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Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
Dice
il saggio…
La saggezza è in crisi. Spia ne sono i vecchi, considerati i tradizionali
serbatoi e ora umiliati da certe trasmissioni come “sciocchi bastardi”.
Regnano, invece, in TV, finti saggi in poltrona, con ricco gettone, che
pontificano su tutto: dalla lumaca indonesiana, all’alimentazione spaziale. Con
grande sprezzo del ridicolo, purtroppo, vista l’inconsistenza culturale dei
più. Formano come una “compagnia di giro” che passa da una trasmissione all’altra,
col muto benestare di chi dovrebbe mettere qualche pezza all’indecenza.
Eppure il bisogno c’è di persone sagge. In politica come in ogni altra
istituzione. I giovani sono quelli che sentono di più questo vuoto, e ne pagano
un prezzo assai alto. Così, il discorso sulla saggezza si è fatto battuta da
cabaret: “Dice il saggio…”. Se è per un sorriso, vada; ma se attraverso una
pungente ironia se ne celebra il funerale, sono guai.
Non siamo, però, alla frutta. Esistono persone che nel silenzio di un
monastero, su un divanetto di casa o in una modesta canonica, danno tanto:
basta cercarle. Ricordando un consiglio del Siracide: “Se vedi una persona
saggia, il tuo piede logori i gradini della sua porta”.
Il
quarto voto
“Nuovi Orizzonti” è un movimento ecclesiale. I membri consacrati, oltre ai tre
“voti”, povertà, obbedienza, castità, ne fanno un quarto: quello della gioia.
La fondatrice, Chiara, lo spiega: “...per condividere con tutti la chiamata
alla gioia e la gioia dipende da come scegliamo di vivere”.
E’ famosa la frustata di Nietzsche: “Perché io imparassi a credere al loro
Salvatore, bisognerebbe che i suoi discepoli avessero un’aria da gente
salvata!”.
In una lettera a un giornale una ragazza scrive: “Non se ne può più di mense
eucaristiche con cristiani immusoniti…”. Non si deve fare di ogni erba un
fascio, ma una piccola riflessione, sì. Scott Hahn non ha dubbi: “Se
l’Eucaristia non ti fa venire la voglia di cantare, che cos’altro potrà
farlo?”.
Il Vangelo, già nel suo nome, è annunzio gioioso. C’è l’Angelo con quel “Vi
annunzio una grande gioia…”, e poi la promessa di Gesù “Vado a prepararvi un
posto…”: un ‘posto’ con banchetti di
festa. Don Ciotti, uomo concretissimo, è stato dal Papa. Racconta: “Mi ha
colpito la sua capacità di ascoltare, la sua dedizione al rapporto umano. E la
sua felicità”.
Paolo, pur nella tribolazione, testimoniava la gioia motivandola: “So a Chi
credo”. E la “perfetta letizia” di San Francesco?
Diceva il Saggio: “Meditate, gente, meditate!”.
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REGRESSIONE
di Ratti Antonio
Gli
antropologi ci dicono che, all’incirca 1,3 milioni di anni fa, l’homo erectus è diventato sapiens essendosi reso conto stabilmente
che riconoscere “l’altro” come suo simile era opportunisticamente conveniente,
perché condizione indispensabile per una convivenza costruttiva e propositiva.
Con tanti alti e bassi, lunghe eccezioni e gravi dimenticanze, questo principio
ha retto abbastanza permettendo lo sviluppo di diverse forme di civiltà, di società
e di progresso costante. Oggi osserviamo una minoranza, ma attiva in ogni
continente con un unico filo conduttore, che con la violenza rifiuta la
reciprocità che quel nostro antichissimo antenato riconosceva come la grande
conquista che gli aveva permesso di fare il salto di qualità. Assistiamo
sbigottiti, pertanto, a forme di terrore di una brutalità che sgomenta.
L’organizzazione di Boco Haran in Africa usa innocenti e ignare bambine come
ordigni esplosivi per compiere stragi nelle strade affollate e nei mercati.
Tutto quello che abbiamo ascoltato e visto in TV in queste tragiche settimane
come possiamo definirlo se non una delirante regressione intrapsichica delle capacità intellettive e una devianza paranoica della facoltà e volontà
d’intendere, per il pervicace rifiuto a riconoscere con le sue diversità “l’altro”- che spesso ha già offerto
ospitalità -? L’attentatore al supermercato ebraico di Parigi nel video di
rivendicazione, giustifica la sua iniziativa di vendetta e di morte affermando
che Dio gliel’ha suggerita e che lo ha sostenuto.
Qui si apre un altro aspetto del problema. Per giustificare le stragi, il
fanatismo ideologico, il fondamentalismo, l’integralismo, in una parola,
l’odio, si chiama in causa Dio che chiederebbe a questi “martiri-eroi” di
instaurare nel mondo con il terrore e la morte un nuovo ordine sociale dove la
libertà, l’eguaglianza, la fraternità e le diversità, anche religiose, sono
concetti da cancellare. Un’idea così minimalista e antropomorfa della divinità
è il vero peccato di blasfemia. Infatti, quale credibilità può avere un Dio che
sollecita ogni forma di barbarie verso ciò che lui stesso ha creato per imporre
un modello di vita e di società basato sulla forza e la soppressione di ogni
principio di libertà e di diversità? L’Iman, capo della comunità islamica di
Parigi, ha dichiarato: “Noi siamo in prima fila contro questi barbari”, perché
il vero islam non ha niente da spartire con il terrorismo che si autodefinisce
difensore della fede islamica. La conferma ci viene data dal giovane commesso
di colore e musulmano che –a rischio della vita – ha nascosto quattro ebrei
nella cella frigorifera del citato supermercato parigino salvandoli.
E’ingiusto generalizzare e mostrare atteggiamenti discriminanti, mentre è
doveroso per coloro che assumono incarichi istituzionali e di governo
attrezzare la società civile e gli Stati degli strumenti idonei, che non possono essere legati solo
all’uso della forza, a isolare queste schegge impazzite e a svuotare di ogni appeal (interesse) la carica ideologica
di questi folli missionari di morte abilissimi a reclutare sempre nuovi adepti
anche al di fuori del mondo islamico. Il paradosso è che costoro, che vogliono
farci regredire e riportarci indietro in un lontano oscuro clima di sopraffazione
e intolleranza, sanno usare in modo eccezionale tutti i mezzi più moderni e più
tecnologicamente sofisticati per i loro perfidi obiettivi mettendo spesso in
ridicolo le Intelligence e i servizi
segreti occidentali con la manifesta abilità che mostrano nel violare i loro sistemi di sicurezza informatici e non (
gli USA ne sanno qualcosa).
12-01-2015
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Una Notte Santa
di Carlo Lorenzini
L’abbaio di un cane nella
silenziosa solitudine della notte suscita in me una particolare suggestione e
mi ingenera una specie di angoscia esistenziale, come ogni domanda che non ha
risposta. Quell’abbaio è un po’ la metafora dell’orante che rivolge la sua
invocazione a un dio sconosciuto, che non si fa trovare e che non risponderà.
A
questo punto mi alzai e andai alla finestra. L’aprii. E guardai fuori, in mezzo
alla campagna. Ormai era notte profonda. Continuava a piovere. La stessa pioggia
fine e leggera. Da sperduti e misteriosi silenzi, malinconici abbai di cani,
lamentosi come angosciate preghiere all’indifferenza del mistero. In
lontananza, rare luci di rustici casolari.
E immaginai, in questi casolari, vaste e nere cucine, con il presepe,
l’albero, un grande fuoco nell’ospitale vano del camino; e, attorno ad uno
spazioso tavolo, nonni e genitori e figli, e generi e nuore e nipoti e amici, e
anche qualche solitario vicino: a celebrare, con la cena e i giochi e le
conversazioni e i regali del dopo cena, la serenità e anche la gioia della
Notte Santa. E poi i bimbi, in attesa impaziente della venuta di Gesù Bambino a
portare i doni. E, ancora, babbi e cognati in assorta conversazione di terreni,
di stagioni, di semine e di raccolti; e nuore e figlie, e giovani zie e anziane
zie, a parlare di regali e di amiche e di corredi e di ricette di cucina e di
educazione dei figli; e mamme, a sgridare ogni tanto la rumorosa e scomposta
allegria dei bambini; mentre i nonni guardano, e sono felici, e ogni tanto
accolgono tra le braccia complici lo scatenamento di qualche nipote in fuga
dall’ira ostentata e chiassosa della madre. Poi ci sarebbero stati i regali.
E poi la Messa di mezzanotte, nella piccola chiesa vicina, nascosta tra
querce e cipressi; dove il pievano, celebrando la nascita del Redentore e
sull’esempio del Bambino, parla delle difficoltà della vita, delle poche gioie
e dei molti dolori cui l’uomo è destinato, dei mezzi per renderci umili nelle
gioie e per rendere sopportabili e anche graditi i dolori, della santità e
nobiltà del sacrificio. E poi, tra l’intenerita melodia del “Tu scendi dalle
stelle”, il bacio al Bambino, simbolo all’uomo di amore e di disponibilità per
gli altri. E poi, nel freddo della notte, il silenzioso ritorno; i più piccoli
addormentati in collo agli adulti.
Fido e Nerina che accolgono la brigata, abbaiando nell’aia e muggendo dalla
stalla. Poi gli uomini, prima di salire nelle stanze, la visita ai buoi e alle
vacche, se tutto è a posto; la visita ai maiali; un’occhiata al pollaio. Poi,
dopo il risentito grugnito e il placido chiocciare nel silenzio della notte, in
casa. Le luci si spengono. Tutto tace. E, in quella pace primordiale, prima del
sonno, per gli sposi più giovani, il corteggiamento nel freddo del letto; le
esigenti richieste di lui, i rifiuti e le ritrosie di lei; e poi il mutuo
abbandono alle carezze e alle dolcezze dell’amore, nella castità, nell’ordine e
nella serenità della vita e dei sentimenti…; e poi, il breve e sottovoce
scambio di parole del dopo… E, infine, il sonno e l’oblio… (dal racconto Una notte di Natale inedito – 1985)
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Un’amica davvero speciale
di Marisa Lisia
La
persona in questione si chiama Fanny, e quando ci ha lasciato per sempre aveva
la bella età di 88 anni. Voglio citarla per le sue virtù: buona madre, anzi
ottima, non negava mai il suo sorriso rassicurante ad ogni persona che si
rivolgeva a lei per un consiglio, o per confidarle le sue pene; nella mia lunga
esistenza molto raramente ho notato tanta amabilità, mitezza e umiltà come la
sua.
Intanto il tempo passava ed i figli, diventando adulti, formano ognuno la
propria famiglia. E l’ ultimo, il più giovane, trova una brava ragazza che
naturalmente presenta ai suoi genitori e poi la sposa. La sposina non si sarà
subito resa conto di avere una così egregia e buona suocera (una vera fortuna)
e, conoscendola bene, l’ha amata come una figlia ama la mamma sua. Beate le
famiglie dove l’amore regna sovrano!
Poi Fanny, anche considerando l’età, si ammala e muore; muore serenamente come
è vissuta. I figli le fanno il più gentile e geniale dei doni: la bara bianca
con i fiori altrettanto bianchi, come fosse una festa… Secondo il mio parere ha
mantenuto la sua innocenza battesimale. Vero Fanny? Ti sto raggiungendo!
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Le mie mani
di Doretto
Le mie mani: quante cose hanno da raccontare! Hanno
giocato quando ero bambino; hanno incominciato a lavorare dopo l’adolescenza;
tanto, per tanti anni, e ora… eccole qui: vecchie, ma sempre attive. Le mie
mani, dono di Colui che me le ha date; posson fare ancora quel po’ che possono.
E quando non potranno più fare niente, potrò fare ancora una cosa che non mi
costerà nessuna fatica, ma sarà la cosa più importante di tutte: pregare,
pregare per tutti!
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Lettera a “Il Sentiero”
di Marta
Caro Walter, permettimi di
dirti che bella persona sei. Quanta umanità doni a chi ti passa vicino nella
vita. Hai accompagnato fino all’ultimo, assieme anche alla tua famiglia, il
caro “pacioccone”, sempre sorridente Ferruccio, un gigante buono. Sappiamo che
fin dall’inizio della sua malattia sei sempre rimasto vicino a lui: nel periodo
degli interventi, nelle degenze e la lunga convalescenza in casa tua finché hai
potuto. Poi , purtroppo, l’aggravarsi della malattia; ma non ti sei mai
stancato, sempre lo hai consolato, anzi lo avete consolato perché anche tua
moglie e le tue figlie lo hanno assistito ogni giorno, a Sarzana o La Spezia,
per tutto il periodo della sua infermità.
Inoltre ricordo con quanto affetto venivi da Doretto e stavate a parlare del
più e del meno, ma soprattutto di Gesù , della Madonna, di riflessioni varie e,
perché no, a volte anche qualche pettegolezzo. A Doretto, appena ti sentiva
arrivare, brillavano gli occhi dalla gioia: per te, per il grande amico Walter;
se non vi vedevate, vi telefonavate: sei stato grande consolandolo nella sua
malattia, fino alla fine.
So che tu non vuoi lodi, sei molto umile e schivo, ma queste sono cose che
vanno dette; so che fanno piacere a chi le ascolta e a chi le legge. Sappiamo tutti
con quanta forza, tenacia, ma principalmente con l’aiuto della fede, combatti
la tua battaglia personale ormai da tantissimi anni, e malgrado ciò trovi il
tempo per tutti e per tutto, come per la pubblicazione del nostro “Sentiero”
del quale sei l’operatore principale, e poi ci informi col tuo “diario” sui
principali avvenimenti, in particolar
modo quelli religiosi, delle nostre parrocchie e del nostro territorio. Tu,
caro Walter, sei quasi sempre presente a queste funzioni , inoltre ti presti anche
a dare una mano se ce n’è di bisogno.
Le persone speciali profumano di semplicità e di serenità, luccicano nel cuore
e brillano nell’anima!
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