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LE GRAFFIATURE (da Il Sentiero del 25 gennaio 1995)
di Antonio Ratti
C H
E S U C C E D E ? Niente di grave. Il mondo si
sta ribaltando: siamo già a buon punto. Siccome è tondo non ce ne accorgiamo.
Comunque, sarà un’operazione indolore di alta tecnologia genetico – mentale.
Così fra un po’ staremo in piedi con la testa in giù. Nessuna preoccupazione: è
tutto sotto il controllo della super - oligarchia dei Media. Anche la base
collabora attivamente al progetto accogliendo le opportunità che il malessere
da troppo benessere offre quotidianamente. A Pisa i gabinetti dell’
aerostazione sono scambiati per una sala parto; a Venezia un nido d’infanzia è
costretto a far da padre e da madre: Elisa, uscita dal congelatore di embrioni
in ricordo della mamma morta, non sa chi potrà chiamare papà, perché
disconosciuta; gli ostetrici autoproclamatisi scienziati, non si accontentano
più di nonne – madri, sfrenati nell’umiliare l’etica naturale in nome della
gloria ( e dei soldi che non fanno mai male ) creano assurdi naturali ( anche
ermafroditi ), rompicapi legali e creature ad alto rischio psicologico. Un
tempo c’erano gli affittacamere, oggi ci sono le affitta-utero per coppie
anomale. Storie troppo frequenti per
liquidarle come eccezioni. Storie agli antipodi tra loro – la vita ad ogni
costo od il suo rifiuto totale (aborto o cassonetto) – eppure cementate da un
unico filo conduttore: soddisfare le proprie voglie, che si fanno diritti
legittimati da leggi discutibili come chi le ha votate, in barba alle regole
della natura. Ricordo nell’orto di nonna
Clelia le chiassose covate primaverili. Poi arrivò il progresso: le chiocce
divennero odiose galline con scarsa voglia di far uova, da tenere al buio, legate,
bagnate, senza cibo e per bevanda un liquido ottenuto dalla salamoia delle
sardine. Comprarli era più comodo, ma quei pulcini mi sembravano diversi,
mentre imparavano da soli a beccare. Ora mi è chiaro: erano tristi ed insicuri,
già orfani prima di nascere. E lo avvertivano.
Le cose camminano talmente in fretta che, in pochi decenni, i pulcini
spauriti ed incerti sono innocenti creature colpite dal perverso meccanismo
dell’io egoista, del tornaconto e dell’ambizione. Sarà una bestemmia all’orecchio del filosofo,
ma l’io pensante, come espressione più alta delle libertà e delle capacità
umane, ha fallito miseramente; ha scatenato una feroce guerra con lo scopo
dichiarato di spezzare ogni legame con il ciclo biologico dell’universo di cui,
volenti o nolenti, l’uomo è parte integrante.
Secondo questa logica: cos’è la maternità? Una provetta ed un’agenzia
affitta – uteri. E la paternità? La
voglia di peccati solitari. Paure,
trepidazioni dell’attesa, stupore per la vita che nasce, addio. La tecnologia
ha vinto. Ha divelto ogni punto di riferimento: sentimenti, famiglia, rapporti
interpersonali, ideali, fede. Tutto per un’esistenza più comoda che è cosa
diversa da felice. Si dice che bisogna riscrivere le regole. Ma sulla base di
che? Con quali obiettivi in cui universalmente riconoscersi? Con un po’ di sano
egoismo (quello che una volta si chiamava “amor
proprio”), perché non ricordare il ritorno del figliuol prodigo? L’ io del
mondo potrebbe far festa. Magari con i polli più grassi delle chiocce, tornate
a fare il loro mestiere, di nonna Clelia.
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DE IGNORANTIA --- INTERROGATIVO CAPITALE
di Gualtiero Sollazzi
DE
IGNORANTIA
“De sui ipsius et multorum ignorantia” (Della mia ignoranza e quella
di molti altri ) è un libretto filosofico del Petrarca. Da rileggere oggi,
tempo di tuttologi ignoranti che straparlano. Un buontempone vedendo una
persona davvero brutta, esclamò: “S’intende esser brutti, ma questa se ne
approfitta!” Una battuta che calzerebbe perfettamente per tanti incolti che
pontificano impunemente. E poi, la gente che confonde Vaticano con la Chiesa
italiana, che a certi quiz sulla religione risponde con strafalcioni e si fida
più degli oroscopi che della Parola. D’altra parte, anche qualche prete non ha
ricordato ( preso alla sprovvista? Amnesia? ) l’elenco dei ‘Comandamenti’
richiesti da quei volponi delle ‘Jene’. Capita. Papa Benedetto si è lamentato
di quanto l’ignoranza danneggi la Chiesa.
C’è, da tempo, una proposta ecclesiale seria: “Il progetto culturale.”
E’ stato pensato per dire la fede in modo credibile e per formare a una visione
cristiana del mondo. Onestamente, a chi interessa? La cultura sembra un
optional, mentre è, semplicemente, un dovere. Un santo, Josemaria Escrivà,
insegna sul ‘Cammino n° 35’: “Un’ora di studio, per un apostolo moderno, è
un’ora di orazione.”
INTERROGATIVO
CAPITALE
“Quando
tornerò, ci sarà ancora fede sulla terra?” Una domanda
mozzafiato, quella di Gesù, gravida di tristezza, e che coinvolge ogni suo
discepolo. Ignazio Silone si definiva “cristiano senza Chiesa”. Oggi tanti
cristiani sono accusati, a torto o a ragione, di praticare “una religione senza
fede”. Il papa Benedetto XVI° indisse, non a caso, un “Anno della fede” per ripartire dai ‘fondamentali’. Suggestiva
l’immagine che aprì il documento relativo: “Porta
fidei”. Sarà la fede che aprirà una porta: quella che fa affacciare sul
mistero della vita trinitaria. Don Borghetti, un prete apuano divenuto vescovo,
si augura che al centro della nostra esistenza sia messa la “Confessio Trinitatis” per dare carattere
alla vita cristiana. Del resto, papa Giovanni con quale intenzione indisse il
Concilio? Eccola. “Professare in faccia al mondo la nostra fede.” E fu
commovente vedere il vecchio papa all’apertura solenne di quel grande evento,
mettersi in ginocchio in faccia all’assemblea e dire con umile fede: “Ego, Ioannes, Ecclesiae catholicae
episcopus, credo in Unum Deum, Patrem Onnipotentem.” (Io, Giovanni, Vescovo della Chiesa Cattolica, credo in un solo Dio, Padre
onnipotente…)
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Grazie Don Carlo
di La comunità di Luni mare
Caro don Carlo,
questa comunità oggi si è riunita attorno a te per
ringraziare il Signore per questo periodo che sei rimasto con noi.
Ci hai dato sicurezza con la tua parola, ci hai dato energia con i consigli e
le tue risposte sempre pronte.
Sei un uomo semplice e umile ma ricco di passione e in grado di trasmettere
valori e buoni consigli.
Per tutte queste qualità e per il tuo impegno, ti ringraziamo di cuore e ringraziamo
Dio per averti conosciuto ed apprezzato.
Siamo costretti a salutare nuovamente e dopo non molto tempo, il nostro
parroco, cosa che ci rattrista profondamente, sia per il breve tempo in cui sei
rimasto con noi, ma soprattutto per l’unione che si è creata tra te e questa
comunità.
Sei stato anche un amico per molti di noi. Un amico vero quello che vuole il
tuo bene, la tua salvezza.
Per tutti questi motivi, ti porteremo sempre nei nostri cuori e pregando Dio
che questo sia solo un arrivederci, ti accompagneremo con la nostra preghiera e
con tutto il nostro affetto.
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BENVENUTO, DON ALESSANDRO !
di La Comunità di Luni Mare
Eccellenza
Reverendissima, caro don Alessandro, la
comunità parrocchiale di San Pietro Apostolo vive quest'oggi un momento di
grazia nell'accogliere il suo nuovo parroco. Nelle passate settimane abbiamo letto con attenzione la lettera che Vostra
Eccellenza ha inviato ai parroci della vallata affinché ce la trasmettessero. Vogliamo vivere questo momento proprio nello
spirito che Ella ci ha indicato, certi come siamo che attraverso il Suo
Magistero passa la volontà del Signore Gesù. Caro don Alessandro, da oggi sarà alla guida della nostra comunità. Questo
compito impegnativo lo sosterrà oltre che con la grazia del Suo ministero, con
l'aiuto di noi tutti, che ci impegniamo fin da subito a collaborare con Lei,
per crescere insieme nel cammino di fede; quel cammino che può essere proficuo
solo se guidato da un pastore che, ad immagine del Pastore Supremo, sa
prendersi cura del proprio gregge. Eccellenza Reverendissima, nella Sua lettera abbiamo colto la difficoltà che la
nostra Diocesi vive a causa dell'esiguo numero di sacerdoti. Le Sue parole ci
sono da sprone per intensificare la nostra fiduciosa preghiera, affinché il
Padrone della messe mandi nuovi pastori secondo il Suo cuore: a nessuna
comunità parrocchiale manchi mai la presenza di un sacerdote che la sappia
amare e guidare! Vogliamo quest'oggi dire un grazie speciale al Signore per il dono che in
questi anni ci ha fatto nella persona di don Carlo. Con lui abbiamo fatto un
percorso di fede che resterà indelebile e che oggi affidiamo, in spirito di
continuità, a don Alessandro. Grazie a Monsignor Vescovo per aver tenuto conto
di questo legame e per aver lasciato sul territorio i parroci interessati da questi
spostamenti. Eccellenza Reverendissima, caro don Alessandro, questi pochi pensieri li
portiamo adesso all'altare del Signore: a Lui rendiamo grazie, a Lui chiediamo
di diventare ogni giorno cristiani migliori e più maturi.
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La Sacra Sindone
di Romano Parodi
La Sindone è sempre stata la mia passione. Lì c’è la più
meravigliosa e affascinante storia dell’umanità. Le dicerie che volevano
datarla al medioevo, mi hanno fatto “’nt’s’ghira”.
Oggi, dal Cnr di Trieste, dalla Francia e dall’America, arriva la conferma:
quell’uomo, lo dice la nuova analisi sul siero (non il sangue) causato dalle
torture, è dell’epoca di Gesù, altro che medioevo (M. Riani), altro che un
dipinto, quello è siero umano dopo una tortura. Le nuove scoperte sono state
pubblicate sulla rivista “Applied
Spectroscopy”, e su tutti i giornali scientifici del mondo e su molti
giornali e periodici (da La Stampa alla Nazione ecc. a Gente).
Ma
io affermavo nei miei precedenti articoli (questo è il terzo) che la prova
certa che l’impronta sulla Sindone sia quella di Cristo, è data dalle monetine
con il volto della Sindone e dalle icone (con il volto della Sindone) che si
sono succeduti dal VI secolo, per tutto il primo millennio. In una monetina
bizantina del 700, oltre all’effige di Gesù uguale a quella della Sindone, c’è
anche una malformazione di Gesù, dovuta alla crocifissione, e cioè la posizione
innaturale del piede destro, chiaramente copiata dalla Sindone. In essa si vede
il piede ds più piccolo del sn, e in posizione innaturale. (Si diceva che Gesù
fosse claudicante, proprio per questo piede). Nella seconda parte del primo
millennio la Sindone è stata adorata più di oggi. I grandi re e imperatori
l’avevano presa a loro simbolo anche nelle monete, e prima che i Templari la
portassero in Europa, ha girovagato per tutto il medio oriente, soprattutto in
Turchia. E proprio le monetine bizantine son la prova regina che quel volto
esisteva molto prima del medioevo.
B.
Barberis nel suo libro: “L’uomo della Sindone e il calcolo delle probabilità”
scrive che c’è solo una probabilità contro 225 miliardi che l’uomo della
Sindone non sia Gesù di Nazaret. Ma lasciamo stare tutto, anche i tanti pollini
trovati (50) provenienti senza ombra di dubbio dalla Palestina, che
meriterebbero un articolo a parte. Oggi vi ri-parlo delle monetine sugli occhi
di Gesù.
Nel
1931 l’americano Filas nell’osservare una foto, scopre questi quattro caratteri
alfabetici all’interno dell’orbita destra: UCAI; ma non solo, vi percepisce chiaramente anche
l’immagine di un bastone ricurvo. Le lettere e il bastone si trovano
effettivamente su di una piccola moneta di bronzo coniata da Ponzio Pilato,
moneta che ha questa scritta:
TIBERIOUKAICAPOC (la C al
posto della K è un errore veniale: ce ne
sono sia con la k che con la c, specie nelle periferie dell’impero, come,
appunto, la Galilea), e significa Tiberio Cesare. Sulla faccia di questa
monetina, non visibile sulla Sindone, c’è inciso anche LIS, che significa anno
sedicesimo del regno di Tiberio. Tiberio è diventato imperatore nell’anno 14.
Quindi è stata coniata, 14 + 16, nell’anno 30 dell’era cristiana. Filas muore
senza essere mai stato preso in seria considerazione, e senza mai sapere che i
suoi studi sarebbero poi stati confermati da più approfondite ricerche.
Nel
1996, 65 anni dopo, Balossino e Bollone si accorgono che anche a sinistra,
seppur leggermente sopra l’orbita (forse si è spostata nel porre il lenzuolo),
c’è impresso qualcosa. Trattasi di un’altra monetina, sempre di Ponzio Pilato e,
anche questa, reca la scritta: TIBERIOUKAICAPOC; ma questa volta, a differenza
che nell’altra, s’intravede anche LIS,
che significa, appunto, anno sedicesimo: L=anno, I=10, S=6 + (14, data
dall’incoronazione di Tiberio) fanno 30 d.C. Gesù, secondo gli storici, fu
crocifisso il 7 aprile del 30.
In
conclusione, la indiscutibile presenza di due monetine di Ponzio Pilato, del 30
d.C. sul volto del cadavere che fu avvolto nella Sindone, prova, senza ombra di
dubbio, l’epoca della morte di quell’uomo. Nessun falsario medievale avrebbe
mai potuto, non solo possedere, ma nemmeno conoscere l’esistenza di queste
monetine, identificate dagli studi numismatici, soltanto nel secolo scorso.
“Oramai
non ci sono più dubbi”, dice il prof. Giulio Fanti docente di Misure meccaniche
e termiche dell’Università di Padova..”La
scienza però si ferma di fronte al fatto che l’immagine corporea non è
spiegabile né riproducibile. Malgrado i numerosi tentativi, non sappiamo
ancora come si sia potuta formare. Potrebbe essersi formata da una esplosione
di energia estremamente breve e intensa, proveniente dall’interno del cadavere.
Potremo anche pensare fosse la Rissurrezione”.
(A Hiroshima, dopo
l’esplosione della bomba atomica, notarono sui muri, l’immagine di uomini,
volatilizzati dall’immenso calore).
Vide e credette
Giovanni,
entrato con Pietro nel sepolcro, scrive (20, 3-8): “entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il
sudario che gli era stato posto sul capo, non
per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte… vide e credette ”. Un’espressione
sintetica, lapidaria, un’espressione che segna un momento solenne. E’ in quel
preciso istante che nasce la fede e il cristianesimo. Giovanni conosce le
scritture, “doveva resuscitare dai morti”, e quello che vede glielo
conferma. Ma cosa vedono? I
Vangeli sono scritti in un greco antico, e questa sopra riportata è la forma
conosciuta; ma perché, a differenza di Pietro, che davanti a quel che vede
resta perplesso (blépei) (Lc e Gv) ), Giovanni vide e credette? Don
Persili, scrive V. Messori, ossessionato da quel vide e credette, dopo
una vita dedita allo studio del greco antico, così, invece, traduce tutta la
frase: “..entrò nel sepolcro e contempla le fasce distese e il
sudario che era sul capo di Lui, non disteso con le fasce, ma al
contrario avvolto in una
posizione unica” (strana).
All’apparenza c’è poca differenza, ma in realtà cambia molto. Non vi sto
spiegando perché la parola “greca” keìma,
secondo don Persile, significa disteso,
adagiato e non per terra, come si legge nel
Vangelo. Giovanni
vede e crede, perché le fasce che avvolgevano il corpo di Gesù, ora erano
distese e vuote ma intatte, non manomesse, non sfasciate. Il corpo di Gesù,
quindi, era sparito senza uscire dalle fasce! Ma ancora più sorprendente,
secondo don Persile, è la posizione del sudario. Esso non era disteso sulla
pietra sepolcrale come le fasce, ma in posizione rialzata. Esso avvolgeva la
testa di Gesù come un turbante arabo, ed era rimasto così anche quando la testa
non c’era più, come se dentro ci fosse ancora. Era in una posizione così
sorprendente che all’evangelista è necessario un intero versetto per
descriverlo. I due vedono le fasce distese sulla pietra sepolcrale e sulla
stessa pietra il sudario che, al contrario delle fasce (che sono colassate e
distese), è in posizione sollevata, anche se non avvolge più nessuno. Quindi
non “piegato a parte”, come dicono i libri sacri, “ma al contrario (rispetto alle
fasce) avvolto”, la traduzione esatta. Quindi
Gesù era uscito dalle fasce senza che fossero state sfasciate. Scomparso
il corpo, le fasce che lo avvolgevano, più pesanti, si collassarono con la
Sindone che esse coprivano sulla pietra, e assunsero quella posizione “distesa”
che abbiamo visto, mentre il sudario per il capo, più leggero e più piccolo, inamidato
dall’essicazione dei profumi liquidi di Giuseppe d’Arimatea, restò, “al contrario avvolto”. Che cosa è
accaduto nel buio di quella tomba? La Resurrezione risponde il cristiano.
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I TRASPORTI FATICOSI DI UN PASSATO NON LONTANO
di Millene Lazzoni Puglia
Il trasporto di merci si è
molto evoluto e diversificato negli ultimi cinquant’anni, non soltanto quello
internazionale e di grandi quantità, ma anche quello minore, sia in distanza
che in quantità. E’ proprio di quest’ultimo che vorrei parlare. Mi offre lo
spunto un aspetto particolare che non è meno importante di altri, cioè quello
delle numerose donne che portavano sul capo pesanti carichi di merci varie, che
andavano da quelle alimentari, alla legna, ai prodotti dei campi e degli orti. Nei primi decenni del ‘900 erano tante le donne che da Caniparola e dintorni
andavano a Sarzana al mattino presto con una pesante cesta sul capo piena di
frutta e verdura dell’orto per venderla
nell’antico mercato ortofrutticolo di Piazza San Giorgio. Fra queste donne
c’era anche mia madre Argentina, che aveva iniziato da bambina con la madre
Assunta portando un piccolo cesto leggero contenente fiori di zucca o altri
fiori. All’età di 14-15 anni cominciò ad andare da sola con carichi sempre maggiori
fino ad arrivare anche a trenta Kg di peso. Il percorso era di circa 4 Km su
una strada sterrata dove non mancavano i sassi e le buche, compreso il tratto
della via Aurelia. A quel tempo pochi avevano le scarpe da lavoro, perciò si
camminava spesso a piedi nudi, specialmente d’estate. Quando questi viaggi
erano più frequenti, poiché le vendite al mercato iniziavano molto presto e le
partenze avvenivano non dopo le quattro del mattino, il buio era un altro
ostacolo. Così si rendeva necessario un “lume”: in pratica una lanterna ad olio
da portare con una mano. Soltanto in città erano presenti i lampioni, anch’essi
ad olio, con un addetto, che munito di una scaletta, passava a spegnerli al
mattino per riaccenderli alla sera. Il percorso tra Caniparola e Sarzana
prevedeva l’attraversamento del vecchio borgo di Sarzanello e questo
rappresentava un problema psicologico non da poco specie per le più giovani,
perché davanti alla chiesa il muro che costeggiava la strada era uno dei pochissimi
punti dove posare il carico qualche minuto per rifiatare, ma al di là c’era il
cimitero. Il mondo di allora ricco di pregiudizi e tabù legati all’aldilà era
costellato di paure dettate da apparizioni immaginarie come i fantasmi. Come se
non bastasse, poco più avanti c’era la discesa boscosa della “Castellana” e il
ponte sul Canale lunense ancora in costruzione (dal 1881), perciò privo di
acqua, che avrebbe dovuto irrigare la piana omonima. Ovviamente per le donne che transitavano su quel ponte al buio era scontata una
certa apprensione, perché era noto come quel canale vuoto fosse un rifugio per
i “briganti” che vi nascondevano le loro refurtive. Comunque non erano solo
queste le difficoltà per quelle donne che andavano a piedi verso Sarzana con il
carico sul capo. Infatti c’era anche da attraversare, su un fatiscente e
scivoloso ponticello di legno, un torrente che diventava pericoloso quando con
le piogge si ingrossava. Quel torrente si chiama “Albachiara”: oggi non fa più
paura perché da tempo un ponte normale unisce le due sponde che sono Liguria e
Toscana. Per mia madre, che abitava a ovest del borgo antico, c’era ancora un
altro torrentello, forse senza nome, che da tanti anni ha il suo ponte su via
“Montecchio” che porta alla Colombiera. Questo ostacolo era solo per lei o
quasi, poiché era a pochi metri dall’orto di famiglia e dalla casa-mulino dove
abitava. A questo punto dei miei ricordi, mi sembra corretto fare una
riflessione sulla donna e sul suo lungo e difficile percorso verso l’emancipazione,
che, ufficialmente, iniziò nel 1947 con il diritto al voto. Il diritto al voto
ha rappresentato il volano che ha aperto alla donna tutte le strade e resa
costituzionalmente pari all’uomo (almeno in teoria). Ancora nei primi anni ’50 tutto era rimasto quasi
invariato, specie nelle campagne. Difatti tornando ai trasporti minori, tutto
continuava come era stato per le donne d’inizio secolo. Sono a conoscenza di
una piccola-grande donna che (come molte altre) non temeva la fatica e non era
meno eroica delle madri già descritte. Lei non portava sul capo carichi di
prodotti dell’orto, ma il latte di mucca appena munto, dentro contenitori di
alluminio sistemati in una cesta, portata, ovviamente, sulla testa. Si chiamava
Diva Moriconi, che nel 1955 sposò mio fratello Senzio; venendo a far parte
della nostra famiglia portò in dote la sua saggezza e serenità. Diva abitava sulla
prima collina di Fosdinovo (Paghezzana). Il latte, che proveniva dalle mucche
dei contadini dei dintorni, doveva essere consegnato a domicilio ogni mattina
in tempo per la colazione di una piccola parte di sarzanesi. Non c’era solo il trasporto a piedi per diversi chilometri, ma la strada con
buche e sassi rappresentava il rischio concreto di qualche rovinosa caduta. Come si è capito, il faticoso lavoro era doppio, perché, oltre al trasporto,
una volta arrivati in città, c’era da effettuare la consegna presso le famiglie
che avevano pattuito l’acquisto quotidiano di un quantitativo prestabilito. E
qui la fatica consisteva nello salire e scendere le scale di più piani in tanti
caseggiati. Finalmente c’era il ritorno a casa con la strada, questa volta, in
salita e una parte del carico ancora sulla testa, perché i contenitori avevano
un peso anche se vuoti. Quelle donne di metà novecento avevano avuto l’ingegno
d’inventarsi un lavoro molto pesante, ma che lasciava mezza giornata, il
pomeriggio, libera, ma……..libera per lavorare nei campi. Per fortuna il progresso era alle porte e di lì a poco i contadini di Fosdinovo
avrebbero portato il latte delle loro mucche al mattino presto sulla via
provinciale dove passava chi, ancora una volta, si era inventato un lavoro: in
questo caso era un uomo con un camioncino, il quale ritirava il latte per
portarlo alle latterie che nel frattempo si stavano diffondendo. La storia del
latte è cambiata velocemente, oggi lo si trova in ogni rivendita alimentare, in
cartocci, con scadenza sempre più lunga e con provenienza sempre più
misteriosa. Ma questo è progresso? La
risposta vorrebbe essere sì, perché in questo modo il latte può arrivare a
tutti, ma, chi come me, ha avuto la fortuna di conoscere il sapore di quello di
una volta, non può dimenticare la certezza che quello era veramente di una
mucca, cioè biologico. Anche per la donna la storia è andata avanti veloce,
tanto da augurarmi che per lei ci sia soltanto progresso vero e che non si
perda nelle trappole del modernismo, all’apparenza stuzzicanti, che possono
sviare le vere potenzialità che madre natura ha dato alla donna per creare,
costruire all’insegna dell’amore.
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È arrivato don Alessandro!
di Mila
Quanto tempo è passato dalla
prima volta che assistetti alla Santa Messa a Luni Mare? Credo fosse nel 1978.
Entrai in uno stanzone dove adesso c’è il supermercato Conad. C’erano dentro
dei cumuli di calcinacci, carriole, assi di legno, macchinario per l’edilizia
etc. Era insomma il deposito della ditta edile che allora stava lavorando, in
località San Pero, per completare la costruzione di un nuovo villaggio chiamato
Luni Mare. Un angolo dello stanzone era stato sgombrato e su di un altare improvvisato Don
Angelo De Mattei celebrava la Santa Eucaristia. Don Angelo è stato il primo
parroco di Luni Mare. A lui si deve la costruzione della chiesa che abbiamo e a
lui si deve se questa nostra piccola e incompiuta chiesa è diventata parrocchia,
la Parrocchia di San Pietro Apostolo in Luni Mare. Dopo di lui quanti parroci si sono avvicendati in questa parrocchia? Il mitico
DON, don Ludovico Capellini. Che bello è stato il periodo con don Capellini! Certo era un uomo dal carattere non facile ma com’era “viva” la parrocchia
allora! Credo che non dimenticherò mai
quel periodo. Ed ecco arrivare don Filiberto Zagagnolo che era ed è tuttora parroco a
Marinella.Poi arrivò don Giovanni Tassano, nominato parroco di San Lazzaro e di Luni
Mare. Don Giovanni era stato missionario in Africa e avviò la pratica delle
adozioni a distanza, ancora adesso abbiamo un’adozione con la Pia Società San
Paolo per aiutare i seminaristi in Africa. Ogni tanto invitava dei sacerdoti
missionari che concelebravano la messa e una volta un sacerdote africano, don
Marcello che risiedeva a Roma, fece commuovere tutta l’assemblea col raccontare
il lavoro dei missionari in Africa. Con don Giovanni veniva anche un diacono di
La Spezia, don Bruno Canese, che faceva a noi del gruppo parrocchiale delle
belle catechesi. Purtroppo non durò a lungo soltanto due o tre anni. Dopo un breve
periodo durante il quale fummo assistiti dal povero don Franco…… che era
parroco a Castelnuovo e anche vicario foraneo, arrivò don Andrea Santini. Don Andrea era appena stato ordinato sacerdote quando approdò nella parrocchia
di San Pietro e vi rimase per circa dieci anni. Era amato e ben voluto da tutti
e quando dovette lasciare per nuovi incarichi, tanta fu l‘amarezza e la delusione
che quasi si arrivò ad un’aperta ribellione contro la Curia. Non ce ne fu
bisogno solo perché lui ebbe l’accortezza di presentarci subito colui che
sarebbe stato il suo sostituto, Don Roberto Poletti. Con don Roberto abbiamo sognato grandi cose per la nostra chiesetta incompiuta
e forse per questo ce l’hanno subito portato via. Dopo un certo periodo durante il quale si sono susseguiti vari sacerdoti che
venivano solamente a dir Messa alla domenica è arrivato don Carlo Cipollini. Don Carlo è arrivato ed è rimasto quanto? Forse due anni e mezzo? Tutti
contenti, tutti entusiasti ma non abbiamo fatto in tempo a riprenderci dal
periodo che eravamo stati senza parroco che già lui non c’era più colpito dal
morbo del trasferimento ad altra sede. E adesso è arrivato don Alessandro Chiantaretto parroco della parrocchia di
Santa Maria Maddalena A Castelnuovo. Caro don Alessandro, io e mio marito non siamo venuti alla cerimonia
dell’accoglienza, ci è molto dispiaciuto e le chiediamo scusa. Avevamo un appuntamento a Roasio in Piemonte per una “rimpatriata”. Roasio è
chiamato “Il paese con la valigia “perché quasi tutti i suoi abitanti sono o
sono stati emigranti. Abbiamo conosciuto diverse di queste famiglie roasiane
quando anche noi eravamo emigranti a Lagos in Nigeria. Con alcune di queste
persone siamo rimasti in contatto anche dopo il rimpatrio. Sono persone colle quali abbiamo pianto e gioito, aiutandoci a vicenda nelle
difficoltà che incontravamo nel vivere in una nazione che non è certo delle più
facili. Siamo rimasti amici e anche se lontani continuiamo a condividere i
nostri sentimenti. Non me la sono sentita di perdere questa rimpatriata anche
perché l’età non mi consente di rimandare più del tanto le occasioni che ancora
mi si presentano nella vita. Durante l’omelia di domenica scorsa Lei ha detto che desidera rimanere tanto
tempo con noi, me lo auguro di cuore. Prego che il Buon Dio Le dia tutto l’aiuto
necessario per mettere in opera le iniziative che vorrebbe realizzare per far
rivivere questa parrocchia, in fin dei conti è la più giovane del nostro vicariato,
e non si ha sempre un occhio di riguardo per i più piccoli?! Spero che anche in
Cielo la pensino così e ci diano tutto il loro aiuto.
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CARO DON ANDREA
di Marta
Così, siamo giunti a una
svolta. La vita di un sacerdote è una Missione Evangelica: portare la parola
del Signore, a tutti i popoli della terra, oltre all’adempimento dei servizi
liturgici, alla celebrazione della messa tutti i giorni e all’obbedienza verso
il proprio vescovo. Qui noi parrocchiane di una certa età, ci sentiamo come
madri di un figlio che si sposa e lascia la casa dei genitori per formare una
nuova e particolare allargata famiglia. Da subito, si avverte la sua non presenza
e il dialogo di tutti i giorni, ma, poi, ci accorgiamo di avere al nostro fianco
un prete, un confessore, un figlio, un padre, un amico, un fratello.
Ricordo, quando giovane prete, hai preso possesso canonico della chiesa di
Isola, S. Maria Ausiliatrice. Timido, ma nello stesso tempo con la sicurezza
del tuo apostolato in mezzo a noi. Poi…Piano…Piano… mentre il tempo scorreva,
hai saputo entrare nell’amicizia e nel cuore di tutti, specialmente dei più
piccoli, coinvolgendoli, con amore, nello sport, come nella messa e nel
catechismo. Tanti fanciulli, che hai battezzato,
cresciuto e dato loro la prima Comunione (alcuni sono sposati e per ragioni di
lavoro non sono più residenti nel paese), portano nei loro cuori, un ricordo,
uno spacco di vita trascorsa insieme con amorevole nostalgia, che nessuno mai
potrà cancellare.
Nella tua grande modestia, con pazienza certosina, hai saputo avvicinare tanti
campanili, ovvero tante parrocchie, così che i fedeli si sono ritrovati assieme
nella preghiera, di una o altre parrocchie pur non essendo la propria.
Solo, qualche anno,
addietro, questa cosa, era impensabile, tanto era radicato il campanilismo per
il proprio paese.
Caro Don Andrea, ricordo che una volta mi raccontasti come un tempo, quando un
giovane diventava prete e aspirava con gioia ad avere una parrocchia, sia in
città che nei paeselli, doveva aspettare, talvolta, anche degli anni per
possederne una, perché non c’era scarsità di sacerdoti e quindi non c’erano
parrocchie in attesa del pastore. Oggi i
tempi sono così cambiati che ora te ne possono affidare 3 o 4.
Ed ecco l’impegno di tutti noi fedeli, di pregare il Signore che ci mandi tanti
santi sacerdoti.
Caro Don Andrea, il nostro saluto non è un addio, ma soltanto un arrivederci
visto i pochi chilometri che ci separano dalla tua nuova parrocchia “Madonna
della Guardia” in Molicciara Castelnuovo. Come ho accennato innanzi,
continueremo ad essere certamente uniti, almeno nei grandi avvenimenti delle
nostre feste patronali e non. Che il Signore ci protegga tutti, ma specialmente
Don Andrea, per la sua nuova missione.
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I funghi (conoscerli per prevenire le intossicazioni)
di Augusto Gianfranchi
Di funghi si può
anche morire oggi come in passato. La conoscenza e
l’applicazione di semplici consigli, consentirà il consumo “sicuro”, di un
prelibato frutto della terra. Primo utile consiglio
se non si è super esperti, far verificare gratuitamente, la commestibilità dei
funghi raccolti, presso il C.A.I. di Sarzana in via Landinelli il lunedì
pomeriggio, da esperti ispettori micologi della nostra A.S.L.. Miti da sfatare,
non
è vero che tutti funghi che crescono sugli alberi non sono
tossici,
non
è vero che sono buoni se sono stati mangiati da parassiti,
non
è vero che diventano velenosi se cresciuti vicino a ferri arrugginiti,
non
è sempre vero che sono velenosi i funghi che cambiano
colore al taglio, non è vero che la
velenosità dei funghi è data dall’aspetto.
Regole d’oro per non
intossicarsi coi funghi. Non consumare funghi non controllati da un vero micologo,
consumarne quantità moderate, non farli mangiare ai bambini, non ingerirli in
gravidanza, consumarli in perfetto stato di conservazione, sbollentarli prima
del congelamento e consumarli entro 6 mesi, non raccoglierli lungo le strade o
vicino a centri industriali e terreni coltivati, non regalare i funghi raccolti
se non controllati da un micologo, nei funghi sottolio si può sviluppare la
tossina botulinica. E’ importante una
buona preparazione per la conservazione dei funghi freschi verificando che
siano sicuramente commestibili (ce ne sono tantissime specie), sani e ben
puliti. Per avere i funghi
secchi si deve pulirli accuratamente dai residui di terra, non lavarli,
affettarli e farli essiccare al sole, con essiccatoio o altro) su un canovaccio
pulito e conservarli in un luogo fresco e asciutto. Per congelarli scegliere
naturalmente quelli giovani e non troppo grandi. Per conservarli nel
freezer domestico è consigliabile sbollentarli prima della conservazione
(escluso i porcini). Per averli pronti
sottolio si possono far bollire per circa venti minuti in una soluzione con2/3
di aceto e 1/3 di acqua (per evitare il rischio botulino), scolarli e farli
asciugare prima di invasare con olio di oliva. Per concludere, senza spaventare
nessuno citiamo alcune nozioni su cosa è il botulino. (meglio prevenire che
combattere). Il clostridium
botulinum con le sue SPORE determina una sindrome nota come botulismo dovuta a
una tossina che infierisce nel sistema neurologico. Il botulismo
alimentare è determinato da tossine prodotte dalle Spore presenti negli
alimenti (nel nostro caso quelle dei funghi) conservati sottolio. L’ambiente acido (PH
< 4), l’aggiunta di salamoia, l’essicamento e la bollitura prolungata sono
utili per prevenire “la germinazione” delle spore. Le tossine (non
eliminate) possono determinare paralisi muscolare (discendente) che può progredire
fino all’insufficienza respiratoria grave. I segni clinici
compaiono a distanza di 24/48 ore (e a volte oltre 10 giorni) dall’ingestione
di alimenti contaminati da spore; di solito più precoce è la comparsa dei
sintomi, peggiore è la prognosi. I sintomi iniziali di
tipo gastroenterico, a volte sfumati, sono accompagnati da secchezza delle
fauci, stanchezza, affaticamento e vertigini, successivamente possono comparire
alterazioni della vista /diplopia), difficoltà alla deglutizione (disfagia) e
ad articolare le parole (disartria). Nei rari o rarissimi casi che si possono
verificare ci sono i centri antiveleni quali punti” essenziali” di riferimento
da chiamare immediatamente prima di rivolgersi agli operatori sanitari (medici
e farmacisti che possono essere di aiuto successivamente). Presso la sede di
Brescia dell’istituto zooprofilattico sperimentale è attivo un servizio di
reperibilità 24 ore su 24 per la diagnosi del botulismo nell’uomo e per la
ricerca di C.botulinum e relative tossine negli alimenti tel. 030 22901 – www.izsler.it - oppure Istituto superiore di sanità- tel. 06 49901. Andare per funghi è
per molti un piacevole hobby che permette di aiutare il benessere fisico, un
meraviglioso incontro con la natura più vera e la possibilità di gustare questi
prelibati frutti del bosco. Ovviamente è
necessario rispettare le regole a cui ho fatto cenno, documentarsi e farsi
consigliare.
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L’ingresso di Don Andrea
di Enzo Mazzini
Grande partecipazione di
fedeli nella Chiesa del Sacro Cuore di Molicciara in occasione di ingresso e di
presa canonica del nuovo parroco, don Andrea Santini.
Il Vescovo, Sua Ecc. Rev.ma Mons. Luigi Ernesto Palletti, ed il nuovo parroco,
don Andrea, vengono accolti nel piazzale antistante la Chiesa, dove ricevono
l'abbraccio della comunità parrocchiale del S. Cuore che, tramite l'Avv.
Stefania Violi rivolge un commovente saluto. Anche il Sindaco Montebello dà il
benvenuto al nuovo parroco, a nome dell'Amministrazione Comunale, con l'augurio
di un comune impegno per il bene di tutta la comunità.
A questo punto il Vescovo, il nuovo Parroco e gli altri celebranti si recano al
portone (chiuso) della Chiesa ed il Vescovo ed il nuovo Parroco baciano il
Crocifisso loro presentato. Quindi il Vescovo consegna le chiavi della Chiesa
al nuovo Parroco, affermando: "Ecco le chiavi della casa di Dio, per il
suo popolo qui riunito nel nome del S. Cuore di Gesù. Entra felicemente a
prendere in essa il tuo posto per farvi le veci di padre. Tu la custodirai e ne
curerai la bellezza come di una sposa per il suo sposo, affinché sia segno
eloquente della dimora che il Signore ha nel Suo popolo". Poi il Vescovo,
il nuovo Parroco e gli altri concelebranti entrano in Chiesa, mentre il coro
intona un commovente canto e si accingono ad indossare i paramenti sacri e
quindi si avviano per compiere la processione di ingresso.
Dopo che il coro ha eseguito il canto d'ingresso, il Vescovo annuncia:
"Carissimi, la comunità parrocchiale del S. Cuore, riunita nel giorno del
Signore, vive un momento di particolare gioia e solennità, perché riceve dal
Vescovo il nuovo Parroco nella persona del presbitero don Andrea Santini. Nella
successione e nella comunità del ministero si esprime l'indole pastorale della
Chiesa, in cui Cristo vive ed opera per mezzo di coloro ai quali il Vescovo
affida una porzione del suo gregge. Quindi il Vescovo fa leggere il Decreto di
Nomina ed il popolo rende grazie a Dio, in segno di assenso ed il coro intona
il canto di Gloria. Si dà poi seguito alla celebrazione di una solenne S. Messa
ed i fedeli vengono rapiti da una bellissima omelia del Vescovo della quale
riporto alcuni spunti.
Dopo aver sottolineato la potenza dello Spirito Santo, fa rilevare che la
nostra vita è veramente trasformata nel progetto divino. Dobbiamo rinnovarci
continuamente per affidarci a Dio perché ci trasformi e ci renda discepoli di
Gesù e seguaci del Suo insegnamento: "Amatevi gli uni gli altri come io ho
amato voi". Dobbiamo quindi vivere in comunione gli uni con gli altri,
dove trionfa un sentire comune, dando vita ad un momento nuovo.
Terminata l'omelia del Vescovo, il nuovo Parroco rinnova lodevolmente le
promesse fatte nel giorno della sua Ordinazione ed il Vescovo lo interroga nel
modo seguente: "Figlio carissimo, davanti al popolo affidato alle tue cure
ti chiedo ora di rinnovare le promesse fatte nel giorno benedetto della tua
ordinazione sacerdotale. Vuoi esercitare con perseveranza il tuo ministero
sacerdotale come fedele cooperatore dell'ordine dei vescovi nel servizio del
popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Quindi il Vescovo continua: "Vuoi adempiere degnamente e sapientemente il
ministero della parola nella predicazione del Vangelo e nell'insegnamento della
fede cattolica?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Ancora il Vescovo: "Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i sacramenti,
secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio dell'Eucaristia
e il ministero della Riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del
popolo cristiano?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Quindi il Vescovo: "Vuoi implorare la divina misericordia per il popolo a
te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il
Signore?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Ancora il Vescovo: "Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo
Sommo Sacerdote, che si è offerto come vittima pura a Dio Padre per noi,
consacrando te stesso insieme con Lui per la salvezza di tutti gli uomini?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Il Vescovo: "Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e
obbedienza?"
Don Andrea: "Sì, lo prometto".
Quindi il Vescovo: "Dio che ha iniziato in te la Sua opera, la porti a
compimento".
Poi don Andrea, in piedi di fronte al Vescovo, recita il Credo e pronuncia il
giuramento di fedeltà.
A questo punto il Vescovo accompagna il nuovo Parroco ai luoghi significativi
per il suo ministero di pastore: al Tabernacolo, luogo in cui veneriamo la
presenza reale del Signore; al Fonte Battesimale, luogo in cui i cristiani
nascono alla Fede; al Confessionale, luogo in cui ci è dato riconciliarci con
Dio, facendo esperienza della Sua infinita misericordia; infine al Campanile,
il suono delle cui campane richiama i fedeli alla partecipazione delle sacre
funzioni.
Al termine della S. Messa il Vescovo consegna al nuovo Parroco la Sede
presidenziale ed eleva la seguente preghiera: "Il Signore ti conceda di
presiedere e servire fedelmente, in comunione con il tuo Vescovo, questa famiglia
parrocchiale, annunziando la Parola di Dio, celebrando i santi misteri e
testimoniando la carità di Cristo".
Quindi il Vescovo invita il nuovo Parroco a sedere brevemente alla Sede e don
Andrea, eseguito questo adempimento, Si alza e rivolge alla sua nuova comunità
un commosso saluto che di seguito riporto: "Eccellenza reverendissima, a
nome di tutti La saluto e La ringrazio, perché la Sua presenza è il segno che
quello che avviene oggi rientra nella volontà del Signore e La ringrazio anche
per avermi affidato la guida pastorale di questa nuova comunità parrocchiale di
Molicciara. Ogni novità, come ogni cambiamento significativo, sia che riguardi
le singole persone o una comunità, è sempre accompagnato da un sentimento di
nostalgia: i ricordi di questi anni, le esperienze fatte, i momenti belli e
quelli tristi e tante cose fatte insieme... ma anche un sentimento di speranza
per quello che sarà, la novità, il futuro, quel sapersi aprire alle sorprese
che il Signore ha in serbo per noi.
Oggi è un giorno importante per questa
comunità parrocchiale del Sacro Cuore ed è un giorno importante per me. Dopo
diciassette anni precisi ritorno in questa comunità da parroco, dove ero stato
curato per due anni! Questi anni sono stati importanti e fondamentali per me, perché
ho avuto la gioia di guidare alcune comunità parrocchiali del Comune di
Ortonovo, oggi Luni e quindi il mio pensiero, i miei ricordi e la mia
gratitudine vanno ai parrocchiani di Nicola, Isola, Luni Mare e Caffaggiola dei
quali, in tempi e periodi diversi, sono stato parroco.
A ciascuna comunità sono legato e sempre le ricorderò. Penso infatti alle
numerose persone che ho incontrato attraverso il mio ministero, in questi anni:
i tanti giovani, bambini, adulti, anziani e malati. Con loro ho condiviso dolori,
gioie e speranze. Ricordo le tante persone con cui è nata una sincera amicizia,
che sono certo continuerà. Un doveroso pensiero va ai miei parrocchiani
defunti, alcuni anche giovani, che ho conosciuto e amato e con i quali ho
percorso un tratto di strada terrena insieme e che dal cielo oggi ci guardano e
partecipano a questa festa e che ricordo sempre nelle mie preghiere. Questa
sera voglio ricordare anche don Franco Lombardi e il caro don Lodovico.
Ai collaboratori dico il mio grazie e chiedo scusa se non sempre sono stato
all'altezza dei miei compiti. A loro va tutta la mia gratitudine e
riconoscenza. Mi sono stati sempre vicini, anche nei momenti difficili,
personali e familiari ed il loro ricordo mi riempie di nostalgia. Abbiamo
imparato a volerci bene come una grande famiglia.
Oggi inizia per me un nuovo cammino, in questa parrocchia guidata saggiamente
in questi ultimi ventisei anni da don Carlo Moracchioli che conosco, apprezzo e
stimo. A lui va la mia gratitudine e riconoscenza e quella di tutta la comunità
di Molicciara, comunità che ho potuto già conoscere in questi mesi ed
apprezzare. Il continuare il mio ministero di sacerdote in una nuova parrocchia
mi porta a pensare che è il Signore che opera e noi, poveri uomini, non
possiamo fare altro che metterci nelle Sue mani.
Eccellenza, questa nomina, come Lei ha scritto nella lettera che ha voluto
indirizzare ai fedeli delle nostre comunità del Vicariato di Luni, si è resa
necessaria per una carenza di preti, non avendo sacerdoti da inserire nella
nostra realtà e quindi ha fatto la scelta che ha ritenuto più opportuna e
giusta.
Ma come Lei ha scritto, i rapporti personali di amicizia e collaborazione
possono e devono continuare. Lei ci ricorda che siamo qui per servire Cristo e
la Sua Chiesa e oggi, con questo spirito, inizio come parroco il mio ministero
in questa comunità del Sacro Cuore ed al Sacro Cuore di nostro Signore voglio
affidare queste persone, in modo particolare i giovani ai quali dobbiamo
guardare con predilezione e speranza perché, come amava dire il Papa San
Giovanni Paolo II, loro sono il futuro della Chiesa.
Saluto e ringrazio i miei confratelli sacerdoti e diaconi qui presenti e, in
modo particolare, la mia gratitudine va al diacono Alfio che da diversi anni
serve questa comunità ed a don Alessandro che in questo ultimo anno, insieme ad
Alfio, mi hanno aiutato nella gestione della parrocchia e, con la loro presenza
e la loro opera, hanno fatto sentire questa comunità un po’ meno orfana.
Ringrazio il Signor Sindaco per il saluto che ha portato a nome della
cittadinanza, i vigili ed i carabinieri con i loro comandanti. Ringrazio
Stefania per le belle parole di presentazione della parrocchia e di speranza
che ci ha donato. Ringrazio il coro, i chierichetti e chi ha servito all'Altare. Ringrazio i miei familiari
ed amici e voi tutti, parrocchiani nuovi e vecchi ed a tutti chiedo di pregare
per me. Maria, che qui voglio ricordare con i titoli Del Rosario, Ausiliatrice,
Addolorata e della Guardia, guidi e protegga il cammino che oggi iniziamo
insieme! Grazie”.
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LETTERA A UNO ZIO “SPECIALE”
di Paola
Caro Piero, sono tante le
parole che avremmo voluto dirti se ne avessimo avuto la possibilità. Tu per noi
sei stato parte integrante della famiglia, un figlio per il babbo e la mamma e
un fratello per mia sorella e per me.
All’inizio non è stato facile, abbiamo dovuto adattarci alla nuova situazione,
alla convivenza reciproca, al nuovo equilibrio familiare. Abbiamo dovuto fare
delle rinunce, rivedere le nostre abitudini e il tran tran quotidiano. Ci sono
stati periodi duri in cui abbiamo avvertito la stanchezza, in cui non ci
sentivamo all’altezza del compito ma siamo comunque andati avanti ogni volta ripartendo
da capo. Non sono mancate le sfuriate, specie tra te e la mamma, ma poi,
passato il momento, tornava il sereno e tu mostravi la tenerezza che ti
apparteneva rivolgendoti a lei con l’epiteto affettuoso “tatina”.
Se vi sono stati sacrifici da parte nostra tu li hai ampiamente ripagati con il
tuo essere speciale.
Si parla spesso di disabilità con commiserazione come se fosse un “marchio” di
inferiorità, ma non è così. Abbiamo imparato da te ad apprezzare la ricchezza
d’animo delle cosiddette persone “diversamente abili”: tu, sì, eri diverso
dagli altri, non perché non avevi mai camminato ma perché avevi una marcia in
più per il modo positivo di vedere e affrontare la vita. Ci hai regalato una
grande lezione di vita: non ti sei mai lamentato del tuo handicap, anzi hai
fatto del tuo limite la tua forza e ci hai insegnato che la vita può essere
bella e preziosa anche con qualcosa in meno. Di te ricordiamo l’allegria
contagiosa che ti accompagnava per tutto il giorno fin dal risveglio quando
iniziavi a cantare il tuo personale repertorio degli anni ’60, la battuta
sempre pronta, ma soprattutto l’ottimismo, l’attaccamento alla vita, la
speranza nel futuro. La tua generosità e il tuo altruismo ti portavano poi a
confortare e ad avere parole di incoraggiamento per gli altri proprio tu che
eri nella condizione più svantaggiata. Avevi tanti pregi, uno tra tutti la
spontanea capacità di gioire delle piccole cose per molti di noi
insignificanti. Bastava anche un piccolo dono per renderti felice: un quaderno,
una penna, un portachiavi era per te fonte di grande contentezza. Era questa
semplicità infantile che colpiva quanti ti incontravano. Ti piaceva stare in
mezzo alla gente e alla gente piaceva la tua compagnia. Tutti ti volevano bene
e come non volertene.
Ricordo che ringraziavi sempre le persone che venivano a trovarci a casa per
essersi fermate a conversare con te anche solo per pochi minuti.
Non possiamo dimenticare la tua arrendevolezza che non è segno di debolezza ma
piuttosto serena accettazione degli eventi. Mia sorella mi rammentava un tuo
soggiorno a Lourdes di tanti anni fa che esprime bene questo lato del tuo
carattere: in quella circostanza, durante il bagno nella vasca dell’acqua
miracolosa, chiedesti alla Madonna la grazia di farti camminare ma poi aggiungesti
subito dopo: “Se non è possibile va bene lo stesso”. Questo eri tu con un cuore
grande così, un pensiero sempre per tutti, anche per chi non vedevi molto
spesso. Con la tua mitezza ci hai conquistato e noi custodiremo per sempre
nella nostra mente la memoria di te.
Mi preme anche sottolineare la grande dignità, la tenacia e il coraggio con cui
hai affrontato questi lunghi mesi di malattia senza mai far pesare l’evidente
sofferenza che si leggeva sul tuo volto e sul tuo corpicino provato, sofferenza
che tu hai sempre mascherato dietro un sorriso, seppur forzato. E quando ti si
domandava: “come va, come stai?”, mai una volta è uscita dalla tua bocca la
parola “male” o l’espressione “non ce la faccio più”, tu invece anche con un
filo di voce come negli ultimi giorni rispondevi “meglio, mi sto riprendendo,
ci vuole pazienza”, e di pazienza tu ne avevi da vendere. Tutto questo perché
non volevi che gli altri si dessero pena per te.
Anche se siamo certi che tu sappia quanto affetto nutrivamo per te, è stato un
dolore insopportabile non esserti stati vicino nel momento del trapasso per
darti forza, per dirti quanto ti volevamo bene o anche solo per tenerti la mano,
per accarezzarti la testa. Una certezza mi rincuora: sapere che ci guardi da
lassù in cielo dove ora sei sereno e finalmente libero di correre con le tue
nuove gambe o addirittura di volare, angelo, tra gli angeli.
Mi piace pensare, come mi ha detto una mia amica, che te nei sei andato via in
fretta su una Ferrari rossa fiammante, la tua grande passione.
Mia sorella ed io siamo grate ai nostri genitori per aver scelto di tenerti con
noi e di accoglierti in famiglia dopo la morte della nonna perché questo ci ha
dato l’opportunità e la fortuna di conoscerti e di poterti amare. Grazie per
aver arricchito le nostre vite. Ora lasci un vuoto enorme, ci manca la tua
simpatia, la tua solarità, la tua gioia di vivere ma nessuno ci porterà via i
tanti bei ricordi che abbiamo di te.
Non ti dimenticheremo e sappiamo che un giorno ci ritroveremo pertanto il
nostro non è un addio ma un arrivederci.
Ciao
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