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Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
Fuoco
d’estate
Un titolo di canzone, preso a prestito, per dipingere
un’estate rovente. Accompagnata da nomi inutili, visto che non c’è alcun senso
chiamare con termini diversi una configurazione barica che è sempre la stessa.
Sopraffatti dal caldo, forse è sfuggito quanti Santi si sono incontrati questi
mesi: Benedetto, Giacomo, Ignazio di Loyola, Domenico, Lorenzo, Chiara,
Agostino. Un fuoco, il loro, caldo di esempi e intercessioni.
La “Donna vestita di sole” non oscurata dal ferragosto, ci ha ancora “rapiti
dal fulgore della vostra celeste bellezza” (Pio XII).
E poi, il pane. Per diverse domeniche è stato centro della Parola. In un tempo
di crisi, per gente che si sente affamata di tante cose, ecco il Cristo che
dice all’uomo vicinanza, compassione, vita.
Un’estate in cui tutto sembra bruciare, è stata investita da una straordinaria
fragranza di Pane e, anche, da un invito per i discepoli che lo consumano:
essere pane con una vita di esemplarità.
Come don Mazzolari, un parroco che si è del tutto donato ai suoi parrocchiani.
Da far esclamare a uno di loro al suo funerale: “Ci bastava guardarlo, vederlo
passare. Per noi era pane!”.
Grazie, Francesca
Lacrime incontenibili. Di Francesca. C’è una fredda voce al telefono: sei
licenziata.
La donna già tremava per contratto trimestrale che poteva o no essere
rinnovato. Questa volta le hanno chiuso la porta definitivamente.
Aveva fatto un po’ di assenze a causa di un amore. L’amore del fratello, malato
di grave insufficienza renale con l’urgenza di un rene nuovo e subito.
Lei si è messa a disposizione per donarlo, visto che gli esami ne dichiaravano
la compatibilità. L’intervento è risultato pienamente riuscito. Con un
“prezzo”.
Il chirurgo ha ordinato alla sorella almeno un mese e mezzo di riposo per non
correre gravi rischi. Ma la “ditta” non ha sentito ragioni: licenziamento.
Un giorno arriverà per certa gente col portafoglio al posto del cuore, la
sferzata di Gesù: “Via da Me…”.
Chi ha perso con disonore questa particolare “partita”?. A Francesca, licenziata
per aver salvato il fratello, grazie. Hai fatto vincere l’amore!
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Porta Romana
di Millene Lazzoni Puglia
Nel bastione di ‘Testaforte’ che vide gli attacchi
degli eserciti di mezza Italia contro la città di Sarzana, fu riaperta l’antica
porta nel 1783, ed è per questo che Porta Romana è stata chiamata anche Porta
Nuova (inizio di Via Mazzini, lato est).
Come si può vedere è interamente rivestita di marmo bianco di Carrara;
probabilmente nella nicchia che sovrasta l’arco c’era già all’origine una
statua, però, a memoria d’uomo, era stata vista vuota da fine ottocento.
Soltanto dopo la fine della seconda guerra mondiale (1946) l’antica porta è
stata restaurata insieme alla nicchia dove è stata posta una statua di marmo
bianco raffigurante una Madonna alta più di due metri.
I lavori di restauro furono eseguiti da Lazzoni Sante, insieme al figlio
Senzio, assistiti anche da una donna che era l’autrice dell’opera in marmo,
preoccupata che venisse danneggiata in qualche modo durante i lavori di
sistemazione. Allora non esistevano le moderne gru e altri sofisticati mezzi di
oggi, ma soltanto rudimentali paranchi e la forza e l’ingegno dell’uomo. Perciò
non era semplice per quei muratori muovere la statua che era di peso notevole.
Mi sembra interessante precisare che per collocarla era stata fatta un’apertura
sul retro della nicchia che era parallela ad una strada, e da lì fatta passare
per essere sistemata e fissata dove ancora oggi (2005) possiamo ammirarla.
Ci sono due fatti curiosi legati a questi lavori alla Porta Nuova di Sarzana.
A sinistra di chi entra in città, di fronte alla suddetta porta, due ragazze
osservavano con molto interesse, dalla finestra del palazzo sull’angolo, le
varie fasi del lavoro dei muratori per la sistemazione di quella bellissima
statua della Madonna. L’amica, ospite della ragazza che abitava lì, si chiamava
Diva Moriconi, e nove anni dopo avrebbe sposato Senzio, il giovane muratore che
allora aveva soltanto 17 anni, mentre il muratore più anziano sarebbe diventato
suo suocero, poiché era il padre del ragazzo, entrambi, allora, perfettamente
sconosciuti.
L’altro fatto curioso è quello di un ragazzino di 11 anni che, sconfinando dal
suo quartiere che era Piazza Calandrini (detta Razzuletta) e altre strade
intorno, si aggirava con il naso all’insù per osservare le delicate manovre dei
muratori con altri spettatori curiosi o interessati. Quel bambino di 11 anni
era Silvano Puglia, che mai avrebbe potuto immaginare che anche lui, nove anni
dopo, si sarebbe fidanzato con Millene, la figlia e la sorella dei due muratori
che stavano lavorando sopra l’arco di Porta Nuova (o Romana), e avrebbe fatto
parte di quella famiglia.
Oggi, nel 2005, sono trascorsi quasi sessant’anni da quei fatti che,
ripensandoci, sono stati molto molto singolari e che, io penso, meritino di
essere raccontati.
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Nonna raccontami una storia
di Giuliana Rossini
Qualche volta, alla sera, mi
capita di fare la baby-sitter ai miei nipotini. È per me una grande gioia, un
modo per instaurare con loro un clima di complicità e di intesa. Esaurito il
rituale delle norme igieniche e indossato il pigiamino, i bambini si infilano
nel loro lettone e: "Nonna raccontaci una storia" mi chiedono
all'unisono. Prima, però, recitiamo la preghierina: ringraziamo Gesù per tutti
i meravigliosi doni che ci ha concesso durante la giornata, Gli affidiamo tutte
le persone care, Gli auguriamo la buona notte.......
Talvolta la loro giornata ha avuto qualche episodio negativo: è l'occasione
buona per parlarne, comprendere il loro punto di vista, accompagnarli a capire
lentamente che esiste anche quello degli altri.
Infine il momento tanto atteso. Non posso raccontare le favole della mia
adolescenza: Cenerentola, Biancaneve .... nonostante le rivisitazioni di Walt
Disney sono state messe decisamente in
soffitta. E nemmeno quelle paurose della
mia infanzia , quando la nonna paterna, che viveva con noi, affascinante
narratrice di storie popolari, ci faceva rimanere aggrappati alla sedia della
grande cucina per la paura, ma inevitabilmente attratti dalle sue parole.
Allora non ci si facevano tanti problemi.
Più tardi ho ritrovato, con grande soddisfazione, la fiaba "Giovannin
senza paura", che era il suo cavallo di battaglia, nella raccolta di
"Fiabe italiane" a cura di Italo Calvino.
Nei miei racconti primeggiano principi audaci e coraggiosi che difendono i
deboli contro draghi paurosi e principesse bellissime con abiti e giochi
meravigliosi, ma spesso un po' tristi perché non hanno con chi condividere le
loro cose. Non mancano, però, protagonisti più normali, bambini come loro, un
po' vivaci, ma che riescano a superare i contrasti con l'amicizia, l'aiuto
reciproco, l'attenzione ai compagni.
Loro ascoltano attentamente; Giacomo, più grande e meno interessato alle
principesse, talvolta finge di non seguire, ma mi riprende immediatamente se il tono, qualche volta, scade un pò, a
causa della stanchezza.
Lentamente i loro occhi si appesantiscono. Alla fine mi chiedono: "Ancora
una, nonna!" "È tardi bambini. Dormite!" Do loro il bacio della
buona notte, spengo la luce ed essi si addormentano di colpo. Ogni tanto il
loro sonno tarda a venire. Allora li rassicuro che non sono soli, che non
devono temere nulla perché il loro Angelo Custode li protegge.
Poi la mamma tornerà presto, anzi le telefonerò per chiederle di anticipare il
ritorno....
Allora si quietano e scivolano lentamente nel sonno.
Rimango ad osservare, piena di
riconoscenza e stupore, dinanzi al miracolo della vita, i loro visetti
rilassati e sereni. Ricordo la gioia straordinaria provata al loro arrivo,
quando anche il mio castello rischiava di rimanere vuoto. Il mio pensiero si
rivolge grato a Dio: non poteva fare nulla di più bello e grande!
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Una storia dolce
di Paola G. Vitale
C’era tutti i giorni della
settimana, tutti meno uno, in una città chiamata Fiorbello, un pulmino color
arancio. Lo vedevi passare al mattino e al pomeriggio, sempre carico di bambini
un po’ arruffati, un po’ sorridenti e un poco distratti.
Al mattino i bambini salivano a gruppetti di due, di tre, di uno soltanto, e
scendevano tutti alla scuola. Al pomeriggio risalivano vociando e spingendo,
nonostante la presenza della signora Clara, che sorveglia; poi Mauro l’autista,
metteva in moto. Prima fermata: “Scendono Marco e Simona!”. Seconda fermata…
ottava fermata: “Scendono Silvia, Maria e Paolo!”. Silvia e Maria sparivano tra
le braccia della nonna e si incamminavano saltellando, sul lato sinistro della
strada. Paolo restava fermo sul marciapiede e poi alzava lo sguardo su, su,
verso la facciata del palazzo: alla finestra appariva il viso sorridente della
signora Elena, che gli faceva cenno di entrare subito nel portone.
Paolo cominciava a salire, trascinando lo zainetto e strofinandosi lungo tutta
la ringhiera, sul bordo esterno dell’ampia scala. La signora Elena lo attendeva
sulla scala e insieme salivano l’ultima rampa. “Allora, Paolo, hai fame?
Andiamo subito a preparare una bella merenda, intanto che aspettiamo la
mamma!”, e intanto apriva la porta.
Era sempre così, e Paolino lo sapeva. Raggiungeva l’ampia finestra oltre il
divano, si accomodava ben bene sul cuscino più grande, poi guardava fuori: tra
le manine, il piatto colmo di biscotti, imburrati ben bene dalla signora Elena.
Poi lei scendeva: “Mi raccomando, Paolino, la mamma tornerà a momenti!”. La
porta si chiudeva, il bimbo guardava lontano. Il sole scivolava tra i tetti
lasciando lunghe strisce leggere tra palazzo e palazzo; in basso cominciavano
ad accendersi le prime luci. Il pulmino color arancio ormai era in fondo al
viale.
Paolo fingeva di camminare sulle stradine di polvere disegnate dal sole;
guardava e guardava, mentre un biscottino ormai dimenticato, si attaccava con
tutto il burro al cuscino. Le stradine di luce sembravano tanti omini in
movimento, tante persone che non sanno dove andare, e non tornano mai a casa…
E la mamma…?. La mamma invece era arrivata, finalmente, e guardava con finto
broncio i biscotti sparsi sul divano e il suo Paolo, piccolo sognatore che non
l’aveva neanche sentita rientrare.
(Fiorbello = Luni Mare)
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Vittorio Emanuele II e l’oltraggio di Ortonovo
di Romano Parodi
Il ‘canicio’ era un locale
nero e caliginoso con dei grossi buchi su pareti, porte e finestre per la
fuoruscita del fumo. Al centro aveva un focolare senza camino, sovrastato da un
pianale di canne sul quale venivano poste le castagne ad essiccare. Tutto
intorno vi erano delle panche; nelle sere d’inverno la gente del paese vi
andava a ‘veglia’.
Il ‘canicio’ di Lazzarin del Fosso era sempre il più frequentato; non mancava
mai un buon bicchiere di vino dei Carisciari. Lazzarin aveva partecipato alla
battaglia di San Martino e alla Breccia di Porta Pia con i piemontesi (Ortonovo
faceva parte del Regno di Sardegna) e le sue storie di guerra erano motivo di
ironiche battute: “Lazzarin i và a la guera con d’ sch’iopo e la cordeda; la
codeda a s’è strapà e Lazzarin gh’è v’nù a cà!”.
Era un parlatore affascinante; alle donne davanti alle braci venivano le
‘vache’ (una specie di ustione) nelle gambe nell’immobilità dell’ascolto. Quella
sera di fine secolo tutti pendevano dalle sue labbra.
“All’inizio del 1860, dopo le due Guerre d’Indipendenza, anche la Toscana anelava a
congiungersi alla Madre Patria; le dimostrazioni e gli incidenti di piazza
avevano costretto il Granduca di Lorena a dimettersi, ma non tutti sanno che il
primo lembo di terra conquistato dall’Italia Sabauda fu il paese di Fontia*(un
paio di chilometri da Ortonovo, verso Carrara). Con la Guardia Civica di Ortonovo lo
occupammo in nome di Vittorio Emanuele II e questi, dopo l’avvenuta Unità
d’Italia, trovatosi in visita ufficiale al sorgente Arsenale Militare di La Spezia, decise di venire al
nostro paese per la posa di una lapide commemorativa a ricordo
dell’avvenimento.
Immaginatevi le preoccupazioni ed i preparativi che ne seguirono; sedute continue in Comune, e quando tutto sembrava a
posto, un Consigliere avanzò una preoccupazione: se il baffuto Re, padre della
Patria, avesse avuto impellenti bisogni corporali, non esisteva un gabinetto
decente, alla sua portata. Dopo animata discussione si pensò di chiamare,
seduta stante, il falegname Cent’fiorona che, lavorando tutta la notte, ne
costruì uno in massello di noce, lucidissimo, smussato alla perfezione e con un
maestoso foro centrale degno proprio di un Re. Ma sorse un altro dilemma: il Re
avrà bisogno d’aiuto?
L’ignoranza in quei tempi era a volte abissale; impensabile che un Re compisse
atti così innominabili. Altra accesa discussione, e infine si decise che se il
Savoia si fosse appartato, lo spazzino Bad’eta, in strategica posizione
sottostante e con discrezione, si sarebbe “adoperato alla bisogna”.
Cosa accadde di preciso quel giorno non si seppe mai; si dice però che il Re
voleva comandare personalmente il plotone d’esecuzione e fucilare tutta la Giunta e Sindaco compreso.
Solo l’intercessione della contessa di Castiglione e della gerarchia
ecclesiastica impedì tale esecuzione.
Si malignò in seguito che il Re, entrato in quel manufatto e udendo dei rumori,
si fosse chinato sul buco per vedere e che Bad’eta a questo punto avesse fatto
un po’ di confusione fra la parte più nobile di Sua Maestà, ornata di pizzetto
e lunghi mustacchi e quella meno nobile ma altrettanto ornata e si “adoperò per
la bisogna”.
Ecco il motivo per cui non fu posta alcuna lapide a ricordo di quella storica
visita del Re, e nessuna menzione ne fu fatta nei libri di storia. Si pensò di
cancellare l’oltraggio di Ortonovo con l’oblio più assoluto”.
*Gli
incidenti di Fontia e gli sconfinamenti nel carrarese sono citati nei libri di
Storia.
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