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Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
Amnesia
Un sostantivo temuto, specie dagli
anziani. Un sostantivo diventato uno pseudonimo: quello di una ragazzina che
vi si nascondeva dietro, segnale di una solitudine senza speranza. Si firmava
“Amnesia” su face book, territorio dove la solidarietà latita ed ha grande
spazio, invece, l’insulto e il disprezzo. Quella giovane vi ha cercato una
parola amica, un aiuto per andare avanti, ma ha solo ricevuto inviti a ‘levarsi
di torno’ e farla finita. Purtroppo è andata così. Quell’esistenza si è chiusa
col suicidio.
Si può forse parlare di dipendenze da internet, di fragilità legate a
esperienze familiari o scolastiche: rimane il fatto di una vita troncata che
interroga. Questa figlia non abitava nel deserto, anche se questo l’ha come
ingoiata. Forse noi cristiani non abbiamo ancora occhi nuovi, freschi di
Vangelo; forse dobbiamo rivestirci dei sentimenti del samaritano per poter
essere “vicini alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con
carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini” (papa
Francesco).
Recentemente è morto il cardinal Cé, pianto da tutta Venezia dove è stato amato
patriarca. Un suo insegnamento può aiutarci: “L’annuncio dell’Amore di Dio apre
i cuori e dà speranza. Non c’è niente di più bello che dare speranza ai
fratelli!”.
Quegli occhiali
Avevano una sola lente. L’altra
mancava. Quella nonna non poteva permettersi niente, e leggeva con un solo
occhio tappandosi l’altro. Possedeva un libro chissà come capitato: la Bibbia.
Ogni giorno questa donna si sedeva su una vecchia cassapanca e si nutriva della
Parola. Capendo quel che poteva, ma sicura che c’era di mezzo il Signore. Era
il suo pane quotidiano che spezzava anche a un nipote, aprendogli scenari
inimmaginati.
La nonna conosceva bene il dolore: due figli ‘volati in cielo’ come si diceva;
di nove e di ventotto anni. La Bibbia non le avrà asciugato le lacrime, ma le
ha insegnato a renderle sante. Molti sacerdoti, racconta il nipote, mi hanno
aperto alla Parola; ma la prima maestra rimane lei, chinata su quella Bibbia,
con la fatica di leggerla con un solo occhio, alla luce scarsa dell’abbaino.
Una donna povera, ricca di Dio.
Emoziona Tonino Bello quando nota: “Forse è proprio per questo che il Maestro
ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine”.
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Essere presenti nel presente: facciamo o siamo?
di Stefania
Madre Teresa diceva: “State attenti
a non pregare per la preghiera…”. Penso che questa riflessione ci può aiutare
non solo per domandarci se ‘facciamo o siamo cristiani’ quando preghiamo e
anche se lo siamo nel nostro cammino quotidiano nell’arco della giornata: i
nostri gesti, il nostro ruolo, il nostro comportamento, dal mattino quando
riapriamo gli occhi, alla sera quando li richiudiamo per il riposo. Tra ‘farle
ed esserci’ in tutte quelle azioni c’è un’enorme differenza; sono e saranno
diverse non solo per noi, ma anche per tutte quelle persone con le quali
entriamo in relazione nell’arco della giornata.
Ovviamente questo impegno e volontà devono essere reciproci, altrimenti come
possiamo pensare di arrivare alla ‘vera armonia’ se ognuno non mette nel suo
comportamento rispetto verso l’Altro e responsabilità nelle sue azioni (in
famiglia, nella scuola, nel lavoro…). Certamente il rispetto, la
responsabilità, la verità non le abbiamo applicate tutti e in tutti i ruoli,
poiché altrimenti come potremo essere giunti in questo momento del mondo nel
quale le ingiustizie sono così enormi!
Quindi ‘facciamo o siamo cristiani!’. Quando abbiamo detto il nostro ’Sì’, il
giorno del nostro matrimonio con la persona con la quale abbiamo deciso di
unirci e quindi di camminare assieme per tutta la vita; abbiamo deciso che con
quel ‘Sì’, ora ‘faccio’ il marito, o ‘faccio’ la moglie; ma con quel ‘Sì’
davanti a Dio, ‘sono’ marito e ‘sono’ moglie e questo ‘essere’ e non ‘fare’
richiede un impegno maggiore, una volontà costante, un lavoro quotidiano di
stabilità e reciproco rispetto. E tutto questo è possibile solo se mettiamo Dio
al centro di questa unione. La solita cosa quando noi sposi che abbiamo formato
la nostra famiglia diventiamo anche genitori. Non è sufficiente ‘fare’ il padre
e la madre, dobbiamo avere la consapevolezza che ‘siamo’ padre e madre e di
conseguenza mettere insieme le fondamenta per ‘essere’ e non ‘fare’ una
famiglia, all’interno della quale, con l’aiuto di Dio, ci sia amore, armonia,
rispetto.
Questa differenza tra ‘essere’ e ‘fare’, mi ripeto, dobbiamo radicarla in noi
in tutti i ruoli che rivestiamo, come ad esempio: ‘essere’ studente e ‘fare’ lo
studente; se lo ‘facciamo’ non nasce in noi quel senso di appartenenza e di
responsabilità che abbiamo deciso di intraprendere, così come, sempre rimanendo
nell’ambito della scuola, ‘sono’ insegnante o ‘faccio’ l’insegnante… Il ‘fare’
porta a creare rapporti superficiali, egoistici, a ‘fare i furbi’ e a mettere
così in difficoltà coloro che si impegnano nel ‘essere’, creando ingiustizie
varie; e le ingiustizie, come tutti sappiamo, provocano dolore e ferite nella
nostra dignità di persone, portano smarrimento… Non portano l’armonia e la pace
che vuole Dio.
Buon cammino di conversione quotidiano a ciascuno di noi e impegniamoci tutti
in questo Anno Santo ormai alle porte a fare vero discernimento: tutto non
possiamo fare, ma attraverso le nostre scelte del cuore e facendoci aiutare
dagli strumenti che la Chiesa ci offre ogni giorno possiamo ‘essere’ delle vere
persone cristiane.
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CONCILIO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI (Parte prima) I° (381 d.C.)
di Antonio Ratti
Il Concilio di Sardica, come
si è letto nel numero scorso del Sentiero, mette in evidenza le forti
divergenze teologiche sulla natura trinitaria e sulla collocazione di ciascuna
persona all’interno del mistero trinitario, che nel Concilio di Nicea si
pensava superate e chiarite.
Purtroppo, spesso le questioni teologiche rappresentano la maschera che
nasconde altre realtà decisamente non nobili, quali l’ambizione di far
prevalere le proprie tesi, il non voler ammettere i propri errori seppure
compiuti, a volte, in buona fede, i personalismi più deleteri, le smanie di
contare.
Il vescovo Eusebio di Nicomedia è il
protagonista esemplare per capire fin dove può arrivare l’ambizione e la voglia
di potere (brutta abitudine ancora oggi molto di moda in maniera endemica e
poliubiquitaria).
A Nicea nel 325 l’arianesimo è condannato come eresia, perché nega la divinità
di Gesù, e a Sardica (343-4) è ribadita la condanna, ma Eusebio, con un
abilissimo lavoro sotterraneo negli ambienti della corte imperiale, riesce a
tessere un feeling particolare con l’imperatore Costantino che si
convince come l’arianesimo possa essere la posizione vincente, perché più razionale, convincente e comprensibile al
pensiero umano e tale da garantire la pace religiosa all’interno del tremolante
Impero. Il momento più esaltante Eusebio lo vive quando Costantino, ormai
prossimo alla fine, gli chiede di battezzarlo.
Il successore Costanzo II, che
attraverso una serie di guerre fratricide riesce a diventare l’unico padrone
delll’Impero, ha in Eusebio il più fidato consigliere. Nel 338-9, inaugurata la
nuova capitale, Costantinopoli, Eusebio ne diventa il primo vescovo e il suo
potere cresce enormemente costringendo i difensori di Nicea ai margini e
isolati come eretici.
La situazione peggiora con l’imperatore Valente, che prosegue la politica
pro-ariana con maggior vigore, arrivando ad imporre vescovi ariani nelle sedi
imperiali di Milano, Sirmio ( Sremesko Mitrovica, Serbia), Cesarea di
Palestina, Alessandria e, ovviamente, Costantinopoli, entrando in aperto contrasto
per l’ingerenza col papa Liborio e provocando una forte instabilità
socio-religiosa, cioè, ottenendo il risultato opposto a quanto politicamente
desiderato e necessario.
Nella battaglia di Adrianopoli l’imperatore Valente viene ucciso. Questo è il
quadro politico-religioso che trova Teodosio I quando nel 379 sale sul trono
imperiale. Il clima religioso subisce rapidamente una svolta (non è la prima
volta nè sarà l’ultima, ma quasi una routine): Teodosio è fedele all’ortodossia
nicena, quindi è normale la radicale mutazione della politica religiosa
imperiale tutta a favore dei niceni. Il solo elemento che accomuna Teodosio ai
suoi predecessori pro-ariani è la forte
esigenza di mantenere ai massimi livelli l’unità e la pace sociale all’interno
per meglio difendere gli sterminati confini dell’Impero dalle frequenti
incursioni di popolazioni caucasiche e asiatiche.
Per conseguire i due obiettivi ( uno
politico ed uno religioso) e per dare lustro e visibilità alla nuova capitale
imperiale, promuove il primo Concilio ecumenico di Costantinopoli (maggio -
luglio 381). E’ ritenuto il secondo Concilio ecumenico della Chiesa cristiana,
che insieme ai Concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451),
risulta determinante al fine di definire la questione trinitaria e cristologica.
L’ecumenicità del Concilio, a cui non prende parte nessun esponente della
Chiesa d’Occidente, è confermata a Calcedonia e da Gregorio Magno (papa dal 590 al 604) è
definitivamente inserito nell’elenco dei 21. L’Assemblea conciliare si apre in
prima seduta presso la Reggia imperiale alla presenza di Teodosio, mentre le
altre sessioni si svolgono nella chiesa dell’Homonoia. Presiede il patriarca di Antiochia di Siria, Melezio e
sono presenti 150 vescovi orientali, tra cui due famosi padri cappadoci, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno. Papa
Damaso non invia alcun delegato, forse temendo il ripetersi di quanto accaduto
a Serdica. Tra i primissimi atti annotiamo la deposizione di Demofilo, ariano,
e la nomina di Gregorio Nazianzeno a vescovo di Costantinopoli. Pochi giorni
dopo l’inizio, Melezio muore e viene sostituito alla presidenza dal neo-vescovo
della capitale. Gregorio, dopo reiterati tentativi, resosi consapevole di non
riuscire a indirizzare le discussioni in modo consono e proficuo tra le opposte
fazioni, rassegna le dimissioni. In alcuni scritti parla del clima assurdo e
intollerante, là dove la mitezza e l’amore dovrebbero essere i cardini del
dialogo. Al suo posto l’incarico è affidato a un non battezzato, il senatore
Nettario, accettato e riconosciuto da tutti come persona equilibrata e
imparziale. Non ci sono pervenuti gli atti conciliari, quindi non ci è dato
sapere l’andamento dei lavori e delle votazioni, ma Gregorio Nazianzeno ci
offre uno spaccato sufficientemente chiaro. Con non poca fatica l’assemblea
conciliare il 9 luglio raggiunge finalmente la maggioranza adeguata per mettere
ai voti i quattro Canoni ( leggi
ecclesiastiche) che esprimono la sintesi dei lavori (mi sembra di essere in
questi giorni nel nostro Parlamento, dove si cerca una maggioranza stabile e
poco litigiosa) :
1)
Condanna dell’arianesimo e di altre due
eresie, il macedonianismo(°) e l’apollinarismo(°).
2)
Delimitazioni precise delle province
ecclesiastiche e proibizione ai titolari di ciascuna di interferire nella sfera
di competenza delle altre.
3)
Costantinopoli è dichiarata la Nuova Roma, elevando il suo vescovo
alla dignità di Patriarca( gli altri quattro sono i vescovi di Gerusalemme,
Alessandria, Antiochia, Roma) e ponendolo al secondo posto nell’ordine
gerarchico dopo Roma (ordine gerarchico contestato e non riconosciuto da Roma e
Alessandria).
4)
Rende non valida la consacrazione di Massimo
a vescovo-patriarca di Costantinopoli, avvenuta dopo le dimissioni di Gregorio
Nazianzeno. ( fine prima parte)
NOTE. (°)Macedonianismo. Macedonio, vescovo di
Costantinopoli dal 342 al 360, quando fu deposto, sosteneva la divinità di
Gesù, come definita a Nicea, ma non quella dello Spirito Santo. Negava l’homooùsious (consustanzialità) dello
Spirito Santo con il Padre e il Figlio, subordinandolo al ruolo di emissario
della volontà di Dio. Tale eresia è detta anche Pneumatòmachia, dal greco pnèuma,
che vuol dire soffio, quindi lo Spirito Santo sarebbe solo il soffio attraverso
il quale Dio manifesta la sua volontà alla creatura umana.
Apollinarismo. Il
vescovo di Laodicea, Apollinare il Giovane, persona molto stimata per la sua
preparazione filosofica e teologica, ritenendo imperfetto, quindi difficile da
sostenere razionalmente e teologicamente il canone di Nicea sulla coabitazione
in perfetto equilibrio delle due nature in Cristo e volendo, al contempo,
tutelare al massimo la componente divina in chiave anti ariana, riteneva più
logico sostenere che il Figlio, diventando uomo, avesse “fuso” la sua natura
divina (il Logos o Verbo) con la carne umana, originando un essere umano ibrido
costituito da Logos e carne. Difatti afferma: “Il Figlio che è uno, non è due nature, ma una sola natura, quella del
Verbo Dio, incarnata e adorata con la carne di lui, in un’unica adorazione .”
Con questa tesi l’incarnazione del Verbo non è totale, ma parziale e ciò pone
problemi sul reale valore della redenzione del genere umano posta in
essere dal sacrificio di Gesù. Questa
posizione sarà ripresa dai monofisiti di Eutiche (sostenitori di una sola
natura del Figlio), dove approderanno molti adepti di Apollinare. E’ proprio il
caso dire: per eccesso di zelo nel combattere un errore ne ha combinato un
altro peggiore. La disapprovazione al pensiero di Apollinare fu subito messa in
atto da vari concili locali e anche papa Damaso (366 – 384), per la Chiesa
occidentale, dà il suo pieno sostegno alla posizione del Concilio di
Costantinopoli e condanna l’eresia di Apollinare.
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