N° 2 - Febbraio 2014
I nostri poeti
  Rione di casa mia
di Adriana Polla Luciani





 

Comari, comari al balcone,

un battibecco di cicale

che friniscono tra loro:

contrarietà e ragioni

che ognuno vuol avere.

Rione di casa mia,

quanta nostalgia!

E questo tuo clamore che risuona

all’orecchio mio è musica soave!

 

Sarzana, 31.8.1977     


  Or’mai a son c’rsciù
di Mario Orlandi




 

For’sci ‘n tè capì

o a m’ son spiegà malo:

a’n t’voi pu v’dere,

gir al largo e fisch’e:

a son c’rsciù con te,

ma mo la gamba a la us da me.

Scuse, ma t’ s’en scemo o fisà,

senz’ofesa!

T’sen ostinà pu che me

‘n t’l c’rcar la felicità,

ma or’mai a son c’rsciù

e la gamba a la us da me.

T’apar egoista e pien d’te,

senz’ofesa, naturalmente,

ma come te a ogni curvon

s’ n’contre do o tre

e l’mbarazo gh’è sol la scelta,

p’rché s’ntirs cort’già,

amirà fra tanti,

fa cert piascer a tuti.

E, senz’ofesa, ognun

Gh’è semp’r mei o al pegio come te:

p’r l’ spirito d’cortesia,

p’r la giovialità,

p’r l’senso d’ compagnia,

p’r la capacità d’ far s’mbrar curto

anc’l periodo ai pù lungo e contorto,

p’r la giov’ntù chi t’ met’n adoso

‘n t’l s’ntire amirà e desid’rà

al centr d’ s’rata semplici

ma ben organizà,

p’r dar ‘n senso al periodo volù,

p’r dimostrare d’es’r c’rsciù.

 

 

                       

ORMAI SONO CRESCIUTA – Forse non hai capito o mi sono spiegata male: non ti voglio più vedere, gira al largo e fischia; sono cresciuta con te ma ora le gambe le uso da sola. Scusa, ma sei scemo o fissato, senza offesa! Sei ostinato più di me nel cercare la felicità, ma ormai sono cresciuta e le gambe le uso da sola. Appari egoista e pieno di te, senza offesa naturalmente, ma come te a ogni curva se ne incontrano due o tre e l’imbarazzo è solo la scelta, perché sentirsi corteggiata, ammirata fra tante, fa piacere a tutti. E, senza offesa, ognuno è sempre migliore o alla peggio come te: per lo spirito di cortesia, per la giovialità, per il senso di compagnia, per la capacità di far sembrare corto anche il periodo ai più lungo e contorto, per la gioventù che ti mettono addosso nel sentirti ammirata e desiderata, al centro di serate semplici ma ben organizzate, per dare un senso al periodo voluto, per dimostrare d’esser cresciuta.




  Chissà!
di Roberto Bologna (marzo 1985)




Parlo al vento:

ogni tanto gli racconto di me,

della mia tristezza,

di quanto ho pianto.

Ho il cuore che si spezza.

Ma poi tutto si fa quiete,

un sole opaco all’infinito,

e la calma è padrona.

Chissà se mi ha capito!

 

Parlo alla pioggia:

molte volte le domando di me,

del mio domani,

di speranze incolte.

Ho il cuore nelle tue mani.

Ma poi il cielo si apre

in un azzurro infinito,

e la calma è di nuovo padrona.

Chissà se mi ha capito!

 

A te non parlo mai:

c’è la quiete con il vento,

o il sole con la pioggia,

non ti dico che vivo a stento.

Ma dopo si fa tutto buio,

e la calma è in catene,

e ho paura,

e non domando più di me.

La temo questa notte scura.

 

                         


  La scala di Giacobbe
di M.G. Perroni Lorenzini




Oggi ho avuto, improvvisa, una visione:

In mezzo a bianche nuvole un azzurro

ceruleo più del mare e trasparente

nel suo infinito pieno di mistero.

Con pioggia, da lassù, di raggi d’oro,

a fasci, in una scala rilucente,

da cielo a terra, fino a un verde prato

acceso da bagliori di smeraldo.

E, su e giù, per la scala fra le nubi,

un battere, un aprirsi e un chiuder d’ali,

lunghe ali eteree dalle argentee piume,

in lieve palpitare di preghiera:

“Sono Angeli e la scala è al Paradiso?”

“Ma no, sono colombe e quella scala

è un effetto di luci e di colori.

Credevi forse d’essere Giacobbe?

E,  forse, anche per lui fu solo un sogno”.

Ma nel cuore permane la visione,

la fede di un istante nel miracolo…

E un responso ne traggo, come un augure:

“Non è soltanto fantasia, illusione:

è una meta reale da raggiungere;

è l’equilibrio tra materia e spirito,

il punto dell’incontro, che è possibile

per chi voglia e cerchi veramente

la mia splendente ‘Scala di Giacobbe’.

 



  Un sacerdote prega
di Anna Maria De Ghisi




Questo improvviso

spegnersi del giorno

mi sgomenta;

nel mio cuore

dilata l’uragano:

 

dove sei, Signore di Emmaus?

Dove sei, Luce?

 

Non giunge il vento

che disperde le nubi;

La tua mano non vedo

che placa le tempeste;

La tua voce non odo

che ripete le parole antiche:

 

-Perché temi,

uomo di poca fede?-

 

Mi stai nascosto;

buia è la sera:

mi perdo sulla terra.

 

Ascolta questa voce!

-Accendi un luminare

ch’io ti veda-

Un sacerdote prega!

 

                                   


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