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Al monastero “Regina Pacis”
di Paola G. Vitale
Il pullman dell’incontro, come io lo
chiamo, è arrivato puntuale e a noi cinque di Luni Mare si sono poi aggiunti i
quattro di Fiumaretta, poi via per la
località Pagliari, fermandoci sul lato opposto ai cantieri della Marina Militare
di S. Bartolomeo in prossimità di La Spezia. Salendo in processione per i
ripidi tornanti, tra ville e pini, siamo giunti al monastero “Regina Pacis”
delle suore carmelitane di clausura. Ho potuto intravederne alcune attraverso
la leggiadra grata che le separa dall’accogliente, luminosa chisetta. Sulla
stessa grata è posto il tabernacolo come sole raggiante. Walter ha saputo che
le suore sono una decina e quella residenza è frutto di una donazione della
propria villa da parte di un generoso medico. La chiesa è stata una gradevolissima
sorpresa per me, tanto che ho desiderato in cuor mio, la stessa armonia per
l’erigenda (chissà quando!) chiesetta di Luni Mare. I numerosi sacerdoti hanno
reso possibile l’accesso ai sacramenti del perdono e l’omelia del Vescovo ha
invitato caldamente all’unità e alla preghiera. Il raccoglimento e l’emozione
profonda non sono scomparsi in me, al termine della celebrazione e del
rinfresco seguente. E’ rimasta in me una misteriosa “pienezza” che auguro sia
in ciascuno dei partecipanti.
Grazie, grazie davvero a tutti, per
questo bel dono.
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Un caro ricordo di Giuseppe Franciosi
di Enzo
Erano
le ore 22,30 di sabato 22 febbraio quando è squillato il mio telefono.
Immediatamente ho capito che era successo qualcosa di grave al mio amato
Giuseppe. Non mi sbagliavo: era Piergiuseppe che mi comunicava che era avvenuto
l'irreparabile. Giuseppe era stato ricoverato il giorno prima presso l'ospedale
di Pontremoli per sopravvenute difficoltà respiratorie, ma niente faceva
presagire un epilogo così rapido. Si vede che nostro Signore ha ritenuto che
quanto aveva dato nella sua lunga vita bastasse per garantirgli il premio
eterno e per esaudirlo nel suo grande desiderio che manifestava a tutti ed in
ogni momento: andare a raggiungere la "sua" Giulia. Certo, da quando
Giulia lo aveva lasciato, lui non aveva smesso un solo istante di vivere nel
suo ricordo. Ecco perché la sua partenza è arrivata all'improvviso, ma con
tanta rassegnazione cristiana. Giuseppe
era nato il 19 marzo 1922 e quindi stava per compiere i 92 anni, ma ci è
mancato drammaticamente anche perché nessuno di noi si aspettava questo
distacco così repentino. I funerali hanno fatto toccare con mano l'eccezionale
affetto e la grande stima corrisposti da tutta la popolazione che è corsa in
massa, riempiendo la bella chiesa di San Martino e anche il piazzale
antistante. Unanime anche la partecipazione dei parroci e diaconi della
vicaria, compreso don Ercole Garfagnini, giá parroco di Casano e principale
artefice della costruzione della chiesa di S. Giuseppe. Toccante l'omelia del
cugino don Domenico Lavaggi che ha ricordato di aver conosciuto e frequentato
Giuseppe quando stava a Monterosso, ospite del "Barba", suo omonimo
zio, don Domenico Lavaggi, parroco. Era il 1937 quando don Domenico aveva poco
più di 5 anni. Giuseppe era studente nel Seminario della Congregazione della
Missione di San Vincenzo de' Paoli a Scarnafigi
e venne, durante una vacanza, a trovare il "Barba" e nonna
Giulietta la quale sognava per Giuseppe una vita da missionario nella Congregazione
Vincenziana. Ma Giuseppe, rendendosi conto di non essere tagliato per questa
missione, lasciò il Seminario e si laureò in lettere antiche, iniziando una
nuova missione: prima di tutto fu missionario tra i ragazzi e quindi fra la
gente di San Martino e San Giuseppe. Inoltre fu missionario in politica,
ricoprendo per anni numerosi incarichi a livello provinciale e comunale. Ora
potrà sedere accanto al suo "Barba", alla sua amata Giulia ed a
quanti gli hanno voluto bene e di lassù ci assisterà in questo nostro
peregrinare. Visibilmente commosso don Domenico, dopo aver tratteggiato la
figura di Giuseppe, ha voluto ricordare anche alcuni passi dell'ultima cena di
Gesù, terminando con la domanda di Tommaso: "Non sappiamo dove vai e come
possiamo conoscere la via?". Gli rispose Gesù: "Tommaso, io sono la
Via, la Verità, la Vita. Nessuno viene al Padre, se non per mezzo di me". Giuseppe
la via la conosceva benissimo, secondo don Domenico. Certamente
è difficile riassumere le grandi virtù dimostrate da Giuseppe nella sua lunga
vita. Io l'ho conosciuto quando si era fidanzato con Giulia, una delle mie sei
sorelle e mi ha sempre voluto un bene infinito, ovviamente pienamente
ricambiato. Era il 1° giugno del 1949, nella nostra casa c'era grande attesa:
Giulia avrebbe presentato alla famiglia il suo futuro compagno di vita. Noi
abitavamo a Quarazzana, un piccolo paese del fivizzanese che in quel momento
non era collegato con la strada carrozzabile. Ebbene Giuseppe sarebbe arrivato
con la sua fiammante Lambretta ad Agnino, un paese che dista circa 4 chilometri
da Quarazzana. Quindi Giulia ha dovuto andare ad attenderlo e, secondo le
migliori tradizioni paesane, non doveva essere sola. Quindi a me è toccato il
gradito compito di accompagnarla e da allora io sono diventato il suo
"guardiano" nelle varie occasioni. Noi eravamo una grande famiglia,
di antiche e cristiane tradizioni che avrebbero per sempre segnato tutta la
nostra vita. Quanti ricordi meravigliosi, come il giorno del matrimonio di
Giuseppe e Giulia! Giulia era molto generosa e legata a tutti noi ed ha voluto celebrare
il rito matrimoniale insieme a quello di un'altra sorella, Sabinetta, e quindi,
come potete immaginare, la cerimonia è stata veramente sensazionale. Fra l'
altro Giuseppe, che è stato sempre un fervente devoto di Maria Santissima, ha
voluto sposarsi proprio l' 8 settembre, festa della Madonna del Mirteto. Era
il 1951. Io avevo frequentato le scuole medie a Fivizzano, abitando nella
canonica di Pognana dove era parroco lo zio don Luigi. Ora bisognava
programmare il mio futuro scolastico. I miei professori ritenevano che avrei
dovuto frequentare il liceo, ma questo avrebbe comportato un grosso impegno
finanziario e francamente per me, ultimo di 9 fratelli, non si sarebbe
profilato un futuro agevole. È a questo punto che Giuseppe e Giulia sono entrati
prepotentemente nella mia vita ed hanno segnato il mio destino. Ricordo ancora
quei momenti decisivi: stavamo consumando la cena, quando è stato affrontato il
problema del mio futuro scolastico. Sarebbe stato un vero peccato non farmi
continuare gli studi, visti anche i giudizi molto lusinghieri dei miei
insegnanti. "Ma che problema c'è, vero Giuseppe?". Giulia aveva già
individuato la soluzione: "Enzo viene da noi a Casano e cosí potrá
frequentare il liceo a Carrara". È stato proprio in quel momento che io ho
trovato i miei nuovi genitori, Giuseppe e Giulia, che mi hanno ospitato nella
loro casa per tutto il periodo scolastico (liceo ed università), ed anche dopo
hanno voluto che io mi considerassi da loro come a casa mia. Anche in occasione
del mio matrimonio hanno voluto che la festa si svolgesse a casa loro. Io per
loro ero un figlio e loro per me erano i miei nuovi genitori, facendosi anche
carico di tanti sacrifici. E vi posso garantire che quelli non erano tempi
facili per nessuno! Lì ho trovato anche una nuova sorella, Maria, che nel
frattempo era rimasta orfana di madre ed è vissuta col fratello Giuseppe e
Giulia fino al suo matrimonio. Povera Maria! Quanti sacrifici ho richiesto
anche a te! Quanti rammendi ai pantaloni e quanti colletti di camicie mi hai
rivoltato! Eppure erano comunque tempi
bellissimi, perché in famiglia si respirava un'atmosfera di grande fraternità
ed entusiasmo. Poi l'arrivo del nuovo "fratellino", Piergiuseppe, che
per me non è stato mai un nipote ma un vero fratello. Quanti ricordi
meravigliosi! Io praticamente avevo trovato una nuova famiglia che adoravo
ed in essa ho trovato i modelli che mi
avrebbero ispirato per tutta la vita. Giuseppe
era una persona molto colta e dotata di grande rigore morale. Senza rendermene
conto da lui ho recepito gran parte degli insegnamenti che poi mi avrebbero
ispirato per tutta la vita. I suoi principi ferrei lo hanno ispirato in tutti i
campi in cui ha profuso le sue eccezionali energie, non sprecando neanche un
minuto della sua lunga vita. Si è infatti impegnato con tutte le sue forze per
far affermare i principi cattolici e democratici che hanno contraddistinto il
suo tempo. È stato per tanti anni membro del Comitato Provinciale della
Democrazia Cristiana della Spezia, di cui è stato a lungo anche segretario
della sezione di Casano. Per molte
legislature è stato anche consigliere e capogruppo della D.C. al Comune di
Ortonovo, impegnandosi sempre per l'affermazione dei principi democratici e
religiosi. Quante battaglie politiche e quanti comizi memorabili! Poi sono
arrivato io e Giuseppe ben volentieri mi ha ritenuto suo erede naturale nell'
impegno politico volto a dare il nostro piccolo contributo alla soluzione dei
problemi dei cittadini. D'altra parte lui impegnava gran parte delle sue energie
nella Scuola Media di Ortonovo della quale è stato per tantissimi anni Preside,
cercando sempre di coinvolgere nella gestione scolastica anche i genitori. Come
dimenticare i numerosi ed impegnativi campeggi estivi in varie località
montane, proprio per far vivere momenti di intensa comunione familiare? E
quanti spettacoli musicali e teatrali! Giuseppe sapeva di avere sulle sue
spalle grandi responsabilità a livello formativo, culturale, civile e morale e
ritengo che abbia adempiuto in maniera encomiabile a tutte queste gravi
incombenze. Per questo ritengo che, con la sua partenza, oggi siamo tutti più
poveri perché nella società c'è assoluto bisogno di simboli e di esempi
virtuosi di grandi protagonisti della vita civile. Ed ecco perché noi oggi ci
sentiamo un po’ tutti orfani. Caro
Giuseppe, ora tu sei con la tua Giulia, la nostra Giulia, a rendere gloria al
buon Dio, a Maria Santissima, al suo divin Figlio ed a tutti i Santi di cui voi
eravate grandi devoti e vi chiediamo di non dimenticare, nelle vostre
preghiere, noi poveri peccatori, nella speranza di poterci ricongiungere tutti,
a gloria di Dio Onnipotente.
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PERLINA (1)
di Carlo Lorenzini
- Perlina, sei sempre la
solita... Non cambierai mai... Sempre in disordine... Il grembiulino senza il
fiocco, tutta spettinata, i quaderni e il sillabario sciupati da far vergogna,
macchie d’inchiostro dappertutto. E poi, quel che più conta, non sai la
poesia... Non studi... Ti verranno le orecchie d’asino come a Pinocchio.
Mentre la maestra si esibiva in questi rimproveri, Perlina era in piedi,
silenziosa, i capelli neri e ricci, abbondanti, spettinati, il viso a guardare
il banco e a guardare nel libro di lettura, veramente in cattive condizioni,
aperto alla poesia Egoismo e carità *. Ogni tanto il viso lo alzava, per
guardare la maestra, quando questa le diceva: “E poi quando ti rimprovero,
guardami!”; oppure per guardare verso la compagna a cui di volta in volta si
riferiva l’insegnante, per metterne in evidenza la diligenza, l’ordine, la
precisione, lo studio. Diceva: “Guarda il grembiulino di Stefania!, “Ammira i
libri e i quaderni di Assunta!”; “Prendi esempio da Cristina, per imparare come
si studiano le poesie!”. Poi disse: “Faglielo sentire tu, Cristina, come si studia
e come si recitano le poesie”. E Cristina si alzò in piedi: una capigliatura
castano-chiara, che le scendeva sulle spalle abbondantemente; anche gli occhi
aveva del colore delle castagne; il viso lo aveva candido; il suo grembiulino
bianco, col fiocco rosa e il baverino, erano immacolati; si alzò in piedi e
disse o meglio recitò “Egoismo e Carità di Giacomo Zanella, poeta di
Vicenza (1820 -1888). E’ il poeta che
scrisse anche Sopra una conchiglia fossile”. Poi aggiunse: “E’ un paragone fra
l’alloro, egoista e disutile; e la vite, caritatevole e utile”. Poi riprese coi
versi della poesia: ‘Te, poverella vite, amo, che quando fiedon le nevi i
prossimi arboscelli…”; e dicendo intonava la voce, muoveva le mani e tutto il
corpo, atteggiava il viso al ritmo e al sentimento che esprimevano le parole; e
quando fu là dove dice: ‘tenera, l'altrui duol commiserando, sciogli i
capelli’, piegò il capo verso la spalla destra, come una devota in preghiera;
alzò una mano verso la testa a indicare la cascata dei capelli compostamente
sciolti e intonò la voce a compassione. Quando la maestra la invitò a smettere,
lei si guardò in giro per godere dell'approvazione delle compagne. Intanto la
maestra diceva a Perlina: “Hai visto come si viene a scuola e come si studia?”. Infine la fece uscire dal banco e la fece
stare in piedi dietro la lavagna, per punirla di questa sua negligenza e di
questo suo disordine.
Dietro la lavagna Perlina, a parte il disagio di dover rimanere in piedi, ebbe
modo di riflettere che, in fondo, aveva ragione la maestra: se studiasse di
più, invece di dormire... Ma non era una cosa facile... Il fatto era che per
aiutare i genitori a tirare avanti in quel fazzoletto di terra tutta sassi,
doveva darsi da fare anche lei; lei aveva il compito di pensare agli animali;
quindi a cominciare dal mattino, doveva alzarsi molto presto, perché il
pollaio, quando era il momento di partire per la scuola, doveva aver mangiato
ed essere in ordine. Il pomeriggio, poi, fra una cosa e l'altra, calava la sera
che lei era ancora in faccende. Poi finalmente poteva mettersi al suo
tavolinetto per studiare. Davanti al caminetto acceso, se era d’inverno; presso
la finestra aperta, se era nella buona stagione. Se non che, il più delle
volte, causa la stanchezza, invece di studiare, il capo le si reclinava sul
ripiano e si addormentava... Ma poi, per dirla tutta e per dare ancor più ragione alla maestra,
c'era anche un'altra cosa: che non era sempre e solo il lavoro a tenerla
lontana dallo studio il pomeriggio; era anche Arturo: perché capitava che
qualche volta lei aveva terminato presto di fare le sue faccende; in questo
caso avrebbe potuto ritirarsi in casa e studiare. Ma non lo faceva; perché
Arturo ancora non aveva terminato le sue; e allora lei, invece di studiare,
preferiva dare una mano al suo amico.
Quando, quel giorno del rimprovero, uscì
di scuola, cercò, come sempre, Arturo, per accompagnarsi a lui nel ritorno a
casa (le due famiglie, la sua e quella di Arturo, abitavano in due ambienti
diversi di un unico caseggiato a metà collina, oltre il torrente, in mezzo a
boschi oliveti e vigneti). E subito gli raccontò la brutta sgridata da parte
della maestra e perché. “Anche noi l’abbiamo studiata l’anno scorso questa
poesia”, disse lui; e aggiunse: “In fondo è vero: la vite fa l’uva che si
mangia e poi con l'uva si fa il vino; ma l’alloro che fa? Niente!”. “Come
niente?”, protestò lei. E le parve che anche l'alloro fosse importante. Ma poi
non seppe indicare perché era importante.
Si può dire che con Arturo erano cresciuti insieme. Lui aveva un anno di più. E
infatti frequentava la quinta classe;
mentre lei era ancora in quarta. E a volte ci pensava che un altr'anno doveva
venire a scuola da sola. E glielo diceva anche: “L'anno prossimo dovrò andare e
venire da sola. Tu non ci sarai”. “Se mi bocceranno ci sarò...”, replicava lui.
Ma non sapeva rispondere altro. Anche quel giorno glielo aveva detto. E lui
aveva risposto la solita cosa. Poi lei avrebbe voluto dire: “Chi mi aiuterà ad
attraversare il torrente quando l'acqua è grossa?”. Ma non lo disse. Quando
infatti il giorno prima era piovuto molto e l'acqua poi al mattino era alta che
copriva le pietre messe in fila da una riva all'altra come passerella e che lei
da sola aveva paura di scivolare, allora lui, brontolando, diceva : “Ti ci
accompagno io di là”; e così, lui nell'acqua fino alle ginocchia, accompagnava
lei piano piano, da una pietra all'altra, tenendola per la vita. Ma poi, dopo
quella manovra, l’una e l’altro facevano silenzio, come intenti a scacciare un
certo turbamento dalle misteriose origini. (Continua il prossimo numero)
* NOTA Ecco il testo di Egoismo e carità, poesia di
Giacomo Zanella (Vicenza 1820 - 1888). Odio l'allor, che quando alla foresta/
le novissime fronde invola il verno,/ ravviluppato nell'intatta vesta/
verdeggia eterno,// pompa de' colli; ma
la sua verzura/ gioia non reca all'augellin digiuno;/ ché la splendida bacca
invan matura/ non coglie alcuno.// Te,
poverella vite, amo, che quando/ fiedon le nevi i prossimi arboscelli,/ tenera,
l'altrui duol commiserando,/ sciogli i capelli.// Tu piangi, derelitta, a capo chino,/ sulla
ventosa balza. In chiuso loco/ gaio frattanto il vecchierel vicino/ si asside
al foco.// Tien colmo un nappo; il tuo
licor gli cade,/ nell'ondeggiar del cùbito sul mento;/ poscia floridi paschi ed
auree biade/ sogna contento.
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La fede è una scommessa?
di Romano Parodi
Quasi un secolo fa, Alfré
(figlio di Fash’iolin, capo degli anarchici ortonovesi, morto in carcere), è a
letto morente. La tisi lo sta consumando. Allo zio Gianin che lo va a trovare
chiede come si deve comportare con il prete che voleva visitarlo e dargli
l’Estrema Unzione. Gianin gli fa questo discorso: “O bì, mé, quand’ a vak a la
caua, a port sempr d’ombredo: a ‘n s’sa mai, s’al pioa a d’o, e se no, pog
malo. E ‘nka tè fa coscì: s’al serva t’ dà e sé no pog malo” (O bimbo, io
quando vado alle cave porto sempre l’ombrello: non si sa mai, se piove ce l’ho,
e se no, poco male: E anche tu fai così: se serve, ce l’hai, e se no, poco male). Gianin non aveva certo
letto Pascal, ma questo era il pensiero dei nostri progenitori: il timor di Dio
la faceva da padrone.
Pascal diceva: “Dio esiste o non esiste. Ma verso quale parte propenderemo? La
ragione non può stabilire nulla, è il cuore che sente Dio, e non la ragione. La
verità si conosce non solo con la ragione ma anche col cuore ed è in questo
secondo modo che conosciamo i principi primi, e inutilmente il ragionamento,
che non vi ha parte s’industria di combatterli”. E inoltre: “Seguite il sistema
facendo tutto come se credeste, perché anche questo vi farà credere e vi farà
diventare come un bambino”.
“L’amare non esclude il comprendere, ma
viene prima”, dice mons. Ravasi.
Vi ricordate la frase di Gesù? “Lasciate che i bambini vengano a me, perché a
chi è come loro appartiene il Regno dei Cieli”. E poi: “In verità vi dico: chi
non accoglie il regno di Dio come un bambino non vi entrerà”. Questa è una
stoccata a quanti si ostinano a dire che fede e ragione coincidono. Anche
sant’Agostino diceva: “Nessuno crede in qualcosa se prima non ha saputo che
bisognava crederci”.
E qui s’innesta la scommessa di Pascal, poiché bisogna scegliere. Abbiamo due
cose da perdere: il vero e il bene e due da mettere in gioco: la ragione e la
volontà. La nostra natura ha due cose da fuggire: l’errore e l’infelicità.
Infatti se Dio esiste e io ci ho creduto, vinco; se non esiste e ci ho creduto
non vinco e non perdo. Se Dio esiste e non ci ho creduto, perdo; se non esiste
e non ci ho creduto, non vinco e non perdo. Questo è sempre stato il pensiero
corrente. Fare questa cosa è peccato e si va all’inferno e per sfuggire alla
dannazione eterna si cercava di stare alle regole della Chiesa.
Io, però, anche dopo aver ascoltato
l’amico Doretto che mi dice: “Sono felice perché sono nelle mani del mio Gesù”,
ho capito un’altra cosa e lo dice anche Sant’Agostino: la nostra natura deve
cercare la gioia. E dove si trova? Nel credere o nel non credere? E qui non c’è
proprio nessun dubbio: a non credere a nulla non c’è nessuna gioia, lo dice
persino un certo Scalfari.
Quindi: “Venite a me voi che siete oppressi e io vi consolerò”. Questa è la
nuova frontiera del Cristo Risorto.
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Santa Teresa di Gesù da Avila (4) - La Santa della riforma Carmelitana
di Angelo Brizzi
La
carretera regional C 415 che dalla
capitale Murcia, della Comunidad Autonoma
de Murcia, unisce la città di Caravaca
de la Cruz , attraversa una parte della terra Murciana che, come tutta la regione dall’aurora al tramonto, scruta
il cielo in cerca di nubi che la possano bagnare; solo il sole la sovrasta, ma,
dove è irrigata da canali alimentati da embalses
(laghi artificiali) o dai due fiumi, il
Segura e il Sangonera, quella
terra esplode tutta la sua fertilità: ortaggi, frutteti, vigneti, nulla viene
tralasciato del terreno e nei tratti pietrosi si coltivano i carciofi. Lungo i
circa 60 chilometri che intercorrono tra Murcia
e Caravaca, la strada attraversa
oltre le coltivazioni, tenute come giardini, anche diversi aldeas (piccoli villaggi) composti da poche case ai margini della
strada con ognuno la sua chiesetta e il campanile e due cittadine: Mula, a soli 27 chilometri da Murcia, col suo mercato ortofrutticolo
punto di riferimento para los campesinos (agricoltori);
poi, prima di arrivare a Caravaca, vi
è Cehegin, conosciuta por las canteras de marmol, dalle quali
viene estratto el gris y el rojo Cehegin (il
grigio e il rosso), marmi molto conosciuti nel mercato italiano. Proseguendo oltre Cehegin, sempre sulla misma carratera, dove la campagna
finisce ed inizia la periferia della città, in un terreno arido ricoperto di
ciottoli bianchi e da ciuffi d’erba rinsecchita, rasente il margine destro
della strada, la comunità cristiana ha piantato un cippo dipinto di bianco; a
metà dell’altezza lo cinge una cintura di azulejos
(maioliche) che riportano un invito al viandante: lo si prega di rivolgere
un saluto alla ‘Vera Croce Santissima’ di Caravaca,
lì effigiata in color rosso vermiglio su sfondo bianco; un listello azzurro
la racchiude all’interno di un rettangolo e la stessa croce, a capo del cippo,
è in ferro battuto. La
carretera C 415, lasciando la città,
si inerpica verso le colline e, in breve, si arriva a l’Alcazar, residenza dei re moreschi. La costruzione dell’Alcazar risale ai primi anni del XIII
secolo, a difesa della città di Caravaca,
nata da un villar campesino in una
terra a forma di conca che deve la sua fertilità al rio Caravaca con le sue acque perenni. Sull’Alcazar si narra una storia o leggenda inerente la ‘Vera Croce’ di Caravaca. Siamo nei primi anni del XIII
secolo, la regione di Murcia è sotto
il dominio dei Mori che avevano invaso il sud della Spagna. I loro re o
governatori, di religione musulmana, vedevano nei cristiani dei nemici dello
stato, quindi ogni occasione era buona per arrestare e segregare nelle prigioni
degli Alcazar i cristiani. Avvenne
che nelle segrete dell’Alcazar di Caravaca vi si trovasse un gruppo di
cristiani con un sacerdote, il loro pastore. Quel sacerdote, oltre a innalzare
preghiere al Cielo con i suoi compagni di sventura, non si stancava mai di
proclamare in ogni momento, dinanzi ai carcerieri, che lui era un sacerdote di
Gesù Cristo, Figlio di Dio, e che a lui e a tutti i sacerdoti Gesù aveva
conferito il potere di trasformare il pane e il vino in Corpo e Sangue suo. Il
dover ascoltare tutti i giorni il proclama di quel sacerdote aveva fatto
crescere tra i carcerieri una notevole insofferenza, e non solo tra di loro,
ma anche ai piani alti dell’Alcazar,
fino all’inquilino più illustre, cioè al re, il quale decise di sfidare quel
sacerdote. Lui, il sacerdote, avrebbe celebrato la Messa davanti a tutta la
corte e se tutto ciò che proclamava si sarebbe avverato, lui, il re, avrebbe
liberato tutti i cristiani prigionieri. Il prete chiese al re l’occorrente per
la celebrazione; il re fece arrivare l’occorrente dalla terra dei cristiani e
quando tutto era pronto tutta la Corte si riunì nella prigione; il sacerdote
vestì i paramenti sacri, allestì l’altare, ma si accorse che mancava la croce.
Allora si rivolse al re dicendogli che non poteva procedere al Santo Sacrificio
per mancanza del simbolo universale dei cristiani, la croce. Il re, pensando a
qualche trucco del prete, si infuriò e voleva ucciderli tutti, ma
improvvisamente comparve miracolosamente sull’altare, davanti agli occhi
sbalorditi del re e di tutti i presenti, la ‘Gloriosa Santissima Croce’. Il re,
stupefatto, quasi automaticamente si inginocchiò, e così tutta la sua Corte e i
presenti. Da quell’evento si convertirono e cedettero. Il re nel recinto dell’Alcazar fece erigere una chiesa
appositamente al culto della Croce arrivata da Cielo. Fu così che, da quel
lontano giorno della prodigiosa apparizione, quella piccola Croce a quattro
braccia, arricchita da gemme preziose, divenne il centro della devozione
popolare nella comarca Murciana, tanto da cambiare il nome della città in Caravaca de la Cruz. La storia si mescola
a volte con la leggenda, però la ‘Vera Croce’ di Caravaca è lì, da secoli adorata
e glorificata da chi ha fede e crede in essa. Nella città de la Cruz gli abitanti si compiacciono di avere tre monasteri di
cui il più antico è dei padri Gesuiti e due dei Carmelitani, monjas e frailes descalzados (monache e
frati scalzi).
(continua
il prossimo numero)
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Pasqua di Resurrezione
di Storia vera raccolta da Giuliana Rossini
“Mamma, io voglio capire e quello che tu mi dici non mi
convince pienamente. Io non sento Gesù nel mio cuore e penso di non essere
pronto a riceverLo il giorno della mia Prima Comunione”.
Giovanni, nove anni, parlava molto seriamente e sembrava molto dispiaciuto nel
dare quel dolore alla sua mamma. Virginia lo ascoltava costernata: già da
qualche tempo Giovanni manifestava un certo disagio ed era molto recalcitrante
quando si trattava di partecipare alla Santa Messa o ad altre funzioni
religiose. Quella volta tacque: voleva riflettere profondamente su quella
piccola bufera che le stava precipitando addosso.
Appena ebbe un po’ di tempo, corse nella vicina chiesetta e, davanti al
tabernacolo, aprì il suo cuore: “Gesù, Tu lo sai, Giovanni è buono, è
fatto così, ha sempre voluto andare a fondo nelle cose, non ha mai fatto nulla
di importante se non ne era intimamente convinto… Aiutalo, solo Tu puoi”. Nel
silenzio sentiva di doversi completamente abbandonare alla volontà del Padre; capiva
di essere di fronte ad una prova che doveva affrontare con tutto l’amore
possibile. D’un tratto le parve di percepire che Gesù le indicasse un’unica
strada da percorrere: amare comunque Giovanni, dargli la possibilità e il tempo
di capire, di chiarirsi le idee; chissà….
Tornando a casa era un poco più serena e in grado di affrontare la difficile
situazione. Strada facendo, decise di chiedere l’aiuto di sua madre. Margherita
era una donna decisamente positiva ed aveva un ottimo rapporto col nipotino. Quando
lui era piccolo, era stata a lungo la sua compagna di gioco preferita. Trovò il
tempo per essere decisamente più presente e parlare a lungo con Giovanni. Come
quella volta che gli raccontò di come, quando aveva circa la sua età, andò a
ricevere per la prima volta Gesù con un vestituccio che avevano già indossato
le sue due sorelle prima di lei e che le era un po’ troppo corto. Ma quella
mattina, mentre si recava a piedi in chiesa con la sua madrina, Margherita si
sentiva una regina: Gesù sarebbe entrato nel suo cuore e dopo, per lei, nulla
sarebbe stato come prima.
Giovanni l’ascoltava con interesse e talvolta diceva: “Mi piace sentire i tuoi
racconti. So che mi posso fidare di te”. In quei momenti Virginia cercava di
rimanere in disparte, ma le parole di Giovanni le aprivano il cuore alla
speranza, le facevano percepire che stava impegnandosi a “capire”, come diceva
lui. Sorrideva nel ricordare la sensibilità e la fine intelligenza del figlio
di fronte agli episodi piacevoli o dolorosi della vita.
Quando aveva circa tre anni l’amato nonno era volato in cielo e lui l’aveva
tempestata di domande per sapere dove era andato e perché, se sarebbe
ritornato, se l’avrebbe rivisto lassù… e non era stato facile soddisfare tutti
i suoi perché.
Si era nel tempo di quaresima e Virginia, pur non tralasciando mai di invitare
Giovanni a partecipare alle cerimonie religiose, cercava di non dare peso ai
suoi rifiuti. Aveva chiesto consiglio al parroco, il quale aveva notato le
assenze del bambino anche al catechismo, ma don Franco l’aveva incoraggiata a
proseguire nella comprensione e nella pazienza e ciò le era stato di grande
conforto. Ed ecco, il Venerdì Santo, Giovanni, a sorpresa, chiede di partecipare con la mamma alla funzione
religiosa. Di fronte al Crocifisso si commuove profondamente. Capisce che quel
Gesù appeso alla croce è morto anche per lui. Si avvicina alla mamma e le
sussurra che vuole fare anche lui qualcosa per Gesù. Si fa accompagnare in
sacrestia, si veste da chierichetto e aiuta il sacerdote durante la cerimonia.
Per Virginia è un momento di intensa commozione, una lacrima le scivola sulla
guancia: le sembra che il suo Venerdì Santo si stia trasformando in Pasqua di
Resurrezione.
Tornando a casa, Giovanni, felice, dichiara di voler servire Messa la domenica
successiva. Virginia non dice nulla, gli stringe la mano e gli sorride, ha il
cuore colmo di gioia e ringrazia Gesù per il grande dono che le ha concesso.
Per lei e la sua famiglia domenica sarà veramente Pasqua, un giorno pieno di
gaudio: Giovanni aveva finalmente ritrovato Gesù!
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DIARIO
di Walter
Sabato 4 aprile 2014
Oggi,
per il pellegrinaggio del 1° sabato del mese, siamo a Pagliari, presso il
monastero delle suore carmelitane di clausura. Ne avevo sempre sentito parlare
di questo monastero (avevo due zii carmelitani), ma non c’ero mai stato:
finalmente è arrivata l’occasione. Mi aspettavo un luogo appartato e isolato,
invece il monastero rimane attorniato da altre belle ville. Infatti era la
villa di un medico che l’ha poi donata
al Carmelo e quindi trasformata in convento e adiacente a questo è stata
costruita una bella chiesetta moderna con tante artistiche vetrate. E, proprio
osservando queste vetrate, ho capito che è qui che registrano la rubrica “In
ascolto della Parola”, in onda il sabato su TLS, la nostra TV diocesana.
Abbiamo pregato principalmente per i tre seminaristi che domani, in Cattedrale,
riceveranno dal Vescovo l’ordine del Diaconato.
Domenica 5 aprile 2014
Alle
ore 14, col pullman siamo partiti da Ortonovo, destinazione Cattedrale di
Cristo Re a Spezia per assistere al conferimento del Diaconato a Mikail,
Manrico e Verich. Il pullman non è proprio pieno: in tanti hanno preferito la
comodità della propria auto, ma, assieme, si vive di più il senso del
pellegrinaggio e di essere Chiesa.
Da domenica 13 a domenica 20
aprile 2014
In
questo periodo si sono svolti i riti e le celebrazioni della Settimana Santa:
ne faccio una breve sintesi. Quest’anno c’è un’importante novità: tutte le
celebrazioni si svolgono al Santuario per il perdurare della inagibilità della
chiesa parrocchiale. E questo è senz’altro un disagio per tante persone, ma è
anche vero che alcuni riti sono parsi più suggestivi in quel contesto. La
domenica delle Palme il parroco, Padre Mario, ha benedetto i rami d’olivo sul
sagrato della chiesa di San Lorenzo e, in processione abbiamo raggiunto il
Santuario, per la Santa Messa. Giovedì: Santa Messa in Coena Domini con il
consueto rito della lavanda dei piedi. Anche quest’anno non siamo riusciti a
raggiungere il numero di 12 persone disponibili, come gli apostoli: pazienza,
ci riproveremo l’anno prossimo. Il Venerdì Santo la Via Crucis dal paese fino
al Santuario e il Sabato Santo la grande Veglia con la Santa Messa. La domenica
di Pasqua la corale “Cantus Firmus” ha animato solennemente la Messa e posso
dire (anche se sono parte in causa) che la celebrazione è riuscita veramente
bene. Tutte queste celebrazioni sono state possibili anche perché è venuto in
aiuto a padre Mario, padre Milton dalla provincia di Chieti. Il nostro parroco,
infatti, deve provvedere anche alle parrocchie di S. Lazzaro e Castelnuovo.
Sabato 26 aprile 2014
Questa mattina - alle ore 8
- per la recita delle Lodi, nel tempietto del Santuario ci sono ben 4
sacerdoti: i padri Mario, Onildo, Milton, Gabriel e due laici Agostino ed io,
più tardi anche alcune donne. E’ bello per loro ritrovarsi lì, ai piedi della
Madonna, così lontano dal loro Paese, e cantare nella loro lingua il canto di
adorazione al Santissimo esposto. Ed è bello anche per noi assistere ed
ascoltare questi struggenti canti.
Domenica 27 aprile 2014
Oggi
alla Messa delle ore 11, al Santuario c’è una bella novità, anzi due. Il
Battesimo di un bimbo, Pietro, e il coretto di ragazze e bambini, diretti da
Fiammetta e Michele, che anima la liturgia. Si erano già esibiti a Natale e lo
fanno anche oggi: bene, vuol dire che ci hanno preso gusto e quindi incitiamoli
a proseguire e progredire.
Lunedì 28 aprile 2014
Sono
quasi le ore 23, sono appena rientrato con mia moglie e altre persone da Luni
Mare, dove c’è stata la visita dello stendardo della Madonna del Mirteto.
Infatti, il giorno 22 scorso è iniziata la “peregrinatio Mariae” nelle
parrocchie del Comune e oltre, in preparazione al Centenario della
Incoronazione. Devo dire che quando Agostino aveva proposto questa
“peregrinatio”, ero piuttosto scettico, invece sta avendo un bel successo.
Dappertutto la Madonna è accolta con tanto calore e ogni comunità, a suo modo,
organizza la serata. Domani sera si andrà a Nicola e mercoledì si concluderà ad
Ameglia, dove la Madonna del Mirteto è molto venerata. Certo, nessuno l’ha
detto durante la “peregrinatio”, ma si può ben dire che se la Madonna ha fatto
visita ai suoi figli, cortesia vuole che questa visita sia ricambiata. Durante
il mese di maggio ci saranno tante occasioni per poterlo fare.
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