteria del 27 gennaio potrà essere certo di
aver trasformato delle vite dall'altra parte del mondo e di aver contribuito
alla grande iniziativa per l'eliminazione del tracoma: se tra pochi anni questa
malattia sarà solo un ricordo sarà anche grazie a voi e al vostro cuore. Siamo
davvero fieri di avervi al nostro fianco e grati per la grande generosità che
continuate a dimostrare. Ti
prego di trasmettere il nostro grazie a tutta la vostra splendida comunità.
Un
abbraccio e a presto.
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La preghiera dell'infermiera
di Lucy
Buon
Dio, ti prego, ascolta questa umile preghiera di un’infermiera. Carissimo
Signore, grazie dei doni che mi hai dato, fa che possa aiutare chi ha avuto
meno di me. Che possa ben svolgere il lavoro per cui sono nata. Se riuscirò ad
essere utile, mi sentirò davvero ricompensata. Benedici o Signore le mie mani
perché si dovranno tanto adoperare. Ancora Ti chiedo: fa che non abbia ad
insuperbirmi nella lode né a cedere alla sfiducia nella fatica.
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SAN GUGLIELMO di AQUITANIA
di Elio Gentili
Domenica 3 marzo la comunità
di Nicola celebra la festa del patrono S. Guglielmo di Aquitania. Grazie anche
la giornata primaverile, la gente è accorsa numerosa in paese. Già di primo
mattino in piazza era stato allestito un mercatino di prodotti artigianali,
mentre nel salone parrocchiale era in funzione la lotteria di beneficenza
animata dalle ragazze del paese. Alle 11 la folla dei fedeli che riempiva la
chiesa faceva ala all'ingresso del parroco don Carlo, accompagnato da diacono Paolo
Casani e dal novello diacono Agostino Cavirani. Il canto dell'antico inno a san
Guglielmo dava inizio alla solenne celebrazione della Messa. Dopo le letture
proprie della solennità, don Carlo all'omelia tratteggiava i punti salienti
della vita di Guglielmo, dapprima potente Duca di una regione della Francia,
gran peccatore, fiero oppositore della chiesa e dei suoi ministri. La sua conversione fu dovuta a S. Bernardo di
Chiaravalle che un giorno, mentre Guglielmo disturbava sul sagrato la
celebrazione della Messa, lo affrontò ponendogli davanti l'ostensorio
sfidandolo ad offendere Gesù eucaristico. Guglielmo, come folgorato, crollò in
ginocchio e si mise a piangere. Il santo lo rialzò e lo invitò ad andare in
pellegrinaggio come atto penitenziale, dapprima a Roma, e poi in Terrasanta. Fu
in occasione di uno di quei viaggi che Guglielmo passò da Nicola accolto e
rifocillato dagli abitanti, ai quali lasciò in dono il segreto di un'erba
capace di guarire molte piaghe e infermità. Cosa ci può insegnare oggi la vita
di San Guglielmo? Innanzi tutto che la santità deve essere la meta di ogni
cristiano, che non esiste peccato seppur grave che il Signore non possa
perdonare, ed infine la vita di Guglielmo ci insegna che il potere, il denaro e
la lontananza da Dio non danno la felicità. Lui che possedeva tutto, abbandonò
le ricchezze terrene per farsi pellegrino ed eremita, ottenendo la vera pace
del cuore e la serenità. Al termine della messa don Carlo ha fatto baciare la
preziosa reliquia del santo invitando i fedeli e prendere come ricordo le
bustine della erba medicinale di S, Guglielmo che da quasi mille anni la
comunità di Nicola offre ai devoti che salgono in paese in occasione della
festa. Nel pomeriggio, dopo la solenne celebrazione dei Vespri, si è svolta nel
salone comunale “A. Cervia” la presentazione del libro di Elio Gentili “Il
poeta del Sogni. Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi”. Dopo il saluto del sindaco e
dell'assessore alla cultura il volume è stato commentato dal dott, Giuseppe
Cecchinelli e dal prof. Giuseppe Benelli, presidente dell'Accademia lunigianese
di studi storici e scientifici “G. Capellini”.
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