Quando gli ultimi lattici raggi
di luna
imbiancano la terra, gente che
in vita
mai sosta di braccia hanno
assaporato,
che mai albore di sole ha
trovato pigri
nel talamo, o tramonto su la
soglia di casa,
sono in cammino per l’amaro
pane quotidiano.
I buoi, trainanti il carro
sull’irta strada,
affondano le ferrate zampe
della polvere
che attenua l’impatto con tonfo
sordo.
Lumi ad olio pendono dalla
martinicca
dondolando come fantasmi di
stanca immagine.
Grovigli di membra
s’intrecciano sul tavolato,
miscugli d’odori salgono alle
nari;
chi, col reclinato capo,
assapora sognando
il caldo delle coltri, s’alza
il bavero consunto;
chi intona cantilene a cui fan
ritmo
il cigolio stridente dei mozzi
delle ruote.
A tratti s’odon scoppi di risa
che non sono più di giovinezza;
al chiarore della prim’alba
fanno spicco
le colate dei ravaneti; a
tratti sibila
il vento alzando polvere
bianca.
Si entra nel grembo delle
Apuane:
demolite, squarciate,
sventrate;
i buoi s’arrestano, il lume è
spento;
i mozzi delle ruote fanno
l’ultimo cigolio,
come lamenti di una vita
morente.
I grovigli si districano, le
forme prendono vita
pronte a scavare nella bianca e
dura
scorza delle Apuane, maestose
ed eterne.