|
|
|
Ricordare è continuare a vivere…
di Romano Parodi
Gallo: gadeto
– “se ‘l gadeto i kanta da la doa a la trea, ‘l temp i stà, si kanta da la trea
a la quatro, ‘l tempo i s guasta”.
Calabrone: “tre pizata di calabron, olio santo e comunion” (mortale)
Gennaio: “s’al
met d’erba di g’naro ‘l fen i s tegn da caro” (verrà penuria)
Giakuloti - braghe per i bimbi, strette alle cosce con un elastico e spesso
con aggiunta di un parakulo (pannolino)
Ginocchia: “a t
spet ‘n ginok’ion con tre piati d macaron” (sfida senza paura)
Grembiule: “l mi
scosalo i na ne peza ne buco, i n port né ‘mbascia né saluto” (starò zitta,
non riporterò confidenze)
Guindolo: arcolaio per le matasse di lana “g’iè svelt com n guindolo”
Indovinello: “San Silvestro g’iè nat presto, Fioravanti g’iè nat avanti, belzebu
g’ier n già nasciù, Giumignan g’iè nat doman”: chi è nato prima?
Ladroncello: furin – “g’iè ‘n furin”, passa
da tutti i buchi. I furi sono anche
le gallerie alle cave
Lavare: “a
lauar la testa a d’as’n a s perd l’scia e sabon”: è tempo perso
Lavorare: “vog’ia
d laorar salt’m adoso, laor te padron che me a n poso”
Libertà:
“libertà d ca soa a d’scald il kulo e
po’ ank la coa”
Limio: “a iò ‘n limio al coro” (provare
sofferenza)
Luglio: “lug’io
batug’io”, tempo di trebbiatura, “quando al pioa d lug’io tut la roba al va ‘n gaug’io” (la pioggia di luglio
fa male alla campagna)
Luoghi e viottoli. – karisciari (un tempo il granaio di Ortonovo), colombi, vada
(centomila piante d’olivo),
via dei colombi, via dei ceri (due, una immetteva nella via dei colombi,
una nella via d burla), cer bianco, scud’din, picion, via d mezo,
viol d mozo, via d’l pin, via d’l tamburin, basifondi d Nicola, ‘l mort’neto,
‘l biotanedo, kastagneto, kast’dan, i pradi, la montata, ‘l cafagio, la
bancola, la krosha, la fontana (gli orti nuovi del 1200 che hanno cambiato
il nome al paese, da Corficiano a Ortonovo), pedamura, la piana d muson, ‘l noceto, ‘l
foso, saroko, kapola, piastorla, p’rs’cara, la mak’ia, la mak’iacia, la focia,
la madonina, la zura, ‘l cer bianco, ‘l termo, i kaciari, ‘l par di monti, san
Lorenzo d’oro, golpig’ion, la jar d felcia, canal d loran
Lumaca: “g’ià ‘l mal d la lumaca”, impotenza sessuale
Lume: mokolo - in chiesa era lo skaccin
che con il lamp’nin spegneva i mokoli
Mako: “g’ià ‘l mak a ioki”
Manzo: “ki a n laor da manzo i laor
da bo”
Mangiare: “s’ t’ na t’ magna, s’n t’ na t’ musa” - “bada
badeta, bat ‘l karcagno, a m n’n foto, basta ka magno” (pur di mangiare
faccio di tutto)
Marito: “aiò pig’ià marì p’r non ‘ndar d’scalza e a no pu vist na scarpa”
Marzo: “marz mugnon i kaua i vek’i dai canton, ma si dic
dalvero i kaua ank i gion”; “d marz s
‘ntà la scarpa t va d’scalza, ma st dà ‘n la lasciar a ka”; “marz g’ià sét breta, una i s la kaua e una i s la meta”; “i tron di marz i svegh’n
i bisci”; “marz ortolan, tanta pag’ia e
pog gran” (piovoso)
Maggio: “ne d mag, ne d magion, ‘n t
kauar ‘l p’licion” (non ti spogliare)
|
|
|
|
|
|
|
Lasciate che i pargoli vengano a me
di Mila
Caro Sentiero,
è un po’ di tempo che volevo
scriverti per raccontarti dei nostri chierichetti e chierichette.
Perché proprio oggi? Perché poche ore fa, mercoledì 6 maggio alle ore 17:00
sono andata alla S. Messa settimanale e loro erano già lì all’altare insieme a
don Carlo, che li guardava, li guidava, li istruiva proprio come fa una
chioccia con i suoi pulcini.
Sono i bambini di quarta che a Pentecoste prenderanno la Prima Comunione e che
hanno l’ora di catechesi settimanale proprio il mercoledì, più o meno all’ora
della funzione religiosa. La loro catechista, Elda, dopo aver fatto una
mezz’ora di lezione, li manda a servire Messa e loro, tutti contenti, indossano
le tuniche e poi corrono all’altare. Don Carlo, mentre celebra, li segue nelle
varie fasi della funzione, fa loro leggere la preghiera dei fedeli e, cosa
molto ambita, a turno suonano la campanella o reggono il piattino durante la
Comunione. Oggi poi c’era un piccolino, anche lui con la sua tunichetta vecchio
stile, che si dava un gran daffare per essere all’altezza di quelli più grandi.
Sono proprio una gioia e una speranza. Anche alla domenica abbiamo tanti
chierichetti, ma più grandi, del resto la Messa della domenica è più
importante, c’è più gente e quindi bisogna essere più formali, ma quando si
precipitano davanti all’altare, al momento dell’elevazione, per suonare la
campanella e inginocchiarsi tutti assieme davanti al Santissimo, sembra tutto
un battito d’ali. Speriamo che continuino a frequentare la chiesa anche dopo
aver ricevuto la Cresima perché, purtroppo, molti di loro dopo aver ricevuto questo
sacramento non li rivedi più. Però è successo un fatto che mi dà un po’ di
speranza.
Il 25 aprile, qui a Luni Mare, è stata celebrata davanti alla Scuola
dell’Infanzia l’Eucarestia in ricordo dei caduti della liberazione. Ricorreva
il settantesimo anniversario e nel contempo il Sindaco inaugurava una lapide a
ricordo di un partigiano di Ortonovo. Proprio quel giorno però aspettavo alcuni
amici a pranzo, ma mi dispiaceva non andare almeno alla funzione religiosa.
Così sono andata ma decisa a venirmene via immediatamente alla fine della S.
Messa. Con mia sorpresa ho visto che non c’era neanche un chierichetto ad
aiutare il nostro don Carlo. C’era il coro di quelli più piccoli ma neanche un
chierichetto, a dire il vero uno c’era, ma non più tanto giovane: il
Cancelliere. Si, quel signore che alcuni anni fa, al termine di una funzione
religiosa, fece un bel discorso ricordando i tempi di quando lui era ragazzo e
faceva il chierichetto. Ed eccolo lì! Ancora a servir Messa. Allora c’è
speranza! Qualcuno dei nostri ragazzi continuerà a fare il chierichetto! Però,
come disse il Cancelliere quella sera, erano altri tempi. I genitori prendevano
più seriamente l’educazione religiosa dei figli, adesso è un po’ così, non ci
si dà più una grande importanza, i giovani la vedono in un altro modo e
probabilmente pensano che si possa vivere meglio senza gli obblighi della
religione. Ma non scoraggiamoci, continuiamo a seminare. La Misericordia di Dio
è infinita e forse i nostri figli ritorneranno a pregare.
Mi è molto dispiaciuto non aver salutato il Cancelliere al termine della
funzione, ma come dicevo, aspettavo ospiti e il tempo per preparare era proprio
poco, così sono corsa via.
Mio marito mi ha portato poi
i suoi saluti e io lo invito, se gli fa piacere, a venire a Luni Mare per la
festa di San Pietro. Ci sarà anche Sua Eccellenza il nostro Vescovo che
impartirà la Cresima a sei dei nostri ragazzi.
Nei comunicati della
Redazione troverete il programma delle celebrazioni .
|
|
|
|
|
|
|
VOGLIA DI VENDETTA (da ‘Inferno viii’)
di Carlo Lorenzini
Perché
questo suo sadismo, addirittura? Siamo al cerchio V, fra gli iracondi e gli
accidiosi della palude stigia. Dante e Virgilio sono sulla barca di Flegiàs che
li traghetta sull’altra sponda. Ad un certo punto sono affrontati ostilmente da
un dannato della palude, che addirittura vorrebbe rovesciare la barca. Ma i due Pellegrini lo cacciano in malo modo.
Dante: "Con piangere e con lutto,/ spirito maladetto, ti rimani". E Virgilio: "Via costà con li altri cani!".
E Dante per parte sua gli dimostra una durezza, un disprezzo, un odio, non
ancora mostrati in presenza di altri dannati. Chiede a Virgilio: "Maestro,
molto sarei vago/
di vederlo attuffare in questa broda/ prima che noi uscissimo del lago".
Perché questo accanimento, perché questa crudeltà; questo peccato di odio e di
vendetta da parte di Dante? Perché si tratta di Filippo Argenti, il fiorentino,
spirito bizzarro, che fu al mondo persona orgogliosa e priva sempre di
qualunque pensiero di bontà.
Per capire. Pensiamo per un istante all'ambiente fiorentino e al giovane Poeta
in questo ambiente. Un giovane schivo, malato d'amore, meditabondo, studioso,
figlio di quella media borghesia che non è, come si dice, né carne né pesce.
Tenuto in disparte e disprezzato da quei figli di papà, ricchi e danarosi,
superbi della loro ricchezza, delle loro protezioni, della loro prestanza
fisica, delle loro donne (molte donne, sempre, come le mosche al miele, si
sentono fascinosamente attratte dagli uomini superbi, violenti e
prevaricatori), fieri della loro impudenza, del loro cinismo; che si credono il
sale della terra e si reputano alunni degli dèi e dèi loro stessi; e che
disprezzano il mondo, e lo guardano con alterigia e sufficienza... Quante
umiliazioni, immaginiamo, a carico di Dante, da questi rampolli, ignoranti e
superbi; superbi e crudeli e provocatori. Lui, amico di amici più schivi e
fragili di lui; lui, pallido e rifinito in giornate e nottate chino a cercare
nei volumi dei saggi antichi e moderni la poesia e la verità; lui, romantico
amante, non di donne, ma di ideali di donne, lontani e irraggiungibili (le
donne, quelle vere, non gli corrispondono, lo rifiutano o lo ignorano: la
malinconia e il dolore d'amore, per donne che non gli corrispondono sono i motivi
dominanti del suo Canzoniere: “Voi che savete ragionar d'Amore, Udite la
ballata mia pietosa, Che parla d'una donna disdegnosa, La qual m'ha tolto il
cor per suo valore" )[38]; lui, giovane studioso di lettere e di filosofia
e di teologia, arti e scienze che lo aiutano a tormentarsi nei dubbi morali e a macerarsi nei problemi
esistenziali; lui, già di fatto esule nella Firenze dei suoi giorni, città
piena di odi e di violenze; e invece ideale cittadino di una Firenze del
passato, reale solo nella fantasia dei suoi ingenui sogni di poeta... La
possiamo immaginare la crudele messa al bando di questo giovane, strano e
stravagante, impenitente sognatore, assiduo delle biblioteche, alunno delle
nuvole, da parte di questi giovinastri, figli di dèi, e dèi essi stessi, ricchi
in fiorini, in vestiti, in cavalli, in banchetti, in compiacenti e facili
compagnie femminili, in brigate di amici e coetanei, cultori soprattutto di
violenze e di soperchierie, tollerati e anche omaggiati dai poteri e dalle
istituzioni.
Con quale silenzio gelido e rancoroso il nostro Dante li avrà guardati
trionfare nelle vie della sua città, "vota d'amore e nuda di pietate"
(63), loro ideale ambiente! Quali propositi di rivalsa e di vendetta avrà
nutrito e coltivato in cuor suo nei loro confronti! Ed ora eccola l'occasione: la sua piena
maturità fisica e psicologica, la sua visione del mondo rinnovata nella forza e
nella sicurezza delle sue certezze esistenziali; e, in più, la sua penna di
poeta; di magico descrittore di realtà e di inesauribile creatore di figure e
di allegorie.
Eccolo, finalmente, il momento della vendetta. Ed eccolo Filippo Argenti, vero
nella sua individualità, lui, il "fiorentino spirito bizzarro",
figlio non degenere della sua città, superbo, tracotante e aggressivo al pari
della sua Fiorenza; eccolo, lui con il suo nome e soprannome (lo chiamavano
‘Argenti’, perché lui i suoi cavalli li calzava con zoccoli d’argento), ed
eccolo anche come 'exemplum', come figura paradigmatica di questi molti eterni
alunni degli dèi, che vivono soltanto nella venerazione di se stessi e della
propria boria, disprezzando e calpestando gli altri e il mondo intero. Eccoli
ripagati da una giusta e umana vendetta. La vendetta del poeta, che, per mezzo
della poesia, di una grande poesia, li ha ignominiosamente eternati, nei versi
che conosciamo, al disprezzo perenne dei buoni e dei pacifici.
E il canto di Filippo Argenti, prima di essere il canto della vendetta divina,
è il canto della vendetta umana, della vendetta personale di Dante, dell'uomo
Dante, per le umiliazioni subite, per le irrisioni alla sua serietà e alla sua
grandezza, da parte di questi rampolli, che vivono nella tracotanza e che,
morendo, nel ricordo degli uomini (loro che si credono re!) non lasciano di sé
che "orribili dispregi!".
|
|
|
|
Clicca sulla foto per ingrandirla |
|
|
Ci siamo Rimessi in gioco? Slot Mob
di Federica
Grazie. Grazie a tutte le
persone che sabato 23 Maggio hanno partecipato allo Slot Mob a Casano in Piazza
XXIX Novembre, insieme a tanti Slot Mob sparsi per tutt’Italia.
Come era nostro intento, l’evento non ha voluto giudicare nessuno, ma
riconoscere pubblicamente chi, con un gesto di libertà e dignità, ha
riacquistato un legame sociale diverso, dicendo NO al gioco d’azzardo. Abbiamo
cercato di riprendere il filo di una coscienza collettiva capace di ridestarsi
non propagandando ma per attrazione verso il bello e il buono, uno stare
insieme diverso dove l’uomo è al centro.
L’idea che ha mosso la mattinata in piazza, quindi, non è stata quella di
punire quanto di premiare la scelta responsabile e libera di chi rifiuta di concorrere
a mettere le persone fragili in mano alle multinazionali dell’azzardo. Premiare
le virtù civili e soprattutto fare cultura e opinione cercando di rendere
visibile ed imitabile la scelta di certi esercenti.
E’ stata una festa sotto i gazebo. Si sono incontrate tante persone, alcune
venute di proposito, altre di passaggio accomunate dalla voglia di “fare”
qualcosa per cambiare una situazione che direttamente o indirettamente
interessa tutti. E’ stata una festa con il gioco del bigliardino e il ping-pong
animati dai ragazzi della 3°C della Scuola Primaria di Secondo Grado di
Ortonovo.
Ci sentiamo in dovere di rivolgere particolari ringraziamenti al Preside
dell’Istituto Comprensivo di Ortonovo, agli insegnanti che hanno motivato ed
accompagnato la classe all’incontro. Alle rappresentanti provinciali
dell’Associazione ‘Libera’, al Sindaco del Comune di Ortonovo, all’Assessore ai
servizi sociali, pubblica istruzione, turismo e cultura del Comune di Ortonovo
, all’Associazione No-Slot ‘Riprendiamoci la vita’ di La Spezia, per la loro
partecipazione e il loro sostegno.
|
|
|
|
|
|
|
I centimetri che fanno la differenza
di Elena Granata (da ‘Città Nuova’)
Mi
sono sempre domandata perché il Vangelo si soffermi in modo curioso sui
dettagli fisici del povero Zaccheo. Di lui si scrive che era pubblicano, dunque
più o meno un funzionario dell’Agenzia delle entrate; era ricco, certo, ed era
anche e soprattutto piccolo di statura.
Con quel limite fisico – e per segnalarlo con tanta precisione, doveva essere
davvero degno di nota – Zaccheo aveva convissuto fin da bambino. Chissà quante
volte se l’era sentito dire, chissà se all’origine del suo successo umano non
ci fosse un po’ di voglia di rivalsa per quello che la natura gli aveva
concesso in modo tanto parsimonioso.
Proprio in ragione della sua modesta altezza, Zaccheo sale sull’albero per
sovrastare la folla e vedere arrivare Gesù. Per quel gesto un po’ infantile e
grottesco si compie l’incontro decisivo della sua vita. Che incantevole
racconto!
Come per Zaccheo, molte nostre fortune nascono dai nostri difetti fisici, dai
limiti psicologici, dalle ferite della vita che ci fanno cercare soluzioni e
stratagemmi per vivere.
Per questo dobbiamo guardare con più benevolenza ai nostri limiti, alle
timidezze, alle goffaggini.
Talvolta impieghiamo una vita a riconciliarci con un piccolo difetto, a
scoprire che molto del nostro carisma, della simpatia, del fascino, sarebbe
potuto dipendere proprio da quel tratto di noi che abbiamo pervicacemente
nascosto o contrastato. I modelli educativi faticano a valorizzare le
differenze, ad avere un’idea di bellezza un po’ meno stereotipata e da fiction
televisiva, a comprendere la varietà delle forme di intelligenza, dei caratteri
e delle forme di emotività. E così fin dall’infanzia i decisamente belli sono
sommersi di complimenti, i naturalmente bravi sono lodati da insegnanti e
familiari, i notevolmente sportivi sono invidiati da amici e coetanei, per non
parlare degli assolutamente estroversi che si sentono dire fin dalla più tenera
età che faranno strada. Niente di più fallace. Non c’è nulla da invidiare a chi
da piccolo era (fin troppo) bello, bravo, sportivo, ed estroverso e soprattutto
aveva intorno persone che continuavano a ripeterglielo. Talvolta la mancanza di
motivazione costituisce un freno.
Certo il cursus honorum di timidi, maldestri, introversi, ipersensibili – e
diversamente alti – è in partenza faticoso. Comporta qualche incidente di
percorso, incomprensioni e sofferenze. Tuttavia, quelli che imparano nel tempo
a sentirsi diversi e a valorizzare i caratteri personali possono trovare il
coraggio di salire su un albero per guardare più lontano.
|
|
|
|
<-Indietro |
|
|
|