N° 10 - Dicembre 2014
Spiritualità
  L’ultimo abbandono
di Doretto



Ci sono dei momenti in cui ci pare di essere gettati nella sventura e abbandonati da cielo e terra. Eppure questo disorientamento e questo abbandono rientrano nella trama paterna. Gesù, ma come faccio io, così piccolo, a comprendere la tua volontà quando sono nel dolore?E allora ho imparato una cosa: mi lascio abbandonare in te. Sì, mi abbandono in te! Io so che tu vuoi solo il mio bene. Non mi affatico più, non rifletto più. Mi metto nelle tue mani…e godo la pace. Se mi ribello e pongo intralci, io ritardo la mia felicità. Poi penso: ormai siamo a novembre, e il giorno 2 di questo mese commemoriamo i nostri cari defunti. Ecco, loro hanno già sperimentato l’ultimo abbandono! Quando sarà l’ora e arriverà lo Sposo, io mi auguro di avere la mia lampada ancora accesa, nel momento in cui dovrò entrare con Lui nel banchetto celeste mi auguro di essere in grado, ancora una volta, di abbandonarmi tra le sue braccia e lasciarmi amare come un bambino tra le braccia della mamma.
Gesù, ma quanti invece muoiono senza averti conosciuto? E in quel momento fatidico, cosa penseranno?Penso alla disperazione, alla immensa solitudine, al buio che apparirà loro davanti e alla paura che, forse, li assalirà. Poi penso a San Francesco d’Assisi: lui è arrivato a chiamare la morte “sorella morte”! Dio ci ama, siamo sue creature, e lui ci vuole tutti salvi. Se ascoltiamo la sua parola e la mettiamo in pratica, volendoci bene tra noi, siamo già felici su questa terra e lo saremo ancor più e per sempre nell’altra vita che ci attende. Siamone certi!

 

                                                                                           

  Uno squillo amico
di Giuliana Rossini




Ore 8,40. Un breve muggito, accompagnato da qualche squillo mi avvisa che ho appena ricevuto un messaggio telefonico. Corro con l’entusiasmo di una bambina e ciò che leggo mi riempie di gioia: “Tenere viva la carità fra noi”. Già, si tratta di una breve frase che vola di cellulare in cellulare (ma la si trova anche sul computer) che ogni giorno, in modo diverso, ci riporta alla realtà che dovremmo vivere quotidianamente. Anch’io la spedirò ad altre amiche e questo semplice gesto intesse tra noi una rete che dà sapore a tutta la giornata, permettendoci di iniziarla in unità di intenti.
Tenere viva la carità, l’amore scambievole, tra noi e fra tutti non è un impegno facile, ma so che l’importante è provarci e ricominciare sempre quando qualcosa non va nella giusta direzione. Sono d’altronde consapevole che da soli non siamo capaci di nulla, ma che c’è Qualcuno, al Quale nulla è impossibile, che tiene molto a noi e non è insensibile alle nostre richieste d’aiuto.
Ad uno sguardo frettoloso, nella nostra società, basata su una feroce ideologia del profitto, la carità, intesa nel suo significato più profondo, sembrerebbe una merce in disuso; invece, proprio i tempi difficili che stiamo vivendo, stanno suscitando veri e propri miracoli di fraternità. Così non è difficile venire a conoscenza di persone che, pur non navigando nell’oro, si privano di qualcosa per aiutare il fratello più bisognoso. Ogni giorno apprendiamo di famiglie in difficoltà, perché il capofamiglia ha perso il lavoro e non sono più in grado di pagare l’affitto, le varie bollette, le spese scolastiche… Ma quando queste realtà vengono allo scoperto (e non è facile manifestare agli altri le proprie difficoltà) si assiste a vere e proprie gare di solidarietà che ci fanno capire che il cuore dell’uomo è più aperto all’amore verso il prossimo di quanto potremmo pensare. Ma dice Gesù: avevo fame, sete, ero ignudo, forestiero… e voi mi avete dato da mangiare, bere, vestiario, accoglienza, ecc.?
Sì, nell’ultimo giorno saremo giudicati sull’amore che saremo stati capaci di donare, perché questo solo conta. Questo amore verso il fratello ha la sua radice più profonda nell’amore a Dio: quanto più amiamo Dio, tanto più amiamo i prossimi.
Mi sembra già di sentire le proteste di qualcuno che mi suggerisce che molti “laici” amano i fratelli più di molti credenti tiepidi: è vero, perché i primi amano Dio anche senza saperlo e i secondi, invece, non lo amano affatto. Infatti dice San Giovanni che non possiamo dire di amare Dio che non si vede se non amiamo i fratelli che abbiamo accanto e che vediamo.

Più gocce insieme formano il mare, anzi l’oceano. Abbiamo questa opportunità: sfruttiamola! Certo, le autorità competenti devono fare la loro parte e sta anche a noi stimolarle convenientemente, ma occorre sempre cominciare da noi: siamo noi i mattoni di una società sana, accogliente, vivibile, in una parola: fraterna.





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  E’ il tempo del ritorno: non perdiamo più tempo!
di Stefania (24.10.2014)



 

Abbiamo gettato via già troppo tempo senza vivere in maniera piena le nostre azioni quotidiane, o meglio senza renderci conto dove “ora” saremmo arrivati per il nostro mancato impegno e volontà di mettere il Creatore al centro della nostra vita. Forse abbiamo pensato, chi più chi meno, che potevamo fare tutto da soli, poi ci siamo resi conto che senza l’aiuto dello Spirito Santo, non riusciamo a trovare la pace interiore. “Senza la Tua forza nulla è nell’uomo, nulla è senza colpa…”; senza quello Spirito al centro della nostra vita, e quindi nella famiglia, nel lavoro, nella Chiesa, nelle associazioni e in tutta la nostra quotidianità, non possiamo fare nulla di buono: anzi, senza rendercene conto, induriamo sempre più il nostro cuore, aumentiamo il nostro egoismo, aumentano i nostri errori e perdiamo la nostra pace interiore.
Ma questo è il periodo della Misericordia: dipende solo da noi se vogliamo accoglierla o rifiutarla, e in questo siamo pienamente liberi di scegliere. Ma, come già detto, è il tempo del ritorno, ognuno di noi siamo un “figliol prodigo”: abbiamo un Padre che nonostante tutto quel che abbiamo combinato, ci aspetta sempre a braccia aperte per aprirci il suo cuore misericordioso. Riprendiamo quindi il nostro cammino facendoci accompagnare dal nostro Creatore, senza più rifiutarlo col nostro comportamento; diventando dei buoni cristiani praticanti, utilizzando gli strumenti di aiuto che la Chiesa ci mette a disposizione: i Sacramenti, i sacerdoti, ecc. Iniziando a praticare e ad utilizzare questi “strumenti”, capiremo sempre di più come ognuno di noi ha bisogno di essere “guarito”, come era accaduto al famoso cieco della parabola al quale Gesù aveva detto: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe…”. E’ andato, si è lavato e ha cominciato a vedere! Se non vogliamo essere guariti, Dio non ci può guarire.
E’ la nostra volontà, il nostro impegno, la nostra libertà, il nostro svegliarci, il nostro amarci, il nostro coraggio che determinano il nostro destino e che ci portano al  personale incontro con Colui che ci ha creato, che tanto ci ama e ci vuole donare la vera pace. La nostra vita sarà inutile e sprecata se non mettiamo in pratica queste cose. Sarebbe come fare una escursione in montagna riempiendo lo zaino di cose superflue e lasciando a casa le cose necessarie per la scalata. Non perdiamo più tempo per la nostra salvezza e la salvezza delle persone a noi care. Senza la grazia di Dio, siamo come un bel fiore a cui non diamo l’acqua giornalmente: subito appassisce.
Buon  cammino di conversione quotidiana a ciascuno di noi, e non dimentichiamoci mai che camminare da soli ci fa perdere la strada, camminare nella Chiesa ci fa ritornare e ritrovare la strada giusta e assaporare già qui la vera Pace, quella Pace che solo camminando ogni giorno con Lui, Egli ci dona.

 

                                                                                                (24.10.2014)



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