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A nostro zio Umberto
di Lucia
A te
che quando avevo sei anni
e
portavo quegli stivali verdi della zia,
mi
insegnasti a ballare il liscio…
A te
che quando ogni Santa Lucia mi portavi
a
mangiare al ‘Radar’ e immancabilmente
a fine
cena mi chiedevi se avevo portato
i soldi
per pagare la bottiglia,
visto
che era il mio onomastico…
A te
che mi stropicciavi le guance
per
farmele diventare rosse,
visto
che ero sempre pallida…
A te che
sei stato la mia prima banca:
quando
ti portavo diecimila lire
e me ne
restituivi dodicimila a fine mese…
A te
che ogni momento era buono
per
tamburellare
ed
intonavi un ritornello
accompagnato
pure dal suono
di un
cucchiaino sui bicchieri…
A te
che solo un anno fa
eri in
piedi a farti la foto
in un
momento molto importante per me…
Voglio
semplicemente dirti:
rimarrai
sempre nei nostri cuori;
riposa
in pace e raggiungi il Cielo
a suon
di mazurca,
visto
che la saltavi così bene…
Un bacio, Lucia
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Lettera a “Il Sentiero
di Mila
Caro “Sentiero”, ci tenevo quest’anno ad essere assieme a te
per il numero di agosto, ma credo purtroppo di essere già in ritardo, peccato!
Vorrà dire che sarà buona per il mese prossimo. Non che io pensi che i lettori
del “Sentiero” si sentano defraudati se non trovano un mio scritto, sicuramente nemmeno se ne accorgono. E’ che
lo scorso giugno, in occasione della cena annuale con alcuni amici della
Redazione e i collaboratori che lavorano tutti i mesi alla tua stesura, mi sono
trovata proprio bene, mi sono sentita tra vecchi amici con i quali poter
condividere le mie idee ed emozioni,
sicura di essere perlomeno ascoltata, e così per continuare a stare
insieme a loro avevo progettato di collaborare più frequentemente, invece mi
ritrovo che non ce la faccio e salterò già un numero.
Vorrei scrivere di tante cose. Prima di tutto della bella omelia tenuta da
padre Mario, rettore del santuario del Mirteto, in occasione della processione
interparrocchiale del Corpus Domini qui a Luni Mare. Rivolgendosi ai numerosi
bambini presenti che avevano ricevuto la Prima Comunione le settimane
precedenti nelle varie parrocchie del vicariato, ha augurato loro d’aver sempre
fede e poi rivolgendosi a noi adulti ha chiesto, grossomodo, se siamo capaci di
tramandare a quei bambini la fede che a noi è stata tramandata dai nostri
vecchi. Per lo meno io l’ho capita così e penso che non ne siamo stati capaci,
salvo eccezioni. Ci preoccupiamo ben poco di parlare di DIO ai nostri ragazzi
nella vita quotidiana. Io per prima credevo d’aver fatto tanto perché i miei
figli li ho sempre portati a Messa la domenica, ma poi mi sono dovuta accorgere
che non è stato sufficiente, non sono stata capace di trasmettere loro quello
che era stato insegnato a me già da piccolina. Certo, le cose sono cambiate, il
modo di essere è cambiato, tutto è completamente diverso da quello che era
prima, e poi la mentalità, la morale e…
il Maligno lavora alla grande. Credo che davanti a questi nostri figli, quasi
tutti più alti e più belli di noi, più intelligenti, più istruiti, più
disinvolti, noi ci siamo sentiti intimiditi e abbiamo relegato l’insegnamento
religioso tra le cose desuete, dando maggiore importanza alla cose del mondo.
Comunque io ultimamente ho cambiato registro, parlo di Dio e della Chiesa ogni volta
che ne ho l’occasione. Lo so che mi prendono per fanatica ma vado avanti e con
l’aiuto della preghiera chissà che non ottenga qualche risultato, se non con i
figli almeno con i nipoti e con i bimbetti della mia classe di catechismo.
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Maria
di Doretto
15
agosto 2014.
Giorno di ferragosto. La gente era in vacanza: chi al mare, chi ai monti,
ovunque. Ma quel giorno era anche la festa della Madonna, la festa della sua
Assunzione al Cielo. E, a Messa, ecco l’ispirazione che mi è venuta nella mente
e nel cuore: perché non scrivere un articolo su di Lei per il prossimo numero
del “Sentiero”? Ma poi… come faccio a scrivere tutto un articolo su Maria? Non
sarà peccare di presunzione? E la vocina: “No, scrivilo!”. Ma… ci proverò, col
Suo aiuto.
E subito penso a quella ragazza (stavo per scrivere bambina) di Nazareth e a
quando le è apparso l’angelo per annunciarle che diventerà madre di un bambino
che sarà il figlio dell’Altissimo, il figlio di Dio! E Lei? “Eccomi, sono la
serva del Signore, sia fatto di me secondo la Sua volontà!”. Poi la nascita del
figlio nelle circostanze che sappiamo, e
di seguito la sua vita con Giuseppe, suo sposo, nella falegnameria di Nazareth.
E Gesù cresceva tra le sue braccia. Penso: quante cose si saranno dette Gesù e
Maria per tutto quel tempo? Maria era al corrente di tutto ciò che sarebbe
successo in seguito a Gesù? Immaginiamoci Gesù, Maria e Giuseppe in quella
casetta: il prototipo della famiglia ideale, il paradiso in terra! E Maria
“serbava tutte queste cose nel suo cuore…”. E poi il vecchio Simeone che alla
presentazione di Gesù al Tempio le dice che una spada le trafiggerà il cuore
(alludendo al dolore che avrebbe provato), ma Lei lo sapeva.
Ed ecco che Gesù, giunto alla fine della sua predicazione, comprende che è giunta
la sua ora, l’ora della sua passione e morte. Parte per Gerusalemme, saluta sua
madre, e Lei ancora: “Eccomi!”. Lei lo sapeva che andava a morire ed ancora una
volta ecco il suo sì. E, infine, eccola sotto la croce dove suo figlio stava
morendo tra dolori inauditi; e Lei che accetta ancora una volta la volontà del
Padre. Quel suo “Stabat” è il massimo esempio che ci ha dato nell’insegnarci ad
accettare anche noi, quando siamo nel dolore, nelle situazioni più disperate,
la volontà di Dio.
Ed ora voglio esprimere un mio personale pensiero, una cosa che non è scritta
da nessuna parte ma che, secondo me, si è verificata. Il terzo giorno dopo la
morte di suo figlio, Maria Maddalena ed altre donne andarono al sepolcro e lo
trovarono vuoto: Gesù era risorto! Mi sono sempre chiesto: e Maria, suo madre,
dov’era? Era forse rimasta a casa sua? Lei sapeva che sarebbe risorto! Per me,
invece, Lei è stata la prima a giungere al sepolcro e a trovarlo vuoto. E
perché allora non l’hanno scritto? Perché sarebbe stato il primo “conflitto
d’interesse” della storia. E’ ovvio. Se l’avesse detto sua madre che era
risorto, nessuno le avrebbe creduto!
E alla fine, dopo che Lei ebbe accolto in casa sua Giovanni e gli altri
Apostoli che si erano dispersi, dopo la discesa dello Spirito Santo, dopo aver
accolto la Chiesa e fatta crescere, giunse l’ora della dipartita da questa
terra. E Gesù la volle con sé, pienamente donna, pienamente umana, primizia di
come accoglierà anche noi un giorno. Oggi si parla tanto della donna nella
Chiesa: chi la vuole prete, chi cardinale…, per me è solo sminuirla, perché la
donna è più di prete, più di cardinale e più di Papa: la donna è Madre, è la
Mamma, è la Madre di tutti noi, è la Madre di Dio ora e sempre!
P.S.)
Penso anche a tutti coloro (e sono tanti) che mettono le mani loro addosso e
anche le uccidono (basta leggere le cronache di tutti i giorni). Per questo non
ci resta che pregarti, o Maria. Sì, o Madre, ascoltaci: poni fine a questi
femminicidi e fa che in ogni famiglia regni l’amore, l’armonia, la pace, come a
Nazareth.
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Un nuovo “guinness”
di Marta
Alcune signore di Massa
hanno da un po’ di tempo proposto una iniziativa da inserire nel “Guinness dei
primati”: fare la sciarpa più lunga del mondo. La cosa, detta così, sembra
priva di significato, ma ne ha, invece, uno ben preciso ed importante. Infatti
questa iniziativa è nata per una maggiore diffusione della prevenzione del
tumore del seno con la fattiva partecipazione di un gruppo di medici oncologi
dell’ASL di Massa-Carrara: quote rosa, dunque! E infatti le sciarpe devono
essere tutte di color rosa, di qualsiasi tonalità. Tutto questo funziona con
passa-parola e chi vuole aderire è benvenuta. Detta sciarpa deve essere larga
cm. 25 e lunga 150; non occorrono lane pregiate, ma semplicemente lane
acriliche che con 1 euro a gomitolo si possono acquistare anche ai mercati.
Ecco alcuni consigli per chi volesse aderire: si esegue con ferri del 4,5; con lana a tre capi bastano 48 punti per
avere cm. 25 di larghezza; si può eseguire anche con l’uncinetto e qui potete
sbizzarrirvi con tutti i punti che volete. E’ tutto molto rilassante, piacevole,
avvincente ed utile; per raggiungere la lunghezza di cm. 150 occorrono 4
gomitoli di lana e mentre si sferruzza si può recitare un Rosario. Le sciarpe
finite si consegnano dal martedì al sabato - dalle ore 10 alle 13- in sala
prelievi al 4° piano (oncologia) dell’ospedale di Carrara; lì ci sono alcune
signore che ritirano le sciarpe, le uniscono per farne un rotolo da 50 o 100
pezzi; poi le chiudono in sacchi e le portano al deposito a Massa. Attualmente il “guinness” di
questo tipo vanta la lunghezza di 3150 metri, ma non so chi lo detiene, ne
sapremo di più in seguito. Questo nostro lavoro si doveva concludere a fine
settembre, ma finora abbiamo raggiunto solo 2000 metri, l’intento è di arrivare
a 4000, pertanto il lavoro si concluderà
col mese di novembre. Ci sarà quindi una grande manifestazione per la
presentazione del lavoro fatto, che sarà pubblicizzato mezzo stampa e TV
locali. Tutto questo, come già
detto, per una maggiore propaganda della prevenzione del tumore del seno che è
ancora uno dei più diffusi e che riguarda, quindi, moltissime donne. Quando
tutto questo sarà terminato, e speriamo di entrare nel “guinness dei primati”,
coloro che hanno sferruzzato saranno orgogliose di aver contribuito a tutto
questo e aver camminato insieme per un paio di metri di strada con la medicina
e la ricerca nella speranza di sconfiggere questa grave malattia. Grazie agli
organizzatori di questa iniziativa e a quante vorranno aderire.
Per ulteriori informazioni
tel. 0187/660321 (Marta)
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Riflessioni sotto l’ombrellone
di Giuliana Rossini
Seduta comodamente sulla sdraio,
guardo il mare agitato, nelle cui onde spumose un gruppo di bambini vocianti
(tra cui i miei nipotini) si tuffano felici e ardimentosi. Soffia una discreta
brezza, il cielo si oscura di tempo in tempo di grosse nuvole orlate di luce
che pian piano torna a prendere il sopravvento: è uno spettacolo affascinante
nel quale percepisco una bellezza soprannaturale. La giornata incerta rispecchia
quest’estate particolare, prodiga di giornate burrascose. Improvvisamente un
pensiero: chissà se aldilà dell’oceano il tempo sarà stato altrettanto
instabile? Sì, perché il nostro parroco, il caro padre Onildo, si è recato un
mese in vacanza dai suoi, in Guatemala. Di certo il ritorno a casa, l’abbraccio
dei familiari, la visita dei luoghi cari dell’infanzia ed anche l’aver staccato
un po’ la spina sarà stato sicuramente bello, tuttavia. Attento e premuroso come al solito,
prima di partire, egli si è preoccupato di garantirci una buona continuità nei
servizi religiosi ed ha contattato due vecchi compagni di seminario, padre
Albino e padre Carlos, i quali, trovandosi a Roma per motivi di studio, hanno
accolto di buon grado l’invito a sostituirlo durante il periodo della sua
assenza. I due sacerdoti appartengono anch’essi all’ordine religioso della
Fraternità Missionaria di Maria, fondato in tempi abbastanza recenti, in
Guatemala, cui dobbiamo la grande opportunità di avere nelle parrocchie di
Ortonovo e dell’Annunziata e di Casano-San Martino sacerdoti attenti e
preparati coi quali, nel tempo, abbiamo stretto un rapporto di fiducia e
affetto reciproci. Questo ordine religioso mi pare essere un dono dello Spirito
Santo: esso è una risposta alla grande necessità di evangelizzazione di cui c’è
tanto bisogno nel mondo contemporaneo e, purtroppo, maggiormente nei Paesi più
avanzati economicamente. Mi colpiscono nella denominazione dell’ordine, il
fatto che si tratti di una missionarietà fraterna, aperta all’amore e ai
bisogni dell’altro, non impositiva ed inoltre la centralità di Maria, il grande
amore verso la Mamma Celeste, di cui abbiamo avuto prova in molte occasioni,
ultima in ordine di tempo, la ricorrenza del centenario dell’Incoronazione
della Vergine. Padre Mario, rettore del Santuario
del Mirteto è, nel contempo, Padre Provinciale, responsabile di tutta la zona
dell’Italia. La conoscenza dei due nuovi sacerdoti è stata, per noi, motivo di
sorpresa e arricchimento. Da subito essi hanno stabilito con noi un rapporto
semplice e confidenziale. Non solo si scusavano spesso per la scarsa conoscenza
della nostra lingua (sarei ben lieta di conoscere lo spagnolo come loro
l’italiano!), ma ci hanno raccontato anche alcuni episodi della loro vita.
Entrambi si stanno specializzando a Roma, all’università, per divenire insegnanti
nel loro seminario. Padre Albino sta preparando una tesi su Maria (sul sì
generoso di Lei), mentre padre Carlos sta prendendo in considerazione
l’episodio della Trasfigurazione di Gesù sul Tabor nella versione di Luca. Sosterranno le tesi a breve tempo ed hanno
chiesto il sostegno delle nostre preghiere. E’ stato bello sapere che essi
hanno voluto dedicarci una parte del loro tempo di riposo, prendendosi cura di
noi con tanto amore, anziché dedicarsi al meritato svago. Ci è parso che
anch’essi, come già il nostro padre Onildo, padre Mario, padre Gabriel, padre
Victorio e in precedenza il caro padre Carlos, ora rettore del seminario in
Guatemala, fossero pieni di entusiasmo e di dedizione. Mi si affaccia alla
mente la commozione di padre Carlos al momento dei saluti, mentre era in
procinto di ritornare in Guatemala. Egli amava molto il Santuario e ci diceva
che quel mare meraviglioso, che brillava laggiù in fondo, gli ricordava la sua
terra. Talvolta mi capita di sorridere
pensando a come siano cambiati i tempi e le situazioni: una volta i missionari
partivano dall’Europa per recarsi nei vari continenti, oggi assistiamo ad una
inversione di tendenza, dato che il nostro continente si sta scristianizzando
sempre più. Mi sembra tuttavia molto positivo questo apporto, questa
trasfusione, per così dire, di nuove energie. Del resto, anche papa Francesco
viene da molto lontano, proprio da quell’America Latina da cui provengono i
nostri: egli col suo carisma, fatto di amore, di dedizione, entusiasmo,
apertura verso gli ultimi, scelta di uno stile di vita improntato alla
povertà…, sta disegnando un nuovo volto della Chiesa che conquista i cuori di
tutti e li apre alla speranza.
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Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi
O Roma felix!
Da poco è passata la festa
dei SS. Pietro e Paolo. Con orgoglio di madre, la Chiesa ha cantato
rivolgendosi alla città eterna: “O Roma felice, tu sovrasti le bellezze del
mondo perché consacrata e imporporata dal sangue dei due Principi!”. Di quei
due “Principi”, Roma ne conserva i corpi martirizzati. Sbaglieremmo se,
storicamente, guardassimo solo al passato. Anche la memoria è dovere dell’uomo.
Il presente, però, è ancora un tempo di martiri. Si può parlare,
paradossalmente, i un’Ecclesia felix perché la testimonianza a Cristo,
continua. Si pensi alla Nigeria, dove si può essere ammazzati per una
partecipazione alla Messa; al Sudan, dove l’essere cristiani può portare alla
morte; ai tanti che sono innominati testimoni della fede. E poi, i santi per
strada. Cioè quel mondo di persone sconosciute che ogni giorno danno a Dio e al
prossimo il meglio di sé. Gente che perdona offese mortali, che assiste con
sacrifici sovrumani malati in casa; quelle suore morte a causa dell’epidemia di
Ebola, contratta per stare vicino ai contagiati nel Congo. E il mondo del
volontariato? Per lo più è composto di gente che si mette accanto agli ultimi,
per dare un minimo di sollievo agli umiliati della terra.
Sì, o Roma felix; ma
potremmo anche cantare: “Gioisci, Chiesa, di tutti questi tuoi figli benedetti.
O ecclesia felix!”.
Dagli all’untore
La celebre espressione è
tratta dai “Promessi Sposi”. “L’untore” ai tempi della peste era considerato un
contagiatore, quindi da condannare. In realtà si cercava, al solito, un capro
espiatorio di fronte ad un evento mortale. E gli innocenti pagavano, vedi
“Storia della colonna infame”. L’uomo negli avvenimenti
negativi ha sempre cercato un colpevole. Strano, però, che da processare siano
sempre gli altri… I “mondiali” sono passati da poco. E l’Italia ha fatto una
figuraccia. Era da aspettarselo ma non volevamo crederci specie dopo la
vittoria, l’unica, sull’Inghilterra. Le avvisaglie c’erano tutte per
considerarci spacciati o quasi, ma si sperava nel famoso “stellone”, invece, a
casa; con tonnellate di accuse: con TV e giornali che prima gridavano al
miracolo italiano targato Prandelli, poi
all’incapacità del medesimo. Ancora una volta si è notato quanto sia vero quel
“Italiani brava gente” dal buonismo ostentato ma capace, in realtà, di cattiverie
gravi. Con Prandelli, ad esempio. Un diritto giudicarlo sulle scelte tecniche e
tattiche, su come è sembrato scappare in Turchia; ma arrivare, come ha scritto
qualche giornalista, all’insulto gratuito e vigliacco di chiamarlo “sagrestano”
e “mangiaostie”, significa essere razzisti e ignoranti. E’ una colpa essere
credenti? Di fronte a certe indecenti sfacciataggini, perfino gli sciacalli si
vergognerebbero.
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