N° 10 - Novembre 2018
Storie dei lettori
  DIARIO DI UN PELLEGRINO
di Gualtiero Sollazzi


   

                                 Dott. GIULIO TERSILI

E’ il famoso “medico della mutua”, film di successo. Il ‘dottore’ vuol guadagnare presto e a tutti i costi, così non esita a sedurre per arrivare, a fingere devozione per imbrogliare le suore dell’ospedale dove lavora e a calpestare i diritti dei colleghi. Pur di essere primo. Ci arriverà: diventerà il primario. Immagine triste di tanti che fanno come lui: in economia, in politica, nella cultura. E’ stato scritto: “Non so lì da voi, ma qui da me c’è un’aria fetida d’arrivismo che mi dà la nausea. Arrivare poi dove?
Già. Oggi si conta se siamo primi, se siamo vip. “Non ci sto” dovrebbe dire il cristiano. Sarebbe in buona compagnia. “Non sono venuto per essere servito” – afferma il Maestro. Parole da ascoltare, ricordando quel versetto del Salmo: “Gli umili ascoltino e si rallegrino”. Non dimentichiamo, attualissima anche oggi, un’amara constatazione di Brecht: “Mi sono seduto nel posto di chi ha torto, perché tutti gli altri erano occupati”.

                             DEI DOVERI DELL’UOMO

Mazzini, ormai, è un dimenticato. Lui e soprattutto le cose che ha scritto, bene e controcorrente. Come il saggio dal titolo riportato qui sopra. Dedicato ai “fratelli operai” non nasconde affatto i diritti che questi hanno, ma preferisce sottolineare i doveri da compiere. Con parole preziose: “Bisogna convincere gli uomini ch’essi, che ognuno d’essi, deve vivere non per sé, ma per gli altri, che lo scopo della loro vita non è quello d’essere più o meno felici, ma di rendere se stessi e gli altri migliori.” Forse occorre fare un salutare tuffo nei “doveri” perché siamo ubriachi di diritti, sbandierati anche a sproposito. In questo mondo liquido, coriandolare, il dovere svela il vero volto della persona, misura la capacità di impegno appassionato e svela di più ciò che dobbiamo agli “ultimi”, feriti dalla vita. Anche agli sposi, in attesa del Sinodo indetto dal Papa per riflettere sul sacramento del matrimonio, il “dovere” può ricordare che l’amore è più a forma di croce che di cuore. Per questo è “grande” direbbe Paolo. “Dovere”: parola talvolta malvista e, invece, quanto preziosa.

  PROSA D’ARTE
di Romano Parodi


PROSA D’ARTE

 

Francesca Bello, nel numero di Lug-Ago, ha messo in evidenza la prosa d’arte di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi.  Per comprendere che ha centrato in pieno, basta leggere il libro di Eligio Imarisio. Credo che in una classifica fra poeti e prosatori, Ceccardo si trovi più vicino al vertice nella seconda che nella prima: anticipa Riccardo Bacchelli, che nel ‘23 inaugura la prosa poetica e la prosa d’arte.
Il caso Orfei 

La fondazione Silvio e Mario Novaro, amici di Ceccardi, ha pubblicato la ricerca di Eligio Imarisio, su un episodio che coinvolse critici, artisti, letterati e politici, in uno scontro che appassionò l’ambiente genovese ed ebbe vasta eco nelle cronache italiane ed estere. Il lavoro di Imarisio, scrive Bruno Cicchetti nella prefazione, offre argomenti sul materiale non poetico dello scrittore, vera e propria letteratura ceccardiana: spesso, premessa e stimolo per la genesi lirica delle sue poesie”.
1903: La deturpazione dell’arte

Nelle cronache di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi.
I fatti - L’Amministrazione Comunale di Genova decide di restaurare 17 quadri della Civica Galleria di Palazzo Rosso. Il lavoro viene affidato al prof. Orfeo Orfei di Bologna. Dopo un anno di lavori, si scatenano le critiche. E’ Ceccardo che dalle colonne di “Vita Nuova” dà inizio ad una vibrata accusa contro l’Orfei: “.Un carrettiere ingrassatore..”, mettendo a nudo le basi stesse della cultura genovese. La passione degli articoli e la gravità dei fatti denunciati, travalicano la città e fanno scalpore in Italia e nel mondo, soprattutto in Francia, perché una clausola contenuta nel lascito della contessa Galliera-Brignole-Sale, che li donò alla città di Genova, i Van Dick, se trascurati, avrebbero dovuto andare alla città di Parigi. “Le Figarò”, “Le Temps”, “Daily Mail”, il “New York Herald”, e tanti altri denunciano lo scempio.
E così pure si esprime la “Società Amici dei Monumenti” con le sue prestigiose firme, in una lettera al sindaco di Genova.  Ma è soprattutto il nostro che attacca sempre più furente gli amministratori di Palazzo Tursi, per “…non riguardar più in là d’un palmo del proprio naso e del proprio utile”. Da tutto il mondo gli arrivano attestati e incitamenti. “Ora che tu poeta hai cinte le armi, sia la tua battaglia senza quartiere”, ma anche offese di incompetenza e di traditore della patria, soprattutto da parte dei politici.
Anche il ministro che aveva sponsorizzato l’Orfei, scende in campo a sua difesa, provocando lo sdegno di tutto il mondo artistico che aveva bocciato i lavori. Ceccardo nelle sue veementi arringhe, rivendica spesso le sue origini.
Dall’alto gli Iddii della mia terra mi cennano…Perché io ne fervidi anni che salivano chiacchierando sommessi di opere e di speranze, io non crebbi, né mi educai la mente e il cuore in un carcere di cittadine mura tra giuochi e guaiti di piccoli cani e di femmine, ma per campi aperti e colli, quasi in comunion vivendo con arbori e augelli, con pietre e nuvole, io m’imparai a conoscer quei Numi. E ancor era la casa degli Avi ghirlandata di olivi sul poggio di Luni, ed era mia madre, serena, che mi apprendea a leggere Ugo e a misurar l’armonia della “Ginestra” e delle “Grazie”… E intanto dall’erme torre de’ colli mi veniano incontro, e si allungavano sui miei passi irrequieti, l’ombre de’ Malaspina e dei Cybo; e i pioppi del pian verde con lor argentea riga mi adducean oltre i silenzi di archi infranti (le rovine di Luni) e superstiti abachi* a Moncaprion ferruginoso. O mio fervore giovinetto a quei di’… S’agitan oggi le parrucche delle Accademie gridandosi l’un l’altro: “non è vero! Non è vero. E se lo diciam noi chi può smentirci?”. Ridicole deità che senton sotto i pié scricchiolare le travi tarlate, e già veggon i topi uscir da buchi per desio di rodere lor annose toghe….”

Il Comune si difende. L’assessore, presente anche il Nostro, difende la professionalità dell’Orfei, anche se, ammette: “alcuni quadri non hanno un aspetto confortevole” e consiglia, d’accordo col ministro di Roma, una nuova verniciatura. Apriti cielo! Ceccardo esplode, in aula e sui giornali, e rispondendo all’amico Plinio Nomellini del Corriere della Sera, scrive: “Dopo la lavanderia (i quadri erano stati lavati col petrolio) e la risciacquatura (con una sostanza che a detta del Nostro era stata la causa prima della scomparsa dei “divini colori”), vogliono distendere una mano di pece sulle sacre tele del Palazzo Rosso: promettiamo a tutto il mondo che noi lo impediremo a furia, e sarà furia di popolo”. I suoi articoli, oggi interamente riportati nel libro di Imarisio (Pirella editore – Genova) sono veramente eccezionali e anche divertenti. Sembra che dopo la risciacquatura, da una tela sparì anche un piede. Ceccardo poi, per la sua competenza artistica e storica, fu assunto, per un certo periodo, dal “Lavoro Nuovo” di Genova.

 

* Gli àbachi sono la parte superiore dei capitelli. Quelli lunensi sono sparsi un po’ in tutto il territorio ortonovese e castalnovese: a Ortonovo ce ne sono tre o quattro.

  SOLENNITA’ DI SAN FRANCESCO DI ASSISI
di Marta


                             

Il 4 ottobre è stata la festa liturgica di San Francesco, patrono d’Italia e della Diocesi di Massa – Carrara -Pontremoli.
Giovedì mattina io e la cara cugina Maria, volendo partecipare alle solenni celebrazioni, ci siamo avviate verso il Duomo di Massa. Piazza Aranci e la strada antistante la cattedrale, erano piene di bancarelle fornite di ogni genere di mercanzia, dagli immancabili dolciumi artigianali, alla frutta, verdure, fiori, porchetta, giocattoli. L’odore del croccante, ancora caldo, mi stuzzicava il naso!!
Non mancavano, come in una fiera che si rispetta, gli animali, come vitellini, asinelli, oche, caprette, insomma tutti quelli tipici di una fattoria. Del resto gli animali, compreso il lupo, erano assai cari al Santo.
Già alle 9,30  di mattina c’era un grande andirivieni di gente e bambini che schiamazzavano allegramente.
La celebrazione eucaristica è iniziata alle 10,30 ed è officiata dall’arcivescovo di Firenze, mons. Giuseppe Betori, i concelebranti sono quattro vescovi, di cui uno africano.
Il coro, diretto dal maestro Renato Bruschi, responsabile della Scuola diocesana di musica sacra e Maestro di Cappella del Duomo di Massa, intona il canto d’ingresso, “Rallegriamoci nel Signore”, mentre entrano e sfilano in chiesa tante autorità civili, onorevoli, sindaci accompagnati da vari stendardi, il corpo dei Boyscout e i membri dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, sei vestiti di bianco e quattro vestiti di nero, sempre con la caratteristica croce bene in evidenza sul petto. Ma non è finita qui! Con stupore ho contato centinaio preti vestiti di bianco e trenta diaconi in tonaca bianca anch’essi.
Chiudevano il corteo l’arcivescovo celebrante con i quattro vescovi ed uno stuolo di chierichetti. Il suono dell’organo ha dato l’avvio alla cerimonia. La sua voce, che si diffonde nelle ampie navate, è così particolare da mettere i brividi a chi l’ascolta.
San Francesco, convertitosi a Cristo dopo una giovinezza gaudente e spensierata, prende alla lettera le parole del Vangelo e fa della sua vita un’imitazione di Gesù, povero e tutto proteso a compiere la volontà del Padre. La grandezza e la novità di Francesco consiste nella capacità sapersi allontanare dall’antica e tradizionale concezione della vita monastica, introducendo uno spirito nuovo, la Fraternità. I grandi Ordini francescani, Minori, Conventuali, Cappuccini, trovano in Francesco, più che una regola, uno stile di vita.
La sua visione ottimistica della creazione è bene espressa nel Cantico di frate Sole e dal suo amore per Madonna Povertà. Il Poverello d’Assisi e santa Caterina da Siena, altra pietra d’angolo della Chiesa, sono i patroni d’Italia.
Con il canto “Jubilate Deo”, intonato alla presentazione dei doni, mi sono sentita pervasa da una leggerezza piena di commozione. Tra quelle voci angeliche, più le ascoltavo, più mi sembrava di riconoscerne una.  Tutt’al più, sarà una somiglianza di voci e nient’altro, mi dicevo.
Al termine della celebrazione mi sono avvicinata alla corale e con grande sorpresa ho incontrato Tatiana. Allora, non mi ero sbagliata! Ho visto anche altri bravi coristi di Ortonovo, per l’occasione in trasferta a Massa.
Certamente al bravo maestro Bruschi va tutto il merito di saper mettere insieme questi cantori, dirigere questa formazione corale e guidarla verso risultati eccellenti.
Fuori il Duomo la fiera e la ressa di persone  sicuramente è continuata fino a sera. La giornata bellissima e il clima ancora estivo era un forte invito per le persone a partecipare, a soffermarsi presso i vari stand gastronomici dai quali i profumi e gli aromi si diffondevano nell’aria invitando a cedere ad un peccato di gola.

                                      

  Moderni spettacoli in antichi monumenti
di Giorgio Bottiglioni



La famosa breccia di Porta Pia portò all’Italia, ma in particolare a Roma, una ventata d’aria fresca, tanto che da lì a breve tempo gran parte dell’assetto urbanistico della” città eterna” sarebbe mutato radicalmente: i nuovi edifici ministeriali avrebbero popolato quartieri fino ad allora inesistenti, dando così un volto moderno alla sospirata capitale d’Italia. Tra i colli Pincio e Quirinale si estendeva una profonda vallata che in epoca antica i Romani avevano abbellito con una serie di templi, ninfei, fontane così da costituire un grande parco dove i giardinieri mettevano a frutto i dettami dell’ars topiaria, potando artisticamente piante e arbusti. Quando , dopo il 1870, si scelse quest’area per costruire la maggior parte delle sedi ministeriali per la nuova capotale, si dovette operare con grandi interri così da colmare il naturale dislivello, chiaramente a discapito delle rilevanze archeologiche che andarono irrimediabilmente perdute; in alcuni casi furono le scariche di dinamite a fare saltare in aria i resti antichi, come accadde per il basamento del presunto tempio di Quirino, immolato dalla modernità per lasciare posto al Ministero delle Finanze su via XX Settembre. Uno dei pochi siti antichi risparmiati fu la cosiddetta “Aula adrianea” rimasta incredibilmente in mano privata dopo i discussi passaggi di proprietà che si ebbero con la fine dello Stato Pontificio.
L’Aula adrianea, seppur anticamente posta sul punto più elevato e quindi scenografico della vallata fra Pincio e Quirinale, venne a trovarsi, dopo gli interri di fine ottocento, a ben 14 metri sotto il livello stradale e ancora oggi lì si trova, al centro esatto di Piazza Sallustio. Si tratta di un complesso architettonico molto interessante dal punto di vista archeologico, ma anche in grado di stuzzicare gli interessi dei non addetti ai lavori proprio per i suoi legami col famoso storico latino Sallustio. L’Aula adrianea è stata infatti interpretata come una “coenatio estiva” inclusa all’interno degli Horti Sallustiani, uno dei parchi urbani più grandi della Roma antica, di fatto paragonabili alle odierne Villa Borghese o Villa Pamphili. Precisamente l’area si sviluppava subito all’esterno della cinta muraria serviana nei pressi di Porta Collina; basandosi sulla topografia moderna si potrebbe affermare che gli horti si estendevano da via Piave a via Veneto e da Corso d’Italia a via XX Settembre. Dapprima patrimonio dello Stato, l’area venne acquistata da Giulio Cesare e non a caso qui si ergeva il Tempio della Fortuna Politica, divinità che tanto fu favorevole al dittatore romano, almeno fino alle coltellate del 44 a.C. Pare che Cesare fece innalzare qui un tempio circolare dedicato a Venere, mitica progenitrice della “gens Iulia”, di cui non resta traccia alcuna se non le testimonianze degli antiquari cinquecenteschi e due grandi statue dette dei Galli, copie di originali ellenistici raffiguranti il Galata morente e il Galata suicida: due sculture, in realtà originariamente unite insieme, tra le più note dell’antichità. Ai tempi di Cesare esisteva un altro tempio di Venere detta “Ericina” con riferimento alla città di Erice: al tesoro di questo tempio appartenevano probabilmente il trono e l’acrolito Ludovisi, straordinarie opere scultoree del genio magnogreco. Alla morte di Cesare gli Horti vennero acquistati dal notissimo storico Sallustio, arricchitosi grazie al governatorato dell’Africa Nova: i numerosi illeciti, all’ordine del giorno fra i politici di allora al pari di quelli di oggi, gli avevano permesso di tirar su un patrimonio tanto grande che la multa, che Sallustio fu costretto a pagare al suo rientro a Roma, non riuscì a scalfirlo minimamente. Sallustio, come ben si evince dalle sue opere - le Historiae, il De Catilinae coniuratione e il Bellum lugurthinum – era un uomo colto e raffinato, e il suo giardino era guardato con invidia ed ammirazione da tutto il popolo di Roma. Di sicuro vi aveva fatto costruire una residenza di straordinaria bellezza, sul modello della quale, forse, l’imperatore Adriano fece costruire il complesso che è giunto fino a noi. Nel 36 a.C., alla morte dello scrittore, gli horti andarono in eredità al nipote Quinto e in seguito Tiberio li fece entrare nel demanio imperiale: da allora molti imperatori amarono rinfrescarsi negli horti di Sallustio durante le calde giornate estive, Nerva addirittura vi morì nel 98 d.C. Come detto, fu Adriano, nel 126 d.C., ad offrire un’ampia risistemazione del complesso. Quanto oggi si vede appartiene interamente particolarmente a questo periodo: dall’alto dell’odierna pavimentazione stradale ben si nota la stanza circolare con copertura a cupola, che rappresenta il nucleo centrale dell’edificio, insieme al piccolo vestibolo d’ingresso e alla sala rettangolare con doppia copertura a volta che le si appoggia verso nord. Particolarmente degna di nota è la cupola dell’aula circolare, caratterizzata da spicchi piani e concavi, in origine decorati a stucco. I numerosi fori visibili contro le pareti in laterizio sono testimonianza sicura di una copertura con lastre di marmo, attestata anche per il pavimento. Ai due lati del nucleo centrale si trovano, ad ovest, due stanze rettangolari dominate esternamente da una possente rampa di scale, ad est, sviluppata su più piani, una serie di ambienti, alcuni dei quali riccamente decorati con affreschi e mosaici. Questo complesso, arricchito con ninfei, fontane piante ornamentali, assicurava all’imperatore e alla sua corte la giusta frescura per i banchetti del periodo estivo. L’imperatore Aureliano dotò gli Horti di un grande circo in cui egli amava andare a cavallo: sulla spina di questo circo venne posta una copia dell’obelisco che al tempo si ergeva al Circo Massimo. Entrambi questi obelischi sono ancora oggi ben visibili; l’originale è al centro di Piazza del Popolo, mentre la copia si trova sulla sommità di Trinità dei Monti. Nel 410 l’invasione di Alarico devastò molte parti di Roma e gli Horti Sallustiani non si sottrassero al loro destino. Solo l’Aula adrianea resistette allora come in tutti i secoli seguenti fino ad oggi, quando, grazie al restauro operato nel 1999 dai privati proprietari in collaborazione con la Sovrintendenza Archeologica, è divenuta un importante centro convegni. La suggestiva cornice accoglie oggi meeting, mostre, concerti di musica da camera, sfilate di moda, e viene menzionata come una delle più riuscite cooperazioni fra pubblico e privato nell’ambito dei beni culturali.


  Carissime Fiorenza, Elena e laura....
di Giuliana Rossini



In questo periodo ancora caldo, ma non tanto da scaldare il cuore, periodo autunnale il pensiero vola verso il caro amico Walter, la cui recente partenza ha lasciato in tutti un grande vuoto.
Di lui è stato scritto tutto e ognuno ha espresso il proprio apprezzamento e stima per la sua persona. Anche io l'ho fatto con sincerità e affetto; qui ora desidero parlare con tutte voi, esponenti della bella famiglia Pedroni con cui ho avuto rapporti di esperienza diretta.
Venendo da Marina di Massa, non conoscevo nessuno e la prima persona del vostro nucleo da me incontrata sei stata tu Fiorenza, ad un seggio elettorale (ricordi?), giovane sposa già col tuo carico di dolore. Stabilimmo subito un rapporto di gradimento reciproco e parlammo a lungo di vari argomenti che ci trovavano quasi tutti d'accordo. Ti ho rivista, più tardi, come mamma di Laura, scolaretta alla scuola materna. Tu, Laura, non ti ricordi di me perché eri una bimbetta piccola di appena tre anni. Nel frattempo, per motivi di lavoro, avevo conosciuto i cari Pierluigi e Marcella, due persone squisite, gentili e generose, sempre amabili e sorridenti, troppo presto mancati ai loro cari.
Il babbo, invece, l’ho incontrato molto più tardi, scrivendo per il Sentiero e anche con lui è scattato subito un sentimento di apprezzamento reciproco.  Dopo la sua partenza per il cielo, quando è passato da una "stanza" all'altra dell’esistenza, di lui è stato detto, con una bella immagine, che su in paradiso avrebbe continuato a discutere con l'amico Doretto al quale lo legava una profonda amicizia. 
In realtà lassù tutto è manifesto e svelato essendo Dio luce, carità e bellezza e quindi tutto è chiaro e trasparente e chi vi dimora è immerso in questa luce divina. Certo si saranno rivisti con una gioia piena, così come sarà avvenuto con tutti gli altri cari che sono mancati prima di lui.
Te, Elena, ti ho conosciuta molto più tardi, quando con tanto coraggio e determinazione, hai preso in mano l'eredità del babbo, conducendo, assieme a tutta la redazione, il Sentiero in modo ineccepibile da persona esperta e consumata. Non ti sei tirata indietro, né risparmiata e anche tu, come il babbo, sai essere amica di tutti. Anche tra noi è nata un'amicizia salda e profonda che, sono certa durerà nel tempo.
Da ultimo vorrei salutare Oriana, sorella di Walter, di carattere dolcissimo, ma decisa e, come voi, con idee molto chiare su ciò che è generosità e amore al prossimo. 


  Per Enzo
di Paola G. Vitale


Signor Enzo, volevo rimproverarla per la lunghezza dei suoi "diari di un parrocchiano", ma non posso più farlo, perché leggendoli, anche quest'ultimo, ne ho colto tutta la concretezza nella verità, mentre le argomentazioni scorrono fluide come acqua di fiume o di fonte. Infine mi sono ricordato che lei è "avvocato" e perciò questa sua capacità di sviluppare l'argomento le è perfettamente congeniale e devo ammirarla, mentre spero che trovi ovunque apprezzamento.
A me, è congeniale la sintesi, pure nei racconti.
Ho apprezzato ogni scritto di questo giornale  di Settembre mentre un profondo ricordo  di Walter non manca mai di riaffiorare ad ogni occasione.
Si, perché lui era "un cuore" che desiderava destare e sostenere tanti altri cuori, nella fede e nella gioia di Cristo. Nella sua attiva concretezza Walter era e si faceva sentire "vicino".
Ora, chiedendo perdono del mio sincero ardire, la saluto e con lei tutti i collaboratori de "Il Sentiero".


  La tombola per la raccolta fondi SIGHTSAVERS
di Carla



 

Voglio ringraziare tutti i partecipanti alla tombola che ho organizzato in collaborazione con il Circolo ARCI di Luni, il giorno 27 ottobre 2018.È stata una bella serata, organizzata molto bene dai miei amici Paola, Veronica e Savio. Un particolare ringraziamento va a Luciana, per aver offerto il premio per la lotteria che è stata fatta la sera stessa. Senz’altro una serata come questa verrà ripetuta, visto il buon risultato.
Grazie ancora a tutti, anche a nome della sig.ra Barbara, per la somma che si è raggiunta in questa serata: 8000 euro che ho già spedito.

Vi aspetto alla prossima occasione.


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