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GLI ARTICOLI DI MARTA
di Carlo Lorenzini
Io, all’arrivo del Sentiero, ogni mese, vado
subito a pagina 16, perché a pagina 16, di solito, c’è l’articolo di Marta; e a
me piace leggere il Sentiero cominciando da Marta.
Marta è un’assidua collaboratrice del giornalino ed è raro che ne esca un numero senza un suo
articolo. Marta è l’anima concreta del Sentiero. Generalmente gli articoli di
questo giornale (è un giornale cattolico interparrocchiale) sono ricchi di discussioni che riguardano argomenti di varia umanità; in cui c’è sempre molta teoria:
negli articoli di Marta, invece, c’è la pratica, perché c’è la vita vissuta, ci
sono i problemi, grandi e piccoli, come
ciascuno di noi li incontra nel suo vivere quotidiano.
C’è, per esempio, il problema della
lavatrice che si è rotta, ma non ci sono i soldi per farla aggiustare o per
ricomprarla nuova; però c’è l’intervento di persone caritatevoli che risolvono il problema.
In un altro articolo ci mette di fronte ad una strage di poveri albatros; e questo per insipienza e noncuranza di
uomini che dovrebbero essere al servizio della loro protezione.
C’è però poi l’articolo che ci regala un momento di evasione, ed è quello che
ci racconta, in una vivace descrizione, di una coloratissima e saporitissima
cena sotto le stelle nella cornice
di Ortonovo paese. E qui Marta,
parlandoci di croccanti frittelle, di gustosi panigacci, di morbidi sgabei, di
profumati minestroni, ci fa venire una struggente acquolina in bocca.
Oppure, in un razionale equilibrio di bene e di male, c’è la descrizione
dell’uragano che si è abbattuto su Ortonovo la notte del 5 marzo ultimo scorso, sul far
dell’alba; è una pagina altamente
drammatica, di grande realismo
descrittivo che fa onore alla Scrittrice e nobilita il giornale.
Insomma, tutte le volte che il Sentiero
arriva, mentre armeggio per toglierlo dalla busta, mi chiedo: di che parlerà Marta questo mese? Guardo e
non sono deluso, perché la sua attenzione è ancora alla vita, vista e giudicata
al metro di una morale appresa alla scuola di Gesù, il Maestro che ci ha
insegnato l’Amore e che nella sua missione salvifica ha messo al centro della
sua strategia l’uomo. E negli articoli di Marta l’uomo è sempre al centro. Con
amore.
Brava, Marta, e grazie per come ci insegni la vita e per come ce la racconti.
Montepulciano 15 - 01- 16.
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Un castagno per letto
di Millene Lazzoni Puglia (Caniparola 1999)
Il bosco della ‘Trina’ si trova lungo la sponda sinistra
del torrente Isolone, quasi in corrispondenza dell’antico mulino ad acqua
‘della Novella’, gestito dalla famiglia Tusini per circa un secolo, poi dal
‘Moro’ dal 1950 fino agli anni ’70. Percorrendo la stradina sterrata ai piedi
della collina boscosa detta’Trina’, costeggiando sempre il torrente, si arriva
fino alla casa di ‘Mazzon’ (da alcuni decenni disabitata), per proseguire sotto
forma di sentieri verso i paesini di Caprognano e Zignago, ormai
inselvatichiti. Nel bosco della ‘Trina’ si trovano piante di castagno, alcune
anche grandi e molto vecchie, ed è qui che molti anni fa ce n’era uno molto
vecchio e grandissimo, il quale poteva contenere nel tronco cavo una persona
comodamente sdraiata.
Ebbene, mia madre, Argentina Tusini, mi ha sempre raccontato che negli anni
intorno al 1920, c’era un signore che, durante la bella stagione, andava in
quel luogo per passare la notte dormendo dentro il grande tronco cavo del
vecchio castagno. La cosa sembra ancora più incredibile se si considera che
quel signore lavorava a Sarzana durante il giorno, e ogni sera faceva a piedi
tutta la strada (5 o 6 chilometri circa) e altrettanti al mattino per tornare
al lavoro. Di costui non si sa il vero nome, ma era chiamato da tutti ‘Padela’,
perché indossava sempre gli stessi abiti che portava anche la notte, finché non
erano completamente consumati: e si può immaginare quanto potevano essere
sporchi; e da qui, il soprannome
‘Padela’. Io ricordo che da bambina per indicare una persona con gli abiti
molto sporchi si diceva: “I para Padela”, e si era già nel dopoguerra.
Lungo la strada Sarzana – ‘Trina’, percorsa da ‘Padela’, c’era un mulino ad
acqua, sempre nei pressi dell’Isolone ma più a valle, vicino a Caniparola. Lungo quel torrente i mulini ad acqua, a quel
tempo, erano ben sei, tutti estinti nei vari decenni. Qui abitavano nella casa
– mulino i miei nonni mugnai, Angelo e Assunta Tusini. Una volta chiesero a
‘Padela’ come mai faceva tanta strada ogni giorno per andare a dormire dentro
un castagno nel bosco della ‘Trina’. La sua risposta fu semplice e decisa: “Non
sopporto il rumore dei treni in manovra con vaporiera durante la notte!”.
Perché per lui l’alternativa era quella di passare la notte nel deposito
bagagli della stazione di Sarzana, dove suo fratello era capostazione mentre
lui lavorava al carico e scarico delle merci che arrivavano e partivano tutti i
giorni.
Si vede che per ‘Padela’ il riposo notturno nella quiete del bosco valeva bene
la fatica del lungo percorso a piedi da Sarzana al bosco della ‘Trina’ e
viceversa, ogni giorno.
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Il pellegrinaggio a N.S. della Neve
di Paola G. Vitale
Cari amici e lettori de “Il Sentiero”, sotto l’invito al
significativo ‘peregrinaggio’ di questa mattina, 6 febbraio, al Santuario di
N.S. della Neve in La Spezia, ha attirato la mia attenzione un messaggio
scritto in corsivo (nell’ultima pagina riservata al ‘Notiziario’) tratto
dall’omelia di mons. Francesco Moraglia,
nella chiesa di S. Maria Assunta (La Spezia) il 4 ottobre 2008, in
occasione di uno dei primi pellegrinaggi del 1° sabato da lui voluti. Esso
esprime in modo perfetto la motivazione delle nostre peregrinazioni mensili,
presiedute dal Vescovo (ora mons. Palletti).
In Maria è espresso “il meglio della Chiesa”, perciò recandoci da Lei in gruppo
numeroso al primo sabato di ogni mese, con piena fiducia nella di Lei
intercessione, non facciamo altro che un magnifico servizio di testimonianza,
sia alla Chiesa universale, sia alla nostra particolare, sia a noi stessi e
alle inevitabili richieste e ringraziamenti che rivolgiamo alla nostra Madre
del Cielo, santa Madre di Dio. Vi pare poco? A me sembra un dono tanto bello e
quindi invito tutti a continuare con fiducia questa magnifica occasione di
incontro e di testimonianza.
Vi abbraccio tutti nel Signore e in Maria santissima. Buona Pasqua!
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Svegliamoci!
di Marino
Le piazze laiche oggi dicono
"Italia svegliati", ed a me è venuto questo pensiero: "Cattolici
svegliamoci!" Ebbene, cari Cattolici, vediamo di dirci senza reticenze la
verità: da tempo siamo nella società moderna una esigua minoranza. Il tempo
della Chiesa trionfante, se mai c’è stato, è finito da tempo ed i precetti che
sono alla base della nostra fede sono sempre più sberleffati da una mentalità
sempre più da noi distante.
In una strategia militare sembrerebbe giunto il momento disperato di arroccarci
sulla difensiva, in attesa di un attacco…: l’attacco finale che potrebbe
spazzarci via dalla storia dell’uomo. E’ il momento dello scoramento… anche gli
Apostoli, nei concitati momenti successivi alla Crocifissione si sono chiusi
impauriti e terrorizzati, ma sappiamo che la Storia ha avuto altra evoluzione
con la promessa: “Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli”.
E allora questo ci deve scrollare, spronare; ci deve dare forza, ci deve dare
la fiducia, deve riaccendere in noi il vero spirito missionario oggi sopito e,
nella certezza che l’amore di Cristo ci muove,
spingerci a proporre la bellezza della nostra fede ad un mondo che
sembra ostile ma è unicamente ripiegato su sé stesso nella ricerca disperata di
una felicità effimera, troppo spesso copertura di una solitudine orrida.
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Un paese senza leggende è un paese destinato a morire
di Romano Parodi
Ogni paese ha una sue
leggende che è bene tramandare, ed io, nel mio piccolo, cerco di farlo. Non c’è
dubbio che su Ortonovo e Volpiglione, grazie anche ai ‘canici’ (come quello di
Lazarin del Fosso), dove si raccontavano favole e leggende antiche, che queste
sono arrivate fino a noi. La più famosa è per me quella degli alberi d’olivo
trasformati in guerrieri, che hanno fatto scappare i francesi durante la
Repubblica Ligure (ne parla anche Ceccardo Roccatagliata, spero che Walter, la
cerchi, e qualche volta, la riproponga, perché l’ho già raccontata. Un grande
amico, che ora non c’è più, la riteneva una pagina di storia da insegnare nelle nostre scuole).
Oggi, visto che stiamo parlando di leggende, vi racconto questa che, perduta
fra le tenebre di un passato completamente ignoto, mi è tornata alla mente. Si
narra che in tempi molto remoti, un fraticello questuante (un tempo ce n’erano
parecchi, come Garibà) finita la sua giornata di cernita, stava tornando in
convento, come alla nostra Madonna, con il suo sacco pieno; ma durante il
rientro incontrò molti poveri ai quali distribuì ogni cosa, anche il sacco.
Poi, nell’attraversare un bosco, seduta sotto una grande quercia, trovò una
donna in lacrime. “Perché piangi? Parla, non esiste preghiera che Colui che ha
creato il mondo e le sue creature non possa esaudire”, le disse il fraticello.
“Ebbene - mormorò la donna - io cerco per mio figlio dal cuore duro e
responsabile di delitti di ogni genere, un cuore diverso, forte e generoso:
colmo d’amore. Chi potrebbe mai darmelo? O meglio, chi potrebbe inserirlo nel
suo petto?”. “Il Signore dei cuori - rispose il fraticello - e ora va’”.
La donna si avviò, ma non aveva fatto che pochi passi che il fraticello cadde a
terra morto.
Aveva donato il suo cuore a quel giovane dal cuore duro.
In quel momento una stella luminosa si posò sul grande albero, ai piedi del
quale il santo era volato in cielo, lasciando sulla terra il suo corpo senza
cuore. Così, infatti, affermarono i medici e gli scienziati venuti da ogni
parte del mondo a osservare il miracolo; mentre il figlio della donna diventò
un sant’uomo tutto dedito all’amore verso il prossimo.
Da allora molto tempo era trascorso, ma, ogni tanto, una stella luminosa
brillava ancora in cima a quella grande quercia. “E’ il santo che guarda dalla
finestra del cielo e viene a compiere un miracolo”, dicevano gli ortonovesi.
Caro Carlo, era forse il nostro cerro quel grande albero? Questo spiegherebbe
il motivo per cui la grande stella non si vede più. Piccoli uomini lo hanno
abbattuto.
P.S. Un abbraccio grande a
te e Maria Giovanna, in ricordo di momenti belli che, ahimè, mai più
ritorneranno.
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Erbetti di collina
di Marta
La giornata è bella, clima mite; dopo tanta pioggia questo
febbraio ci regala alcune giornate di sole. Osservando la collina noto che gli
alberi sono ancora spogli, ma nel sottobosco qualcosa comincia a spuntare.
Così, mi incammino verso Sarticola per cercare gli erbetti. Mi fermo nella
località della Vecchia Miniera dove, si racconta, un tempo si trovasse l’oro.
Poi dissero che non ne valeva la pena: troppo lavoro, attrezzature costose… e
tutto finì.
In questo sito, nei terrazzamenti sotto gli ulivi si trovavano facilmente i
‘raperonzoli’, erbetti dolci, saporiti, buoni anche conditi in insalata. Ma,
ahimé, oggi non c’è più neanche l’odore.
Sono stati estirpati, neanche più una radice! Mi accontento di raccogliere
scalette, cicerbide, ginestrelli, rosidomi, grasselli, orecchie d’asino,
pomice… (questi nomi degli erbetti possono variare da paese a paese) ; anche
questi se cucinati a puntino saranno molto gustosi.
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Se la tempesta offusca la ragione
di Renato Bruschi
Nelle ultime settimane si è scatenata una
vera e propria tempesta mediatica sul caso dell’ex parroco di Caniparola. E
quando ci sono le tempeste, la visibilità diminuisce: nella confusione che si
determina, è facile perdere il controllo della situazione.
Puntualmente è accaduto proprio così. I «media» si sono lanciati, come belve
affamate, sullo scandalo, rimestando nel torbido quanto più possibile, giustificando
ogni lordura, appellandosi al «diritto di cronaca». Per la verità non tutti
hanno agito secondo questo stile «gridato».
Altri, però, esercitandosi nella facile arte della becera dietrologia, hanno
inseguito le piste più varie, con ricostruzioni inverosimili. Abbiamo letto
articoli in cui l’approssimazione si è sostituita al ragionamento. E si sono
scritte tante imprecisioni. Un esempio? Durante la manifestazione di domenica
mattina, quando un gruppo di fedeli è arrivato sotto l’episcopio per
sollecitare la Chiesa ad agire nei confronti dell’ex parroco, una giornalista
ha messo nero su bianco che il Vescovo, in quel momento, era intento «a seguire
i movimenti della piazza da qualche finestrella, in alto, della Curia», mentre
mons. Santucci si trovava in una parrocchia a sostituire un prete ammalato. Inoltre,
le dichiarazioni dei due sacerdoti che hanno accolto i manifestanti sotto la
Curia, sono state svuotate di significato, ridotte e meri tentativi di difesa in extremis.
Che l’ex parroco si sia macchiato di peccati gravi, è fuori discussione. Che
questi peccati costituiscano anche reati, lo deciderà la magistratura, se
ritiene che ci siano le condizioni per procedere. Che queste azioni siano
ancora più gravi poiché perpetrate da un ministro sacro, siamo tutti d’accordo.
Che il Vescovo abbia «coperto» la vita dissoluta di questo prete, magari perché
sottoposto a qualche ricatto, com’è stato insinuato, questo no: non è vero. È
una mistificazione. La realtà è ben diversa: il comunicato che è stato diramato
dalla Curia, nei giorni scorsi, getta luce su questo punto. Il Vescovo ha agito
come un «padre» ed ha mosso i passi che andavano fatti, secondo le norme del
diritto canonico.
Evidentemente questa prudenza, che è propria della Chiesa, è stata travisata e
interpretata a proprio uso e consumo. Come non restare attoniti di fronte alla
superficialità con cui si è entrati «a gamba tesa» su questioni delicate che
riguardano la vita delle persone?
In tutta sincerità: ci preoccupa questo senso di giustizialismo da «Terrore»,
che anima non solo i «lontani» ma anche alcuni che vivono nei recinti della
sacra madre Chiesa.
Non vogliamo difendere l’indifendibile, sia chiaro. Quanto abbiamo visto e
letto sul quel sacerdote, è grave. Ma non dobbiamo perdere «il ben
dell’intelletto» lasciandoci travolgere dalla «rabbia» e da atteggiamenti che
sono poco conformi con gli insegnamenti evangelici.
I credenti sono tali anche in questi frangenti: non ragionano secondo la logica
del mondo ma secondo le categorie della fede. Se ci sono stati errori e reati,
si faccia giustizia. Ma, per favore, smettiamola di gettare fango sulla Chiesa
e sulla parte sana che è la stragrande maggioranza del clero. La Diocesi ha
chiesto perdono ai fedeli «ingannati» dall’ex parroco. Dio, che vede nel cuore
dell’uomo, come dice il Vangelo, sa che quei puri gesti di carità, costati
sacrifici e rinunce, saranno ripagati dalla sua Misericordia.
(da ‘Vita Apuana’, notiziario della diocesi
di Massa Carrara – Pontremoli)
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