N° 3 - Marzo 2018
Storie dei lettori
  Grazie Padre Mario e … benvenuto padre Miguel!
di Giuliana Rossini



Lo conoscevo da tanto tempo, da quando era diventato rettore del Santuario del Mirteto, in sostituzione di padre Carlos. Tuttavia i nostri erano stati sempre incontri sporadici, in occasione delle varie feste e funzioni religiose e non sufficientemente esaurienti.
Il trasferimento del caro padre Onildo in Val d’Aosta e il vuoto formatosi in attesa dell’arrivo del suo sostituto, ci ha permesso una conoscenza più approfondita di Padre Mario, essendo stato incaricato di reggere temporaneamente la parrocchia di San Giuseppe.
Abbiamo conosciuto un sacerdote sereno e positivo, aperto e disponibile alle nostre esigenze, che non mostrava mai segni di nervosismo o di stanchezza, nonostante che, contemporaneamente al Santuario e alla nostra parrocchia, dovesse guidare anche quella di San Lazzaro. Padre Mario sa ascoltare, penetrare nei cuori e parlare all’anima in modo intenso e al momento giusto.
Ma quello che mi ha colpito di più, nel suo breve incarico, è stata la cura e l’attenzione che ha dimostrato durante le visite agli ammalati.
Che gioia, la prima volta, quando ha suonato alla mia porta per dirmi che desiderava sapere dove abitassi! Era Gesù in persona che veniva a visitarmi e che voleva stare proprio con me! Da allora il venerdì è diventato il giorno più importante della mia settimana, quello che aspettavo con trepidazione per incontrare Gesù Eucarestia.
Cari sacerdoti non trascurate questa importantissima opportunità di conoscere i vostri parrocchiani e stabilire con loro rapporti fondamentali. “Ero malato, dice Gesù, e siete venuti a visitarmi”. Attraverso voi è Gesù stesso che si prende carico di chi, magari, è nell’angoscia, nella paura, nella solitudine, nella tristezza… Una vostra parola e tutto può cambiare e il buio diventare luce. E anche voi, malati, non abbiate timore! E’ sempre Gesù che si sta prendendo cura di voi, attraverso i suoi ministri.
In questi giorni, padre Mario ha definitivamente lasciato la nostra parrocchia, anche se siamo certi che avremo occasione di incontrarci ancora. Al suo posto è subentrato il legittimo successore, padre Miguel. Anche lui appartiene alla congregazione della Fraternità missionaria di Maria e anche lui è giunto da molto lontano, d’oltreoceano. Come i suoi confratelli, per prendersi cura di noi, ha lasciato tutto: affetti, terra, abitudini, lingua e tutto ciò che lo legava al suo paese.
Le siamo grati di questo, padre Miguel, e ci sentiamo fortunati di averla come nostro pastore, quando sappiamo che ci sono situazioni di criticità dovute alla scarsità di sacerdoti.
In questo periodo di quaresima, tempo forte di preghiera, ricordiamoci di pregare per le vocazioni sacerdotali, affinché il padrone della messe mandi operai nella sua messe che possano rispondere a tutte le necessità dei fedeli.
Siamo certi che riusciremo a stabilire con lei un rapporto fraterno, sincero e significativo e, ci auguriamo, duraturo.
Benvenuto padre Miguel e … grazie di cuore Padre Mario!!

  UN EPISODIO CHE HA FATTO LA DIFFERENZA
di Millene Lazzoni Puglia



Fino agli anni ’50-60 dello scorso novecento, in tutte le campagne e nei piccoli centri l’economia era ancora basata, in gran parte, sull’agricoltura e le colline intorno a Castelnuovo e Fosdinovo non facevano eccezione. In queste ultime località era molto praticata la coltura del prezzemolo, che iniziava soprattutto nell’autunno-inverno per esaurirsi con la primavera quando si formava il fiore che produceva i semi. A questo punto la coltura si trasferiva al piano. Il prezzemolo, ovviamente, veniva portato al mercato ortofrutticolo di Sarzana e si vendeva in piccoli mazzetti a dozzine. In seguito c’è stato anche chi, con un piccolo automezzo, passava a ritirarlo a domicilio del contadino, pagandolo a peso molto bene. Per tante donne di buona volontà questa coltivazione era una risorsa, perché era il modo di guadagnare qualche soldo in più. Durante il “grande freddo” del 1985-86 c’era stato chi nella vetrina della sua oreficeria aveva esposto in bella evidenza una vistosa scritta molto spiritosa: “Si vende anche il prezzemolo”. Il che voleva chiaramente significare come quell’erba aromatica, indispensabile in cucina, fosse diventata preziosa al pari dei gioielli. Infatti il gelo aveva risparmiato solo le piantine che si trovavano nei pochi punti riparati delle colline, con conseguente prezzo alle stelle.
Tra le tante storie familiari raccontate da mia madre, Argentina, ce n’è una legata al prezzemolo, o meglio, alle sue sementi. E’ una storia molto particolare che cambiò la vita a mio nonno; per questo desidero raccontarla.
L’evento risale alla seconda metà dell’ottocento e riguarda, come detto, mio nonno materno Angelo Tusini, mugnaio di Caniparola, il quale aveva una fidanzata che abitava sulla collina a sud-ovest di Fosdinovo e ogni settimana andava a trovarla. Si chiamava Carolona ed era una delle tante donne che “producevano” prezzemolo per arrotondare le magre entrate dell’agricoltura collinare, piuttosto povera. Un giorno la madre disse ad Angelo: “Ho finito le sementi di prezzemolo, puoi dire alla tua fidanzata se può darmene due manciate?” La fidanzata disse che al momento ne era sprovvista, ma che gliele avrebbe procurate per il prossimo appuntamento. L’impegno fu mantenuto. La madre di Angelo, anche lei esperta, dopo averle seminate con la dovuta cura, aspettò invano che germogliassero le piantine…ma quei semi non sarebbero mai nati. Dalle chiacchiere con altre donne che si trovavano al mercato saltò fuori la verità: Carolona, avendo tanto prezzemolo, produceva anche tante sementi che a volte regalava, però prima pensava bene di battere la concorrenza facendole bollire per renderle sterili. Il fine era quello di diminuire la produzione e l’offerta sul mercato con il conseguente aumento del prezzo per il suo. Il mercato, essendo a livello locale, risentiva più facilmente della riduzione di produzione. Mio nonno, venuto a conoscenza del comportamento scorretto della sua fidanzata, fatte le dovute indagini per accertare senza ombra di dubbi la verità (ed era vero), decise di lasciare immediatamente Carolona: non tornò più a trovarla, né volle mai più vederla.
Per lui, uomo onesto e corretto, era inconcepibile pensare di avere accanto una donna  che si era macchiata di una azione tanto meschina: quanto gli aveva fatto era più che sufficiente per capire che non era la donna giusta per diventare sua moglie. La convinzione che tutte le giovani donne fossero disoneste e che lui non si sarebbe mai sposato, accompagnò mio nonno per diversi anni; finché  una sera di Carnevale, uscito dal suo mulino, andò ad una festa danzante sotto gli archi di pietra del vicino borgo antico di Caniparola ( dove oggi è il ristorante “Le scuderie” ) ed in quell’occasione conobbe Assunta, una ragazza di Sarzana, che, ospite della sorella sposata che abitava nei dintorni, aveva avuto anche lei la stessa idea del ballo per una serata di Carnevale. La giovanissima Assunta ballava molto bene, ma, in modo particolare, ispirò subito fiducia a nonno Angelo, tanto che lui s’innamorò così profondamente che cambiò totalmente la sua opinione nei confronti delle donne. Angelo e Assunta si sposarono nella cattedrale di Santa Maria a Sarzana nella primavera del 1890. Il menù del pranzo di nozze era costituito da un “piatto unico” di maccheroni con sugo di salciccia, preparato da mamma Maria, la “matriarca” di quella grande famiglia di 14 persone, dove Angelo andò a vivere con la moglie per qualche anno, facendo il pendolare dal mulino che gestiva dal 1876, cioè da quando aveva diciotto anni. Con l’arrivo del secondo figlio, Angelo e Assunta, andarono a vivere al mulino che nel frattempo era diventato anche un’abitazione, perché il marchese Malaspina decise di ingrandire il fabbricato proprio per andare incontro alle nuove esigenze familiari del suo mugnaio.  Non si può dire che i miei nonni materni vivessero felici e contenti come in una favola, poiché persero un figlio in tenera età, un altro andò alla guerra ’15- ‘18, mentre con le due figlie vissero le normali gioie e dolori di chi è genitore.
Nella scelta della sua compagna mio nonno non si era sbagliato, perché nel “tortuoso” cammino della vita per un uomo fa veramente la differenza avere accanto una donna onesta, degna di tutta la sua fiducia  e stima proprio come Assunta si era mostrata di essere. A conclusione del racconto mi viene spontanea una considerazione: se per mio nonno Angelo non ci fosse stato l’episodio delle sementi bollite e avesse sposato la prima fidanzata, Carolona?  Sarebbe stata una tragedia. Se, poi, anche mia madre fosse stata simile a lei? Una tragedia doppia. Se fosse rimasto fermo nella sua convinzione che le donne sono indegne e non si fosse mai sposato, avrebbe perso la grande e unica opportunità che un uomo dovrebbe avere nella vita:  avere la consapevolezza e sperimentare di persona che una donna può essere non solo onesta ( in maggioranza lo sono ) e avere un animo grande e generosissimo, ma  anche possedere una disponibilità e uno spirito di sacrificio, che sono elementi fondamentali nella famiglia, dove la donna  ( se c’è data la possibilità ) può davvero essere la “regina”.

E poi, non c’è il detto che “dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna?”


  LA CASA…… “PIETRA DI INCIAMPO”
di Paola G. Vitale



Questo è un argomento che nel nostro territorio ortonovese e lunense sembrerebbe non essere particolarmente grave, poiché tante famiglie possiedono una bella casa o villa con terreno. Il problema si presenta a tante coppie di giovani fidanzati che non possono contare su una casa né su altre forme di eredità e aiuti da genitori e parenti e tuttavia aspirano - mi pare un giusto desiderio - a farsi una famiglia. Cercando casa si presenta subito il problema di pagare l’affitto oltre ad avere di che sopravvivere, data la scarsezza del lavoro e la relativa retribuzione. Neanche mezzo secolo fa ricordo che l’affitto che pagavo era poco più di un quinto della retribuzione che consisteva in una mensilità di centomila lire. Ora invece, se un operaio o un impiegato riesce a percepire mensilmente, diciamo, mille euro, l’affitto richiesto corrisponde normalmente a più della metà della somma mensile a disposizione. E’ molto difficile affrontare la vita di famiglia in questo modo, anche tralasciando del tutto di ricordare possibili difficoltà economiche, di improvvise malattie o di perdite del posto di lavoro. Molte, troppe case rimangono vuote in attesa di chissà che cosa e anche le case popolari spesso rimangono vuote per anni. C’è da chiedersi veramente il senso di queste situazioni assurde e le relative responsabilità.
Perciò la casa resta una seria “pietra d’inciampo” per gran parte delle nuove generazioni che  già annaspano per riuscire ad “afferrare” un posto di lavoro relativamente stabile. Comprendo la vastità del problema, ma se esiste un futuro, bisognerà “sciogliere”, cioè liberare,  la casa dall’argomento “profitto” e preoccuparsi di fornire  concrete risposte per quando i nostri giovani non potranno più contare su genitori e nonni avanzati nell’età, ma fortunati fruitori di una pensione sicura.
Il lavoro e la casa sono temi veramente scottanti per il semplice cittadino che vorrebbe solo un futuro con alcune certezze.
Chi può affermare che il drammatico calo delle nascite non sia legato a questi due problemi insoluti che tormentano i giovani e li rendono frustrati o arrabbiati?
Grazie per l’attenzione.

 

  Progetto Gemma
di Rosa Lorenzini


PARROCCHIA DI LUNI-ISOLA

 

 Progetto Gemma continua a portare speranza ….

 

Preghiera a Maria, Regina della Vita

           
“O Maria, giovane Vergine di Israele, che hai portato con la fatica di tutte le madri nella difesa della Vita da ogni insidia, concedi a quanti, come Te, sono attenti e solleciti alla nascita e alla crescita delle future generazioni, il dono della speranza e della fortezza, quali custodi del disegno di Dio sul futuro del mondo. Amen”.

 

Con questa preghiera, che invitiamo tutti a recitare, poniamo il Progetto Gemma – tanto caro alla nostra parrocchia di Luni-Isola e al nostro parroco don Carlo, – sotto la protezione materna di Maria, Madre di Gesù e Madre nostra. Questo progetto che come parrocchia continuiamo a sostenere con costanza e dedizione, grazie alla preghiera e al sostegno economico di molti “volontari della vita nascente”, ha bisogno della collaborazione di tutti.
Chiediamo quindi a tutti preghiera e generosità per dare certezza di vita a chi è nel “grembo materno” e rischia, per problemi economici e non, di non poter godere del dono prezioso della vita.
Anche in questo ultimo periodo abbiamo potuto vedere “sbocciare” nuove vite: due mamme in difficoltà, della nostra parrocchia, sono state aiutate e due mamme seguite dal C.A.V. nazionale ( centro aiuto alla vita ) hanno potuto portare a termine la gravidanza. 
Continuiamo a proteggere la vita nascente con fede, costanza e generosità fiduciosi che il bene fatto avrà come ricompensa sorrisi di bimbi felici ed amati.


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  Ogni occasione è buona per imparare qualcosa: anche l’aglio
di Augusto



Nelle recenti feste natalizie mi è venuto tra le mani un vasetto di “aglio condito con olio di girasole “, gustoso ma non troppo saporoso di aglio, sostanzialmente buono, ma a me interessava beneficiare, mangiandolo, delle sue proprietà terapeutiche.
Incuriosito dall’etichetta che riportava come luogo di produzione e confezionamento la Repubblica di Cospaia nel comune di San Giustino in provincia di Perugia ho proseguito nella ricerca di questa per me sconosciuta Repubblica di Cospaia ed ho trovato una recensione di tale “Graziano Graziani “che da un errore toponomastico ha descritto la sua “origine “.
Eccola: In pochi sanno che Cospaia, una piccola frazione del comune di San Giustino, in provincia di Perugia, è stata per alcuni secoli una repubblica indipendente. Precisamente tra il 1441 e il 1826.
Ben prima di Moresnet (piccolo paese indipendente del Belgio) ci fu quindi in Italia un caso di territorio indipendente, anche se la sua storia è molto meno conosciuta ma, volendo, anche più bizzarra.
La repubblica di Cospaia, infatti, non nacque per un compromesso politico, ma per un errore di interpretazione. Papa Eugenio IV cedette Borgo Sansepolcro alla repubblica di Firenze nel 1441, come pegno per la somma di 25.000 fiorini prestati da Cosimo de’ Medici al pontefice, che era impegnato a contrastare il concilio di Basilea dove era stato eletto un antipapa. Ma quando si trattò di stabilire i nuovi confini con lo Stato della Chiesa, fissati lungo un corso d’acqua chiamato “Rio “senza altri appellativi, nessuno tenne conto che a cinquecento metri di distanza esisteva un altro torrente chiamato nello stesso modo. I rappresentanti del Papa considerarono confine il “Rio “a sud, quelli di Firenze il “Rio “a nord, e gli abitanti nel mezzo si affrettarono a dichiarare l’indipendenza.
L’errore era nato dal fatto che i rappresentanti dei due stati avevano lavorato autonomamente alla definizione dei confini, ma ne’ i Medici ne’ il Papato decisero di porvi rimedio, perché’ uno stato cuscinetto faceva comodo a entrambi. La libera Repubblica di Cospaia fu quindi riconosciuta ufficialmente, nel 1484, contava appena 330 ettari di territorio. I suoi 350 abitanti non erano soggetti alle tasse dei due stati confinanti, ne’ le merci ai dazi doganali.
Questo garantì una certa prosperità ai cittadini della repubblica, soprattutto a partire dalla fine del Cinquecento, quando venne introdotta la coltivazione del “tabacco” fortemente limitata negli altri stati.  Il consumo di “erba tornabuona “– così veniva chiamato all’epoca il tabacco, dal nome dell’abate Nicolò Tornabuoni che ne aveva portato i semi nella zona per la prima volta al ritorno da un viaggio in Spagna – era osteggiata dai governi e fortemente tassata; alcuni papi erano giunti perfino a scomunicare chi ne faceva uso.
In un simile regime di proibizionismo era ovvio che Cospaia si candidasse ad essere la “capitale del tabacco “in Italia, e ancora oggi alcune varietà vengono chiamate col nome della minuscola repubblica.
Cospaia si dotò di un proprio vessillo, un bandiera composta da un campo nero e uno bianco tagliati diagonalmente, e si dedicò ai propri affari, amministrata da un consiglio di cittadini composto dai capifamiglia e da un gruppo di anziani, e senza alcun esercito che la difendesse. La sua prosperità andò avanti per oltre due secoli, anche se purtroppo) pian piano l’atteggiamento restrittivo verso il tabacco cessò, anche perché’ il suo commercio risultava essere un ottimo affare anche per il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio; nel 1724 Benedetto XIII revocò la scomunica contro i fumatori proclamata dai suoi predecessori.
Nel suo ultimo secolo di vita la repubblica di Cospaia visse alterne vicende, ma sostanzialmente il suo declino era cominciato; agli inizi dell’ottocento il piccolo stato indipendente era più che altro un ricettacolo di contrabbandieri, che sfruttavano l’assenza di controlli doganali e di tasse. Fu così che nel 1826, su richiesta di 14 rappresentanti del territorio che firmarono un atto di sottomissione, Cospaia fu annessa allo Stato della Chiesa e perse per sempre la sua indipendenza.
Di Cospaia oggi non si parla quasi più, non c’è posto sui libri di storia per una vicenda tanto minuta e circoscritta. Un oblio forzato e voluto, secondo i cospaiesi, che nel 1998 hanno dato vita a una singolare protesta; un gruppo di ardimentosi ha occupato il campanile e proclamato la restaurazione della repubblica, senza però sortire alcun effetto. Ad ogni modo la repubblica viene festeggiata e ricordata regolarmente nella frazione di San Giustino, dove ogni ultimo week-end di giugno si svolge una manifestazione che rievoca i fasti di quella che fu ai suoi tempi la più piccola repubblica del mondo. Per due giorni l’anno per le sue strade torna a riecheggiare il motto che fu dei repubblicani cospaiesi, scolpito sulla chiesa della Confraternita dell’Annunziata nel 1613: “PERPETUA ET FIRMA LIBERTAS “.
Il minuscolo stato perse la sua indipendenza temporaneamente durante il periodo napoleonico e definitivamente nel 1826, riassorbito nello Stato della Chiesa. Ciascun capofamiglia cospaiese venne indennizzato con una moneta d’argento – denominata “papetto “per il profilo del Pontefice – ed alla comunità fu concesso di continuare a coltivare un massimo di mezzo milione di piante di tabacco. Così si pose fine a quasi 400 anni di libertà ad una “repubblica anarchica “che avrebbe suscitato l’invidia dei filosofi utopici quali Platone, Campanella e Thomas Moore.
Per quasi 400 anni una comunità di alcune centinaia di persone è vissuta pacificamente nella libertà senza bisogno della autorità della legge. Questo ci suggerisce che nell’uomo il comportamento morale non nasce dalla paura della legge, ma il senso comunitario sarebbe più adatto ad indurre gli individui a vivere rettamente rispetto alle sanzioni imposte dai tribunali.
Notizie e reperti su la Repubblica di Cospaia sono conservati nel Museo del Tabacco a San Giustino – Perugia.
Inoltre……per gli amanti del trekking, assolutamente da non perdere il sentiero del “Contrabbandiere “, una camminata tra la storia ed una natura selvaggia ed incontaminata.


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