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Santa Teresa di Gesù da Avila (2)
di Angelo Brizzi
La città di Segovia viene assoggettata
all’Impero Romano nell’80 a.C. e questa attinenza si mette ben in mostra al
turista che vi arriva dalla carretera
nacional 603, con il superbo, monumentale acueducto costruito su arcate sovrastanti in pietra grigia del
luogo, voluto dall’imperatore Traiano, nato a Italica, in Andalusia, che
divenne imperatore di Roma succedendo a Nerva dal quale era stato adottato. Arrivo puntuale all’appuntamento con la Guardia Civil en la plaza de toro; da lì
mi scortano hasta la plaza de San
Esteban, poiché una parte di essa
fungeva da magazzino e deposito attrezzi
per la ditta che stava restaurando un palazzo pieno di storia cittadina, come
degli acciacchi che si portava addosso. Data la delicatezza dei manufatti che
avevo trasportato col camion, lo scarico sarebbe avvenuto a mano, pezzo per
pezzo, dai albani (muratori). Tutto ciò
è per me un’occasione che mi permette di fare un po’ di turismo. Preso commiato
dal jefe (capo), e seguendo i suoi
consigli, mi infilo in quelle strette strade riservate alle sole auto o solo ai
pedoni. Le case che fiancheggiavano le strade si tengono unite tra loro da
arcate sopra le strade e disposte a vari livelli; tutto è immerso nella storia,
dal selciato ai montanti e architravi delle porte in pietra grigia, lavorata da
esperti scalpellini di epoche passate. Le porte e portoni sono lasciati
aperti all’ammirazione degli splendidi azuleios (rivestimenti in maiolica) con
mille disegni e colori che rivestono i muri delle entrate di palazzi e case.
All’esterno le rejas (inferriate)
alle finestre danno un tono signorile alle facciate. Tra i tanti negozi, in maggior parte con cose di usi e
costumi medievali, non possono mancare le coltellerie con le famose lame di
Toledo, già note nel medio evo in tutta Europa, con coltelli e pugnali di varia
fattezza e misura, ma l’attrattiva maggiore dei turisti sono le spade e le
sciabole. Giunto ad un incrocio noto su una targa in
alto il nome della strada: Calle Daoiz,
antes ya Calle del’Alzumara (al tempo di Santa Teresa). Una strada come le
altre di quel casco urbano antiguo, delimitata
da due acera (marciapiedi) e
fiancheggiata da case in stile spagnolo nelle quali le porte-finestre dei piani
superiori hanno accesso a pequenas
azoteas con barandillas ) piccole terrazze con ringhiere di ferro
lavorato). A circa metà della via si trova la casa presa in affitto da madre
Teresa e usata come primo monastero in Segovia: una targa testimonia il
soggiorno delle Carmelitane nel 1574. Torno indietro e, un po’ in difficoltà,
mi rivolgo a un cartero empleo como
repartidor de correspondencia (postino in servizio); abusando non poco della sua cortesia mi faccio fare una piantina
per districarmi negli intrighi di quelle stradine. E così raggiungo la
Cattedrale, punto fermo nei cui dintorni sorge il convento delle Carmelitane
Scalze. Attraversando la città antigua ho assaporato i tanti
odori e profumi che si alternavano e mescolavano a seconda dei negozi e
locali da cui uscivano: odori di manicaretti delle taperias (bar con cucina e
finestra per il servizio esterno), contrastati dai profumi delle pelucherias para hombre y mujer (salone
per uomini e donne), o insidiati dall’acre odore di cuoio rilasciato da un negocio de zapatero (calzolaio) e arrivo
poi in una piazzetta dove c’è un mercado
hecho da los campesinos (mercato di contadini). Esco dalla piazza del
mercato e cerco di orientarmi con la piantina fattami dal postino, ma niente da
fare, non riesco a capirci. Alzo lo sguardo e (non mi par vero) vedo un frate
tutto bianco che sta venendo verso di me con le maniche del saio arrotolate per
la calura; con una mano porta una borsa, con l’altra si asciuga il sudore della
fronte con un panuelo (fazzoletto).
Gli vado incontro dicendo: “Sia lodato Gesù Cristo!”. Si ferma, mi guarda un
po’ sorpreso e risponde al saluto. Gli espongo il mio problema invitandolo a tomar una bebida con hielo, al chiosco
dall’altra parte della strada, e lui accetta. Il colloquio con el frei è breve, giusto il tempo di
rinfrescarci la gola; lui stesso si offre di accompagnarmi a quel convento. Alla suora della cosejeria (addetta alla portineria), salutandola, dice: “Hermana, sta a qui un hombre italiano,
quiete cabla con Madre Priora”. Al che la suora rispondendo al saluto dice:
“Seguro che sì!”. Poi rivolta a me: “Pase usted!”. Il frate ci saluta; io lo ringrazio e se ne
va. Io seguo la suora che mi accompagna dentro il parlatorio, mi invita a
sedermi su una seggiola davanti alla grata e mi dice che devo aspettare un po’.
(Continua il prossimo numero)
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Gesù ha vinto il mondo
di Giuliana Rossini
A letto per un po’ d’influenza, sono presa da un certo
scoramento. Da tempo siamo bombardati da tante notizie negative: guerre,
violenze, prevaricazioni, disastri ambientali, manipolazioni genetiche e
chimiche pericolose (è recente la denuncia di Greenpeace che sostiene che le
grandi marche di abbigliamento utilizzano, perfino per i neonati, tessuti
realizzati con sostanze tossiche), sofisticazioni alimentari, disonestà
diffusa, incertezza politica… Sento il desiderio di leggere qualche pagina del
piccolo vangelo che tengo sul comodino. Lo
apro a caso proprio sulla narrazione della Passione di Gesù (non poteva
capitarmi un argomento più pertinente) scritta da Luca, laddove Pilato consegna
Gesù ai sacerdoti e alle autorità religiose del tempo. Proseguo nella lettura e il primo sentimento
che provo è di grande commozione per l’immensa misericordia di Gesù: schernito,
abbandonato, appeso alla croce; nell’ora più buia non pensa a se stesso, ma è
tutto proiettato ad amare coloro che gli hanno fatto del male e chiede al Padre
di perdonarli perché non sanno quello che fanno. In questo modo Gesù, che ama tutti, anche il
“nemico”, mi fa compiere una prima riflessione sulla necessità di amare ogni
mio prossimo e mi insegna come affrontare il dolore, non ripiegandosi su se
stessi, ma buttandosi ad amare gli altri, dimenticandosi di sé. L’episodio del buon ladrone nel sottolineare,
se ce fosse ancora bisogno, la compassione di Dio per l’umanità, mi fa cogliere
la vertiginosa altezza del Suo perdono, sempre pronto a correre incontro,
facendo il primo passo, al peccatore pentito e indicando anche a noi la strada
del perdono. Infine balza prepotentemente agli occhi il completo
abbandono di Gesù alla volontà del Padre cui grida a gran voce: “Padre, nelle
tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46), grandioso invito a fare
altrettanto. Ma l’episodio che, in questo momento, suscita in me una
particolare partecipazione, forse perché rispecchia un po’ i miei attuali
sentimenti, è quello dei discepoli di Emmaus, in cui trovo la vera risposta.
Tristi, stanchi e sfiduciati essi si allontanano da Gerusalemme, non sono in
grado di capire quale grande mistero di salvezza vi si è appena compiuto e
vanno nella direzione opposta. I loro occhi e le loro orecchie sono chiusi,
benché il loro cuore arda nell’ascoltare
le parole di Gesù. Lo riconoscono solo allo spezzare il pane. Allora tornano
precipitosamente indietro: Gesù li ha raggiunti anche in quella “periferia”
piena di tristezza e sfiducia e ha camminato con loro. Adesso non hanno più paura, hanno compiuto
l’incontro della loro vita e possono unirsi alla gioia degli Undici e
proclamare con loro: davvero il Signore è risorto! Già, tutto pareva finito. “Noi speravamo che (Gesù) fosse colui che
avrebbe liberato Israele…” (Lc 24, 21), dicono rammaricati i due seguaci di
Emmaus a Gesù che si affianca, sconosciuto, a loro. Invece tutto stava cominciando: la speranza
di salvezza, la vittoria del bene sul male si era compiuta. Gesù risorto è la
risposta ai mali del mondo e il comandamento “suo e nuovo”: amatevi gli uni gli
altri come io ho amato voi, è la via per portare la luce e l’unità di cui
l’umanità ha un infinito bisogno. Come i discepoli di Emmaus anche noi dobbiamo imparare a
riconoscere Gesù nelle vicende e nelle persone che ci passano accanto, superare
lo scoraggiamento che può assalirci e credere con tutti noi stessi che Gesù ha
vinto il mondo. “Omnia vincit amor” (tutto vince l’amore), dice il poeta latino
Virgilio. Ed è proprio così: l’amore supera ogni ostacolo, ogni difficoltà ed è in grado
di rimettere la pace e la gioia dove è dolore e amarezza. La tristezza deve
cedere il posto alla letizia. Come ci esorta a più riprese, papa Francesco, il cristiano autentico deve
essere nella gioia, senza musi lunghi, perché può annunciare al mondo che Dio è
amore e vuole il bene di ciascuno e di tutti (anche quando può sembrare il
contrario) e desidera la comunione tra tutti gli uomini. Gesù cammina al nostro
fianco e ci invita a non avere paura perché sarà sempre con noi fino alla fine
del mondo e Maria, la sua prima discepola, ci prende per mano e ci guida per
renderci costruttori di fraternità.
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Non rubateci la speranza, vogliamo una famiglia!
di Miriam Del Sarto e Marco Ferrari
Siamo
Miriam e Marco, una giovane coppia della diocesi di Massa-Carrara-Pontremoli
che si sta preparando all’incontro del 14 febbraio a Roma tra i fidanzati e
Papa Francesco. Ci siamo conosciuti poco meno di un anno fa a un corso di
formazione socio-politica organizzato dalla Curia, e dopo qualche mese di
fidanzamento, passato il tempo dell’innamoramento e iniziato il tempo
dell’Amore, abbiamo deciso di sposarci.
Appena abbiamo fatto sapere la nostra decisione, molti hanno consigliato di aspettare e di
conoscerci meglio, altri ci hanno raccomandato di “provare” l’esperienza della
convivenza prima del matrimonio, infine di rimanere conviventi a vita. Di
fronte a questi consigli il nostro entusiasmo si era raffreddato e ogni giorno
continuiamo a scontrarci con delle consuetudini che vanno in direzione opposta
rispetto alla nostra vocazione. Purtroppo
il clima non è favorevole alla nascita di nuove famiglie, sia per i
comportamenti dei singoli quanto quelli delle istituzioni che in un periodo di
crisi economica non favoriscono il sostegno delle giovani coppie. Non ci sono
interventi né politiche attente alle difficoltà che il matrimonio deve
affrontare ai giorni nostri. Il Papa ci
ha messo spesso in guardia da questa mentalità che vuole sottrarci alla
Speranza. Nonostante i “nonostante”, cerchiamo di andare sempre avanti uniti,
portando i pesi dell’altro ma cercando di non negarci mai un sorriso e un
abbraccio. Quello che iniziamo in vita è una vocazione che ci richiama
all’Eternità, che non si esaurisce in questo mondo ma eleva al cielo ogni
nostro sacrificio come oblazione. Abbiamo
vissuto un’esperienza molto forte al “corso per fidanzati” tenuto dai frati ad
Assisi, dove tantissimi giovani (circa 600 ragazzi e ragazze) si apprestavano
ad affrontare un percorso come il nostro, ci accomunavano gli stessi dubbi, le
stesse paure e le stesse perplessità che una scelta definitiva come il
matrimonio comporta. Al corso ci hanno spiegato a cosa stiamo andando incontro,
a come affrontare tanti problemi e tentazioni che troveremo nel nostro cammino;
ci hanno spinto a guardare dentro noi stessi e riconoscere i nostri limiti e
debolezze e offrirle a chi ci è accanto senza nascondere nulla per la paura di
non essere capiti o accolti, di non meravigliarci, infine, dei comportamenti
che vediamo nell’altro perché la persona che sposeremo è un peccatore come me! Non
è vero che siamo degli incoscienti o degli sprovveduti a volere una famiglia,
sappiamo bene che in questa società individualista per noi c’è pochissimo
spazio, sappiamo che Dio non ci lascerà soli e che la nostra missione non
terminerà il giorno delle nozze; quello sarà il giorno d’inizio dell’impegno
tra noi e Dio. Per noi la famiglia è un luogo di crescita, di educazione
al rispetto dell’altro e del creato, un
luogo di preghiera e di accoglienza, è la piccola ”Chiesa domestica” oltre che
prima cellula della società. Infine essere una famiglia non si ferma a vivere
insieme, ma trova la sua essenza nel ricercare la nostra vocazione da vivere
uno accanto all’altro, per giungere insieme alla santità che questo sacramento
ci permette di ottenere; una coppia “aperta” nell’accettazione cattolica del
termine, aperta al prossimo e alla Grazia. Avere la stessa fede ci fortifica:
partecipare alla Messa domenicale, alle adorazioni e gruppi parrocchiali ci
unisce, pregare insieme ci permette di conoscerci nel modo più intimo e delicato
che solo Dio può offrirci. Quante volte abbiamo pensato e chiesto di farci
trovare la persona “giusta”? Trovare la persona giusta è bello, trovare la
persona che Dio ha pensato per te è meraviglioso. Andare da Papa Francesco ci
restituirà quell’entusiasmo e le energie che i “senza-speranza” hanno tentato e
tentano di sottrarci.
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