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Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
Senza pietà
Solo
fatti. Il primo: un uomo, accompagnato dalla moglie, va a fare una TAC.
Terminata, aspettano nel corridoio per sapere qualcosa. Esce un medico e
chiedono se ci sono risultati. La risposta: il marito ha un tumore alla testa.
Quei due si sentono morire di fronte a una notizia tragica, data con
superficialità e mancanza di rispetto. Le lacrime scendono sui volti di quegli
sventurati, mentre quello se ne va.
Il secondo: quasi eguale al già raccontato. Una giovane sposa si trova in casa
col bambino piccolo. Il marito è ricoverato ed ha subìto più di un intervento.
Squilla il telefono: è l’ospedale di una grande città. “Stiamo trasferendo suo
marito in una struttura vicino a casa sua, gli abbiamo scoperto un male
incurabile”. Glielo dicono così, a una donna che si sente svenire e non può
neppure urlare di dolore per non spaventare il bimbo.
E’ civiltà, questa? Si dirà: sono casi. Anche se fosse uno solo, non si può
accettare. Domanda amara: se quelle persone fossero state importanti, sarebbero
state trattate così? E queste crudeltà si compiono non solo negli ospedali.
“Pietà l’è morta”, scriveva Nuto Revelli. “Pietà e tenerezza è il Signore!”,
canta il Salmo. Quanto, ancora, da imparare!
Miseria e nobiltà dei segni
Siamo circondati da segni.
Con un loro particolare e talora affascinante linguaggio. Basti pensare, nel
creato, all’arcobaleno. Dice il Siracide: “Osserva l’arcobaleno e benedici
colui che l’ha fatto, è bellissimo nel suo splendore. Avvolge il cielo con un
cerchio di gloria, l’hanno teso le mani dell’Altissimo”. Gesù riconosce che
l’uomo sa interpretare i segni che lo circondano, mentre tende a rifiutare
quelli di una Presenza. I segni sono anche tentazioni. Per esempio, quelli del
potere. Usati a man bassa, anche oggi per mostrare potenza politica ed
economica. L’uomo è tentato di coprire la propria pochezza con l’esibizione di
simboli che facciano colpo. Si pensi a certi dittatorelli mascherati da
Napoleone, vedi Bokassa.
Tonino Bello invita i credenti a badare più che ai “segni del potere” al
“potere dei segni”. Il cristiano dovrebbe fare, dei segni, uno dei segreti per
vivere la fede. Romano Guardini ha scritto, nel 1919, un libro bellissimo,
anche oggi assai attuale: “I santi segni”. Lì si impara lo spirito della
Liturgia e del simbolismo. C’è una ricchezza di allusioni che incantano. Si
assaporano i significati della luce, dell’acqua, dei lini, delle campane.
Un segno, ultimissimo: il pastorale di legno che papa Francesco ha scelto.
Glielo hanno regalato non il potente di turno, ma i detenuti del carcere di San
Remo.
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Da Luni Mare
di Paola G. Vitale
Carissimi tutti, tra sabato
4 ottobre, sotto il patrocinio di S. Francesco Patrono d’Italia, e domenica
seguente, quanta e quale catechesi dal vivo! La bella notizia di sabato è che
nella gradevole cappella della Madonna dei Poveri, inaugurata con la presenza
della Confraternita di S. Pietro Apostolo, ogni sabato mattina -alle ore 9-
sarà celebrata l’Eucaristia. Ed io ho notato che le ostie, alla fine
celebrazione, sono state riposte nel dorato tabernacolo, posto ai piedi della
statua umanissima di Maria Santissima. E qui ringrazio l’impegno di chi ci ha
radunati con il pullman, ribadendo che sono soldini spesi bene, al di là di
ogni altra considerazione.
Al pomeriggio di domenica il vescovo Luigi Ernesto, alla presenza di numerosi sacerdoti
e seminaristi, ha riunito nella cattedrale di Cristo Re catechisti, coppie di
fidanzati, coppie di sposi che ricordavano l’anniversario di matrimonio. Con la
benedizione di tutti e la forza di Gesù eucaristico, siamo tornati a casa
sereni e consapevoli di quanto sta cambiando nella Chiesa. Da parte mia, ho
cominciato ad invocare caldamente lo Spirito santo, sul Sinodo dei Vescovi, ma
anche su tutti noi.
Grazie a tutti e… al prossimo incontro!
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Economia con l’anima - Virtù batte fortuna
di Federica
Vizi privati, pubbliche
virtù è il sottotitolo della nota Favola delle api (1714) di Bernard de Mandeville, che aprì un
dibattito tra economia ed etica che coinvolse le migliori menti del Settecento
europeo.
L’idea che dai vizi dei cittadini si possa ricavare qualcosa di buono per la
collettività è ancora tra le più radicate nella cultura contemporanea, e
informa spesso anche l’azione dei governi (tassazione dei giochi e delle
lotterie).
Il Cardinal Angelo Bagnasco ha
richiamato l’attenzione sulla “piaga” dei giochi d’azzardo, invitando con forza
ad un’azione urgente “a tutti i livelli”. Esistono legami evidenti, a chi li
vuole vedere, tra le scommesse nello sport, il business delle slot machine,
certa speculazione finanziaria, oroscopi e maghi, i giochi d’azzardo online e
gli “innocui” gratta-e-vinci.
Il primo fattore che lega assieme questi fenomeni solo apparentemente distinti
si chiama dipendenza: quando si è in presenza di dipendenza sappiamo che esiste
un problema etico enorme, poiché se si lascia la gestione di questi ambiti solo
al mercato, il risultato è lo sfruttamento a scopo di lucro dei più deboli e
fragili, con gravissime conseguenze individuali, familiari e sociali. Un
secondo legame è l’enorme giro d’affari che questo mondo muove: in Italia
questo affare vale certamente più di 75 miliardi, in aumento esponenziale. Un
terzo comune denominatore è la forte infiltrazione della criminalità
organizzata in tutto questo “territorio” ambiguo.
La proliferazione dei giochi d’azzardo è un vero e proprio scandalo e, da
troppi punti di vista, una piaga molto più pervasiva e grave di quanto
comunemente si creda, e le sue radici sono profonde e serie. Stiamo, infatti,
assistendo passivi alla crescita massiccia di una vera e propria “cultura”
delle scommesse e della fortuna. Pensiamo, ad esempio, alla ricorrente vicenda
del calcio-scommesse. Questa è profondamente legata a una visione mercantile
che sta trasformando il calcio da “bene relazionale” (cioè un incontro non commerciale)
in bene di mercato altamente speculativo.
La dimensione della gratuità è ormai scomparsa dal gioco (di cui dovrebbe
invece costituirne l’essenza). Le partite di calcio stanno invadendo tutti gli
altri programmi televisivi in tutti i giorni della settimana, svuotando gli
stadi per riempire case di individui sempre più soli davanti a televisori
sempre più grandi. Uno sport ridotto a semplice merce finisce per rendere
eticamente meno riprovevoli comportamenti invece in sé molto gravi, anche perché
gli stessi tifosi vedono società di scommesse come sponsor delle loro squadre
del cuore.
Per non dire poi che queste imprese speculative hanno preso via via il posto
dei prodotti dell’economia reale italiana che nei decenni passati erano su
quelle magliette. Il mercato è un’invenzione meravigliosa, finché resta un
principio accanto ad altri della vita in comune, e nei suoi spazi: diventa una
grave malattia civile quando è l’unico criterio per governare i rapporti
sociali.
Che fare allora? Innanzitutto occorre agire “a tutti i livelli”. Un primo
livello è quello politico per esempio proibendo la pubblicità. Le dipendenze
sono simili, e gli effetti di queste nuove dipendenze sono oggi forse più
gravi. Perché poi non pensare anche a forme di “obiezione di coscienza” da
parte di quei campioni che potrebbero rifiutarsi di fare da testimoni in tali
pubblicità.
C’è poi una dimensione educativa, familiare e scolastica, ma è sempre il
livello civile quello davvero cruciale. Dovrebbero, ad esempio, essere gruppi
di cittadini a premiare con un marchio di qualità etica quei locali e bar che
rinunciano a sicure entrate eliminando le slot machine, un marchio che potrebbe
poi attrarre verso quegli stessi locali più consumatori civilmente
responsabili. E’ la nostra ricorrente idea di “premiare gli onesti”,
parallelamente alla coessenziale punizione dei disonesti.
La sfida è grande. L’Occidente ha
iniziato la sua straordinaria storia quando ha affermato che “la virtù batte la
fortuna” che la vita buona (l’eudaimonia)
non dipende dal fato ma dalle nostre scelte improntate alla virtù, che sono la
sola vera risposta di fronte all’incertezza della vita. L’invasione della
cultura della fortuna dice allora, e con grande forza, la profonda crisi della
cultura occidentale, e un forte ritorno di irrazionalità e di fede nel fato. Le
pubbliche virtù, ieri come oggi, nascono dalle virtù private, ancor più nei
tempi di crisi.
Tratto
da “Economia con l’anima”, di Luigino Bruni.
Leggendo
questo articolo ho pensato a Emiliana Ponzanelli del ‘Colibrì’,
un’edicolante della nostra Comunità. Nominandola, la vorrei “premiare” perché
Emiliana ha deciso (spero non sia l’unica nel nostro Comune) di non tenere fra
la propria merce in vendita “gratta-e-vinci” e tutto ciò che potrebbe indurre
al gioco d’azzardo. L’ha fatto proprio come obiezione di coscienza con coraggio
sfidando le leggi di un mercato vecchio e ormai atrofizzato su principi poco
etici. Grazie Emy.
Federica
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Dal mio viaggio in Brasile
di Angelo Brizzi
Cobra - Honorato
Novella per le classi
primarie della Creche (scuola materna), tradotta dalla rivista “Ciencia hoje”
Questo
fatto accade quasi sempre nella notte di San Giovanni: c’è chi giura che è vero
e chi no.
La festa era molto animata, lo spazio ordinato e addobbato con bandierine e
palloncini; molte le bancarelle col granturco, patatine, dolci e zenzero e
tanti altri manicaretti per i più golosi. Le coppie giravano ballando e
discutendo al suono del “forrozao”, ballo popolare del nord-est. A mezzanotte
la musica cambia tono e diventa quasi triste; le coppie restano paralizzate
dallo stupore: un unico ballerino danza che sembra volare nel salone in terra
battuta. Il ragazzo attira l’attenzione di tutti, non si sa se per la bravura o
per la sua bellezza. Infatti è veramente bello: alto, snello, occhi stupendi e
una capigliatura rilucente e ben pettinata; emana un dolce profumo che si
spande nell’aria.
Ora sta ballando con la figlia del colonnello e strappa tanti sospiri alle
altre “meninas” intervenute alla festa. “E’ Honorato! Sì, è lui, Honorato!”,
sussurrano tutti a bassa voce. E l’un l’altro, bisbigliando, si danno di gomito
dicendo: “Bravo, Honorato: volteggia così!”. Poi, più avanti, mentre tutti lo
osservavano, egli svanì come una nuvola di fumo, senza lasciare traccia;
nessuno ha potuto vedere che direzione aveva preso: sparito dalla festa!
Ma chi è questo Honorato? Dalle parti del nord-est si racconta che è un ragazzo
incantato che, per magia, fu trasformato in un cobra e ora vive in questa
regione. Si racconta che un giorno, camminando sulla sponda di un fiume, tra sé
e sé si lamentava di vivere tutto solo: non aveva alcuna compagnia. Una sirena
del fiume (un essere incantatore) udì il suo lamento e attirò a sé il ragazzo,
lo trasformò in cobra e lo portò nel suo regno di acqua dolce, e Honorato sparì
per sempre. Ma, nei giorni di festa e di folklore, lui riappare sempre dopo la
mezzanotte. Si libera del suo stato di cobra e si ritrasforma nel bel giovane
che era. Mangia, beve e si diverte, balla con le ragazze più belle della festa
e prima che faccia giorno sparisce di nuovo e ritorna dalla sua sirena nel
fondo del fiume. Ma quel che è più strano è che lui è capace di comparire in
due o perfino in tre altre feste nella stessa notte, in luoghi diversi.
La festa preferita da Honorato è quella di San Giovanni, però lo si può vedere
in quasi tutte le feste folkloristiche del nord – est del Brasile, terra in cui
è nato, “vive” ed è ricordato nelle balere.
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Grazie, Doretto!
di Stefania Grassi
Come tutte le mattine sono scesa in
piazza e, dal finestrino dell’auto, ho visto il manifesto funebre. Non credevo
ai miei occhi, lo avevo incontrato pochi giorni fa e mi aveva colpito, come
sempre, la sua serenità e gioia, pur sapendo la gravità della sua malattia.
L’ultimo suo scritto su “Il Sentiero”,
“La carezza della Madonna”, quel suo dolcissimo incontro poco prima di
lasciarci, sembra testimoniare la sua voglia di gridare a tutti quanto la fede
è e deve essere per tutti l’unico amore per la nostra Vita. Vita con la V maiuscola, perché qui,
dobbiamo ricordarci, siamo solo umili passeggeri, perché la vera Vita è lassù
con Gesù e i suoi cari, come li definiva Doretto.
Grazie perché i tuoi scritti e le tue semplici parole rimarranno sempre in noi,
indelebili e fonte di Vita.
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Lettera a “Il Sentiero”
di Mila
Caro
“Sentiero”, prima di tutto una notizia alla quale ancora non credo: forse, dico
forse perché, appunto, ancora non ci credo, fra qualche mese avremo il nuovo
parroco. Non dico nient’altro, no, ma un piccolo fatto lo voglio raccontare.
Dunque: un paio di settimane fa abbiamo iniziato il nuovo ciclo di catechesi
per i bambini; i “miei” quest’anno sono in prima media, quindi riceveranno la Cresima. Come facciamo tutte
le volte, prima d’iniziare i nostri incontri, siamo andati in chiesa, ci siamo
inginocchiati davanti all’altare e abbiamo pregato, prima per una ragazzina che
ha perso recentemente il nonno, poi…: “Preghiamo la Madonna perché interceda
per noi e si possa avere al più presto un nuovo parroco che, come il “BUON PASTORE”,
ci guidi lungo le vie del bene che sono
diventate veramente difficili in questo periodo e per noi in particolare: sia
fonte di consiglio, fiducia e gioia. Quindi diciamo con fede una bella Ave
Maria”.
A questo punto ho sentito la voce di Anna: “Ma, Mila, è quasi un anno che
preghiamo per questo parroco e siamo sempre senza, forse sarà meglio pregare
per qualcos’altro!”. “Abbi fede Anna,
Dio ha i suoi tempi, e poi sia fatta la Sua Volontà: si vede che non ce lo
meritiamo, comunque continuiamo a
pregare”. Poi domenica è venuto don Andrea a celebrare la Messa e ha dato l’annuncio…
“Alleluia! Visto, Anna, che “forse” ce l’abbiamo fatta? Speriamo, speriamo,
speriamo! Grazie, Buon Dio! Grazie al
nostro Vescovo e grazie al parroco che verrà: che Dio l’aiuti e lo protegga
sempre, pregheremo per questo!”.
Dopo questa bella notizia volevo raccontarti del pellegrinaggio di sabato 4
ottobre. Siamo andati in una piccola chiesetta alla periferia di La Spezia dedicata
alla Madonna dei Poveri: una chiesetta veramente deliziosa ai piedi di
Montepertico con una bella statua della Madonna. Volevo documentarmi ma non ho
trovato il tempo, spero di poterlo fare in seguito perché ne vale veramente la
pena. Quello che volevo dire è che nel nostro pullman c’erano pochi
partecipanti, forse perché era il primo pellegrinaggio di questo nuovo ciclo e
la gente non era ancora entrata nello spirito giusto o forse perché ultimamente
ci sono stati parecchi pellegrinaggi: Maralunga, Oropa, Montenero, ecc.
Il fatto è che se le prossime volte continueremo ad essere così pochi c’è il
rischio che il pullman venga eliminato e ognuno debba arrangiarsi con i propri mezzi
e allora non tutti saranno in grado di poterlo fare. Mi ricordo che l’anno
scorso, durante uno di questi pellegrinaggi, una signora
seduta accanto a me mi disse: “Meno male che c’è Walter che organizza sempre i
pullman, per noi anzianotti è molto importante, perché se no fegurete
i zoven se i pensen a noi. Bisogna considerare che questi primi sabati del
mese non sono soltanto un momento di fede ma anche un’occasione di svago e
compagnia per tante persone che di queste occasioni ne hanno ben poche. Quindi
cerchiamo di partecipare numerosi ricordandoci sempre che proprio il primo
sabato del mese è il giorno dedicato a Maria la nostra Madre Celeste, sempre
pronta ad accoglierci ed ascoltarci e sappiamo bene che questo è un periodo
veramente difficile per tutto il mondo e
abbiamo quindi tanto, ma tanto bisogno del Suo intervento.
P.S.
Il dialetto usato non è l’ortonovese ma è inventato.
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Lettera ad un amico
di Romano
Quanti ricordi, Doré! Amico e coetaneo.
Quante volte avevamo parlato della morte.
Non per sfida incosciente, ma perché credevamo che non si riferisse a noi.
Eppure, quando giorni orsono ho saputo della tua brutta malattia, ho imprecato
al destino. Non era sufficiente il calvario a cui già eri sottoposto?
Colleganza, cameratismo, dispute virili, senza risparmio di violenza verbale
(da parte mia). E tu incassatore imbattibile e inamovibile. Che rabbia! Avevi
una dote unica, una religiosità rara: parlavi sempre bene del tuo prossimo, dei
tuoi compagni di lavoro, dei superiori, dei tuoi amici, dei paesani; sempre
pronto all’aiuto, con gioia, con partecipazione. “Oggi, di chi parliamo male,
Doré”, ti provocavo. “Mai, di nessuno”; era il tuo dogma.
Ci sono persone che ti passano accanto nella vita e che ricordi sempre per un
tratto del suo carattere, ma che poi ti risuona dentro con una speciale
armonia. Per me Doreto Cervia è stato uno di questi uomini. Il suo tratto
profondo è stato portare sempre con sé e agli altri tre virtù: umiltà,
attenzione, rispetto. Ci siamo conosciuti nei lontani anni ‘50: lui da Olivi,
una piccola officina meccanica, in cima alla Carriona, io dal “Gobo”, cento
metri prima. Eravamo ancora due “bagashi”, così lì chiamavano gli apprendisti
tuttofare in quel di Carrara. Poi ci siamo persi, tu emigrante in Svizzera,
alla Brown Boveri, io alla Ceramica Vaccari. Ci siamo poi ritrovati all’Oto
Melara, dove sono entrato col tuo aiuto negli anni ‘70 e non ci siamo più
lasciati. Non passava settimana che, o tu o io, non ci facevamo visita nei
rispettivi reparti nei quali lavoravamo. E anche dopo la pensione ci siamo
frequentati assiduamente. Che festa mi facevi quando venivo a casa tua, al
Gaggio! Mi obbligavi a bere e a sedermi sotto quel bel pergolato di kiwi. E la
tua Marta... mi vuole bene come a un fratello, con che gioia mi accoglie
sempre! Non c’è altra casa al mondo dove mi sento a mio agio come nella tua.
Non mi occorre preavvisare. Nessun imbarazzo, a qualsiasi ora: cosa veramente
unica. Quanto hai insistito perché riprendessi la mia collaborazione con questo
bollettino che io avevo interrotto! Se scrivo ancora lo devo unicamente a te. A
casa tua trovavo fede e ottimismo, sempre. Eri tu ha incoraggiare me e non
viceversa.
Caro Doré. Il tuo amore verso il prossimo resterà scolpito nel mio cuore. “La nostra vita è in Gesù”, mi dicevi, “da Lui
bisogna prendere vigore per costruire ponti, contatti, reti di scambio
fraterno”.
Ciao
amico mio. Che la terra ti sia lieve.
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Un saluto dalle “anime sorelle”
di Le tue “anime sorelle”
Caro
Doretto, abbiamo percorso un lungo cammino insieme, sorreggendoci a vicenda,
cercando di realizzare tra noi l’unità voluta da Gesù e ora le nostre strade si
sono temporaneamente divise: tu sei partito per il Paradiso.
Non avevi paura di compiere questo passo, ti sentivi pronto. Le tue sofferenze
avevano già purificato tutto e tu eri già unito al Padre. Spesso scherzavi con
il tuo amico Mario sul fatto che il primo dei due che fosse partito per il
Cielo avrebbe sistemato una sedia accanto a sé, nell’attesa dell’altro. E’
toccato a te, e noi siamo certi che ora tu sei nel seno del Padre, da Gesù, che
tanto amavi, e ora ci attendi uno ad uno.
La tua vita non è stata facile, costellata da tanti dolori che tu abbracciavi e
offrivi, e ciò ti riempiva di gioia, una gioia che comunicavi con stupore a
tutti quelli che ti passavano accanto: l’incontro con Gesù crocifisso nel
momento dell’abbandono del Padre, aveva davvero dato un senso alla tua vita!
Sì, perché non potendo più usare le gambe, ti sono spuntate le ali. E hai
volato alto: “Non ti chiedo di guarire, dicevi a Gesù, ma di fare la tua
volontà!”.
Ci comunicavi le tue esperienze e le tue conquiste e ci permettevi di condividere con te momenti
preziosi, per camminare insieme in cordata, come “anime sorelle”, come amavi
definirci. E tante erano le carezze che ricevevi da Gesù, e ti facevano capire
che eri sulla buona strada.. Ora dovremmo camminare da soli, ma abbiamo una
certezza: dal Cielo pregherai per noi e per i tuoi cari e ci incoraggerai a
proseguire, e noi conserveremo nel cuore il tesoro che ci hai consegnato:
l’abbandono fiducioso nel Padre, l’amore per Gesù Eucaristia, che ci rende
capaci di qualunque cosa.
Grazie, caro fratello, non ti dimenticheremo mai!
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