N° 5 - Maggio 2017
Spiritualità

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  MAGGIO E LE ORIGINI DEL ROSARIO
di Antonio Ratti


A parte la ricorrenza della prima domenica di ottobre dedicata alla Madonna della vittoria, festività liturgica istituita nel 1572 da papa Pio V in ringraziamento della vittoria della flotta cristiana nella battaglia navale di Lepanto (7-10-1571) che servì ad arrestare l’avanzata islamica verso occidente e modificata da papa Gregorio XIII nel 1573 in Madonna del rosario, il mese dedicato al rosario è il mese di maggio. Maggio è, palesemente, il mese della maggiore fioritura delle rose e dei roseti. E il nome rosario deriva dalle corone e collane di rose con le quali, in questa stagione, fin dal primo medioevo si era soliti adornare il capo o il collo delle immagini di Maria. Il vocabolo del tardo latino rosarius significa, appunto, collana. Ma l’origine della preghiera più cara al culto mariano è molto più antica e complessa affondando le sue radici nei riti ebraici che si svolgevano nel tempio di Gerusalemme. I Salmi di Davide venivano dai sacerdoti “salmodiati”, cioè cantati al suono del salterio (strumento musicale a corde di origine pastorale) che cadenzava il ritmo, un po’come accade, tanto per dare un’idea, oggi quando si cantano le litanie mariane al termine della recita del rosario. La lettura e la recita dei Salmi erano una consuetudine nei cenobi e nei monasteri quale forma di preghiera comune e di meditazione solitaria. Le prime espressioni di liturgia delle ore si chiamavano salterio, perché, alla maniera ebraica, i Salmi venivano salmodiati dalla comunità cenobitica. La diffusione delle comunità monastiche richiamò all’ideale di vita contemplativa un sempre maggior numero di persone, il più delle volte analfabete, quindi impossibilitate alla lettura, così, pian piano, gli abati impararono a suggerire al posto dei 150 salmi davidici, una preghiera facilmente memorizzabile come il Pater noster e successivamente, attorno al millecento, quando il culto mariano divenne fonte primaria di preghiera, gradualmente si sostituì il Pater noster con l’Ave Maria o Salutazione angelica. Questa forma di preghiera che sostituiva, come abbiamo visto, il salterio vero, si chiamava Salterio della Beata Vergine. L’usanza di recitare il Pater noster in alternativa ai Salmi si affacciò in Occidente addirittura nell’800. Questa prescrizione si incontra nelle Regole dell’Ordine dei cistercensi: ogni sacerdote deve celebrare 20 S.Messe all’anno per ogni membro dell’Ordine e ogni fratello laico deve recitare 10 salteri o 1500 volte il Miserere o 1500 volte il Pater noster. Nell’Ordine dei Templari esisteva un’analoga prescrizione. Verso il millecento la diocesi di Parigi, per es., menzionava nell’elenco delle preghiere da recitare, oltre al Pater noster anche l’Ave Maria che all’epoca era ancora composta dalla prima parte, la salutazione angelica. Tale forma di Salterio della Beata Vergine era oggetto di numerosissime varianti mantenendo, però, il carattere di semplicità e accessibilità a tutti. Restava la lunghezza che rappresentava un grave ostacolo alla sua diffusione tra i fedeli laici. Infatti ad ognuna delle 150 Ave Maria ( una per ogni salmo ) seguiva una meditazione. Lo scopo dei monaci era, oltre la preghiera continua, di riflettere in profondità sui misteri della salvezza. Si cercò, pertanto, di accorciare questa forma riducendo il numero delle Ave Maria e delle meditazioni. Nel 1300 – 1400 prese piede la consuetudine di un rosario costituito da 60 Ave Maria più tre iniziali per un totale di 63. Probabilmente questa formulazione proviene da S. Brigida, mistica svedese, che riteneva 63 gli anni che la Beata Vergine visse sulla terra. Sempre nel 1400 nacque un rosario ispirato al numero 33, gli anni di Cristo, che era composto da 33 Pater noster. Era in uso anche la recita di 5 Pater noster in onore delle 5 piaghe di Gesù a cui venivano abbinate 5 Salutazioni angeliche. Tutte queste pratiche si fusero in un Salterio di 96 orazioni tra Pater noster e Ave Maria. Restavano sempre il gran numero di meditazioni, sicchè la tanto sospirata brevità era ancora da venire. Un decisivo impulso a questa pratica verso la snella forma attuale si deve al domenicano Beato Alano de La Roche (morto nel 1475). Il santo bretone ebbe il merito di riportare a 150 (come i Salmi) il numero delle Ave Maria, suddivise in 15 misteri meditativi da 10 Ave Maria ciascuno, a sua volta, frazionati in tre corone ( misteri gloriosi, gaudiosi, dolorosi) da 50 Ave Maria, da 5 misteri o meditazioni e da 5 Pater noster come le piaghe di Gesù. E’ di questo periodo il cambio di nome da Salterio della Beata Vergine a Rosario della B.V., perché si volle immaginarlo come una corona di rose spirituali offerta a Maria. Dopo un’apparizione della Madonna, S. Domenico impegnò se stesso e il suo Ordine nella diffusione della recita del rosario, tanto che i domenicani furono e sono ancora oggi i più fervidi ispiratori delle Confraternite del Rosario per la promozione della sua recita quotidiana. Un problemino pratico era tenere il conto dei Pater noster e delle Ave Maria, così si passò dai sassolini spostati da un mucchietto all’altro dei cenobi del deserto alle cordicelle munite di nodi dette contapreghiere o più comunemente paternoster, fino alle moderne corone del rosario. Durante le sue apparizioni, Maria ha manifesto sempre la grande predilezione per questa pia pratica; in modo particolare ne chiese la recita a Luordes, a Fatima e oggi a Medjugorje. Il beato Giovanni Paolo II, grande devoto del rosario, con la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 16-10-2002, alle 15 decine, divise in tre serie (poste o corone), ne aggiunse una quarta che portavano a 20 le decine: i misteri della luce o luminosi, per esaltare la cristocentricità mediata da Maria.



  LA GRANDE VEGLIA DEL SABATO SANTO
di MILA


                                               

 

Sabato Santo: la grande veglia in ricordo della Resurrezione di Nostro Signore. Eravamo in pochi ma credo che la Fede, la Speranza, la Carità e l’Amore, l’amore per Gesù e la sua Chiesa, fossero con noi. Tutti assieme, abitanti di Luni Mare e villeggianti, i villeggianti “storici”, quelli che da anni ormai appena possono vengono a trascorrere qui le loro vacanze e frequentano la nostra piccola chiesa, come dice don Carlo.
Il fuoco acceso, con i rami d’ulivo benedetti l’anno scorso, su di una griglia per barbecue davanti alla porta laterale della chiesa in modo da poter usufruire della luce accesa all’interno. Attorno a noi il buio, rotto solo dalla debole luce di un lampione nascosto tra gli alberi e da una fila di lampadine, su in alto come stelle, che circondano la chiesa e la croce che la sovrasta.
Nelle nostre mani tante candeline accese che nel buio illuminavano la scena rendendola misteriosa e magica nel ricordo di quella notte lontana in cui si era conclusa la Passione di Nostro Signore culminata con la Sua Resurrezione e la nostra Redenzione. Avevamo anche un sacerdote “foresto” che officiava e il nostro don Carlo che faceva da “aiutante” e dirigeva il tutto, non so perché mi ricordava San Pietro, me lo vedevo indaffarato attorno a Gesù a darsi da fare perché tutto andasse bene. Benedizione del fuoco, piccola processione verso la porta principale della chiesa, benedizione dell’acqua e ricordo del nostro battesimo. Le letture e poi il Gloria!!! Mentre l’assemblea esplodeva in questo inno di gioia si è sentito giungere dal fuori il suono delle campane ma in lontananza, un po' ovattato, come se giungesse dal Cielo.
Io ho voluto sperare che Gesù ci stesse benedicendo. Per concludere questa Pasqua ieri, domenica dedicata alla Misericordia di Dio, durante la Santa Messa è stato celebrato il battesimo di una bambina già grandicella e due sposi hanno festeggiato il loro cinquantesimo di matrimonio. Anche questo è stato un bel “segno”.
Come devo concludere? Preghiamo perché Gesù interceda col Padre per noi e faccia sì che le cose del mondo non peggiorino e si possa giungere presto alla Pace.   

                                                                                               

                                                                                    

  Da Medjiugorje
di Arcivescovo di Varsavia


 

 “A Medjiugorje la venerazione della Madonna è talmente intensa da essere importante per il mondo intero. Abbiamo bisogno dell’intervento del Cielo e la presenza della Beata Vergine Maria è uno di questi interventi, dell’iniziativa di Dio. (…) Maria è Regina, noi contempliamo i Misteri Gloriosi del Rosario e contempliamo Lei che è Regina del Cielo e della Terra.”

Le parole dell’Arcivescovo di Varsavia Hoser, inviato speciale del Papa a Medjiugorje, sabato 1° aprile 2017


  Divina Misericordia
di Papa Francesco




Guardando te, Madre nostra Immacolata, riconosciamo la vittoria

della Divina Misericordia, sul peccato e su tutte le sue conseguenze;

e si riaccende in noi la speranza in una vita migliore,

libera da schiavitù, rancori e paure.”

Papa Francesco, 8.12.2015


  Una Madre…
di Chiara Lubich




Una madre non cessa mai di amare il figlio se cattivo, non cessa d’aspettarlo se lontano, non desidera altro che ritrovarlo, perdonarlo, riabbracciarlo: perché l’amore d’una madre profuma tutto di misericordia, L’amore di una madre è qualcosa che è sempre al di sopra di qualsiasi situazione dolorosa o condizione penosa in cui si trovi suo figlio. E’ un amore che non viene mai meno di fronte a qualsiasi burrasca morale, ideologica o d’altro genere, che possa travolgere il figlio. Il suo è un amore che, perché sta sopra a tutto, è desideroso di tutto coprire, nascondere. Se una madre vede il proprio figlio in pericolo, non esita a rischiare ogni cosa, a buttarsi sulle rotaie d’un treno se minaccia d’essere travolto o nelle onde del mare se è in pericolo d’annegare. Perché l’amore di una madre è naturalmente più forte della morte. Ebbene, se così è delle madri normali, si può ben immaginare cos’è di Maria, Madre umano- divina del bimbo che era Dio, e Madre spirituale di tutti di noi! Maria è la Madre per eccellenza, il prototipo della maternità, quindi dell’amore. Ma giacché Dio è l’Amore, Ella appare come una “spiegazione” di Dio, un libro aperto che spiega Dio. L’amore in Dio è stato così grande da farlo morire per noi della morte più atroce. E ciò per salvarci: appunto come il motivo dell’amore d’una madre è il bene del figlio. Maria, perché Madre divina, è la creatura che più copia Dio e più ce lo mostra. Noi dobbiamo ravvivare la fede nell’amore di Maria per noi, dobbiamo credere che ci vuole bene così. E imitarla, perché è il modello di ogni cristiano e la via diretta che porta a Dio.



  La bellezza di Gesù
di Giuliana Rossini



 

“Ma Gesù era bello?” Si chiede il grande scrittore francese François Mauriac, premio Nobel per la letteratura, ne “Il giovedì Santo” (Medusa, 1931) di cui l’Avvenire del 13 aprile 2017 ripropone appunto il saggio “Gesù era bello?”.
Per il Nostro la risposta è affermativa, anche se sostiene che ciascuno si raffigura il Nazareno secondo la propria sensibilità, formazione, le proprie aspettative ed esigenze. In effetti la bellezza di Gesù è soprattutto un fatto interiore, spirituale che si manifesta oggi (specialmente ai santi e ai mistici) come allora, ai suoi contemporanei, solamente a chi si abbandona completamente a Lui, credendo alla sua parola. Mauriac ritiene che il pittore che ha dato del Cristo una delle immagini più fedeli al Vangelo, sia Rembrandt. Non meraviglia, dato che il pittore olandese ha mirabilmente penetrato, nei suoi  dipinti, il messaggio evangelico, raggiungendo vette altissime, come nel celebre capolavoro “Il ritorno del figliol prodigo”.

Di fatto, l’aspetto fisico del Cristo nulla diceva agli scribi e ai Farisei che vedevano in Lui solo un presuntuoso bestemmiatore che osava dirsi Figlio di Dio, nemico implacabile dei loro privilegi e pertanto da eliminare. Giuda, per farlo riconoscere ai soldati che erano venuti a prenderlo nell’orto degli Ulivi, non poté dire: “È il più bello, il più alto, il più imponente tra tutti…” ma dovette ricorrere ad un bacio. Non fu così, però, per dei poveri e ignoranti pescatori che, affascinati dal Suo sguardo, dalla luce che ne scaturiva e dalla dolcezza dei modi, abbandonarono tutto per seguirlo: reti, affetti, casa, patria… Cosa videro in Gesù i primi discepoli? Una profonda empatia verso chi avvicinava, che lo faceva piangere per la morte di un amico e lo rendeva incapace di restare indifferente verso le miserie altrui, ma soprattutto a conquistarli fu quello sguardo pieno di misericordia, mitezza, ma anche autorevolezza: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini!”. Fu come un colpo di fulmine, dopo, più nulla importava loro, se non seguire il Maestro. Già Andrea, fratello di Pietro, presente sul Giordano al momento del Battesimo di Gesù, aveva avuto il privilegio di cogliere quella speciale “trasfigurazione” del Cristo che si manifesta a chi ha un incontro profondo, ravvicinato, direi, con Lui e comunicava turbato e trepidante al fratello “Ho visto il Messia!”. Miracoli che avvengono nei cuori docili, pronti ad accogliere la novità del Vangelo.
Ma anche le donne non furono da meno, anch’esse attratte da quella luce sfolgorante che emanava dal Figlio di Dio e per lui abbandonarono tutto, per seguirlo fin sotto la croce.

Sì, secondo la Scrittura Gesù ha come due aspetti, quello dimesso scorto da Farisei e Sacerdoti e quello grandioso messo in rilievo dalla fede e dagli occhi dell’anima. Facendosi uomo, Gesù scelse la strada che lo accomunava di più all’umanità, si fece uno come noi, non imponente, non particolarmente bello, almeno ad un primo sguardo superficiale. “Non ha apparenza di bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere” ci ricorda Isaia. Anzi, il Figlio di Dio andò oltre, non disegnò di farsi come uno “davanti al quale ci si copre la faccia” disprezzato e di cui non si aveva alcuna stima, sempre secondo quanto afferma il grande profeta biblico. Gesù capovolge tutti i criteri, anche quello della bellezza, illuminando tutto attraverso l’amore. Ci presenta una nuova dimensione della bellezza che scaturisce dal suo donarsi totalmente all’umanità: tumefatto, sanguinante, prostrato dalle percosse, trafitto da spine, chiodi e dalla lancia, appeso alla croce è più maestoso e luminoso che mai; ci fa intravvedere la bellezza e la luce che sta dietro al dolore, alla mancanza, alla prostrazione, alla finitezza, alla debolezza, alla disabilità…
È il paradossa di Gesù, che non fu geloso della sua divinità, ma si abbassò fino ad impastarsi con la terra e a morire per noi in modo vergognoso (la morte di croce era destinata ai malfattori) per essere poi glorificato nei cieli. A noi indica la metafora del chicco di grano che se non muore non porta frutto, ma se si decompone nel terreno porta frutto in abbondanza.

Mi viene in mente il giovane scrittore Federico De Rosa, affetto da autismo, che nel suo libro “L’isola del noi” (Ed. San Paolo) ribalta tutti i criteri di giudizio, sostenendo, non solo che i diversi siamo noi, i “normotipici”, ma anche che, solo scoprendo la bellezza della diversità, è possibile costruire una integrazione piena tra tutti.

                                                                                    



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