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Santa Teresa di Gesù da Avila (1). La Santa della Riforma carmelitana
di Angelo Brizzi
Durante i vent’anni trascorsi da ondariego, entregado corpo y alma al trabajo
(itinerante, sempre dedito al mio lavoro), ho avuto il privilegio e la
fortuna di potere visitare molti luoghi fuori dal nostro Paese: siti storici e
moderni di rara bellezza naturale o opera dell’uomo, costruiti per la storia o
innalzati alla gloria di Dio e per devozione alla Vergine Maria e ai Santi.
Luoghi infatuati di orgoglio laico e luoghi colmi di spiritualità cristiana,
mantenuta viva da persone che si dedicano alla evangelizzazione col la parola,
il lavoro e la preghiera; nella solitudine della clausura nei monasteri nei cui
chiostri regna il silenzio, anima della meditazione. Lì, tra quelle mura, la Parola
di Dio è accolta, meditata, fatta propria e messa in opera per quanto
umanamente possibile. La cattolicissima Spagna occupa
nella storia della Chiesa un elevato livello, per la fede del suo popolo, per i
suoi santi martiri, per gli innumerevoli santuari, eretti ad onore e alla
devozione della Vergine Maria, disseminati sul suo suolo e come lo sono i
monasteri de monja y des frailes che
hanno saputo nelle difficoltà dei tempi, in specie gli anni della inquisizione,
mantenere vivo nei fedeli il Vangelo di Gesù. Una delle giovani donne che
scelsero la chiamata di Dio ad abbracciare la vita monastica è Teresa de
Ahumada, nata in Avila da una famiglia benestante: suo padre era un hidalgos (membro della nobiltà
spagnola), la madre, di famiglia aristocratica e cristiana, dà alla luce Teresa
il 28-3-1515, che morirà ad Alba de Tormes il 15-10-1582. Teresa arriva a venti
anni (il 2-11-1535) al monastero dell’Incarnazione delle Carmelitane di Avila
piena di entusiasmo e di amore; ha ricevuto la grazia di poter vestire l’abito
delle “Scalze”; deja a y detras de su
hombro la coqueta senorita (lascia alle spalle la civettuola signorina)
della borghesia alla quale appartiene. E’ bella, Teresa: in Avila, nelle case
dove veniva invitata, così la descrivevano: “Una
di quelle bellezze brune che sono sempre accompagnate da maestosità; una
maestosità velata da tanto fascino che non si poteva guardarla senza essere
attratti verso di lei da una forza irresistibile”*. La madre priora, Maria
di S. Josè, così la descriveva: “La sua
bellezza e la cura che aveva della sua persona, la raffinatezza della sua
conversazione, la dolcezza e la rettitudine delle sue maniere la abbellivano
ulteriormente, di modo che il profano e il sacro, l’uomo di mondo e l’asceta,
dai più vecchi ai più giovani, erano presi prigionieri, ridotti in schiavitù da
lei, senza che perdesse nulla di ciò che doveva a se stessa. Da bambina e da
ragazza fu per tutti quelli che l’avvicinavano, laici e religiosi, quello che
il ferro è per la calamita”*. Di quel convento che l’accolse divenne lei
stessa priora; delle regole che guidavano la vita comunitaria divenne la
“rivoluzionaria”, riformandole, mettendole in pratica con quattro delle sue
consorelle alla sua prima fondazione avvenuta in Avila, accanto, si può dire,
al monastero che la vide spogliarsi delle sue vanità, per vestirsi di un abito
da lei tanto voluto, che avrebbe oscurato la sua bellezza esteriore, mettendo
in luce quella interiore. Devota di San Giuseppe, dedicò a lui questa sua prima
‘fatica’. Vi visse pochi anni, poi con l’aiuto del Signore dette vita a un suo
desiderio tenuto nel cuore: fondare altri monasteri maschili e femminili
in Castiglia e in Andalusia, divenendo
Teresa ondariega (itinerante) per gli amici, conoscenti e
benefattori, essendo sempre in viaggio tra l’ultima fondazione e l’altra in
procinto di fondare. Ben altre volte il mio lavoro mi portò a
Segovia, ma sempre senza lasciarmi un briciolo di tempo per poter compiere una vuelta por la ciudad antigua molto
interessante per la sua storia millenaria. E un’altra storia è nata in una calle fra la gente di questa città: la
storia di una donna, di una monaca che viaggiò per le strade della Castiglia e
dell’Andalusia fondando conventi in diverse città. Fra i tanti ne fondò due
proprio qui in Segovia. numero]
*Queste parti sono tratte da ‘S. Teresa
d’Avila’ di Elisabeth Reynud
[continua il
prossimo numero]
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Festa della candelora
di Ratti Antonio
Il nome e le diverse tradizioni popolari diffuse in tutte le regioni italiane , a
mio parere, non aiutano a comprendere il vero significato di questo evento,
molto importante per la religione e la cultura ebraiche e fatto proprio dal cristianesimo.
Per fare chiarezza è opportuno distinguere tre momenti: il culto ebraico,
quello cristiano e le coincidenti feste pagane dei Lupercali (Lupercalia) dedicate al dio Fauno e le Februarie dedicate a Giunone Purificata
(Iunio februata, dal verbo februare=
guarire, purificare). Nella cultura ebraica
ogni donna, che partoriva un maschio, era ritenuta impura per un periodo di 40
giorni dopo i quali la legge le imponeva
di recarsi nel luogo sacro per sottoporsi ai riti di purificazione: “Quando una donna sarà rimasta incinta e
darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni, sarà immonda come nel
tempo delle sue regole. L’ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa
resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà
alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i
giorni della sua purificazione” (Levitico 12, 2-4). Sempre in adempimento
alle prescrizioni mosaiche, i figli maschi e, in particolare il primogenito - ogni
primizia è proprietà di Dio e a Lui va offerta - venivano presentati al Tempio
per formalizzarne l’ingresso a pieno titolo nella comunità. Come
prescritto, Giuseppe, Maria e Gesù si recano al Tempio di Gerusalemme; qui
incontrano il vecchio Simeone, che, prendendo in braccio il Piccolo, pronuncia il
profetico “Cantico” riportato dal Vangelo di Luca: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua
parola, perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti
a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”
(Lc 2, 29). Da questi due eventi della tradizione ebraica scaturiscono le
festività cristiane della Purificazione
di Maria e della Presentazione al
Tempio di Gesù. Dalle parole di Simeone si evince che Cristo è la “luce per illuminare le genti”, da qui il
chiaro riferimento alle candele portate in processione e al nome che ne deriva,
Festa delle luci o Festa delle candele. La Festa delle luci ha origine in Oriente
con il nome di “Ipapante,” cioè
incontro, ovvero, il primo incontro di Gesù con il suo popolo nel luogo simbolo
della Legge e dell’ebraismo. La prima testimonianza storicamente documentata
che fa riferimento a questa festa si ha nel IV secolo a Gerusalemme. Infatti,
la scrittrice romana Egeria del IV-V secolo nell’ Itinerarium Egeriae (in cui parla di un suo viaggio
nei luoghi della cristianità) descrive così il “rito del Lucernare”: “Si accendono tutte le lampade e i ceri,
facendo così una luce grandissima”. Sul finire del IV secolo la Festa delle luci si estende anche in
Occidente: in Gallia con carattere più festoso, grazie alla processione delle
candele che si mescola con cerimonie celtiche, a Roma, invece, con carattere
più penitenziale. La spiegazione di
questi diversi orientamenti potrebbe ricercarsi in un antichissimo culto
espiatorio che si svolgeva a Roma, del quale Ovidio parla nei Fasti. Nel mondo
pagano romano la dea Februa (Iunio
Februata = Giunone Purificata) veniva celebrata durante le idi di febbario
(13 - 15 febbraio) fin dai tempi più remoti con riti lustrali e purificatori:
donne completamente spoglie si colpivano con cordini implorando la guarigione,
la purificazione e la protezione dalla malaria, mentre i Luperci, pastori di
bestiame, per intercedere la benevolenza del dio Fauno, detto Lupercus, perché protettore degli ovini
dagli attacchi dei lupi, (alla maniera dei mammutones
sardi che si percuotono durante la processione del venerdì santo), percorrono
alla luce delle lucerne le vie della città colpendosi con strisce di cuoio (februe) e cibandosi con ingredienti
purificatori come farro tostato e grani di sale, detti anch’essi februe, (da februe il nome del mese, febbraio). Nelle Chiese d’Oriente e
d’Occidente fino a quando è in uso il calendario giuliano, i due riti si
celebrano il 14 febbraio (40 gg. dopo l’Epifania = manifestazione = natale di
Gesù ). A
Roma si crea una evidente sovrapposizione, che induce a confusione, tra le
cerimonie cristane e quelle pagane appena descritte; allora, il patriarca della
Chiesa di Roma, papa Gelasio I (492 - 496), chiede ed ottiene dal Senato romano
l’abolizione dei Lupercali e delle Februarie, così la festa della Candelora (festum candelarum) prende il loro posto
nella devozione popolare. Quando l’Occidente adotta il più preciso e corretto
calendario gregoriano, che fissa il Natale al 25 dicembre (nove mesi dopo
l’Annunciazione), nel Calendario liturgico romano la festa è anticipata al 2
febbraio (40gg dopo la natività). Oggi la liturgia non prevede
più la processione esterna, ma rimane la benedizione delle candele con questa
formula: “Il Signore nostro Dio verrà con
potenza e illuminerà il suo popolo. Alleluia. Fratelli carissimi, sono passati
quaranta giorni dalla solennità del Natale. Anche oggi la Chiesa è in festa,
celebrando il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio. Con
quel rito il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma
in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede. Guidati
dallo Spirito Santo, vennero nel tempio i santi vegliardi Simeone e Anna,
illuminati dallo stesso Spirito riconobbero il Signore e pieni di gioia gli
resero testimonianza...”. In
passato le candele accese erano conservate nelle abitazioni dei fedeli per
essere riutilizzate, come segno devozionale, in caso di calamità meteorologiche,
di malattie o di difficoltà, come, del resto, succedeva in epoca pagana, quando
venivano accese davanti all’immagine dei Lari, divinità domestiche, presenti in
ogni casa su un apposito altarino. Con
la festa della Presentazione al Tempio di Gesù si chiude il periodo delle
celebrazioni natalizie e si apre il cammino verso la Pasqua, preceduta dalla
Quaresima, periodo di riflessione e di attesa.
L’evidente mescolanza di sacro e pagano, nel tempo, ha lasciato il segno
nel modo di festeggiare la Candelora, specie nelle zone rurali, dove le
tradizioni mantengono ancora un forte radicamento; infatti molteplici, per
esempio, sono i proverbi meteorologici:
“Per la Santa Candelora
se nevica o se plora
dell’inverno semo fora;
ma se l’è sole o solicello
siamo sempre a mezzo inverno”.
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“Delle cere la giornata
ti dimostra la vernata,
se vedrai pioggia minuta
la vernata sia compiuta,
ma se vedi sole chiaro
marzo fia come gennaro
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“Se per la Candelora
il tempo è bello
molto più vino avremo che vinello
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“Da la Madona Candeora
de l’inverno semo fora;
ma se xe piova e vento,
de l’inverno semo dentro
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Dialogo tra due bravi cristiani (su facebook)
di Doretto
“Grazie per gli auguri, cara
(era il mio compleanno), spero che quello che mi rimane da vivere sia sempre di
più una crescita verso la meta che Gesù ha stabilito per me fin dall’antichità.
E chiedo a Gesù di non essere solo con me, ma con tutti voi”. “Carissimo, non sei mai
solo; sei sempre unito a noi, perché sei costantemente unito a Gesù. L’amore di
Gesù, che supera ogni nostra immaginazione, abbraccia tutta la tua umanità e
trasforma ogni segmento della tua vita in perle di saggezza, che insieme al tuo
sorriso doni con delicatezza a tutti quelli che hanno la grazia di incontrarti.
Tutta la tua gioia sbocciata dalla consapevolezza di essere creatura amata da
Dio da sempre, incorniciata dalla sofferenza quotidiana è un capolavoro che con
semplicità e umiltà presenti a Gesù perché lo trasformi in Amore da riversare
su chi si sente solo e non amato. Un abbraccio fortissimo a te ed un bacio a
tua moglie”. “Grazie cara, siamo in piena
sintonia, che scaturisce dall’unità che c’è tra noi e tra i fratelli. Andiamo
avanti, abbandonandoci a Lui, affinché sia fatta la Sua volontà sino in fondo.
Ed è subito gioia!”. “Sì, è vero, ed è subito
gioia!... E’ già gioia!”. “Diffondiamola questa gioia,
il mondo ne ha tanto bisogno! Maria, Madre nostra, aiutaci!”.
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