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Ceccardi e Ungaretti
di Romano Parodi
Volano i sifoni del seltz. E sedie,
tavoli, bastoni di legno. Il Gran Caffè Margherita di Viareggio va in frantumi.
E’ una battaglia, fra guardie reali e luogotenenti della compagnia d'Apua: gli
interventisti rivoluzionari, gli artisti che vedono la prima guerra mondiale
come la liberazione dell'uomo dalle monarchie e dagli imperi
"vetusti". Poco prima, alla rissa del Caffè chantant della
Passeggiata ci sono tutti. Lo scrittore Giuseppe Prezzolini, Enrico Pea,
Lorenzo Viani, Moses Levy sono intorno al "poeta", Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi, il generale. E' del gruppo anche Ungaretti (Ungà),
anarchico di vocazione, provocatore di gioventù, destinato al carcere alla fine
di una giornata memorabile: "Una delle prime piazze che si incendia in
Italia per la guerra mondiale", ricorda lo storico Umberto Sereni. La Grande guerra in Europa è scoppiata,
l'Italia, ancora si divide fra interventisti e neutralisti. A Viareggio, in
estate, il dibattito è animato. Da Milano arrivano Franco Ciarlantini, futuro
editore di Viani e giornalista del Popolo d'Italia; il maestro Dante Dini di
Camaiore che insegna nel capoluogo lombardo; lo scrittore Giovanni Capodivacca
(Gian Capo) scrittore e giornalista. Poi ci sono gli intellettuali della
compagnia (poi "repubblica") d'Apua. Tutti convinti che la
"guerra rigeneratrice" avrebbe messo fine "al mondo, incatenato
alla sofferenza". Ceccardo, nato genovese, ma toscano di adozione, li
guida, li avvicina ad Alceste De Ambris, uno degli esponenti di spicco del
sindacalismo rivoluzionario, nato a Licciana Nardi, ma conosciuto in tutto il
mondo, dalla Francia al Brasile, da Roma a Livorno dove diventa segretario
della Camera del Lavoro. Ceccardo incanta anche Ungaretti. Appena tornato dalla
Francia, il giovane poeta si ferma qualche tempo in Lucchesia, terra d’origine
dei genitori. Il 20 settembre, Ungaretti è sul palco del Politeama insieme a
Ceccardi, Torquato Pocai, Italo Sottini. Il teatro è affollato di operai,
guidati dal segretario della Camera del Lavoro, Ovidio Canova, un anarchico
anti-interventista che, invece, un anno dopo morirà sul Carso. Fino al ricordo
dei primi morti della grande guerra, la tensione è sotto controllo. Quando si
comincia a parlare di Crispi, “nemico personale di Ceccardo” (La banda
anarchica di Ortonovo), scoppia il finimondo. Poi la compagnia si sposta al
Margherita. «Qui, racconta Sereni, era prevista una celebrazione pubblica (Il
20 sett. era festa nazionale: la Breccia di Porta Pia). La banda musicale,
nell’occasione, suona la marcia reale». A quel punto, molti ospiti del Gran
Caffè si alzano in piedi, per rispetto alla marcia e al re. «Al contrario,
restano seduti i membri della compagnia d'Apua, gli interventisti rossi. L'aria
si raffredda. Questo gesto viene subito colto come una manifestazione di
disprezzo per la marcia reale». E probabilmente lo è. Un affronto grande
soprattutto in una città come Viareggio dove vivono ancora i Borbone, compresa
Zita, ultima imperatrice d'Austria nata a pochi chilometri, a villa Le Pianore
di Capezzano. Il problema è che al Margherita ci sono alcuni ufficiali. E non
sembrano intenzionati a far passare l'episodio sotto silenzio. «Anche perché,
dice Sereni, Ungaretti non si limita solo a non alzarsi in piedi. Si mette
anche ostentatamente a leggere il giornale». Come se questo non fosse di per sé
già abbastanza irritante, durante l'esecuzione della marcia reale, è arrivato
un grande pernacchione. Uno degli ufficiali, attribuisce il gesto insolente, a
Ungaretti e lo prende a schiaffi». Ceccardo reagisce d'istinto e "l'eroica Cravache" si abbatte sul viso dell'ufficiale;
scoppia la rissa. Ungaretti si mette a recitare una poesia di Ceccardo, «di colui che si
voleva imprigionare». Gli apuani battono le mani. La rissa degenera: arriva il
commissario che si appella a Ceccardo per far cessare il tumulto. Il poeta gli
risponde picche: «Ella sappia che il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi non
fu mai un uomo equilibrato, egli è solo un'anima eroica….!». Così la rissa
prosegue fino a quando gli interventisti rossi vengono portati in questura a
Viareggio, fra una folla che urlava: "Liberate gli apuani". In
effetti, poi, i "cavalieri" vengono rilasciati. Solo Ungaretti viene
portato in carcere per qualche ora con l'accusa di "vilipendio ai simboli
dell'unità nazionale": sarà amnistiato dopo la guerra per aver combattuto
sul Carso. Dopo il rilascio, gli apuani vanno a festeggiare alla fiaschetteria
"Neri", annota Viani. Qui Ceccardo, il "generale", tiene il
suo discorso ai Cavalieri dell'Ordine Equestre e alle "oscure
milizie" «Ho l'onore di annunziare ai grandi marescialli di Apua e a tutti
i consoli presenti e assenti, che su proposta mia, il Grande Stato Maggiore
apuano ha creato, stasera, "l'ordine dei Cavalieri della Gloria", per
il grande valore dimostrato nell'attacco al caffè Margherita». Questo non gli
impedisce, l'indomani, insieme agli altri apuani, di ritrovarsi al Margherita.
Come si ripresentano, spuntano anche i carabinieri e il commissario. La banda è
già pronta a suonare, quando Ceccardo chiede l'inno di Mameli. Di nuovo gelo in
sala. Il commissario teme un'altra rissa. Il poeta d'Apua è pronto a ribattere
anche al maestro di musica, che dice di non avere l'inno in programma: «Ella
sappia che i costruttori dell'unità d'Italia sono morti al sospiro di Mameli
non al suono del piccoletto inno intonato ieri sera». Un nuovo affronto. Non
l'ultimo. Il 30 gennaio del 1915 al Politeama, quando Cesare Battisti, il
patriota, tiene un comizio, la "piazza rossa" degli interventisti di
nuovo si incendia. A fischiare Battisti ci sono i "servi" della
famiglia Borbone. Anche Lorenzo Viani, viareggino, è figlio di uno di loro. Ma,
“Lorenzaccio”, si trova dall’altra parte della barricata, al seguito del suo
“generale”. Tra le
tante cose incomprensibili sulla cosiddetta fortuna letteraria di alcuni autori
italiani, una delle più oscure, rimane il mancato Nobel a Ungaretti. Perché
l’Accademia di Svezia lo ha assegnato a Quasimodo (“un pappagallo e un
pagliaccio fascista” dirà Ungaretti) e poi a Montale e non a Lui? Montale è
stato senza dubbio un grandissimo poeta, direi un poeta sommo, ma Ungaretti è
molto più poeta. È il più poeta di tutta la sua generazione! Si dice che la
prefazione di Mussolini al “Il Porto sepolto”, stampato alla Spezia nel 1923,
sia stata la causa che lo costrinse, non solo a fuggire in Brasile,
all’Università di San Paolo (‘39), ma, soprattutto, la causa del mancato premio
Nobel. Lo ripeto senza timore di smentita: Giuseppe Ungaretti è il più grande
poeta italiano del Novecento. romano parodi dixit. (Ungaretti: “per un certo periodo anch’io abbracciai la
causa fascista”. P.s. Fu lui stesso a perorare due righe dal Duce: quelle
due righe furono la sua “rovina”).
La madre - E il cuore quando d'un ultimo battito avrà fatto cadere il muro d'ombra per condurmi, Madre, sino al Signore, come una volta mi darai la mano. In ginocchio, decisa, sarai una statua davanti all'eterno, come già ti vedeva quando eri ancora in vita. Alzerai tremante le vecchie braccia come quando spirasti dicendo: Mio Dio, eccomi. E solo quando m'avrà perdonato ti verrà desiderio di guardarmi. Ricorderai di avermi atteso tanto, e avrai negli occhi un rapido sospiro
In questa stupenda poesia di
Ungaretti si evidenzia, il dramma intimo e sofferto di una madre che aspetta il
figlio alle soglie dell'eternità per vederlo redento dalla sua preghiera. La
madre, umile e forte, evidenzia un amore che supera i confini della morte.
Conduce per mano il figlio davanti al Signore, per fargli ottenere la salvezza.
Si getta in ginocchio davanti a Lui, pregando con tutte le proprie forze e
invocando il perdono di ogni suo peccato. E solo quando Dio glielo avrà
accordato, rivolgerà lo sguardo agli occhi del proprio figlio.
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LA CAMICIA DELL’UOMO FELICE
di Millene Lazzoni Puglia
C’era una volta, in un paese
imprecisato, una principessa malata di una malattia misteriosa. I molti illustri medici chiamati al suo
capezzale, però, non riuscivano a guarirla. Non sapendo cosa fare, i suoi
genitori, assai preoccupati, si rivolsero ad uno stregone che sentenziò: “La
principessa guarirà se le farete indossare la camicia di un uomo felice.” Allora cominciarono
alacremente a cercare in ogni dove, ma non trovarono un uomo che fosse felice:
tutti avevano qualcosa che li faceva soffrire, tutti erano scontenti per
qualche motivo. Finalmente, in un remoto
villaggio, si scoprì che c’era un uomo sempre allegro e completamente felice:
cantava contento e non si arrabbiava mai. Insomma, era sempre felice come
nessun altro sapeva essere. Ma grande fu
la sorpresa e insieme il disappunto quando i genitori della principessa si
accorsero che l’uomo felice non possedeva neanche una camicia da far indossare
alla loro figlia, così come richiesto dallo stregone. Questa favola ovviamente ha una morale: ci
dice chiaramente che non sono gli abiti ricercati, né i gioielli, né la
ricchezza, né altre forme di benessere a dare la felicità, in verità, un
oggetto misterioso che può venire soltanto da dentro di noi per cause e
motivazioni assai più nobili e immateriali.Alla luce dei nostri giorni,
con il consumismo dilagante e il “mal di vivere” altrettanto diffuso, siamo in
pochissimi capaci di essere soddisfatti di ciò che abbiamo (anche quando
abbiamo tanto e non ce ne accorgiamo!). Forse noi tutti dovremmo impegnarci
nell’individuare il modo d’invertire questa tendenza negativa? Forse puntando
sui bambini, che con la loro purezza e semplicità, sono in grado di capire i veri
valori e le piccole-grandi cose del quotidiano che sono il vero succo gioioso
della vita, potremmo chiarirci le idee? Forse sarebbe già più che
sufficiente che noi familiari adulti (i genitori per primi) fossimo capaci di
dare loro, oltre agl’insegnamenti verbali, soprattutto validi e buoni esempi
per guardare al futuro con ottimismo e fiducia accontentandosi di ciò che si
può ottenere con l’impegno e l’onestà.
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QUANDO LA BONTA’ DIVENTA ESEMPIO
di Marta
La campana aveva suonato il
mezzogiorno da appena 10 minuti ed ecco squillare il telefono: “Nonna, nonna….
Giacomo ce l’ha fatta, 110 e lode!! Dottore in economia e commercio. “Inutile
descrivere la mia gioia. Neanche il
tempo di realizzare e gustare la bella notizia che squilla di nuovo il telefono. "E’ deceduta la zia Marianna!” E’
comprensibile come il mio piacevole stato d’animo sia stato sbalzato in un
attimo ad uno pieno di mestizia. Purtroppo, è fatta così la nostra esistenza:
ogni giorno non è mai uguale all’altro e ciò che ci dà gioia si alterna
all’amarezza. Nel pomeriggio mi reco a far visita a questa zia deceduta e,
naturalmente, ai miei parenti. Lungo il tragitto passo davanti alla casa di una
conoscente che non vedo da tanto tempo, così ne approfitto per farle una
sorpresa e mi fermo. Il cancelletto è
vecchio, avrebbe bisogno di manutenzione, ma ancora svolge la sua funzione; la
casa è piccola e molto datata dal tempo, quindi i muri si scrostano perdendo un
po’ d’intonaco e il colore, molto sbiadito, fa intravedere che, forse, una
volta era rosa; tutto intorno c’è una recinzione di rete metallica ormai arrugginita.
Dal giardino o dal prato sento una vocina di bimba che canta una filastrocca,
poi……ridere, un modo di ridere contagioso; mi accorgo di sorridere
nell’ascoltare quel riso gioioso.
Chiamo; mi vengono ad aprire il vetusto cancelletto e, subito, un
sorriso smagliante mi accoglie. Appena dentro, Silvia, mi abbraccia e, nello
stesso tempo, mi informa che la mamma è in casa. Un bel quadretto che mi
sorprende e commuove. Fernanda, la mamma, è seduta accanto alla nipote Gloria,
occupata con il computer per cose inerenti al suo lavoro di accompagnatrice
sociale: almeno, così ho capito. Lei trasporta con il pulmino ragazzi con particolari patologie nella struttura
assegnata, dove ricevono assistenza e vengono aiutati in varie attività anche
ludiche. Per lei è facile venire a conoscenza quotidianamente di situazioni
davvero tristi. Così, altruista e disponibile com’è, si porta a casa spesso dei
bambini che altrimenti sarebbero in mezzo alla strada. E’ complicato trovare le parole giuste per descrivere il tenore di vita di
questa famiglia: una piccola pensione, lo stipendio della ragazza per un lavoro
part-time, che a mala pena basta a coprire le spese. Eppure, in quella casa non manca la gioia, non manca l’amore, non manca la
bontà, non manca l’altruismo che ti mette al servizio di chi ha ancora meno.
Silvia mi dice: “Se Dio vuole, c’è sempre un piatto di pasta. Sai? Per me questa bimbetta è come se fosse la mia
terza nipotina (infatti, la prima figlia di Silvia ha due gemelline). Si chiama
Desirè, ha nove anni ed è molto dolce. Sta qui con noi più spesso degli altri, perché a volte ospitiamo anche altri
bambini, dipende dalle necessità e dal bisogno del momento”. Avevo un nodo alla gola e tanta commozione dentro il mio animo nel vedere con quanta naturalezza mi venivano raccontate
queste cose per loro normali. Ringraziavo il Signore per avermi fatto vivere
questo momento imprevisto e per questo ancora più indimenticabile. Grazie ancora per avermi data la possibilità di ricevere un insegnamento di
vita, un esempio su cui riflettere. Lungo la strada verso l’obitorio pensavo: niente accade per caso e mi sembrava,
almeno in quel contesto, di vivere dentro ad un puzzle di sensazioni dove tutte
le tessere venivano assemblate per giungere ad una sola conclusione: vivere,
almeno per me, ogni giorno con amore, con il sorriso, sempre che ci riusciamo,
per donare un po’ di noi a chi è solo, a chi è in difficoltà, a chi è triste, a
chi è ammalato, a chi ci sta di fronte e, in silenzio, chiede un poco di rispettosa
fraternità.
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Gli amici di Padre Damarco
di Giuseppe
Il 20 febbraio scorso, il
centro Barontini di Sarzana ha ospitato un incontro interreligioso sul tema
dell'accoglienza. Ad organizzarlo le associazioni Amici di Padre Damarco e
Volta la Carta. L'incontro si inseriva in un più ampio progetto che mira a
favorire l'integrazione dei migranti nel territorio della Val di Magra e del
suo tessuto sociale. Hanno partecipato, oltre a Egidio Banti, il titolare della
cattedra di Storia del Cristianesimo all'Università La Sapienza di Roma Gaetano
Lettieri e l'imam di Trieste Nader Akkad.
Nel giugno del 2016 ad un incontro
analogo mi ero fatto accompagnare da mio fratello Walter che ne era rimasto entusiasta,
anche per questo non ho voluto mancare, questa volta ero con mia sorella
Oriana.
Gli interventi dei relatori sono stati davvero appassionanti e molto stimolante
il dibattito che ne è seguito. Sarebbe troppo difficile cercare di riassumerne
compiutamente il contenuto; per quanto mi riguarda, sono stato colpito da
alcuni passi del corano, ricordati dall'iman Akkad, e in particolare da parole
in essi contenute. Ognuna di queste meriterebbe una riflessione argomentata ma
mi limiterò a darne una breve elencazione con un minimo di commento.
Il primo termine, che aveva a che fare con il tema dell'incontro è stato
'accoglienti', così, ha spiegato l'imam, sono detti nel corano, i discepoli di
Gesù. Pietro, Giovanni e gli altri sono, infatti, quelli che hanno accettato di
accogliere un insegnamento per nulla facile da fare proprio, perché
sconvolgente e difficile da praticare: "porgi l'altra guancia",
"ama il tuo nemico", "astieniti dal giudicare", tantomeno
dal punire, un'adultera per esempio. Per una sorta di benigna legge del
contrappasso i dodici che hanno accolto e interiorizzato il messaggio di Gesù,
sono diventati, nella tradizione cristiana, gli 'apostoli', quelli cioè che
quell'insegnamento lo hanno esteriorizzato, portandolo fuori dalla loro terra.
Non potrà sfuggire l'importanza di questo ribaltamento destinato a riprodursi
perché, se da una parte non si può trasmettere che ciò che si è precedentemente
interiorizzato, dall'altra quella trasmissione può verificarsi soltanto a
condizione di essere a propria volta accolti, quanto meno fisicamente. Così è
stato per gli apostoli di Gesù che si sono sparsi tra le genti per potere,
attraverso alterne vicende e interlocuzioni anche problematiche, diffonderne il
verbo.
Un'altra parola è stata 'discendenza'. Nel corano la discendenza di Abramo non
indica soltanto quella che passa per Ismaele, il figlio primogenito di Abramo
avuto dalla schiava di Sara, Agar, ma include anche quella di Isacco.
Quando nel corano si benedice la discendenza di Abramo, si benedicono dunque
anche gli ebrei e i cristiani. E ancora, 'Islam'; il termine viene generalmente
reso con 'sottomissione' ma Akkad ha evidenziato come la radice di quel termine
coincida con quella di 'salam’, ‘pace'. L'imam ha inoltre spiegato come il
termine 'jihad' non abbia nulla a che fare direttamente con la guerra o con il
fondamentalismo religioso ma significhi soltanto 'sforzo', quello del credente
di conformarsi ai precetti coranici e, a proposito della guerra, Akkad ha
illustrato, testi alla mano, come essa non venga mai definita santa, ma come, al
contrario, sia ritenuta madre di tutti i mali. Infine il termine 'infedeli';
con esso nel Corano non si indicano i cristiani o gli ebrei, ma quelli che si
comportano in maniera difforme dagli insegnamenti coranici e non operano il
bene. Infedeli possono essere perciò i cristiani come gli islamici e ne è prova
cruenta il fatto che i fondamentalisti islamici mietono più vittime tra i loro
correligionari che tra gli appartenenti ad altre fedi. Il corano non condanna i
credenti di altre religioni, al contrario vi si può leggere che essi saranno
benedetti dal loro dio se opereranno il bene.
Durante il dibattito si è affrontato il tema cruciale dell'interpretazione dei
testi sacri. Anche attraverso l'intervento di Gaetano Lettieri si è riflettuto
sul portato di crudeltà e spietatezza insito in tutte le sacre scritture, a
partire dall'antico testamento fino al Corano senza escludere il Nuovo Testamento. Sarebbero necessarie molte pagine per trattare l'argomento anche
soltanto nelle sue implicazioni essenziali, ma è stata ribadita la necessità di
una lettura critica dei testi sacri e, a tal proposito, il pensiero laico può
offrire un prezioso contributo all'interpretazione corretta delle sacre
scritture.
Lettieri
ha inoltre riflettuto sul concetto di felicità che, tanto nella
tradizione cristiana quanto nella lezione di filosofi come Jaques Deridda e
Emmanuel Levinas, si realizza pienamente soltanto nella relazione con l'altro,
se si accetta cioè il rischio implicito in ogni confronto con
l'irriducibilmente diverso da sé, il rischio di perdere le proprie sicurezze
per scommettere sull'arricchimento che soltanto l'incontro con l'altro può
procurare, se, con le parole di Maurice Blanchot, siamo disposti a farci
ostaggi del disarmo dell'altro. Lettieri ha sottolineato come tale esperienza
possa rappresentare oggi una sorta di ribellione al modello di società
consumistica che propone quasi esclusivamente il soddisfacimento di bisogni
individuali e godimenti autistici. Contro tutto questo è necessario, ha
ricordato, riscoprire il valore dell'accoglienza e dell'ospitalità che per il
filosofo Deridda è superiore a qualsiasi speculazione filosofica. Le parole di
Lettieri mi hanno fatto ricordare quelle di Levinas, il filosofo che forse più
di ogni altro ha riflettuto sul rapporto con l'altro o l'altrui, "Il
buongiorno precede il cogito".
Il mattino dopo Lettieri e Akkad hanno incontrato alcune classi del plesso di
scuola media superiore Parentucelli di Sarzana. Il tema era ancora quello dell'accoglienza
degli immigrati in fuga da guerre e miserie.
L'incontro con gli studenti è stato molto interessante e anche da loro sono
state poste domande stimolanti. Le poche righe a disposizione mi impongono di
riportare soltanto alcuni dati essenziali. Dopo decenni durante i quali, sia i
media che molte formazioni politiche hanno gridato all'invasione di
extracomunitari, gli stranieri in Italia, compresi i provenienti da paesi
dell'unione europea come i rumeni e gli irregolari, costituiscono poco più dell'otto
per cento della popolazione. Di questi soltanto un terzo sono musulmani e degli
immigrati da paesi islamici, soltanto una esigua minoranza è praticante.
Dall'inizio della crisi siriana, e della presenza dell'Isis in molti paesi
mediorientali e africani, sono arrivati in Italia poche centinaia di migliaia
di migranti che in gran parte hanno lasciato il nostro paese per andare
altrove; in Libano si sono riversati un milione e mezzo di profughi e migranti
su una popolazione di quattro milioni di abitanti e situazioni analoghe si sono
prodotte in altri paesi del medio oriente e dell'Africa.
Si può aggiungere che se gli stranieri
sono soltanto l'otto per cento della popolazione, praticamente il cinquanta per
cento della nostra produzione agricola e dell'allevamento dipendono da loro
come dipende in gran parte da loro l'assistenza domestica ai nostri anziani.
Inoltre, il rapporto tra quanto gli stranieri contribuiscono con i loro
versamenti e quanto usufruiscono in servizi è molto più favorevole di quello
degli italiani, soprattutto perché gli immigrati usufruiscono, per esempio,
molto meno del servizio sanitario e ricorrono in misura ancora minore alle
prestazioni più care come i trapianti, le chirurgie intensive e le terapie di
lunga durata.
Infine va ricordato che nessuno dei migranti abbandonerebbe la propria patria,
si esporrebbe a migrazioni tanto pericolose, a sofferenze tanto grandi e alla
paura dell'ignoto se non fosse per sfuggire a guerre e fame.
La vera soluzione del problema delle migrazioni di genti nel mondo, che
riguarda soltanto marginalmente l'Italia, non potrà che risiedere nel
raggiungimento di pace, democrazia e di in un minimo di giustizia sociale da
parte di molti paesi africani, asiatici, del medio oriente e dell'America
latina.
Nel frattempo e cercando di favorire tutto ciò, abbiamo il dovere di mantenere
la serenità di giudizio necessaria a comprendere che l'arrivo di stranieri in
Italia, se gestito in maniera opportuna, può costituire, invece di un problema,
una risorsa per tutti.
Giuseppe
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Viaggio nei teatri romani d’Italia
di Giorgio Bottiglioni
All’inizio dell’Ottocento
Antonio Nibby, noto studioso di antichità, ricordato a Roma da una strada a lui
intitolata dalle parti di Piazza Bologna, intraprese una serie di ricognizioni
nei dintorni della città che lo portarono a compilare un interessantissimo
volume dal titolo Viaggio antiquario nei dintorni di Roma (1819), si tratta di
un testo molto importante sia dal punto di vista documentale, perché descrive
spesso monumenti che oggi non sono più visibili, sia dal punto di vista metodologico,
testimoniando gli studi e la passione
straordinaria degli antiquari italiani d’inizio Ottocento. Al capo XIV Nibby
racconta il suo itinerario lungo la via Tiburtina Valeria: “Questo viaggio
interessantissimo per le rimembranze che richiama, e per i monumenti, che
s’incontrano, è incommodo un poco, ma questo incommodo è compensato dal piacere
di visitare que’ luoghi, de’ quali si è udito parlare fin dalla infanzia. La
mancanza delle locande è compensata dalla ospitalità degli abitanti, che sono
semplici e cordiali, e che conservano incerta guisa l’austerità de’ Sabini
antichi, e de’ Marsi, e la giustizia di quel popolo, che diede il nome alla giustizia
stessa, cioè gli Equi. Sarò però ancor meglio se il viaggiatore si fornirà di
lettere di raccomandazione ai preti de’ diversi paesi dove si pensa di
soggiornare.” La via Tiburtina Valeria era una delle vie consolari romane che
conduceva al mare Adriatico passando per Tivoli, Corfinio, Chieti e giungendo
ad Aternum, l’antica Pescara, in un percorso di poco meno di 200 Km. Ancora
oggi collega Roma con Chieti e Pescara e prende il nome di Statale 5 Via
Tiburtina Valeria. Nibby ricorda che “si
esce da Tivoli per la porta S. Angelo, e si prende la via destra, che è l’antica
via Valeria, la quale cominciava a Tivoli, o per meglio dire cominciava a Roma,
ma fino a Tivoli dicevasi Tiburtina, e di là prendeva il nome di Valeria,” la denominazione
Tiburtina, prima tappa della strada, mentre Valeria ricorda il console Marco
Valerio Massimo che intorno al 286 a.C. le diede la sistemazione definitiva.
Dopo Tivoli il primo centro che incontriamo, interessante per il nostro studio,
è Carseoli nel Comune di Oricola (L’Aquila). Reperti Antichissimi testimoniano
un’origine della città che si perde nella notte dei tempi. Importante centro
degli Equi, fu conquistato definitivamente dai Romani nel 303 a.C. quando poi
fu dedotta una colonia di 4.000 uomini più le donne e i bambini. Fu
principalmente centro agricolo, noto in particolare per la produzione del
grano, come attestato da Ovidio nel libro IV dei Fasti: Frigida Carseoli, nec olivis apta ferndi/Terra, sed ad segetas
ingeniosus ager (“Fredda Carseoli, terra
non adatta alla coltivazione degli olivi, ma campagna naturalmente proclive
alle messi”). Nibby sottolinea che “la sua posizione posta in mezzo ai monti in
una pianura, nel centro dell’Italia, le sue mura fortissime, ne fecero durante
la Repubblica una piazza d’armi, dove il Senato mandava i prigionieri
ragguardevoli”. I principali scavi archeologici furono condotti negli anni ’80
del secolo scorso e misero in luce un circuito murario in opera quadrata,
terrazzamenti opera poligonale, resti di un tempio e di un acquedotto di età
tardo antica. Un’attenta lettura delle foto aeree ha riscontrato in quest’area
anche resti di un teatro e, fuori delle mura, di un anfiteatro, mentre ancora
visibili sono i resti della poderosa struttura in blocchi di pietra,
probabilmente un tempio, la cui interpretazione rimane problematica. “Da
Carsoli ad Alba non vi sono cose che meritino osservazione”, prosegue Nibby
passando a descrivere i resti dell’antica Alba Fucens, attualmente nel
territorio comunale di Masse d’Alba (Aquila). Come Carseoli anche Alba si
trovava nell’area abitata dagli Equi, poco distante dalle postazioni dei Marsi.
All’inizio del IV secolo a.C. i Romani invasero la zona e dedussero ad Alba
Fucens 6000 coloni. La città occupava una posizione elevata a circa 1000 metri
sul livello del mare, ai piedi del Monte Velino, 7 Km a nord di Avezzano. Il
suo nome deriva dalla posizione
dell’abitato, dal quale si poteva ammirare l’alba sul Lago del Fucino. La Città
racchiusa entro la cinta muraria lunga circa 2,9 Km. Conservatasi in gran parte
fino ai giorni nostri. Nel centro dell’abitato era situato il forum, (142 m di
lunghezza per 43,50 di larghezza) su cui si affacciano i più rappresentativi
edifici pubblici cittadini: la basilica, dove si trattavano gli affari e si
amministrava la giustizia; il macellum o mercato e, contigue ad esso, le terme.
Costruite in età tardo-repubblicana, ma ampliate in epoca imperiale. Queste ultime
erano decorate con preziosi mosaici raffiguranti scene e soggetti marini. Ad Alba
Fucens era presente anche un anfiteatro e numerose case appartenenti al
patriziato locale, fra cui una villa nota come Domus che, secondo un’ipotesi
suggestiva, non corroborata da fonti, dovette essere di proprietà del Prefetto
del Pretorio Q. Naevius Sutorius Macro, vissuto durante il regno
dell’imperatore Tiberio.
Continua
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IL CIELO E LA TERRA PASSERANNO, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO.” MT24,35
di Mila
L’altra sera ho visto alla TV
un film sulla vita di Gesù, esattamente il periodo che va dall’ inizio della
sua predicazione alla sua morte. L’attore che impersonava Gesù non aveva gli
occhi azzurri, i capelli castano chiari e i lineamenti estremamente delicati,
così come siamo abituati a vederlo raffigurato, ma i suoi capelli erano neri,
gli occhi neri e la carnagione un po' scura, del resto Gesù era ebreo e, se non
sbaglio, una volta i tratti sommatici degli ebrei erano quelli. Anche fisicamente
non era proprio un fuscello e caratterialmente era ben diverso dal solito
“buonista” sdolcinato che oggi anche tanti sacerdoti vorrebbero appiopparci.
Era un Uomo, un grande Uomo con una missione da compiere, una missione che gli
sarebbe costata la vita dopo tante sofferenze, una missione alla quale Lui
avrebbe potuto facilmente rinunciare essendo Uomo e Dio ma non l’ha fatto, perché?
Per noi! Per noi, ma ne valeva veramente la pena? Per noi? Me lo domando tutte
le volte che alla Messa siamo in quattro gatti, tutte le volte che i ragazzi,
finito il periodo del catechismo, non si fanno più vedere in parrocchia perché
hanno troppo da studiare…e poi c’è lo sport e poi e poi e poi… e i comandamenti
ce li ricordiamo? E i sacramenti valgono ancora? Ma chi se ne importa! Tanto
Dio è un optional e poi, male che vada, è così buono che perdona tutto.
Si è vero che perdona tutto ma non ci sarà un po' da riflettere sul significato
di questa affermazione? Forse non è consigliabile prenderla troppo alla
leggera. Il film dell’altra sera non era programmato con la solita tecnica,
cioè attori che agiscono e parlano secondo le esigenze di copione e creano un
tutt’uno nel quale immedesimarsi. In questo gli attori non parlavano, agivano
soltanto però c’era una voce fuori campo che leggeva testualmente le pagine del
Vangelo, era molto suggestivo e dava più un senso di veridicità.
Per me un film, forse più documentario che film, da guardare e ascoltare con
attenzione per imparare a conoscere il Vangelo, la Parola di Dio. “E il Verbo
si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi…Gv.1,14. Purtroppo, me compresa, dedichiamo poco tempo
alle Sacre Scritture, eppure quanta verità è scritta in quei libri, cose
avvenute e cose che avverranno: “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti” … Mt.24,24.
Proprio ieri il telegiornale stava parlando di quella setta che sta lucrando
sulla disperazione della gente ed è guidata da un tizio che si proclama il vero
Messia. Chissà se lui sarebbe disposto a dare la sua vita per noi? A parte
tutto questo sto pensando che noi, popolo cristiano, presbiteri e laici, dovremmo
cercare di fare del nostro meglio per far sì che in seno alla Chiesa le cose
migliorino. Ho letto nel numero scorso de “Il Sentiero”, l’articolo di
Gualtiero Sollazzi: “Donne in Fuga”. Credo d’aver capito che anche lui è
preoccupato dalla situazione, probabilmente lo siamo tutti, e allora! Cerchiamo
di far qualcosa tutti assieme ma ricordando sempre che… “Il cielo e la terra
passeranno, ma le mie parole non passeranno.” Mt24,35
Tanti auguri di Buona Pasqua a
tutti.
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Margherita e Giulietta
di Enzo Mazzini
Io ho sempre amato la musica,
ma i miei impegni mi hanno sempre assorbito a tal punto da non consentire a mia
moglie, che è stata insegnante di musica nelle scuole medie per tutta la vita,
di fornirmi le più elementari nozioni musicali. Io continuo comunque a suonare
l'organo nelle varie chiese, affidandomi al mio orecchio musicale di cui la
natura mi ha fatto dono. Meno male che le mie doti naturali sono state
ereditate da mia figlia Manuela e dalle mie nipotine: Margherita e Giulietta.
Manuela, diplomatasi a pieni voti in pianoforte presso il Conservatorio di
Lucca, come sua mamma Giovanna, è una grande concertista ed è risultata
vincitrice di molti concorsi nazionali di pianoforte. Fra l'altro per molti
anni è stata animatrice ed organista nella sua Parrocchia di San Giuseppe in
Casano prima del matrimonio.
Trasferitasi negli Stati Uniti d'America, ha studiato con illustri
pianisti del panorama americano, conseguendo la Laurea di secondo livello in
Musica presso l'Università della East Carolina. Sempre negli U.S.A. ha vinto la
selezione per il prestigioso concorso internazionale "William Kapell"
ed è stata vincitrice della selezione internazionale per il Virginia Varig
International Piano Competition in California. Si è esibita in innumerevoli
concerti pianistici ed altrettanti concerti di pianoforte ed orchestra sia
negli U.S.A.che in Italia, che non sto ad elencare, dato il notevole spazio che
richiederebbero. Ha conseguito anche il Diploma accademico di secondo livello
presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma presso il quale è risultata
vincitrice anche di una borsa di collaborazione. Ora è insegnante e direttrice
dell'Accademia MTDA di Fiumicino (Roma).
Le figlie Margherita e Giulietta Rebeggiani sono nate e cresciute in questo
mondo fatto di musica ed arte e quindi hanno potuto affinare le loro
eccezionali doti naturali.
Margherita ha appena 13 anni, ma può già vantare una preparazione ed un curriculum
artistico davvero più unico che raro in vari settori: corsi di canto,
recitazione, danza moderna, danza classica e contemporanea, pop, hip hop, break
dance, tip tap, etc.
Per quanto riguarda gli impegni teatrali ha ricoperto il ruolo di Marta nel
"Canto di Natale - La favola musicale" ed il commovente ruolo di Ziva
nel Dramma musicale "Lo sguardo oltre il fango" che tratta della
vicenda di una bimba ebrea nei campi di sterminio nazisti. Si è molto impegnata
ed ha riscosso moltissimo successo anche nel settore del Musical, con varie interpretazioni:
"Annie Jr."nel ruolo da protagonista di Annie, nel 2016;
"Boom!" nel 2017 e "Masha e Orso" nel ruolo protagonista di
Masha, con 60 esibizioni nelle più importanti città d'Italia (Roma, Milano,
Napoli, Firenze e quindi La Spezia, Pisa, Forte dei Marmi, etc.) ed anche in
Svizzera. Sempre per "Masha e Orso" ha anche inciso un bellissimo
disco con i brani del musical.
Ha lavorato anche per la TV: come attrice in "Un Medico in famiglia
9" su RAI 1 e in "My Personal Hero" nel ruolo,di Rebecca su TV
Boing e tantissimi altri impegni che sarebbe difficile elencare.
Attualmente è impegnata al Teatro Nazionale di Milano nella parte di
"Jany" in Mary Poppins, l'importante prima versione teatrale mai
realizzata in Italia è che ha emozionato almeno tre generazioni e nella quale
Margherita è impegnata in tre spettacoli settimanali che si svolgono nelle
giornate di giovedì e sabato e varrebbe veramente la pena vederla lavorare. A
tal proposito sarebbe veramente interessante riportare le critiche
entusiastiche degli esperti, che vi lasciamo immaginare. Le rappresentazioni
sono iniziate il 13 febbraio ed alla prima abbiamo assistito anch'io e Giovanna
e per mancanza di spazio non sto a descrivervi le emozioni provate che lasciamo
alla vostra immaginazione. Attualmente sono programmati spettacoli fino al 12
maggio, ma si prevede un prolungamento dello spettacolo sempre presso il Teatro
Nazionale di Milano fino a Natale e la possibile realizzazione di un tour nei
più grandi teatri italiani, nel prossimo anno. Inoltre va segnalato che i posti
sono quasi sempre esauriti e quindi chi intendesse fare un salto a Milano per
provare delle emozioni davvero indescrivibili è consigliato di prenotare il
biglietto in anticipo. Chi dovesse andare può contattare Margherita Rebeggiani
dopo lo spettacolo. Lei è sempre molto disponibile e poi le farà sempre piacere
incontrare persone provenienti dalle sue terre di origine.
A questo punto non mi resta che parlare dell'altra nipotina: Giulietta. Non volendo ancora abusare della vostra
attenzione e gentilezza, cercherò di essere il più possibile sintetico.
Giulietta ha appena undici anni, ma ha già alle spalle dei risultati artistici
che possono fare invidia. Ha una notevole preparazione artistica: recitazione,
danza moderna, classica, pop, hip hop, break dance, etc. Ha ottenuto notevoli risultati nel cinema:
nel 2015 nel film "Storie sospese" ha interpretato il ruolo di figlia
del protagonista; nel 2016 ha recitato in "Al posto tuo" nel ruolo di
figlia di Ambra Angiolini. Nel 2016
nella Fiction "Amore pensaci tu" ha svolto il ruolo di Penelope. Nel
2017 ha ricoperto il ruolo di Elisa nel cortometraggio "Il tesoro della
principessa" ed è stata attrice di Teatro in "Brothers". Si è
cementata anche nel Musical: nel 2016 ha ricoperto il ruolo di Molly in
"Annie Jr." e nel 2017 il ruolo di attrice in "Boom!".
Inoltre è subentrata a Margherita nel ruolo di protagonista assoluta in
"Masha e Orso" che viene tuttora rappresentato in parecchi teatri
italiani e svizzeri, essendo Margherita troppo grande per quel ruolo. Giulietta
ha recitato anche in altri numerosi ruoli che non sto a descrivere per motivi
di spazio.
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Via Crucis per il mio paese
di Dott. Giuseppe Cecchinelli
Riportiamo un passo della
toccante “Via Crucis per il mio paese” (Quaresima 2017), scritto dal dott.
Giuseppe Cecchinelli, sicuri di fare cosa gradita ai nostri lettori, preceduto
da passo del Vangelo da cui è ispirato.
Dal Vangelo secondo Matteo (26,36.39) Gesù
andò in un podere, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui,
mentre io vado là a pregare”. E, avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a
terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile passi da me questo calice!
Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”
Quel
giorno d’estate
un
richiamo lontano,
come
brezza soave,
mi portò
negli ulivi.
Solo il
cane era con me
d’improvviso
le gambe
cedettero
e mi
trovai a terra
sudato.
Alzai gli occhi lassù
verso i
bianchi marmi del Mirteto
chiedendo
allontana da me questo calice.
Poi
nel cielo azzurro
ho
riconosciuto
il volto
di mia madre
ed allora
guardando
verso il
mare
ho
sciolto le vele
per fare
la tua volontà.
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