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LE GRAFFIATURE
di Antonio Ratti
IL DOPO PRIMA
COMUNIONE E CRESIMA
Che resta dopo la prima
Comunione e la Cresima: solo le foto ricordo?
Purtroppo, occorre ammettere che è proprio così nella maggior parte dei casi.
Si verifica, infatti, una fuga di massa, come se fosse arrivato, finalmente,
l’atteso “rompete le righe”, perché si è chiuso un ciclo della vita e, per
genitori e figli, se ne apre un altro più libero con meno impegni e regole.
Con amarezza si domandava e scriveva il libro, già nei primi anni ’80, mons.
Luigi Bettazzi, allora vescovo di Ivrea, “Ateo
a diciotto anni?” Ebbene sì: di fatto, questa è la dura realtà. Allora gli
anni del Catechismo non sono serviti a niente? Stando ai risultati, non hanno
dato le risposte né le basi adeguate, un po’ imposte come fa la maestra che impone le regole
dell’addizione (2 + 2 = 4), nei primi anni quando le potenzialità cognitive
sono limitate e poi, più avanti con l’età, in preparazione alla Confermazione,
non hanno stimolato le capacità di ragionamento sull’opportunità di meditare della
necessità dell’esistenza di un Creatore di tutte le cose, che intende
fortissimamente dialogare con la sua creatura, posta al vertice della scala dei
valori, per aiutarla a dare senso e
sostanza alla propria esistenza. A
questo punto, dovrebbe venire spontaneo il bisogno di analizzare il problema
senza sclerotizzarsi sul solito concetto, che si fa comodo alibi, di puntare
sulla famiglia come prima scuola di fede e luogo di formazione in sintonia con
la parrocchia. Un’altra domanda sorge spontanea: quale famiglia? O peggio,
dov’è la famiglia? Oggi si convive, le famiglie sono pluri-allargate, spesso i
coniugi sono di etnie e religioni diverse, sono in crescita esponenziale le
famiglie monosessuali. In questo quadro sconsolante si può ancora continuare a
credere nella sensibilità dei genitori e delle famiglie verso l’educazione dei
figli in generale e della formazione verso il radicamento della fede? E’ mera
utopia, sebbene la realtà dovrebbe essere questa. Ma come si può insegnare ciò
che non si conosce e ciò in cui non si crede più o, al massimo, la fede è un
argomento minimale di nessun interesse?
Sostiene mons. Bettazzi: “L’esigenza
fondamentale dei giovani è quella di una maggiore giustizia nella società e
quindi di un rinnovamento e di una partecipazione attiva a tale rinnovamento. E
rinnovamento appare tanto più necessario se pensiamo alla tendenza naturale,
che è quella di cercare il proprio interesse e di difendere il benessere e il
privilegio personale, dimenticando gli altri e volutamente ignorando che troppe
volte la ricchezza degli uni è creata e mantenuta dalla povertà degli altri.”
(Non sono le periferie di papa Francesco?)
Ci sono in Italia 3 milioni di giovani che non studiano, non hanno un lavoro e
non lo cercano più. Noi adulti (i reggitori della Res Publica, imprenditori e manipolatori della finanza, in primis)
ci siamo chiesti il perché? Abbiamo mosso con impegno vero una foglia in loro
favore o abbiamo complicato loro la vita? Per andare all’Università occorre fare test su
test per l’ingresso destinato ad una minoranza: la libertà di scelta e il
diritto allo studio non è garantito dalla Costituzione? I non ammessi (la maggioranza) che faranno? I “bamboccioni” - come sosteneva con
irritante supponenza quella ex-ministro - messi sotto accusa o, amareggiati, costretti a
ripiegare su facoltà obsolete, inflazionate e ai margini del mercato del
lavoro, che garantiscono l’ “allettante” prospettiva di disoccupazione o
sottoccupazione.? Ci siamo nascosti dietro gli evanescenti impegni che
“odorano” (eufemismo) di opportunismo elettorale dei mestieranti della politica?
Eppure
la risposta è semplicissima: sono delusi e sfiduciati, quindi, emarginati dalla
prepotenza dei potenti, non credono più in niente e percepiscono
gl’insegnamenti della Chiesa come vacue chiacchiere per bambini e vecchiette
oltre il tramonto. Se il Catechismo
riuscisse a dar loro la certezza di come l’applicazione integrale del succo del
Vangelo non ci porta solo a pregare giornate intere implorando miracoli
personali, ma anche ad essere l’unico modo di dare dignità piena alla persona e
di superare ogni forma di sopraffazioni, di ingiustizie e corruzioni, cioè, ad
essere l’unico modo per supportare una reciproca visione rispettosa, corretta e umana
dell’esistenza terrena, per farla diventare la vera preparazione ( con quel che
ne consegue in termini pratici e quotidiani ) all’eternità, forse qualche
risultato si potrebbe ottenere. Continuare a fare sempre le stesse cose, si
ottengono sempre i soliti risultati, suggerisce un proverbio inglese. Stante il
fallimentare status quo, potrebbe
valer la pena di cambiare. Gli stessi concetti si possono esprimere in tanti
modi diversi e chi ha il compito di proporli e insegnarli deve pensare alle
capacità di ascolto e alle necessità dell’uditore, non alle proprie. San
Giovanni XXIII ha indetto il Concilio Vaticano II per cercare e individuare con
i fratelli padri conciliari il modo di “porre
la fede immutabile” ad un mondo che cambia in continuazione. Ricordiamoci di quel “porre”.
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