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Dal DIARIO di un PELLEGRINO
di Gualtiero Sollazzi
IL SICOMORO
E’ un
albero del Medioriente, alto e dall’ampia chioma. Lo si conosce soprattutto a
causa di Zaccheo, il pubblicano raccontato da Luca. Quell’uomo sente di Gesù e vuol vederlo. Il
Maestro è sempre assediato dalla folla e per uno piccolino come Zaccheo,
poterlo scorgere è un problema. Un albero, il sicomoro appunto, può offrire la
giusta soluzione. Se ci si sale, Gesù
potrà essere visto dall’alto. Cosa che Zaccheo fa. Sappiamo com’è andata a
finire e quali orizzonti impensati si sono spalancati per quell’uomo.
Tutto
è cominciato perché è salito sull’albero. Questo diventa immagine di ciò che
siamo chiamati a realizzare nella nostra vita spirituale. Il resto, come
sempre, lo farà il Signore. Ma occorre salire. Un “salire” fatto di tante cose:
belle e faticose, talvolta col sapore aspro della croce e col prezzo di lacrime
amare accompagnate, però, dalla consolazione di Dio.
Non facciamo nostra una notazione, che ha
l’aria della resa, del poeta Eugenio Montale: “Si tratta di arrampicarsi sul
sicomoro per vedere Gesù, sa mai passi. Ahimè, io non sono un rampicante, non
sono salito, non l’ho visto.”
Se
davvero quel Volto lo cerchiamo, Lui si farà trovare.
LA PAROLACCIA
Solidarietà:
una parola col sapore del Vangelo. Il significato letterale rimanda al
debitore, obbligato a saldare tutti i debiti contratti. Sottotraccia potremmo
ricavarne domande provocatorie e non tanto peregrine, tipo: chi non è debitore
verso il fratello nel bisogno?
La
parola oggi rischia la cancellazione. Non dalla gente comune, ma dai potenti,
dai cosidetti poteri forti. Afferma il Papa: “per molti solidarietà è una
parolaccia.”
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I SENZA MEMORIA
di Stefania
“
Siamo senza memoria, senza Dio, non viviamo appieno la nostra vita.” Questa
potrebbe essere la definizione dell’uomo moderno.
Perché
stiamo vivendo in un mondo disidratato d’amore? Perché ci sono così tanti
attentati che ci tolgono la quiete?
Perché
c’è chi non adempie il suo lavoro in modo onesto, leale, retto e inquina l’aria,
il cibo o sfrutta le competenze per i propri interessi a danno della collettività,
utilizzando le proprie responsabilità solo per avere più potere sugli altri,
più diritti, più agevolazioni e, non sentendosi persona uguale agli altri, ma
superiore, arrivare a ritenersi un dio onnipotente? Perché c’è chi si sente
furbo e non rispetta le regole, per esempio, non pagando le tasse? A danno
ovviamente di chi le deve pagare maggiorate
per colpa degli evasori?
Viviamo
in un mondo pieno di sofferenza e ingiustizie varie: come siamo arrivati a
questo? Ci siamo dimenticati chi siamo,
da dove veniamo, perché siamo qui e dove ciascuno di noi, nessuno escluso, deve
ritornare al termine della vita terrena. Perché non pensiamo a cosa succederà
quando ci troveremo soli con la nostra anima di fronte al Creatore, Dio
dell’amore e misericordioso poiché vuole salvarci tutti? Infatti un Dio
misericordioso è anche giusto, quindi in cielo e in terra non può esserci amore
vero e pace vera senza la giustizia vera come Lui ce la insegna.
Quanta
ipocrisia, quanta falsità, quanta menzogna, quanta sofferenza, quanta
ingiustizia incontriamo quotidianamente!
Una volta in ospedale, dove svolgevo il mio servizio di volontaria
dell’AVO, ho ricevuto la confidenza di una paziente che il giorno dopo doveva
essere operata: mi diceva che si sentiva molto serena perché, anche se
l’intervento non fosse andato a buon fine e non si fosse risvegliata, aveva la
certezza d’incontrare il Dio giusto e misericordioso che le avrebbe fatto
pagare nel Purgatorio solo ciò che non era riuscita a rimediare, ritardando
solo di poco la gioia del Paradiso. Se fossimo più attenti e riflessivi,
eviteremmo di cadere nelle numerose trappole che il nemico storico di Dio mette
sulla nostra strada. Solo il demonio può beneficiare della nostra perdita di
memoria verso il bene. Mentre quanto sollievo avremmo sapere che il nostro Dio
è Misericordia, che ama tutti senza distinzione e che non è interessato a ciò
che conosciamo e possediamo, ma gli preme solo come ci comportiamo col nostro
prossimo. Essendo vero padre, siamo troppo importanti per Lui e opera sempre
per il nostro ritorno e ci aspetta a braccia aperte, dimenticando subito il
nostro allontanamento e ridonandoci la sua grazia, se il nostro desiderio di
riconciliazione è sincero e profondo.
Diversi
anni fa a Massa, dove ero stata per fare shopping, mentre tornavo alla macchina
scoppiò un improvviso e forte temporale, vicino alla chiesa di San Sebastiano
un giovane senegalese vendeva ombrelli, ma non avevo più soldi. Mi ricordai che
in macchina avevo il denaro sufficiente, così chiesi al ragazzo se poteva
anticiparmi l’ombrello per andare a prendere i soldi in macchina senza
inzupparmi. Ricordo ancora lo sguardo e la luce negli occhi quando in maniera
garbata e sicura mi disse: “ Tieni, prendilo pure, io non mi preoccupo affatto,
se tu non me li porti, non fai il male a me, ma a te stessa, perché Dio ti
vede…” E’ vero, Dio ci vede ed è meraviglioso averne la certezza: per questo
non dobbiamo avere paura. Dio sa chi siamo, come ci comportiamo con gli altri e
sa come gli altri si comportano con noi; conosce il bene e il male che facciamo
come il bene e il male che riceviamo.
Avere paura non ha senso; l’unica nostra preoccupazione deve essere
quella di scegliere con chi intendiamo camminare nel sentiero della vita e con
quale spirito desideriamo farlo. Questa scelta di fondo ci impedisce di vivere
senza memoria verso il nostro Creatore e verso il nostro Signore Gesù.
Mercoledì della settimana Santa la nostra guida terrena, papa Francesco ha
detto: “Tutti siamo peccatori e possiamo cambiare solo se cerchiamo di vedere
le nostre colpe: allora il nostro cuore diventerà più umano.” Buon cammino di
conversione quotidiano per ciascuno di noi. La Mamma celeste, della quale il
prossimo 13 maggio festeggeremo un secolo della sua apparizione a Fatima, ci
invita alla conversione e alla preghiera, perché al più presto il mondo, dove
noi e i nostri figli viviamo, possa scoprire finalmente la vera pace, che vuol
dire anche armonia, concordia e giustizia.
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“VIVA MAGGIO CHE DA’ VACANZA”
di Romano
Nel
passato sono custodite le nostre anime, la nostra storia, la nostra patria.
Senza passato l’uomo è solo un punto sperduto negli eventi fortuiti del tempo e
dello spazio. Massimo Marcesini ha scritto una pagina di storia del nostro
paese che ogni ortonovese dovrebbe avere nella propria biblioteca. Vi troverete
non solo i nomi dei vostri avi (io vi ho trovato i nomi di quattro bisnonni),
ma anche una grande dimostrazione di vita sociale, vissuta nel periodo più
fecondo d’ideali che l’Italia abbia mai avuto.
Quello che si evince maggiormente da
questo libro è la grande vitalità e il fermento ideologico dei nostri antenati.
Negli anni che vanno dal 1860 al 1940
il nostro borgo, molto popoloso (e qui sta la spiegazione e la differenza), ha
vissuto in un conflitto ideologico permanente.
Nella massima espansione delle loro
idee, mazziniani, socialisti, monarchici, cattolici, anarchici, fascisti sono
stati sempre in perenne conflitto fra di loro, anche violenti. Una sera del
1870 o giù di li, Ferrari Battista, socialista sfegatato, cadde in un’imboscata
dei mazziniani e fu picchiato selvaggiamente. Da quel giorno usciva di casa
sempre con un nodoso bastone e perciò fu chiamato “Batì dal baston, poi
Batiston”. Quando Beniamino Raganti, sindaco, ortonovese, portò il comune a
Casano fu assalito e costretto a fuggire in America. Lo scrive anche don Pesce.
Ora che ci hanno umiliato con la dittatura della minoranza, niente.
La novella di Ceccardo che Massimo ci fa leggere sul primo maggio
del 1893 da perfettamente l’idea di quello che stava bollendo in pentola a
Ortonovo in quegli anni. Leggetela attentamente. Collefiorito = Abate
Montefiori; Avvocato Senza Procura = Antonio Bianchi, ecc.
Nel 1889 fu istituita, in tutto il
mondo, la festa del Lavoro del Primo Maggio, simbolo della “Rivoluzione
Socialista”. In quel giorno una rivolta popolare, in America, causò la morte di
alcuni poliziotti, e fatalmente portò la repressione. Come a Ortonovo nel 1894,
si cercarono dei capri espiatori. In America, vennero acciuffati otto
malcapitati e senza prove certe, così
come a Ortonovo, vennero impiccati. Anche in America due morirono in carcere, a
Ortonovo invece tre. Oggi la festa ha perduto la sua connotazione ideologica,
tutti l’hanno eletta, a propria immagine, anche i capitalisti (festa
dell’operosità umana), anche i cattolici (san Giuseppe artigiano). “Che ogni
uomo sia stimato non per quello che possiede ma per l’apporto che offre alla
comunità secondo il suo talento”, ma a quei tempi era considerata una festa
proletaria anticlericale e anticapitalistica, ed era temuta dalle autorità,
come si evince dalla novella di Ceccardo. A Ortonovo arrivarono i soldati
guidati dal brigadiere Marocco, e le scuole furono chiuse. “Viva maggio, che da’
vacanza”, cantavano i ragazzi per le vie del borgo, ma la tensione per le
strade era tanta, perché i lavoratori disertando il lavoro senza
autorizzazione, fatalmente si sarebbero
riuniti in assemblee sediziose. “A Ortonovo anche le pietre sono anarchiche”,
ha detto Fasholin al tribunale di Massa.
Ma la cosa che più mi ha
turbato in questa novella, che non avevo mai letto (complimenti a Massimo che
l’ha rintracciata), è la morte di un lavoratore, schiacciato, sotto una trave
nel “cantiere san Lorenzo”.
Gianoli Dante, padre di “Cambrata”,
e della Maria d Baldin: novantenne, ancora vivente (abita a Isola dalla figlia
Francesca), morì sotto una trave in piazza san Lorenzo, venti anni dopo (?)
questa novella. I padroni però, questa volta, non ne avevano colpa. Il Gianoli
era un gigante come suo figlio Cambrata, che tutti noi abbiamo conosciuto, e,
per una scommessa, si fece mettere sulle spalle una grossa trave. Cadde, e morì
schiacciato.
Anche il motivo dell’assassinio,
raccontato nella novella, mi porta alla mente, l’assassinio del sindaco
Montefiori, fascista (“pagh’la té p’r i tu fradei”), che, come quello
della novella, a differenza di quel che si è voluto far credere dal regime di
quei tempi, oltre che per vendetta (i fascisti, poco prima, avevano ucciso suo
fratello), e odio ideologico, fu assassinato anche per gelosia (1921) (“daila
té; al toc’ a té”, dicevano gli amici a Sevé). Me lo hanno confermato
diversi personaggio dell’epoca, una delle quali, proprio la figlia di Luigi
Piola, uno dei protagonisti di questo libro: “La Gemma, moglie di Sevé, era
una bella donna a cui il sindaco dava noia”.
Ceccardo
Ceccardi Roccatagliata, “poeta, storico e patriota”, e veggente!?
P.s.
Nel centenario di quei tragici giorni, nella sala consiliare, il comune ha
ricordato quella pagina di storia repressa nel sangue dall’esercito di Crispi.
In quella occasione ci fu la proposta di una lapide commemorativa: ma anche
questa come quella dei dispersi in Russia, è finita nel dimenticatoio.
Ma
salvare dall’oblio quei nomi è richiamare alla memoria un passato carico si di
drammi, ma anche di speranze e di valori che in quegli anni, erano feconde
premesse di un avvenire migliore.
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ALA SPEZZATA
di Marta
Era
tempo di cova, le giornate infatti cominciavano a intiepidirsi e i merli si
prodigavano a preparare il nido. Una giovane coppia, che aveva scelto un
arbusto frondoso non molto alto, aveva cominciato l’andirivieni per costruire
il nido: nel becco portavano piccoli sterpi e fango che a turno intrecciavano.
Finita l’opera, la merla depose quattro uova e cominciò a covarle. Nacquero
quattro merlotti, che crescevano a vista d’occhio. Giunto il tempo di provare a
volare, saltellavano a piccoli voli tra i rami dell’albero, finché il più
temerario spiccò il volo, ma, ahimè, sotto vi era un gatto che da giorni stava
a caccia appostato nell’erba: con un balzo fulmineo lo catturò. Il merlotto si
dimenava, gridava, i genitori rincorrevano il gatto, volandoci sopra la testa,
con grida e sbattere d’ali nella speranza che mollasse la preda, ma tutto è
stato inutile. Il secondo, forse il più robusto, riusciva a volare più in alto
e seguiva i genitori stando attento agl’insegnamenti che con le loro grida gl’impartivano.
Il terzo, più debole o pauroso, nello spiegare le ali, cadde e fu preda anche
lui del solito gatto predatore. L’ultimo rimasto, all’apparenza il meno robusto
della nidiata, nel tentativo di volo, si era ferito ad un’ala rimanendo impigliato
nella sottostante siepe, ma, per sua fortuna, ha resistito a terra per molto
tempo nascosto proprio dal fogliame della siepe, fino al completo svezzamento,
perché i genitori continuavano a nutrirlo come potevano. “Ala Spezzata” dalla
frattura era guarito non perfettamente, infatti la parte legata al corpo aveva
ripreso la sua piena funzionalità, mentre quella verso l’esterno era rimasta
rigida, limitando i movimenti. Comunque imparò a muoversi in modo adeguato per
sfuggire ai pericoli e a rendersi del tutto autosufficiente. La sera col calare
del sole Ala Spezzata usciva per cibarsi a caccia di insetti e nel prato
cercava dei vermetti di cui era ghiotto. Quante erano le probabilità che Ala
Spezzata potesse sopravvivere? Ho notato
che con l’estate Ala Spezzata, nonostante i postumi dell’ala fratturata, aveva
imparato a volare bene e con sicurezza. Ecco
l’autunno, cadono le foglie: Ala Spezzata non è più solo, ha una compagna. Passato
l’inverno, mi chiedevo se mai avrei rivisto ancora Ala Spezzata. Quanta gioia,
nella nuova primavera, vederlo pieno di voglia di vivere, fischiettare con la
sua compagna in cerca di sterpi e steli d’erba per il suo nido. E’ bellissimo
il canto dei merli, mai la stessa nota, i gorgheggi sono prolungati, vari e
gradevoli: hanno una loro speciale armonia. E’ noto che ai merli gli si può
insegnare a fischiettare le canzonette, infatti una mia vicina ha insegnato al
suo merlo a ripetere “Bella ciao.” Per
il nido Ala Spezzata ha fatto un’ottima scelta: il ramo non era troppo basso,
né troppo alto di un acero canadese, che con le sue larghe foglie ripara il
nido anche dalla pioggia. Così Ala Spezzata dopo un anno, da buon padre, era
lui ad insegnare alla sua prole, che lo seguiva nei suoi movimenti, l’arte del
volare e del sopravvivere in un mondo pieno d’insidie. A
saperlo vedere e cogliere, sarebbe molto educativo ciò che esseri inferiori all’uomo
sanno insegnarci. Madre
natura e le sue creature sono una fonte inesauribile di insegnamenti per il
presuntuoso Homo sapiens.
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Comunicato de "L'Isola Felice"
di L'Isola Felice
L'Isola Felice sta cercando
persone che vogliano dilettarsi col teatro. È infatti in programma la recita di
un pezzo scritto da Anna Maria VenturinVai al sito
i e da due collaboratori. È ambientato
negli anni 60 ed intitolato " gente delle nostre parti" (nel nostro
dialetto "genta dn tor d chi"). Purtroppo non è stato ancora
possibile metterlo in scena perché quei pochi che conoscono il dialetto non se
la sentivano di recitare. A questo punto si è deciso di proporla in italiano.Si
tratta di una commedia comica scritta da Anna Maria sulla base di fatti direttamente vissuti o
riferiti da parenti e conoscenti, abitanti in Ortonovo e Marinella.Le domande
di partecipazione possono essere inoltrate tramite telefono (tel. 331 4959952
chiedendo di Anna Maria) oppure tramite Facebook (L'Isola Felice a Casano). Lo
spettacolo andrebbe in scena verso fine
anno. Si cercano persone di età compresa tra 15 e 50 anni. Si ringrazia per
l'attenzione.
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UNA TRAGEDIA FAMILIARE.
di Millene Lazzoni Puglia.
Le piccole – grandi storie
locali riguardanti la seconda guerra mondiale 1940-45 non si contano, ma io
vorrei aggiungerne un'altra che ritengo molto particolare e forse da pochi
conosciuta.
Il luogo è quello del promontorio che sovrasta il mare a Bocca di Magra dove i
Tedeschi avevano piazzato un cannone che dava molto filo da torcere agli
alleati, perché non visibile all'esterno e, quindi, difficile da localizzare. All’origine c’era stata
l'idea geniale della costruzione di una galleria che da est andava verso
l'interno del monte, con tanto di binario dove un carrello poteva scorrere
avanti e indietro. Lo scopo di quel “marchingegno” era quello dell'uso di un cannone piazzato sul
carrello che, dopo aver sparato, poteva rapidamente rientrare dentro la
galleria con l'ingresso mascherato dalla fitta vegetazione. Ancora oggi la
galleria si trova sul mare sopra Punta Bianca senza lasciare alcuna traccia
distinguibile della sua presenza. Da quella postazione strategica i soldati tedeschi controllavano non solo il
Golfo di La Spezia con le isole e il mare circostante, ma anche la Versilia e
oltre. Io ricordo, quando da bambina mi arrivavano i “suoni” della guerra, di aver
sentito dire tante volte: “Questo è il cannone di Punta Bianca!” Ma l'ingegno dell'intera opera non finiva qui: per i rifornimenti vari della
postazione tedesca, avevano escogitato un sistema di ascensore in verticale,
ancora una volta scavando il monte in corrispondenza della “tana del serpente”,
una caverna naturale situata a livello del mare, molto antica e ben visibile
ancora oggi dalle barche in transito. Così, per mezzo di imbarcazioni varie, era possibile trasportare merci, persone
e comunicare con altri comandi tedeschi. C'è un detto famoso che dice
“un bel gioco dura poco” e così è stato per quei soldati tedeschi che il
destino aveva portato a combattere in Italia. Forse era la bellezza del luogo, il mare, la posizione dominante che li aveva
portati a pensare di essere imbattibili, invece non fu così, perché un bel
giorno la postazione tedesca fu pesantemente bombardata e con essa ebbe fine
l'incubo del cannone misterioso. Al contrario, era appena iniziato l’incubo del
tecnico italiano che aveva lavorato all'allestimento ed al funzionamento del
cannone: per lui che, avendo lavorato per i nazisti era definito “un
traditore”, iniziava una vera “odissea” con il suo ferimento e il conseguente
ricovero in ospedale dal quale non uscì vivo. Infatti il tetto dell'ospedale fu
investito da alcune bombe incendiarie sganciate, forse per errore, da un aereo
alleato ed il suo letto fu tra i primi ad andare a fuoco. Purtroppo anche gli
altri familiari furono coinvolti dall'incendio e ben due persone persero la
vita a seguito delle gravi ustioni. Se vogliamo rendere completa questa storia, c'è ancora da aggiungere un
particolare: il volontario della Pubblica Assistenza che aveva rischiato molto
nel portare tutti i feriti giù dalle scale dell'ospedale, era un antifascista
che collaborava con i partigiani. Io sono a conoscenza di tutti questi particolari tramite la testimonianza di
persone che a quel tempo erano state direttamente coinvolte nei fatti. Questa rappresenta l'ennesima “storia di guerra” come tante altre scritte nel
corso dei secoli, che non è riuscita ad insegnare né l'inutilità né la
malvagità del tradimento e soprattutto della guerra. Solo il perdono divino
potrà far espiare i peccati di quanti vi hanno partecipato.
Caniparola, 2012
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