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Aldemara ci ha lasciato
di Enzo Mazzini
Una telefonata di Maria mi ha informato
che la nostra sorella Aldemara era volata in cielo. Non volevo crederci, tanto
mi sembrava impossibile. Erano passati appena 11 giorni dalla festa patronale
di S. Antonio abate (il 17 gennaio) allorché, alla presenza del nostro
amatissimo vescovo diocesano, mons. Luigi Ernesto Palletti, venne celebrata una
solenne Santa Messa con grande partecipazione
di fedeli, nonostante l’inclemenza del tempo. Immediatamente mi sono premurato
di contattare alcuni amici che sono soliti intervenire alle funzioni religiose
nella chiesa dell'Annunziata per cercare di offrire l'unico dono che potessimo
fare per la nostra sorella Aldemara: contribuire a rendere la messa più solenne
possibile e tante preghiere. Lei ora è in cielo, da dove ci assiste
amorevolmente, ma dovevamo ringraziare il buon Dio per avercela donata. Certo
per me sarà doloroso non ricevere più i suoi fraterni abbracci allorché, al buon Dio piacendo, ritornerò
nella “sua” chiesa per accompagnare all'organo le cerimonie religiose e devo
confessare che in questi giorni più volte non sono riuscito a trattenere le
lacrime. Aldemara era una persona mite, amica di
tutti, sempre sorridente e piena di risorse umane e per questo tutti le
volevano bene e la popolazione ha voluto darne una chiara dimostrazione,
partecipando compatta alle sue esequie, riempiendo la bellissima chiesa che di
recente ha avuto molti rifacimenti, grazie all’impegno costante di Agostino e
di tutta la comunità dell'Annunziata. Per rendere più solenne il rito funebre
ha voluto partecipare anche il nostro Vescovo che, forse, sarà andato anche lui
con la memoria alla sua recente visita in occasione della festa patronale. La
cerimonia, che si è svolta giovedì 30 gennaio, è stata concelebrata da numerosi
sacerdoti e diaconi della diocesi, che hanno voluti essere vicini al diacono
Agostino e alla sua famiglia. Molto profonda e toccante è stata l'omelia del
Vescovo che ha voluto ricordare a tutti noi che con la morte non finisce la
vita, ma si entra in quella eterna che è
continuità di questa, visto che l'anima è immortale e quindi non si spezza la
comunione tra di noi, ma continua nell'immenso amore di Dio. Quindi Aldemara
continua ad essere in comunione con noi e possiamo essere certi che in questa
comunione noi preghiamo per lei e lei prega per noi. Poi, prima del commiato,
ha preso la parola Agostino per ringraziare il Vescovo e tutti i fedeli e
soprattutto la sua Aldemara che gli è sempre stata vicina nelle vicende felici
e tristi della vita. Una donna meravigliosa, premurosa, sempre disponibile,
docile ed amorevole con tutti. Mai un litigio, mai un rimprovero! Un
ringraziamento al buon Dio per avergliene fatto dono. Francamente l'intervento
di Agostino ha commosso tutti i fedeli ed a stento è riuscito a rimanere in
piedi, vinto dal' emozione. Forse in quegli istanti avrà ripercorso tutta la
vita passata insieme alla sua amata consorte e le tappe che hanno segnato la
loro esistenza in comunione. Aldemara (Maria) è nata in Ortonovo il 17 agosto 1931 e si è congiunta in matrimonio con Agostino
il 18 ottobre 1952. Insieme hanno dato vita ad una meravigliosa famiglia: 3 figli
(Paola, Savio e Cristiano) e 5 nipoti (Damiano, Giulia, Viliana, Martina e
Lorenzo). Lascia nello sconforto anche il genero, dott. Mario Bianchi e le 2
nuore (Antonella e Lucia), oltre la sua adorata sorella Adriana. Con
quanta nostalgia rivivo una giornata meravigliosa trascorsa recentemente con
Aldemara ed il suo Agostino! Era il
sabato 20 ottobre 2012, allorché l'intera comunità di Annunziata si era stretta
intorno al suo diacono e la moglie Aldemara per festeggiare il 60' anniversario
del loro matrimonio. Erano presenti anche numerosi fedeli di altre parrocchie
che volevano partecipare a questa sentita ricorrenza. Agostino, nei suoi
paramenti diaconali era molto commosso, specialmente durante la recita delle
formule con cui sono state rinnovate le promesse matrimoniali. In occasione di
questa ricorrenza vennero ricevuti anche dal nostro amato Papa Francesco.
Agostino e la sua Aldemara erano sempre pronti anche per affrontare pesanti
disagi pur di compiere impegnativi pellegrinaggi (4 volte a Lourdes, 3 volte a
S. Giovanni Rotondo ed infinite volte nei vari santuari sparsi in tutta
Italia). Aldemara era sempre al seguito di Agostino durante lo svolgimento dei
suoi numerosi impegni, essendo stato ordinato diacono permanente dal Vescovo
Siro Silvestri 33 anni fa, uno dei primi diaconi della nostra Diocesi. Ecco
perché Aldemara ha lasciato in Agostino ed in tutti un grande vuoto e numerosi
sono stati i parrocchiani che hanno preso parte anche alla S. Messa in
occasione dell’ottavario della morte.
Noi tutti ci stringiamo intorno alla sua famiglia nel ricordo della cara
Aldemara.
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A Levanto, alla Madonna della Guardia
di Paola G. Vitale
-Perché
non si dice Levànto, anziché Lévanto?-, mi dice Walter. In realtà, nulla fa
pensare al levar del sole, tra questi tornanti boscosi che ritardano la luce
del mattino. A quest’ora, penso io, il sole che sbuca dalle Apuane tinge di
rosa tutte le colline e i paesi da Monte Marcello in su…
Dunque, siamo di nuovo insieme da Ortonovo, Casano,
Luni-Isola, Luni Mare e anche gli amici di Fiumaretta. Padre Mario, rettore del
Santuario del Mirteto, ci ha invitati alla preghiera dell’Angelus, dandoci poi
la sua benedizione per il viaggio ed un lieto ritorno. Arriviamo al piazzale
della stazione ferroviaria, punto di ritrovo, poiché i pellegrini di Spezia e
Cinque Terre arriveranno in treno. Da lì, Levanto mi appare cittadina
tranquilla e accogliente, mentre l’attraversiamo seguendo il folto gruppo delle
Confraternite con le loro mantelline colorate. Ci inoltriamo per le vie,
recitando il Santo Rosario e cantando strofe di lodi a Maria, e arriviamo al
Santuario, bello nella sua ricca architettura, reso ancor più mariano dal bel
porticato ad archi che lo arricchisce di fronte e di lato. Maria Santissima
della Guardia ci attende a lato dell’altare nella sua nicchia.Bella e sentita la Santa Messa e l’omelia del vescovo
Luigi Ernesto; festosa e numerosa la presenza dei sacerdoti e dei seminaristi.
A me sembra sempre più importante per tutti e per ciascuno questo radunarci al
primo sabato del mese. Sento crescere in famiglia e in parrocchia l’effetto
benefico dello Spirito Santo. Grazie dunque, augurando che a nessuno venga in
mente di non attendere con gioia il prossimo incontro, che elargisce su di noi
la Grazia di Dio.
Grazie, Ortonovo, non stancarti mai di tutto questo!
P.S. Ho pregato per il nostro diacono, Agostino,
assente questa volta per la grave prova cui il Signore lo ha condotto.
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A sera dopo cena
di Marco Bernardini
Mi trovo in alta Badia,
immerso nel più ampio e spettacolare
circuito sciistico d’Europa. Ormai da qualche anno una bella e vivace
compagnia si raccoglie lassù per trascorrere insieme una settimana di vacanza.
E’ un gruppo di persone che appartiene ad una borghesia benestante proveniente
da Roma, da Milano e dalle Marche. Conobbi costoro per caso, segnalati da un
amico comune il quale mi invitò. Mimma non viene perché la continua e pressante
attività sciistica estesa all’intera giornata non le si addice. Anche le altre
signore presenti non partecipano ai nostri caroselli perché abbastanza
impegnativi. A sera dopo cena è invalsa
una bella consuetudine: ci si riunisce in un tinello-salotto di uno di loro per
trascorrere la serata. Si fa conversazione, si mangiano i dolci, si prende
qualche digestivo e si raccontano le mirabolanti avventure della giornata. E’
un momento interessante perché è lì che si conoscono le persone. Le confidenze
si fanno strada e non è infrequente cogliere dai vari discorsi le diverse culture, le varie
sensibilità, le specifiche credenze. Per me è un momento impegnativo perché
avverto che io non sono quassù solo per sciare ma anche per ascoltare ed
eventualmente per dire qualcosa, secondo quella vita che si ispira all’ideale
dell’amore scambievole. Per altro mi comporto in modo normale, proprio come
fanno gli altri. Ormai però, non ostante le mie cautele, mi hanno
individuato. Hanno capito che sono uno
che “va in chiesa”. Allora mi
interpellano con vivacità su tante questioni ed io cerco sempre di rispondere
in modo pacato, sereno, in maniera tale che nessuno si senta giudicato o
scontento. Al termine una di queste belle serate, quando ormai
stiamo per salutarci, Alberico e Gloriana si avvicinano e mi fanno capire che
vogliono parlare con me. Allora, uscendo, facciamo due passi. In giro non c’è
più nessuno. Sono le 11 della sera ed il termometro segna meno 7. Non sono
sposati e lei è una divorziata. Stanno insieme da molti anni. Si vogliono bene.
Però nella loro vita c’è una grande spina: il rapporto con la Chiesa. Deduco
che sono credenti. Vorrebbero avvicinarsi anche ai sacramenti, ma sono
respinti, soprattutto Gloriana. L’angoscia, la rabbia e il risentimento sono sempre presenti in
loro. Che fare? Mi guardano in un modo
quasi risentito e nello stesso tempo con un cipiglio interrogativo. Io sorrido
e mi viene subito da dire: “Gloriana, ma che t’importa? Accetta questa
situazione, ma tu non perdere tempo: punta tutto su Gesù. E’ lui la risposta.
Durante le giornate che tu trascorri nel bel mondo - giacché Gloriana opera
nell’alta moda - tieni sempre gli occhi fissi su di Lui e non li abbassare mai.
Il resto, tutto il resto, è secondario”. Sono sorpresi. Forse si aspettavano altre argomentazioni da
parte mia, riguardanti per esempio la poco confortante posizione della Chiesa
al riguardo, ed una mia conseguente e vibrante critica nei confronti della
Gerarchia. Invece mi sono comportato in modo diverso. C’è un momento di
silenzio. Noto che torna la serenità ed il sorriso sui loro volti. C’è pace
dentro di loro e gratitudine verso di me. Semmai sono io un po’ preoccupato per
quello che ho detto… Si è fatto tardi. Domani ci attende una giornata impegnativa:
dalla vetta del Seceda scenderemo fino
a Ortisei. Prima di salutarci ci facciamo una promessa
che serva per andare avanti insieme e quindi per aiutarci. Dobbiamo ogni giorno
rimanere fedeli ad un patto: quello di ricordarci, con una fede sempre
nuova, di ripetere: “Sei tu Signore
l’unico mio bene”. Lui ci farà capire. Li vedo contenti. E’ passata la
mezzanotte. Su quelle strade ormai deserte, dove la temperatura è scesa
ulteriormente, nessuno si accorge che attorno c’è soltanto gelo e neve.
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Un ricordo di don Lucio
di Don Flavio Peloso, Superiore Generale dell’Opera
Ieri, 23 gennaio, in tarda
serata, è morto don Lucio Felici, confratello conosciuto e benvoluto sia in
Italia che in Spagna, ove è stato dal 1965 fino al 1994, i 30 anni centrali
della sua vita e del suo apostolato. Era nato a Ortonovo (La
Spezia), il 4 dicembre 1934. Qui la Congregazione fu presente dal 1933 al 2003
con una piccola comunità che gestiva il Santuario della Madonna Addolorata del
Mirteto e un Asilo infantile. Don Lucio parlava volentieri di Ortonovo, il suo
volto si illuminava di affetto e raccontava particolari. Don Orione, assumendo
quel Santuario, nel 1933, aveva scritto: “Anche quel santuario di Ortonovo si
allineerà agli altri che la Congregazione tiene in varie parti d'Italia e anche
all'estero: la Madonna Santissima vi sarà sempre più onorata, venerata ed
amata. E siccome la vita in generale presenta per tutti più pene che gioie, la
Madonna del pianto di Ortonovo insegnerà a tutti la grande sapienza cristiana
del saper soffrire bene, con pazienza e per amore di Dio, come faceva lei, la
Vergine Santissima Addolorata”. In una delle visite a Ortonovo, la nonna di
Lucio si avvicinò a don Orione, davanti al Santuario, per chiedergli la
benedizione. Don Orione prese un lembo del suo mantello e lo pose sul capo del
piccolo Lucio e lo benedisse. Quando, anni più tardi, quel piccolo decise di
farsi prete, la nonna gli commentava: "Si vede che don Orione ti voleva
con sé”. Furono ben 8 i figli di Ortonovo ordinati sacerdoti nella
Congregazione di don Orione: Piero Andreani, Domenico Repiccioli, Giorgio e
Giancarlo Gramolazzi, Andrea Cupini, Alberto e Bruno Parodi e Lucio Felici. Lucio lasciò il paese e si
unì alla Congregazione, andando a Sassello per la scuola (1949-1953) e poi a
Villa Moffa per il noviziato e liceo; fece la prima professione il 12 settembre
1954. Già da chierico andò in Spagna per il tirocinio, nel nuovo probandato di
Dicastillo (1957-1960). Tornò in Italia per la teologia, a Tortona, e fu
ordinato sacerdote il 14 marzo 1964 a
Tortona. Dopo un anno nel seminario di Finale Emilia, partì nuovamente per la
Spagna, ove fu per 10 anni formatore a Fromista (1965-1975). Divenne superiore
della Vice-provincia di Spagna fino al 1980. Per le sue capacità relazionali e
imprenditoriali fu incaricato della costruzione e avvio della nuova opera per
anziani ad Almonte (1980-1986). Le sue ultime tappe in Spagna furono nella
nuova parrocchia di Manises 1987-1993 e al Piccolo Cottolengo di Madrid
(1993-1994). Ritornato in Italia fu superiore nella casa di Firenze (1994-2000)
e poi, dal 2000 al 2009, economo provinciale. Seguì ancora un triennio come
economo del Centro Mater Dei di Tortona (2009-2012); quando passò all’Istituto
Sacro Cuore di Fano, nel 2012, apparve la seria malattia che ridusse sempre più
le sue forze fino alla conclusione della sua vita terrena, avvenuta dopo due
giorni di ricovero, nell’ospedale di Fano. Don Lucio Felici era un uomo
buono, normalmente mite e sereno, sensibile verso le persone. La salute gli ha
sempre dato qualche problema, ma è rimasto all’opera fino alla fine,
generosamente. Fu fedele alla vita religiosa aveva un senso vivo della
comunione con la Congregazione. Io l’ho conosciuto nell’ultima parte della sua
vita, ricevendone affetto e incoraggiamento che manifestava con quei suoi occhi
brillanti e timidi prima che con le poche parole. Dio lo benedica e lo
ricompensi per la sua consacrazione espressa in 59 anni di vita religiosa e 49
di sacerdozio.
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Robè e la gracula
di Marta
Roberto era un ragazzone di
18 anni, alto, magro, capelli ribelli, ciuffo sbarazzino com’era anche il suo
carattere. Sempre sorridente e gioviale, buono d’animo e sempre scherzoso. Robè
era un carrarino puro e, come tale, amava citare frasi fatte o proverbi nel suo
dialetto. A quel tempo, ad esempio, nel carrarese usava, dopo la domenica, fare
festa anche il lunedì, con la seguente motivazione: “Chi non fa la lunidiana,
lavora male tutta la settimana” [Io la sapevo in tutt’altro modo. N.d.R.]. E, addirittura, rimanevano aperte, il lunedì,
anche alcune balere! Naturalmente ai datori di lavoro la cosa non andava a
genio, ma il capo di Robè chiudeva un occhio, visto che poi Robè sapeva
mettersi in pari con la tabella di marcia del lavoro. Faceva il marmista, amava
il suo mestiere e proprio per lavoro viaggiava molto.
Qui a Ortonovo incontrò l’amore e si sposò. Poi, sempre per motivi di lavoro,
si trasferì con la famiglia a Mantova dove rimase oltre trent’anni. Ritornò quindi
al nostro paese e si stabilì nella casa della suocera. Ma aveva un grande
desiderio: lasciare il lavoro di marmista per gestire uno stabilimento balneare.
Quando da bambino apriva la finestra di casa sua, vedeva sempre il mare e gli
era mancato tutto quel periodo che era stato lontano, come il sale sulle
pietanze. E così fu: riuscì ad aprire un’attività al mare. Quella nuova
attività gli piaceva, ne era assorbito tutto il giorno. Il suo carattere
garrulo piaceva alle bagnanti che, con ogni piccola scusa, lo apostrofavano per
sentirlo poi rispondere nel suo dialetto carrarino, mai dimenticato.
Robè, a volte, aveva il turno anche al bar dove, per compagnia, oltre a un
gattino e a un cagnolino, aveva anche una gracula (merlo indiano parlante) che
avevano chiamato Amedeo, e siccome Robè parlava sempre a voce alta, questa
aveva imparato a ripetere le parole che sentiva. Ad esempio, rivolta alla
moglie di Robè, Iolanda, diceva: “O Iolà, gh’ha pagà lu là?”. E spesso quando
qualche cliente usciva dal bar si sentiva Amedeo che diceva: “O Robè, gh’ha
pagà lu là!”. Allora , sconcertati, gli avventori si domandavano di chi fosse
quella voce e Robè sorridendo rispondeva: “E’ quello sciocchino di Amedeo, non
fateci caso”. Mentre l’altro continuava: “Amedeo, Amedeo. O bagnanti. Gh’ha pagà
lu là. O Robè, o Robè…”. Poi incominciava a fischiettare, molto intonato, un
motivetto molto in voga negli anni novanta per la gioia della gente che si
radunava compiaciuta per assistere a quelle divertenti esibizioni di Amedeo.
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Sono le nostre scelte che determinano il nostro contorno: mettiamoci in discussione
di Un’assidua lettrice
17.02.2014. Questo mese avevo già
scritto a “Il Sentiero” già lunedì scorso (dopo il Vangelo del “sale e della
luce”, ma, a differenza delle altre volte, dove il giorno stesso facevo avere
lo scritto al nostro Walter, questa volta, senza un perché, stavo facendo
passare i giorni senza consegnargliela.
Il titolo era: “Se guardiamo solo gli sbagli dell’altro, senza
riconoscere i nostri, non incontreremo mai Gesù nella nostra vita”. Poi, ieri,
una cara amica, conosciuta in un viaggio in quel “centro benessere dell’anima”
(Medjugorje), mi ha consegnato la testimonianza di Miriam e Marco che avrebbero
letto a Papa Francesco il giorno di S. Valentino. Questa mattina l’ho ripresa
in mano e, dopo averla riletta, ho pensato che fosse buona cosa pubblicarla su
questo strumento di testimonianza di vita tra cristiani: “Il Sentiero”. Ho pensato di pubblicarla perché sono
convintissima che la strada è questa: dobbiamo ri-tornare a volere vivere cristianamente
nella propria famiglia, e quindi ri-mettere veramente al centro di essa Cristo;
perché nel caso contrario, come potremo definirci una famiglia cristiana? Non
possiamo mica illuderci che lo siamo solo perché facciamo prendere ai nostri
figli i Sacramenti, o perché andiamo a messa, o perché recitiamo qualche
preghiera? Essere veri cristiani è vivere la nostra fede, ri-tornare con gioia
a dedicare la nostra giornata a Colui che ha dato la vita per noi, per tutti
noi indistintamente. Ma finché non Gli facciamo questo benedetto “spazio
quotidiano”, “riduzionandoci interiormente”, non potremo mai renderci conto di
quanto Dio è “cotto” di ognuno di noi (queste parole le ho apprese dal prof.
Aceti), perché Lui, nonostante le nostre scelte sbagliate, è sempre lì che ci
aspetta: Dio ci perdona sempre e ci invita a seguire il suo grande
Comandamento: “Amatevi come io vi ho amato e ama il tuo prossimo come te
stesso”. La cosa più bella per tutti noi è quando riprendiamo la strada con
Gesù e quindi ricominciamo a camminare (la cosa brutta e pericolosa è rimanere
fermi) e scoprire così la vera gioia e la vera pace che solo Lui ci può donare. Grazie, Miriam e Marco, e buon cammino di
conversione a tutti noi: se stiamo uniti non ci perderemo mai, ed è vero, la
famiglia è il tesoro più grande che possiamo volere, mettendo, ovviamente, Gesù
al suo centro con l’aiuto di coloro che hanno consacrato la loro vita a Gesù,
per aiutarci e confortarci: i nostri sacerdoti. Grazie per quello che fate per
noi e scusateci se non vi ringraziamo mai abbastanza.
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DAL SANTUARIO
di p. Mario Villafuerte, fmm.
Come promesso, continuo a
presentarvi il racconto di don Pesce sull’incoronazione della Madonna del
Mirteto. Egli scrive nel suo libro:
“… il decreto
dell’Incoronazione era stato ottenuto fin dal dall’anno 1909 a loro istanza
(dei padri passionisti) con ampia raccomandazione del vescovo; ma il fausto
avvenimento non poté compiersi che nell’anno 1914. Superati gravi ostacoli di
vario genere, inevitabile contrassegno delle opere accette a Dio, la piccola
famiglia dei Passionisti di Ortonovo si accinse a preparare le grandiose feste
dell’incoronazione alla distanza di appena tre mesi.
L’annuncio ufficiale delle feste venne dato dal vescovo con una bellissima
lettera pastorale, vera corona di lodi e di affetti filiali, offerta alla
Vergine per eccitarne la devozione. Le feste religiose solennemente inaugurate
la sera del 20 maggio, vigilia dell’Ascensione, si chiusero la domenica
seguente.
Intervennero alle feste, col vescovo diocesano, l’Em.mo Cardinal Maffi,
arcivescovo di Pisa, gli arcivescovi Passionisti di Camerino e di Dioclea, i
vescovi di Massa e di Fossombrone, l’ortonovese vicario della diocesi Mons.
Bernardino Raganti e numerosi rappresentanti del clero”.
Nel trasmettere a voi le notizie dateci da don Pesce si può toccare, quasi con
mano, l’amore e la devozione, nonché la passione con la quale egli scrive
questi racconti!
Anche noi, nel nostro piccolo, stiamo cercando di preparare bene le
celebrazioni del centenario. A tal proposito si è formato un piccolo comitato
che è già al lavoro, soprattutto di ricerca di documenti, fotografie e
quant’altro possa aiutarci a dare la meritata solennità all’evento in
questione. Se qualcuno di voi lettori di questo bollettino ha una bella
fotografia storica del Santuario e vuole darcela in prestito, ne saremo molto
grati.
Al prossimo numero, sperando
di potervi dare già qualche programmazione dei festeggiamenti.
Dio vi benedica e la Madonna
del Mirteto protegga le vostre famiglie!.
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In ricordo di Giuseppe Franciosi
di Paola G. Vitale e la Comunità di Luni Mare
Con l’amore e la discrezione
con cui ha sempre vissuto, l’amato signor Preside ci ha lasciati per
ricongiungersi alla sua amata Giulia. I valorosi “pochi ma buoni”,
come lui li chiamava, già proseguono l’opera de “Il Sentiero”, da lui
fortemente voluta e sostenuta. Noi tutti da Ortonovo, da Luni Mare e da più lontano, lo ringraziamo con tutto
il cuore, per la sua opera umana, per la sua presenza fedele, per la sua fede. Cercheremo di creare ancora
dei “pochi ma buoni” chiedendo il suo aiuto da lassù ove ora si trova.
Con il cuore vicino al dolore dei familiari, porgiamo le nostre più sentite
condoglianze.
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