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DIARIO DI UN PELLEGRINO
di Gualtiero Sollazzi
Dott. GIULIO
TERSILI
E’ il famoso “medico della
mutua”, film di successo. Il ‘dottore’ vuol guadagnare presto e a tutti i
costi, così non esita a sedurre per arrivare, a fingere devozione per
imbrogliare le suore dell’ospedale dove lavora e a calpestare i diritti dei
colleghi. Pur di essere primo. Ci arriverà: diventerà il primario. Immagine
triste di tanti che fanno come lui: in economia, in politica, nella cultura. E’
stato scritto: “Non so lì da voi, ma qui da me c’è un’aria fetida d’arrivismo
che mi dà la nausea. Arrivare poi dove? Già. Oggi si conta se siamo
primi, se siamo vip. “Non ci sto” dovrebbe dire il cristiano. Sarebbe in buona
compagnia. “Non sono venuto per essere servito” – afferma il Maestro. Parole da
ascoltare, ricordando quel versetto del Salmo: “Gli umili ascoltino e si
rallegrino”. Non dimentichiamo, attualissima anche oggi, un’amara constatazione
di Brecht: “Mi sono seduto nel posto di chi ha torto, perché tutti gli altri
erano occupati”.
DEI DOVERI DELL’UOMO
Mazzini, ormai, è un
dimenticato. Lui e soprattutto le cose che ha scritto, bene e controcorrente.
Come il saggio dal titolo riportato qui sopra. Dedicato ai “fratelli operai”
non nasconde affatto i diritti che questi hanno, ma preferisce sottolineare i
doveri da compiere. Con parole preziose: “Bisogna convincere gli uomini
ch’essi, che ognuno d’essi, deve vivere non per sé, ma per gli altri, che lo
scopo della loro vita non è quello d’essere più o meno felici, ma di rendere se
stessi e gli altri migliori.” Forse occorre fare un salutare tuffo nei “doveri”
perché siamo ubriachi di diritti, sbandierati anche a sproposito. In questo
mondo liquido, coriandolare, il dovere svela il vero volto della persona,
misura la capacità di impegno appassionato e svela di più ciò che dobbiamo agli
“ultimi”, feriti dalla vita. Anche agli sposi, in attesa del Sinodo indetto dal
Papa per riflettere sul sacramento del matrimonio, il “dovere” può ricordare
che l’amore è più a forma di croce che di cuore. Per questo è “grande” direbbe
Paolo. “Dovere”: parola talvolta malvista e, invece, quanto preziosa.
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PROSA D’ARTE
di Romano Parodi
PROSA
D’ARTE
Francesca
Bello, nel numero di Lug-Ago, ha messo in evidenza la prosa d’arte di Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi. Per comprendere
che ha centrato in pieno, basta leggere il libro di Eligio Imarisio. Credo che
in una classifica fra poeti e prosatori, Ceccardo si trovi più vicino al
vertice nella seconda che nella prima: anticipa Riccardo Bacchelli, che nel ‘23
inaugura la prosa poetica e la prosa d’arte.
Il caso Orfei
La
fondazione Silvio e Mario Novaro, amici di Ceccardi, ha pubblicato la ricerca
di Eligio Imarisio, su un episodio che coinvolse critici, artisti, letterati e
politici, in uno scontro che appassionò l’ambiente genovese ed ebbe vasta eco
nelle cronache italiane ed estere. “Il
lavoro di Imarisio, scrive Bruno Cicchetti nella prefazione, offre argomenti
sul materiale non poetico dello scrittore, vera e propria letteratura
ceccardiana: spesso, premessa e stimolo per la genesi lirica delle sue
poesie”.
1903: La deturpazione dell’arte
Nelle
cronache di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi.
I fatti - L’Amministrazione Comunale di Genova decide di restaurare 17 quadri
della Civica Galleria di Palazzo Rosso. Il lavoro viene affidato al prof. Orfeo
Orfei di Bologna. Dopo un anno di lavori, si scatenano le critiche. E’ Ceccardo
che dalle colonne di “Vita Nuova” dà inizio ad una vibrata accusa contro
l’Orfei: “.Un carrettiere
ingrassatore..”, mettendo a nudo le basi stesse della cultura genovese. La
passione degli articoli e la gravità dei fatti denunciati, travalicano la città
e fanno scalpore in Italia e nel mondo, soprattutto in Francia, perché una
clausola contenuta nel lascito della contessa Galliera-Brignole-Sale, che li
donò alla città di Genova, i Van Dick, se trascurati, avrebbero dovuto andare
alla città di Parigi. “Le Figarò”, “Le Temps”, “Daily Mail”, il “New York
Herald”, e tanti altri denunciano lo scempio.
E così pure si esprime la “Società Amici dei Monumenti” con le sue prestigiose
firme, in una lettera al sindaco di Genova.
Ma è soprattutto il nostro che attacca sempre più furente gli
amministratori di Palazzo Tursi, per “…non riguardar più in là d’un palmo del
proprio naso e del proprio utile”. Da tutto il mondo gli arrivano
attestati e incitamenti. “Ora che tu
poeta hai cinte le armi, sia la tua battaglia senza quartiere”, ma anche
offese di incompetenza e di traditore della patria, soprattutto da parte dei
politici.
Anche il ministro che aveva sponsorizzato l’Orfei, scende in campo a sua
difesa, provocando lo sdegno di tutto il mondo artistico che aveva bocciato i
lavori. Ceccardo nelle sue veementi arringhe, rivendica spesso le sue origini.
“Dall’alto gli Iddii della mia
terra mi cennano…Perché io ne fervidi anni che salivano chiacchierando sommessi
di opere e di speranze, io non crebbi, né mi educai la mente e il cuore in un
carcere di cittadine mura tra giuochi e guaiti di piccoli cani e di femmine, ma
per campi aperti e colli, quasi in comunion vivendo con arbori e augelli, con
pietre e nuvole, io m’imparai a conoscer quei Numi. E ancor era la casa degli
Avi ghirlandata di olivi sul poggio di Luni, ed era mia madre, serena, che mi
apprendea a leggere Ugo e a misurar l’armonia della “Ginestra” e delle
“Grazie”… E intanto dall’erme torre de’ colli mi veniano incontro, e si
allungavano sui miei passi irrequieti, l’ombre de’ Malaspina e dei Cybo; e i
pioppi del pian verde con lor argentea riga mi adducean oltre i silenzi di
archi infranti (le rovine di Luni) e superstiti abachi* a Moncaprion
ferruginoso. O mio fervore giovinetto a quei di’… S’agitan oggi le parrucche
delle Accademie gridandosi l’un l’altro: “non è vero! Non è vero. E se lo
diciam noi chi può smentirci?”. Ridicole deità che senton sotto i pié
scricchiolare le travi tarlate, e già veggon i topi uscir da buchi per desio di
rodere lor annose toghe….”
Il
Comune si difende. L’assessore, presente anche il Nostro, difende la
professionalità dell’Orfei, anche se, ammette: “alcuni quadri non hanno un aspetto confortevole” e consiglia,
d’accordo col ministro di Roma, una nuova verniciatura. Apriti cielo! Ceccardo
esplode, in aula e sui giornali, e rispondendo all’amico Plinio Nomellini del
Corriere della Sera, scrive: “Dopo la lavanderia (i quadri erano
stati lavati col petrolio) e la risciacquatura (con una sostanza
che a detta del Nostro era stata la causa prima della scomparsa dei “divini
colori”), vogliono distendere una mano di pece sulle sacre tele del Palazzo
Rosso: promettiamo a tutto il mondo che noi lo impediremo a furia, e sarà furia
di popolo”. I suoi articoli, oggi interamente riportati nel libro di
Imarisio (Pirella editore – Genova) sono veramente eccezionali e anche
divertenti. Sembra che dopo la risciacquatura, da una tela sparì anche un
piede. Ceccardo poi, per la sua competenza artistica e storica, fu assunto, per
un certo periodo, dal “Lavoro Nuovo” di Genova.
* Gli
àbachi sono la parte superiore dei capitelli. Quelli lunensi sono sparsi un po’
in tutto il territorio ortonovese e castalnovese: a Ortonovo ce ne sono tre o
quattro.
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SOLENNITA’ DI SAN FRANCESCO DI ASSISI
di Marta
Il 4 ottobre è stata la festa
liturgica di San Francesco, patrono d’Italia e della Diocesi di Massa – Carrara
-Pontremoli.
Giovedì mattina io e la cara cugina Maria, volendo partecipare alle solenni
celebrazioni, ci siamo avviate verso il Duomo di Massa. Piazza Aranci e la
strada antistante la cattedrale, erano piene di bancarelle fornite di ogni
genere di mercanzia, dagli immancabili dolciumi artigianali, alla frutta,
verdure, fiori, porchetta, giocattoli. L’odore del croccante, ancora caldo, mi
stuzzicava il naso!!
Non mancavano, come in una fiera che si rispetta, gli animali, come vitellini,
asinelli, oche, caprette, insomma tutti quelli tipici di una fattoria. Del
resto gli animali, compreso il lupo, erano assai cari al Santo.
Già alle 9,30 di mattina c’era un grande
andirivieni di gente e bambini che schiamazzavano allegramente.
La celebrazione eucaristica è iniziata alle 10,30 ed è officiata
dall’arcivescovo di Firenze, mons. Giuseppe Betori, i concelebranti sono
quattro vescovi, di cui uno africano.
Il coro, diretto dal maestro Renato Bruschi, responsabile della Scuola
diocesana di musica sacra e Maestro di Cappella del Duomo di Massa, intona il
canto d’ingresso, “Rallegriamoci nel Signore”, mentre entrano e sfilano in
chiesa tante autorità civili, onorevoli, sindaci accompagnati da vari
stendardi, il corpo dei Boyscout e i membri dell’Ordine dei Cavalieri di Malta,
sei vestiti di bianco e quattro vestiti di nero, sempre con la caratteristica
croce bene in evidenza sul petto. Ma non è finita qui! Con stupore ho contato
centinaio preti vestiti di bianco e trenta diaconi in tonaca bianca anch’essi.
Chiudevano il corteo l’arcivescovo celebrante con i quattro vescovi ed uno
stuolo di chierichetti. Il suono dell’organo ha dato l’avvio alla cerimonia. La
sua voce, che si diffonde nelle ampie navate, è così particolare da mettere i
brividi a chi l’ascolta.
San Francesco, convertitosi a Cristo dopo una giovinezza gaudente e
spensierata, prende alla lettera le parole del Vangelo e fa della sua vita
un’imitazione di Gesù, povero e tutto proteso a compiere la volontà del Padre.
La grandezza e la novità di Francesco consiste nella capacità sapersi
allontanare dall’antica e tradizionale concezione della vita monastica,
introducendo uno spirito nuovo, la Fraternità. I grandi Ordini francescani,
Minori, Conventuali, Cappuccini, trovano in Francesco, più che una regola, uno
stile di vita.
La sua visione ottimistica della creazione è bene espressa nel Cantico di frate
Sole e dal suo amore per Madonna Povertà. Il Poverello d’Assisi e santa
Caterina da Siena, altra pietra d’angolo della Chiesa, sono i patroni d’Italia.
Con il canto “Jubilate Deo”, intonato alla presentazione dei doni, mi sono
sentita pervasa da una leggerezza piena di commozione. Tra quelle voci
angeliche, più le ascoltavo, più mi sembrava di riconoscerne una. Tutt’al più, sarà una somiglianza di voci e
nient’altro, mi dicevo.
Al termine della celebrazione mi sono avvicinata alla corale e con grande
sorpresa ho incontrato Tatiana. Allora, non mi ero sbagliata! Ho visto anche
altri bravi coristi di Ortonovo, per l’occasione in trasferta a Massa.
Certamente al bravo maestro Bruschi va tutto il merito di saper mettere insieme
questi cantori, dirigere questa formazione corale e guidarla verso risultati
eccellenti.
Fuori il Duomo la fiera e la ressa di persone
sicuramente è continuata fino a sera. La giornata bellissima e il clima ancora
estivo era un forte invito per le persone a partecipare, a soffermarsi presso i
vari stand gastronomici dai quali i profumi e gli aromi si diffondevano
nell’aria invitando a cedere ad un peccato di gola.
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Moderni spettacoli in antichi monumenti
di Giorgio Bottiglioni
La famosa breccia di Porta Pia
portò all’Italia, ma in particolare a Roma, una ventata d’aria fresca, tanto
che da lì a breve tempo gran parte dell’assetto urbanistico della” città
eterna” sarebbe mutato radicalmente: i nuovi edifici ministeriali avrebbero
popolato quartieri fino ad allora inesistenti, dando così un volto moderno alla
sospirata capitale d’Italia. Tra i colli Pincio e Quirinale si estendeva una
profonda vallata che in epoca antica i Romani avevano abbellito con una serie
di templi, ninfei, fontane così da costituire un grande parco dove i
giardinieri mettevano a frutto i dettami dell’ars topiaria, potando
artisticamente piante e arbusti. Quando , dopo il 1870, si scelse quest’area
per costruire la maggior parte delle sedi ministeriali per la nuova capotale,
si dovette operare con grandi interri così da colmare il naturale dislivello,
chiaramente a discapito delle rilevanze archeologiche che andarono irrimediabilmente
perdute; in alcuni casi furono le scariche di dinamite a fare saltare in aria i
resti antichi, come accadde per il basamento del presunto tempio di Quirino,
immolato dalla modernità per lasciare posto al Ministero delle Finanze su via
XX Settembre. Uno dei pochi siti antichi risparmiati fu la cosiddetta “Aula adrianea”
rimasta incredibilmente in mano privata dopo i discussi passaggi di proprietà che
si ebbero con la fine dello Stato Pontificio.
L’Aula adrianea, seppur anticamente posta sul punto più elevato e quindi
scenografico della vallata fra Pincio e Quirinale, venne a trovarsi, dopo gli
interri di fine ottocento, a ben 14 metri sotto il livello stradale e ancora
oggi lì si trova, al centro esatto di Piazza Sallustio. Si tratta di un
complesso architettonico molto interessante dal punto di vista archeologico, ma
anche in grado di stuzzicare gli interessi dei non addetti ai lavori proprio
per i suoi legami col famoso storico latino Sallustio. L’Aula adrianea è stata
infatti interpretata come una “coenatio estiva” inclusa all’interno degli Horti
Sallustiani, uno dei parchi urbani più grandi della Roma antica, di fatto
paragonabili alle odierne Villa Borghese o Villa Pamphili. Precisamente l’area
si sviluppava subito all’esterno della cinta muraria serviana nei pressi di
Porta Collina; basandosi sulla topografia moderna si potrebbe affermare che gli
horti si estendevano da via Piave a via Veneto e da Corso d’Italia a via XX
Settembre. Dapprima patrimonio dello Stato, l’area venne acquistata da Giulio
Cesare e non a caso qui si ergeva il Tempio della Fortuna Politica, divinità
che tanto fu favorevole al dittatore romano, almeno fino alle coltellate del 44
a.C. Pare che Cesare fece innalzare qui un tempio circolare dedicato a Venere,
mitica progenitrice della “gens Iulia”, di cui non resta traccia alcuna se non
le testimonianze degli antiquari cinquecenteschi e due grandi statue dette dei
Galli, copie di originali ellenistici raffiguranti il Galata morente e il
Galata suicida: due sculture, in realtà originariamente unite insieme, tra le
più note dell’antichità. Ai tempi di Cesare esisteva un altro tempio di Venere
detta “Ericina” con riferimento alla città di Erice: al tesoro di questo tempio
appartenevano probabilmente il trono e l’acrolito Ludovisi, straordinarie opere
scultoree del genio magnogreco. Alla morte di Cesare gli Horti vennero
acquistati dal notissimo storico Sallustio, arricchitosi grazie al
governatorato dell’Africa Nova: i numerosi illeciti, all’ordine del giorno fra
i politici di allora al pari di quelli di oggi, gli avevano permesso di tirar
su un patrimonio tanto grande che la multa, che Sallustio fu costretto a pagare
al suo rientro a Roma, non riuscì a scalfirlo minimamente. Sallustio, come ben
si evince dalle sue opere - le Historiae, il De Catilinae coniuratione e il
Bellum lugurthinum – era un uomo colto e raffinato, e il suo giardino era
guardato con invidia ed ammirazione da tutto il popolo di Roma. Di sicuro vi
aveva fatto costruire una residenza di straordinaria bellezza, sul modello
della quale, forse, l’imperatore Adriano fece costruire il complesso che è
giunto fino a noi. Nel 36 a.C., alla morte dello scrittore, gli horti andarono
in eredità al nipote Quinto e in seguito Tiberio li fece entrare nel demanio
imperiale: da allora molti imperatori amarono rinfrescarsi negli horti di
Sallustio durante le calde giornate estive, Nerva addirittura vi morì nel 98 d.C.
Come detto, fu Adriano, nel 126 d.C., ad offrire un’ampia risistemazione del
complesso. Quanto oggi si vede appartiene interamente particolarmente a questo
periodo: dall’alto dell’odierna pavimentazione stradale ben si nota la stanza
circolare con copertura a cupola, che rappresenta il nucleo centrale
dell’edificio, insieme al piccolo vestibolo d’ingresso e alla sala rettangolare
con doppia copertura a volta che le si appoggia verso nord. Particolarmente
degna di nota è la cupola dell’aula circolare, caratterizzata da spicchi piani
e concavi, in origine decorati a stucco. I numerosi fori visibili contro le
pareti in laterizio sono testimonianza sicura di una copertura con lastre di
marmo, attestata anche per il pavimento. Ai due lati del nucleo centrale si
trovano, ad ovest, due stanze rettangolari dominate esternamente da una
possente rampa di scale, ad est, sviluppata su più piani, una serie di
ambienti, alcuni dei quali riccamente decorati con affreschi e mosaici. Questo
complesso, arricchito con ninfei, fontane piante ornamentali, assicurava
all’imperatore e alla sua corte la giusta frescura per i banchetti del periodo
estivo. L’imperatore Aureliano dotò gli Horti di un grande circo in cui egli
amava andare a cavallo: sulla spina di questo circo venne posta una copia dell’obelisco
che al tempo si ergeva al Circo Massimo. Entrambi questi obelischi sono ancora
oggi ben visibili; l’originale è al centro di Piazza del Popolo, mentre la
copia si trova sulla sommità di Trinità dei Monti. Nel 410 l’invasione di
Alarico devastò molte parti di Roma e gli Horti Sallustiani non si sottrassero
al loro destino. Solo l’Aula adrianea resistette allora come in tutti i secoli
seguenti fino ad oggi, quando, grazie al restauro operato nel 1999 dai privati
proprietari in collaborazione con la Sovrintendenza Archeologica, è divenuta un
importante centro convegni. La suggestiva cornice accoglie oggi meeting,
mostre, concerti di musica da camera, sfilate di moda, e viene menzionata come
una delle più riuscite cooperazioni fra pubblico e privato nell’ambito dei beni
culturali.
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Carissime Fiorenza, Elena e laura....
di Giuliana Rossini
In questo periodo ancora caldo, ma non tanto da scaldare il cuore,
periodo autunnale il pensiero vola verso il caro amico Walter, la cui recente
partenza ha lasciato in tutti un grande vuoto.
Di lui è stato scritto tutto e ognuno ha espresso il proprio apprezzamento e
stima per la sua persona. Anche io l'ho fatto con sincerità e affetto; qui ora
desidero parlare con tutte voi, esponenti della bella famiglia Pedroni con cui
ho avuto rapporti di esperienza diretta.
Venendo da Marina di Massa, non conoscevo nessuno e la prima persona del vostro
nucleo da me incontrata sei stata tu Fiorenza, ad un seggio elettorale
(ricordi?), giovane sposa già col tuo carico di dolore. Stabilimmo subito un
rapporto di gradimento reciproco e parlammo a lungo di vari argomenti che ci
trovavano quasi tutti d'accordo. Ti ho rivista, più tardi, come mamma di
Laura, scolaretta alla scuola materna. Tu, Laura, non ti ricordi di
me perché eri una bimbetta piccola di appena tre anni. Nel frattempo, per
motivi di lavoro, avevo conosciuto i cari Pierluigi e Marcella, due
persone squisite, gentili e generose, sempre amabili e sorridenti, troppo
presto mancati ai loro cari.
Il babbo, invece, l’ho incontrato molto più tardi, scrivendo per il
Sentiero e anche con lui è scattato subito un sentimento di apprezzamento
reciproco. Dopo la sua partenza per il cielo, quando è passato da una
"stanza" all'altra dell’esistenza, di lui è stato
detto, con una bella immagine, che su in paradiso avrebbe continuato a
discutere con l'amico Doretto al quale lo legava una profonda amicizia.
In realtà lassù tutto è manifesto e svelato essendo Dio luce, carità e bellezza
e quindi tutto è chiaro e trasparente e chi vi dimora è immerso in questa luce
divina. Certo si saranno rivisti con una gioia piena, così come sarà avvenuto
con tutti gli altri cari che sono mancati prima di lui.
Te, Elena, ti ho conosciuta molto più tardi, quando con tanto coraggio e
determinazione, hai preso in mano l'eredità del babbo, conducendo, assieme
a tutta la redazione, il Sentiero in modo ineccepibile da persona esperta
e consumata. Non ti sei tirata indietro, né risparmiata e anche tu, come
il babbo, sai essere amica di tutti. Anche tra noi è nata un'amicizia salda e
profonda che, sono certa durerà nel tempo.
Da ultimo vorrei salutare Oriana, sorella di Walter, di carattere
dolcissimo, ma decisa e, come voi, con idee molto chiare su ciò che è
generosità e amore al prossimo.
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Per Enzo
di Paola G. Vitale
Signor Enzo, volevo
rimproverarla per la lunghezza dei suoi "diari di un parrocchiano",
ma non posso più farlo, perché leggendoli, anche quest'ultimo, ne ho colto
tutta la concretezza nella verità, mentre le argomentazioni scorrono fluide
come acqua di fiume o di fonte. Infine mi sono ricordato che lei è
"avvocato" e perciò questa sua capacità di sviluppare l'argomento le
è perfettamente congeniale e devo ammirarla, mentre spero che trovi ovunque
apprezzamento.
A me, è congeniale la sintesi, pure nei racconti.
Ho apprezzato ogni scritto di questo giornale
di Settembre mentre un profondo ricordo
di Walter non manca mai di riaffiorare ad ogni occasione.
Si, perché lui era "un cuore" che desiderava destare e sostenere
tanti altri cuori, nella fede e nella gioia di Cristo. Nella sua attiva
concretezza Walter era e si faceva sentire "vicino".
Ora, chiedendo perdono del mio sincero ardire, la saluto e con lei tutti i
collaboratori de "Il Sentiero".
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La tombola per la raccolta fondi SIGHTSAVERS
di Carla
Voglio ringraziare tutti i
partecipanti alla tombola che ho organizzato in collaborazione con il Circolo
ARCI di Luni, il giorno 27 ottobre 2018.È stata una bella serata, organizzata
molto bene dai miei amici Paola, Veronica e Savio. Un particolare
ringraziamento va a Luciana, per aver offerto il premio per la lotteria che è
stata fatta la sera stessa. Senz’altro una serata come questa verrà ripetuta,
visto il buon risultato.
Grazie ancora a tutti, anche a nome della sig.ra Barbara, per la somma che si è
raggiunta in questa serata: 8000 euro che ho già spedito.
Vi aspetto alla prossima
occasione.
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