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Un Natale di anni fa
di Doretto
Mi torna alla mente il
ricordo di una Santa Messa di Natale di tanti anni fa. La chiesa era quella di
Marina di Carrara (dove da poco mi ero sposato). Era la Messa di mezzanotte.
Appena entrato notai che la chiesa era quasi al buio. C’era la penombra e mi
chiesi cosa significasse tutto ciò.
Ma ecco che inizia la Santa Messa e, dopo l’atto penitenziale, ecco che il
celebrante intona il “Gloria”, fino ad ora (nel tempo d’Avvento) omesso. Appena
pronunciato “Gloria a Dio nell’alto dei cieli…”, un faro di luce sfolgorante
lacera il buio e colpisce un piccolo Bambino Gesù posto nella culla ai piedi
dell’altare; poi, piano piano, sempre in crescendo, la chiesa si riempie di una
luce abbagliante. Inutile dire la grande commozione di quel momento. Gesù è
nato, e con Lui è arrivata la Luce nel mondo!
Ho pensato: questo prete è proprio un artista! Sì, perché con quella
scenografia ha raccontato, in sintesi, tutta la storia della salvezza: Gesù è
la Luce! Il tema della Luce attraversa tutta la Sacra Scrittura: la separazione
della luce e delle tenebre è stato il primo atto creativo. Poi Gesù dice: “Io
sono la Luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la
Luce della vita!”. La Luce è, in definitiva, la comunione con Dio e tra di noi.
“Chi ama suo fratello dimora nella Luce”, e mio fratello è ogni prossimo che
incontro nell’arco della giornata, momento per momento. Quando chiedo a padre
Onildo l’olio per la mia lampada affinché non abbia a spegnersi, mi auguro che
questa Luce rimanga accesa fino a quando arriverà lo Sposo.
Il santo Natale è passato, ma facciamo sì che questa Luce che è venuta nel
mondo non abbia mai a spegnersi in ciascuno di noi. Se abbiamo sempre la Luce
accesa, siamo nell’amore; se siamo nell’amore, Gesù è con noi, dentro di noi,
nel nostro cuore. E allora la vita avrà senso, qualunque cosa ci capiti, perché
Lui è la vita, la felicità sulla terra per sempre. E questa Luce non dobbiamo
nasconderla; infatti Gesù ci dice: “Voi siete la Luce del mondo, ma non si
accende una lucerna e si mette sotto il moggio, si mette sul porta lucerna e fa
Luce a tutti… Così risplenda la vostra Luce davanti agli uomini, affinché
vedano le vostre opere buone”.
Ecco l’evangelizzazione: ricordiamocelo!
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“Vi annuncio una grande gioia, oggi è nato per voi un Salvatore”
di Giuliana Rossini
“Vi
annuncio una grande gioia, oggi è nato per voi un Salvatore”
Con queste parole
l’angelo ha comunicato ai pastori la lieta notizia, il gioioso annuncio della
nascita di Gesù. Egli è sceso sulla terra per amore, solo per amore. Era nel
seno del Padre, nel cuore della Trinità, dove ogni Persona amava l’Altra di un
amore infinito fino a farsi Uno con Essa: nulla mancava in questo rapporto
reciproco di perfetta unità. E tuttavia Gesù si è fatto uomo, ha assunto la
nostra umanità ed è sceso sulla terra per salvarci, riportandoci alla
condizione di figli di Dio: è venuto a condividere la sua ricchezza con la
nostra povertà.
Mio Dio, quale grande mistero! Quale dono meraviglioso! Come corrispondere
a tanto amore? La nostra gioia deve essere grande, valicare i confini di una
giornata, durare tutto l’anno e, soprattutto, essere comunicata, anzi gridata a
tutti coloro che ci stanno accanto.
Dammi, Signore, di essere testimone di Te, risposta efficace alle inquietudini
del mondo; fa’ che noi cristiani possiamo intessere ricami di luce, vivendo il
Tuo comandamento nuovo dell’amore reciproco. Solo vivendo la vita di comunione
possiamo generare in mezzo a noi la presenza viva e reale di Gesù (“dove due o
tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, Mt 18, 20) e con Gesù
presente tutto è possibile: Egli conquista il mondo!
Sì, dobbiamo avere questa fede grande, essere consapevoli e certi che oggi
abbiamo la possibilità di realizzare un compito altissimo, di vivere una
meravigliosa avventura: riportare Gesù sulla terra.
Papa Francesco non si stanca mai di invitarci ad essere evangelizzatori,
comunicatori di gioia (la gioia è il distintivo dei cristiani), di affiancarci
ai nostri pastori nel metterci in cammino per raggiungere tutte le periferie
del mondo.
Buon anno a tutti, dunque, nell’amore e nella luce di Gesù: che l’annuncio
dell’angelo penetri nei nostri cuori facendoci riscoprire il vero significato
del Natale: Gesù è sceso in terra per noi, per portarci la sua vita, perché
moriva dal desiderio di farci conoscere un Amore senza confini, pronto a dare
la vita per tutti i fratelli.
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Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
Fratelli,
semplicemente
“Avvento di fraternità”. Lo ha proposto la Caritas. Forse si pensa di saldare
il conto con un’offerta, ma sarà così? Sostiamo sulla parola “fraternità”. E’
in gioco la nostra vita di cristiani. Oggi la tentazione è ripiegarci su noi
stessi, chiudere le porte, sigillare i confini.
Proviamo a guardare gli altri con “occhi gonfi di tenerezza e di speranza”,
come scriveva don Tonino.
La fraternità va riscoperta. Allargata a tutti senza esclusioni. Perfino a
Giuda, predicò don Mazzolari un giovedì santo. “Chiamandolo fratello, noi siamo
nel linguaggio del Signore. Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, il
Signore gli ha risposto con una parola che non dobbiamo dimenticare: “Amico!”. Questa
parola che dice l’infinita tenerezza della carità del Signore”.
Per
chi suona la campana?
Quando in un paese delle colline pisane “la campana
dell’agonia” suonava, ci si chiedeva: chi muore? Si veniva a sapere chi era
chiamato, e la prima cosa era correre in chiesa. A pregare. La persona che si
avviava alla morte aveva diritto ad essere accompagnata sulla soglia
dell’eterno.
Le massaie lasciavano tutto per compiere un’opera obbligata dall’amore; gli
uomini al lavoro si toglievano il cappello al suono di quei rintocchi. In
chiesa il sacerdote iniziava la preghiera. Era bella, dolorosa: una preghiera
che costringeva Iddio ad esaudire. “Signore, è pur tuo figlio, è prezzo del tuo
sangue; ora che agonizza e langue: abbi di lui pietà!”.
“Stringer vorrebbe la croce, ma tenta, tenta invano: abbi di lui pietà!”. E poi
le litanie, dove si invocavano la Madonna, San Giuseppe, i Santi protettori
degli ammalati. E tutti: prega per lui!
Quanta tenerezza vedere uomini e donne in ginocchio fare con fede invocazioni
struggenti a nome dell’agonizzante. Quasi a dire al Signore: lui non può, sta
morendo: lo facciamo noi a suo nome. Intorno a quel letto dove un cristiano
moriva, c’era una Chiesa che pregava. Nessuno moriva da solo.
Quanta pietà in quei popoli poveri di tutto, ma pieni di amore e di fede!
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