Clicca sulla foto per ingrandirla |
|
|
Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
Brividi
di Pasqua
“Natale
con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”. Un proverbio stonato, che fa supporre una
supremazia della nascita del Signore sulla Resurrezione. Il sentire comune
sulla Pasqua, purtroppo, rischia di somigliare a un encefalogramma piatto. Se a
Natale vi sono spunti di tenerezza verso il Nato, per la Pasqua solo un
rispetto senza brividi per il Risorto. Eppure il cristiano è figlio della
Resurrezione. Nella storia crocefissa dell’uomo, il Cristo è entrato
conficcandovi la croce per renderla lievito con il suo risorgere. Dovremmo,
forse, rivivere il rotolio della pietra rovesciata, le parole dell’Angelo a
donne smarrite; il correre di uomini e donne per annunciare l’incredibile; quel
“Maria!” sussurrato dal Risorto alla Maddalena in lacrime.
Immaginare il fremito della creazione ri-creata, con le montagne, scrive don
Tonino Bello, non viste da nessuno, che danzano di gioia intorno alle convalli.
Discutibile per gli eccessi, ma commovente per altro verso, la gioia
incontenibile che in tante comunità del nord Europa la Pasqua suscitava. E’
stata chiamata “Risus paschalis” (sorriso di Pasqua) che diventa, a suo modo,
rimprovero per la nostra algida attenzione alla Pasqua. “Exultemus et
laetemur!”, canta la Chiesa. La ragione ce la indica Paolo VI: “E’ Pasqua. Una
nuova, inesauribile sorgente di vita è stata infusa nel mondo da Cristo
Risorto. Alleluia!”.
Cirenei
e Veroniche
All’aprirsi della Quaresima dello scorso anno, la notizia della morte di 21 cristiani
copti, uccisi dall’Isis. Una scenografia criminale aveva previsto tutto, ma non
come quegli innocenti si sarebbero comportati. Da martiri: sono morti col santo
Nome di Gesù sulle labbra. Un esempio per noi abituati all’indifferenza mentre
dovremmo gloriarci, come Paolo, di testimoniare il Signore.
Il tempo quaresimale ci aiuta a guardare il Cristo, ‘Volto’ attento ai gesti di
carità. Come quello del Cireneo che l’ha aiutato a portare la croce o della
Veronica che gli asciuga la faccia tumefatta. Anche oggi sono molti i
samaritani e veroniche sulle strade delle periferie per compatire e consolare.
Fra questi misericordiosi ci siamo anche noi? E’ da fare nostra la speranza del
fondatore del “Sermig”, Ernesto Olivero: “Nel mondo che sogno, vorrei una Chiesa
sempre aperta. Aperta al Cielo e alla Terra. Una Chiesa che tutti, credenti e
non credenti, possano sentire come casa propria. Una casa di misericordia,
perché senza misericordia anche Dio si troverebbe solo”.
Così noi, nuovi cirenei e veroniche, renderemmo credibile la Chiesa. Come quei
fratelli martiri, con negli occhi quel Volto, e sulle labbra quel Nome.
|
|
|
|
|
|
|
Dialogo tra collaboratori
di Paola G. Vitale
Cara
Marta, non hai solo l’attenzione del prof. Lorenzini da Montepulciano, hai
anche la mia, da quando ti ho conosciuta, qua a Luni Mare, come moglie del caro
Doretto e attraverso i tuoi racconti, come persona ‘sana di cuore’, come piace
a Dio.
Oggi, primo giorno di marzo, uscendo dal servizio in chiesa, ho incontrato
Walter che arrivava con la sua auto, il quale mi ha consegnato il nutrito pacco
de “Il Sentiero”.
Questa sera ho letto già buona parte degli articoli che sempre mi confortano e
mi permettono di conoscere tanta sana realtà. Il tuo racconto mi ha ricondotto
agli anni sessanta, quando, di questi tempi, seguivo la mia mamma lungo
l’argine del fiume Bisenzio e, tenendo a bada la mia sorellina, permettevo a
mia madre di raccogliere gli erbetti: a lei tanto piaceva! Io ero abbastanza
maldestra nella scelta degli erbetti e, come puoi immaginare, non ho mai
imparato a raccoglierne, ma sulle vostre colline è davvero uno spettacolo che
mi gonfia il cuore di lode a Dio.
Qua, nell’ex palude di Luni Mare, sono fiorite le primule, le margheritine e i
minuscoli fiorellini azzurri chiamati “gli occhi della Madonna”. I cespi delle
primule sono a volte perfetti e mi verrebbe voglia di estirparne uno che vedo
armonioso nella sua composizione. Qua c’è qualcuno che prende ad estirpare i
cipollotti selvatici che ostinatamente riempiono ogni spazio verde.
Beh, beata te, sulle colline di Sarticola… e grazie per il tuo racconto! Spero
di incontrarti di nuovo. Ti abbraccio con tanti auguri per la Santa Pasqua e
per ogni giorno.
|
|
|
|
|
|
|
Una leggenda dimenticata
di Romano Parodi
Nel
numero scorso Romano aveva invitato la Redazione a ricercare un suo articolo
già pubblicato perché per lui e anche per altri era senz’altro uno dei più
belli e significativi dei tanti suoi racconti. Lo abbiamo ritrovato (era del
febbraio 1996) e lo riproponiamo.
Correva l’anno del Signore
1799. Era il mese della Madonna. Dopo che Napoleone aveva creato la Repubblica
Ligure (1797) con un governo fantoccio, le armate francesi dilagarono in tutta
l’Italia centrale soffocando nel sangue sommosse popolari e depredando musei e
chiese. Iniziava così da parte dei Francesi la ‘grande ruberia’ di opere d’arte
ed una campagna avversa e denigratoria contro la Chiesa e contro tutti coloro
che “eccitavano il popolo alla rivolta”. I preti vennero esclusi dal voto
elettorale e abrogati i loro privilegi secolari. Nel risalire la penisola
riattraversarono la nostra Lunigiana comportandosi di conseguenza: il paese di
Albiano Magra fu incendiato il 20 maggio e Zeri il 25 dello stesso mese. Nelle
strade di Ortonovo vennero affissi allucinanti manifesti contro i traditori
della patria che (testuale) “si opponevano alla spoliazione del Santuario del
Mirteto”. Era il generale Dombrowski che intendeva depredarlo poiché era
“bello, ricco e splendente”.
Perché le soldataglie francesi non riuscirono a mettere in pratica gli ordini
ricevuti? Perché gli Ortonovesi, guidati dal battagliero abate e compaesano
Domenico Bianchi, dei domenicani, e dal giudice Ceccardo Ceccardi (un trisavolo
e omonimo del Poeta), si opposero con la forza alle prime pattuglie giunte in
avanscoperta. Passarono solo un paio di giorni, e la notte del 17 maggio
un’altra banda più numerosa s’apprestò ad imporre la dura legge del più forte.
Giunti in località Rigoletto riuscirono a disperdere i primi oppositori con una
nutrita scarica di fucileria. Questi arretrarono fino alla Maestà dove un altro
gruppo stava preparando un’imboscata e, tutti insieme, si opposero al passaggio
dei saccheggiatori. Anche se nascosti dietro gli olivi e alcuni armati di
vecchi archibugi, avrebbero potuto fermare quella banda di uomini addestrati
alla battaglia e dotati di armi moderne? E a quale rappresaglia, se vittoriosi,
avrebbero esposto il nostro paese?
Ed ecco, allora, che la Madonna del Mirteto stese le sue mani protettrici sopra
i suoi Ortonovesi. In quella notte lunare, infatti, tutti gli olivi con trochi
mozzati e nodosi presero forma umana. Ai Francesi dovettero sembrare file di
uomini armati e allineati: ogni ramo un fucile spianato. Tutto silenzio. “Un’imboscata
mortale”, pensarono i Francesi.
Spaventati, fecero dietro front e se la diedero a gambe levate, fra la sorpresa
e lo stupore degli spaventatissimi uomini di Ortonovo. La commozione e la gioia
furono enormi. Tutto il popolo orante partecipò al Te Deum e alla Processione
per ringraziare la santa Madonna che aveva salvato il paese da un sicuro
incendio e saccheggio. Questa leggenda-miracolo si tramandò per molti anni
nell’800 e veniva ricordata anche ai bambini del catechismo.
Verità storica impone di dire che in seguito i Francesi tornarono in forze e,
davanti ad occhi impotenti e rassegnati, chiusero il Santuario e scacciarono i
Domenicani.
Pergamene sacre, documenti e libri antichi, oro e tele preziose presero il volo
per sempre.
Il giudice Ceccardo Ceccardi, investito della carica di Maire (Sindaco), nominò
amministratori dei beni e custodi del Santuario rimasto senza frati: Bartolomeo
Bianchi, Andrea Corsi, Giuseppe Michelini e Giuseppe Raganti. Solo dopo la
battaglia di Waterloo i Domenicani ripresero possesso del nostro Santuario. E’
anche verità storica, però, che le rivolte dei contadini, l’opposizione dei
nobili e del clero costrinsero gli occupanti a cambiare una Costituzione,
promulgata sul modello di quella francese, con una più “italiana” che
salvaguardasse le nostre opere d’arte.
P.S.:
Nota curiosa. Il poeta C.R. Ceccardi trovò nell’archivio della sua casa natale
di Ortonovo un documento-decreto di quell’anno che imponeva al giudice Maire di
rasare lo scudo - stemma del capitano Pietro Ceccardi. Cosa che fu fatta e si
può vedere tuttora. Chissà mai perché!
|
|
|
|
Clicca sulla foto per ingrandirla |
|
|
Una riflessione sui bambini
di Millene Lazzoni Puglia (Giugno 2012)
Un
antico proverbio africano dice che per crescere un bambino nel migliore dei
modi ci vuole il “villaggio”. Può sembrare esagerato, ma la mia esperienza di
vita mi ha insegnato che è vero, e mi rammarico di non averlo capito tanto
tempo fa.
Davanti a me rimane soltanto una nipotina, Giada, da veder crescere, e anche se
non ho la facoltà di decidere per lei, cercherò di fare il possibile per
“illuminare” i genitori in questo senso. Si sa che i bambini hanno un bisogno
essenziale della mamma e del papà; da loro devono ricevere il massimo
dell’amore ma anche esempi positivi e costruttivi, coerenza e fermezza, quando
occorre. Dai genitori devono imparare i valori più importanti dell’essere
umano, come l’onestà, la lealtà e il rispetto dell’altro; ma anche, non meno
importante, verso se stessi. Compreso il rispetto per gli animali, per
l’ambiente e per il cibo. I genitori devono inoltre trasmettere entusiasmo,
voglia di fare e positività, senza parlar male degli altri, insegnando che ognuno
di noi può sbagliare ed essere giudicato.
Poveri genitori, sono veramente tanti i doveri verso i figli; senza contare
quelli materiali, sono altrettanto importanti il tempo di stare con loro (magari
senza la TV), di ascoltarli…
anche quando può costare sacrificio e rinunce. Ma ancora non basta, perché ci
vuole il “villaggio”, il quale non può essere sostituito interamente dalla
scuola, da quella Materna in su. Senza nulla togliere ai medesimi sul grande
valore della socialità insieme a quello della cultura, può essere un errore
considerare quella l’unica “fonte” della socializzazione.
Pur non avendo io l’autorevolezza per dirlo, ho compreso “sul campo” che ne
esiste un’altra non meno importante che è quella della comunità appena fuori
del nucleo familiare: vicini di casa che fanno parte del contesto dove il
bambino vive, parenti che il bambino vede poco e con i quali non è facile per
lui stabilire un rapporto. E’ frequente il caso di parenti che fanno regali ai
bambini: regali spesso consistenti, come ad esempio somme di denaro, però poco
appariscenti e con scarso effetto immediato che rischia spesso di passare
inosservato. E’ un grave errore da parte dei genitori essere insensibili a
questo problema e di non saper trovare dei modi per agevolare il rapporto (modi
intelligenti, naturalmente). Altrettanto può succedere nei confronti di persone
anziane o handicappate, parenti o vicini che siano, le quali non devono essere
viste dal bambino come persone di serie B, perché se questo accade, c’è sempre,
dietro a tutto ciò, uno dei genitori che è indifferente e pieno di pregiudizi.
E questa è cosa grave. Poi non ci lamentiamo se certi giovani crescono egoisti
e prepotenti (per non dir di peggio).
Ma torniamo al “villaggio”, che per noi s’intende come famiglia aperta alla
comunità che ci sta intorno, dove il bambino dovrebbe imparare a rapportarsi
con tutti con spontaneità e naturalezza, senza distinzioni di nessun genere. I
bambini imparano subito, non sono loro il problema; semmai siamo noi adulti,
così moderni e “colti”!
|
|
|
|
Clicca sulla foto per ingrandirla |
|
|
Un ricordo di Aldo Gastaldi, “Bisagno”
di Egidio Banti
In
occasione della prossima festa della Liberazione (25 aprile) ci è pervenuta
questa testimonianza su “Bisagno,
comandante partigiano.
Venerdì 26 febbraio il ciclo annuale del
cineforum di Sarzana, che si tiene sin dall’inizio degli anni Sessanta al
cinema “Italia”, si è concluso con
un’interessante appendice “fuori programma”. E’ stato infatti presentato il
film – documentario “Bisagno”, del
regista ligure Marco Gandolfo. Il film racconta, per la prima volta, la vicenda
del giovane comandante partigiano cattolico Aldo Gastaldi, che durante la
Resistenza comandò sui monti della Liguria di Levante, con il nome di battaglia
di “Bisagno”, la divisione “Cichero” e che rimase poi ucciso, pochi
giorni dopo la Liberazione, in un misterioso incidente stradale presso il lago
di Garda: precipitò infatti dal tetto del camion a bordo del quale stava
tornando a Genova dopo aver accompagnato alle loro case alcuni suoi partigiani
veneti. Il film, girato con la collaborazione della famiglia di “Bisagno”, non risolve il mistero di
quella tragica morte, ma lascia bene intendere come la vita di Aldo Gastaldi
fosse comunque in pericolo per il forte contrasto che negli ultimi mesi di
guerra lo aveva opposto al comando unico della Liguria ed in particolare alla
componente comunista della Resistenza. Solo la forte reazione dei suoi
partigiani aveva infatti impedito che “Bisagno”
fosse rimosso dal comando della “Cichero”
solo perché rifiutava ogni metodo ed ogni iniziativa di indottrinamento politico.
Il film, molto bello anche sotto il profilo della tecnica di ripresa, è
imperniato sulle testimonianze dirette di numerosi partigiani ancora in vita,
che, a settant’anni da quelle vicende, hanno dimostrato e dimostrano il grande
attaccamento al loro comandante. Una stima e un riconoscimento che forse, per
chi allora intendeva utilizzare a scopi politici gli esiti della lotta
partigiana, finirono per rappresentare un pericolo ed una minaccia.
Alla proiezione a Sarzana ed al successivo dibattito hanno preso parte lo
stesso regista Gandolfo e l’attuale presidente dei partigiani cristiani di
Spezia, Franco Bernardi.
Il dibattito, seguito da un pubblico molto attento, ha in particolare
contribuito a sottolineare il ruolo specifico di molti comandanti partigiani di
ispirazione cattolica, tanto più significativo a poca distanza dal momento in
cui Papa Francesco ha firmato il decreto per l’avvio della causa di
beatificazione di Teresio Olivelli, l’autore di “Ribelli per amore”.
“Bisagno”, che della sua fede non
faceva mistero e che ne traeva spunto per l’”accoglienza” verso tutti
(toccante, nel film, la testimonianza di un suo partigiano di religione
ebraica), metteva al primo posto l’uomo, non il “nemico”, e neppure il
“partito”.
Contrarissimo ad ogni genere di esecuzione capitale, intendeva evitare ogni
strumentalizzazione del movimento partigiano, da qualunque parte venisse. E’
significativo che, in provincia della Spezia, ci siano state figure analoghe,
come quella dei comandanti Daniele Bucchioni “Dani” e Federico Salvestri “Richetto”.
Nel dibattito, qualcuno, a proposito di contrasti interni al movimento
partigiano, ha affiancato la figura di “Bisagno”
a quella di “Facio”, ovvero di Dante
Castellucci, fucilato dai partigiani comunisti presso Zeri con false accuse e
riabilitato solo di recente. Queste figure di partigiani “anomali” non possono
certo far sottovalutare il ruolo avuto nella Resistenza dalle forze partigiane
di sinistra, in particolare comuniste, ma consentono – come è giusto, col solo
rimpianto che sia trascorso così tanto tempo – di rendere un tributo a una
dimensione significativa della Resistenza troppe volte ignorata o dimenticata.
In questo senso, la proiezione del film su “Bisagno”
a Sarzana ha inteso contribuire, e così è stato riconosciuto da tutti, ad un
processo di più completa visione storica dei fatti, senza reticenze di alcun
tipo. Per i cattolici, ma non solo per loro, è un’azione importante di verità e
di onestà intellettuale, tanto più, come detto sopra, mentre procede il cammino
che porterà sugli altari Teresio Olivelli. Tutto questo, a mio giudizio, è
utile a tutti, come sempre è la Storia, con la S maiuscola. E ci guida a
comprendere l’importanza di non dimenticare, nell’avvicinarsi, tra poche
settimane, di un altro 25 aprile …
|
|
|
|
|
|
|
Ricordando Doretto
di Walter
Qualche mese fa ho ricevuto dall’amico
Marco Bernardini una mail nella quale fa una riflessione sulla sua amicizia con
Doretto e gli insegnamenti avuti. Non l’ho pubblicata subito, aspettavo
l’occasione propizia, e questa è arrivata. Marta mi aveva detto che era in
programma un incontro con Marco, ma per varie ragioni è sempre stato rimandato.
Il 21 marzo scorso finalmente ci siamo ritrovati a casa di Marta; l’ultima
volta, qualche anno fa, c’era Doretto in carne e ossa, anche l’altro giorno
c’era, ma ci osservava dall’alto. Marta ha preparato un gustoso pranzetto;
c’eravamo io, Giuliana, Marco e la moglie Mimma.
Poi, nel pomeriggio, sono giunte alcune delle “anime sorelle” (così Doretto le
chiamava) e con loro abbiamo ricordato tanti bei momenti trascorsi con il caro
amico scomparso.
P.S.: Devo precisare che l’ing. Marco
Bernardini dirigente della OTO Melara ora in pensione, Doretto un operaio,
entrambi aderenti al Movimento dei Focolari di Chiara Lubich. Assieme avevano
creato all’interno della fabbrica un vero scompiglio portando tanti operai (in
maggior parte non credenti) alla Verna e perfino alla Mariapoli a Rocca di
Papa. Io ho conosciuto Marco qualche anno fa, quando venne a trovare Doretto e
da quel giorno siamo rimasti sempre in contatto. Di seguito ecco la sua riflessione
di cui ho già detto. Inoltre aggiungo una lettera di Doretto a Marco (non so se
gliela aveva spedita) che Marta ha ritrovato tra le tante cose del marito.
Ciao carissimo Walter,
scorrendo la posta ho riletto il tuo
ultimo messaggio. Sicuramente tra gli scritti che Doretto produceva di continuo
e che conservava senza troppa cura, ci saranno ancora delle "perle"
da riportare sul Sentiero. Erano stille di Sapienza. Ti confesso, caro Walter,
che il "fenomeno" Doretto continua a farmi pensare e a
"tormentarmi". Lo ricordo, come sai, quando agilissimo, in tuta,
saltava da un posto all'altro dello stabilimento per tenere tutti sotto
controllo... Si fronteggiava con chiunque. Poco propenso ad ascoltare ma assai
prolifico nella parola, trasmetteva con grande passione il senso della
giustizia ed il valore del bene comune. Era un inquieto. Lo dovevo trattenere
durante i confronti con il Direttore Generale perché temevo che gli venisse
spontaneo dargli del "Tu". Poco tattico fustigava i politici con
parole ora in dialetto ora in italiano. Su di lui non ci avrei scommesso un
centesimo. Ecco perché la sua figura mi "tormenta" e mi consola
insieme.
La strategia di Dio è imprevedibile e poggia i suoi occhi su chi Gli
pare. Doretto si è reso degno di Lui e mi ha rivelato che non le doti naturali,
né la cultura, né l'erudizione ti fanno progredire nella mente e nel
cuore, ma unicamente riuscendo a "perdere tutto". Doretto ha fatto
così. Accettando di essere "uno straccio ormai consunto", si è
gettato nell' "Ultimo Abbandono" propiziando l'incontro con
Dio.
Spesso ripercorro col pensiero il comune cammino e ne traggo costantemente una
grande e superba lezione che mi porta, sempre, a chiedergli di non
dimenticarsi di me.
Non ti pare sufficiente, caro Walter, che
tutto questo mi determini un costante tormento? Certamente: ma è un Luminoso,
Magnifico Tormento.
Un caro commosso abbraccio e saluti cari a Marta. Ciao. Marco
Ortonovo, 14.09.2006 Caro Marco, non so
come iniziare a dirti… ma iniziamo così: la malattia ha bussato alla porta
della mia vita: una realtà difficile da accettare. Ho toccato con mano la
fragilità e la precarietà dell’esistenza umana. Adesso guardo tutto con occhi
diversi: ciò che sono, ciò che ho non mi appartiene, è dono di Dio. Ho scoperto
cosa vuol dire dipendere, aver bisogno di tutti e di tutto, non poter far
niente da solo.
Eccomi! Offro le mie sofferenze e le unisco a Te, Cristo Crocifisso. In
ospedale ho vissuto la Parola di Dio “Confidate, ho vinto il mondo!”. Che
bello! E a tutti davo fiducia, speranza: “Non dubitate, tutto andrà bene, Lui
ha vinto! E io sono un Suo fan! Anche per voi vale… gente disperata,
disgraziata, rotta, sgangherata, non in grado di reggersi più in piedi come me.
Confidate, confidate, Lui ha vinto! Ha vinto tutto: la sofferenza, il dolore,
l’abbandono e, in ultimo, la morte!”. (E vai!!!) E aggiungevo: “Però non
dimenticatevi che il vostro e il mio dolore è prezioso più dell’oro! Non
sprecatelo. Esso, se lo offrite con il cuore, è la moneta più preziosa che può
arrivare al cuore di Gesù. Donatelo per la salvezza del mondo “.
E poi, questa te la racconto come fosse un aneddoto. Quando è venuto il tempo
delle mie dimissioni dal “Don Gnocchi” di Sarzana dove ero ricoverato per la
seconda volta (in totale quattro mesi), tutti i pazienti hanno sottoscritto una
petizione per farmi rimanere tra loro altri quaranta giorni! La dottoressa
responsabile ha detto: “Questo è uno scherzo del solito Doretto!”. Allego a
questa mia una copia del mio “Calvario” di modo che tu possa capire cosa mi è
capitato. Ma…, va bene così. Dio mi ama, e non so dirti quanto. Anche il fatto
che il tempo, come ce lo ripetiamo di continuo, non ha valore se Gesù è in
mezzo a noi, Lui, l’eterno, non ci delude.
Ora sono qui, in una carrozzina, a volte prendo le stampelle, ed è già un
miracolo. Si vede che devo ancora fare qualcosa! Chissà? Forse pregare…pregare
per questo mondo e per questa società che ha bisogno solo di essere guidata da
gente saggia, che capisca che in fondo tutto finirà per il bene! Lui ha vinto!
Non abbiate paura: “Ho vinto il mondo!”.
Ciao, Marco, un abbraccio forte, forte. Sempre UNO…e salutami Chiara! (Chiedo
Troppo?)
|
|
|
|
|
|
|
Al lume di candela
di Marta
In questo periodo del mese
di marzo si susseguono una serie di ‘Giornate’ dedicate a tanti temi di
pubblica utilità e a ricordo di avvenimenti importanti.
Il 19 e 20: le Giornate FAI di primavera; il 19 (San Giuseppe): festa dei papà;
il 21: Giornata della sindrome di Down e la Giornata naz. della memoria e
dell’impegno contro le mafie e, infine, per “Un’ora per la terra”: la sera del
19 marzo dalle 20,30 alle 21,30 in ogni Paese la popolazione è stata invitata a
spegnere tutte le luci per un’ora: solo le luci delle candele e led. Che
emozione vedere spegnersi le luci di tanti monumenti, in particolare la torre
Eiffel a Parigi!
Ebbene, quella sera, quando ho acceso la mia candela, non ho potuto fare a meno
di fare un tuffo nel passato: quanti ricordi! Quando da bambina, la sera, la
mamma accendeva la candela, ma solo una alla volta, poiché costavano e
bisognava risparmiare.
Il lume era fioco, fioco; tante erano le zone d’ombra; ci aiutava un poco il
bagliore del camino quando era acceso: i ciocchi ardevano emanando un gradevole
calore e la fiamma era uno spettacolo. Ricordo che dopo cena la mamma si
metteva sempre accanto al fuoco con un cesto di indumenti da rammendare: un
bottone alla camicia del babbo, una toppa ai pantaloni e tanti calzini da
rammendare sulle punte delle dita. Io, annoiata, sbadigliavo; mio fratello più
grande era già a letto ed io avevo paura ad andarci da sola. Poi la mamma
prendeva un mattone o un sasso che aveva messo accanto al fuoco prima di cena
ed era quindi bello caldo, lo fasciava con degli stracci e lo metteva sotto le
lenzuola del mio lettino e mi raccontava le solite ‘fole’. Essendo analfabeta
non ne conosceva tante, allora mi raccontava degli aneddoti o fatti di vita che
accadevano nella realtà di quel periodo: sempre cose buffe e divertenti che mi
facevano molto ridere; poi si allontanava con la candela ed io, anche se avevo
paura del buio, chiudevo gli occhi e mi addormentavo.
Al mattino, al risveglio, se c’era il sole mi divertivo a saltare sul letto:
sotto c’era la rete metallica, ma il materasso era fatto di cartocci, ovvero di
foglie delle pannocchie di granturco, quelle più tenere e bianche. Tutti gli
anni nel periodo della ‘scartozzera’, la mamma rinnovava il saccone con
cartocci nuovi che, nel saltare, facevano un rumore che mi divertiva.
Ma ecco che l’ora è trascorsa e si riaccende la luce; devo strizzare gli occhi
che già si erano adattati alla penombra: si riaccende la TV, sento il motore
del frigorifero, la tisaniera che fischia… Rientro
così nella realtà, ma è stato un bel viaggetto.
|
|
|
|
<-Indietro |
|
|
|