Paolo Bertolani: l’approdo
dialettale
Arrivato
il momento di parlare della poesia dialettale di Paolo Bertolani, mi sono resa
conto che, nello scaffale della mia libreria tra i libri che lui mi aveva
regalato e dedicato, mancava il suo primo libro di poesie in dialetto, quello
che lo ha consacrato e collocato in quel mondo, assurto da non molti anni a
dignità letteraria.
Che
fare? Introvabile nella biblioteca qui di fronte a casa mia e su internet, mi
sono rivolta a Cecilia, sua figlia maggiore. Mi ha confermato la rarità di
questo libro che, non si sa come né perché, sia rarissimo trovarlo anche in
altre biblioteche. Ma lei ne aveva una copia che dopo un’ora era a casa mia.
Questa premessa era necessaria anche per far capire quanto possa essere
prezioso un libro di poesie per di più in dialetto. Un libro edito da Einaudi, che
allora era un editore di nicchia, quindi prezioso fin da subito. I nostri
lettori sapranno che l’Editore è molto importante per la qualità del contenuto.
E non serve che siano “grosse” case editrici, ma la cosa importante è che
scelgano la qualità. Così Scheiwiller a Milano o Carpena a Sarzana.
Quando andavo al Liceo, la poesia dialettale era relegata in una sorta di
Limbo, in posizione ancillare rispetto a quella in lingua dei grandi poeti. Quindi
trovava una collocazione minima sui manuali, anche nel carattere, più piccolo
del resto della pagina.
Con l’andare del tempo, invece, la poesia dialettale ha trovato il suo spazio e
il suo onore. Poesia, ma anche prosa. Come si potrebbero leggere Ruzante, Goldoni,
Porta o Belli altrimenti? Goldoni. Impossibile leggerlo senza dare
l’intonazione del veneziano. E che dire di Trilussa le cui poesie sono
diventate massime popolari? Come dimenticare Pasolini oppure Gadda?
Le parole in dialetto che scorrono sotto ai nostri occhi, quando leggiamo,
hanno qualcosa di più della perfezione formale della lingua standard. Un
qualcosa che coinvolge il lettore a tal punto che egli si trova immerso in quella
rappresentazione come in una sorta di sindrome di Stendhal. E la mente comincia
a immaginare un mondo che non c’è più, una vita quotidiana passata fatta di
piccole cose che raccontano la storia delle persone di quel tempo. Un’
autenticità che non c’è più. In questo senso la parola dialettale diventa pregna
di significati, perché va oltre quello letterale e sconfina in quello
emozionale.
La parola diventa memoria e racconto di un tempo che fu. Diventa parola
evocatrice.Paolo
Bertolani, attento cultore delle piccole cose che hanno segnato la sua vita e
quella della povera gente del suo paese, nostalgico dell’autenticità di un
tempo che sente irrimediabilmente finito, a un certo punto ha trovato nel
dialetto il registro e lo strumento per esprimere i suoi sentimenti e le sue
riflessioni melanconiche sul destino dell’uomo e sulle ingiustizie sociali,
sulla superficialità della gente, attenta all’apparenza e all’effimero e non
alla Bellezza vera e reale di ciò che ci circonda.
Lui invece il mondo lo viveva intensamente, lo “sentiva” suo (sentio in latino è il verbo dell’anima),
lo partecipava con tutto se stesso, con amore e con l’indignazione giusta e
necessaria per questo “reo tempo” che ci è toccato in sorte.
Lui pensava in dialetto. Lui meditava sul fruscio delle foglie e sul
“bavagliolo rosso” dei pettirossi. Sapeva farlo.
Quale lingua migliore ci può essere se non quella dialettale per esprimere
tutto ciò?
La
musica di quelle parole diventa orchestra che suona quell’autenticità che ritorna
e fa rivivere, anche se solo nello spazio dei versi, emozioni, sensazioni,
situazioni.
A
volte per rimpiangere, a volte per gioire, ma soprattutto per non dimenticare.
Seinà
(Serate), uscito nel 1985 nella preziosa collana de “Gli Struzzi”, è la prima
raccolta di poesie nel dialetto della Serra, una lingua scritta proprio da
Bertolani, perché prima non ne esisteva traccia.
La prefazione è del poeta Giovanni Giudici, amico carissimo di Bertolani, e
amico quotidiano.
Adesso leggiamone alcune in dialetto, ma poi in traduzione:
Foresti
I s’en van. Adè, ai sgóssui
da stada.
Doman, a cà soa,
i
recuntiàn de vee
de scogi
a fio d’aigua
lépeghi o
arsà,
de sói
‘nfogà che tàrdia
i
s’agnasse dré ar mae…
Ma der
vièo da donde a te scrivo,
de ‘sta
foa carga de arbuèle
-tènie
vesin ae póle-
de sto
cantae fisso de usèi
dai
cóstri renfrescà aa prim’aia
nèva dai
monti,
i non
podiàn – nì ‘r voresse –
cuntae:
de quelo che ‘ncò me,
povio
caminadóe sbandà,
a posso
vantae.
Forestieri. Se ne vanno. Adesso, agli sgoccioli /
dell’estate. // Domani, a casa loro, / racconteranno di vele, / di scogli a
filo d’acqua/ viscidi o arsi, / di soli infuocati che tardi / si coricano
dietro il mare…/ Ma del viottolo da dove scrivo, / di questa favola carica di
alberelle / -ténere vicino alle sorgenti-/ di questo cantare fitto di uccelli /
dalle siepi rinfrescate alla prima aria / nuova dai monti, / non potranno – né
lo vorrebbero – / raccontare: di quello che anch’io, povero viandante sbandato,
posso vantare.
I “forestieri” sono i villeggianti che hanno occhi solo per le cose più
evidenti – scogli, vele, sole accecante -, ma non sanno vedere, né lo
vorrebbero, le piccole cose che fanno la Bellezza non solo della natura. I
“forestieri” sono i colonizzatori, come li chiamava lui, che si impossessano
dei nostri siti e li devastano con la modernità.
Ninanana
Gh’ea na prea
lunga
lissa
posada ae
cófe d’ua
ai viri
der campae
aa
fassina
ar tèo de
Nadae
…e adè?
La nó
gh’è pu.
Na paéda
la gh’ea de frolina
piatà
sarvà
pe i usèi
e per noi
fina a
frevàe
…e adè?
La nó
gh’è pu.
Gh’ea
n’omo
chi gava
trei can
na crava
daa barbeta
en
fis-ciéto de cana
(a gàibo
i ghe
sonéva Adìo Lugano)
e nissun
come lu
i sava
issae mureti
i sava
‘nestae
…e adè?
I nó gh’è
pu.
Gh’ea
n’aiache bastéva bisotàe
e a gose
l’andéva spedìe lingéa
come ‘n
pésso ‘nter mae
…e adè?
La nó gh’è
pu.
Gh’ea Pàvolo
da Locca
che de
‘sti sómi i feva
a sé
bandéa
nicò si
l’agomìve
dee vote
verso sea
…e adè? I nó gh’è
pu.
Ninnananna. C’era
una pietra / lunga / liscia / sosta alle ceste d’uva / ai giri della guardia
campestre / alla fascina / al tronco di Natale // …e adesso? / Non c’è più. //
Un
filare c’era di uva fragola / nascosta / serbata / per gli uccelli e per noi /
fino a febbraio // …e adesso? / Non c’è più. // C’era un uomo / che aveva tre
cani / una capra dalla barbetta / un fischietto di canna / (con garbo / vi
suonava Addio Lugano) / e nessuno come lui / sapeva alzare muretti / sapeva
innestare // …e adesso? / Non c’è più. // C’era un’aria che bastava bisbigliare
/ e la voce andava spedita e leggera / come un pesce nel mare // …e adesso? /
Non c’è più. // C’era Paolo della Locca / che di questi sogni faceva / la sua
bandiera / anche se lo immalinconivano / certe volte / verso sera // …e adesso?
/ Non c’è più.
Straordinaria
e struggente poesia questa sullo stravolgimento delle cose rassicuranti del
tempo passato, messo in ripetuta evidenza dal ritornello ossessivo “…e adè?/
I nó gh’è pu.”.
Il componimento con semplice e efficace sottolineatura mette in evidenza usanze
e mestieri di una volta, abitudini e persone, abilità manuali che adesso “la ‘n
gh’en pu”.
Pésso-Malinconia
Malinconia,
suèla de viagio
mai na
vota che ‘n dido
i slìghia
fito ‘r lamo
daa bóca
de sto pésso spussolente
ch’a
biàsto giorno e sea
-Pésso-Malinconia
chi
cressa ‘n tuti i mai,
odoe de
bestìn
che da me
a nó so mandae via.
Pesce-Malinconia. Malinconia,
sorella di viaggio, / mai una volta che un dito / sleghi presto l’amo / dalla
bocca di questo pesce puzzolente / che mastico giorno e sera /
-Pesce-Malinconia / che cresce in tutti i mari, / odore bestiale / che da solo
non so mandare via.
Questo
componimento, scelto da Giudici non a caso nella sua prefazione, caratterizza il
poeta Bertolani. La Malinconia, scritta con la maiuscola per sottolinearne
l’imperiosa presenza, viene paragonata a un pesce, in quanto l’odore maleolente
è difficile da mandare via. Così la Malinconia è presenza costante nell’animo
del poeta e difficile da allontanare. Una Malinconia tuttavia che non sfocia
mai nella negatività assoluta, perché la poesia di Bertolani è ricca anche di
luce, allegria e umorismo.
Castelnuovo Magra 23 ottobre 2018