N° 2 - Febbraio 2014
Storie dei lettori
  I due bebè
di Simona




            Nel ventre di una donna incinta si trovavano due bebè. Uno di loro chiese all’altro: “Tu credi nella vita dopo il parto?”. “Certo, qualcosa deve esserci dopo il parto. Forse siamo qui per prepararci per quello che saremo più tardi”.
“Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Come sarebbe quella vita?”. “Non lo so, ma sicuramente… Ci sarà più luce che qua. Magari cammineremo con le nostre gambe e ci ciberemo dalla bocca”.
“Ma è assurdo! Camminare è impossibile. E mangiare dalla bocca? Ridicolo. Il cordone ombelicale è la via di alimentazione…, ti dico una cosa: la vita dopo il parto è da escludere. Il cordone ombelicale è troppo corto”. “Invece io credo che debba esserci qualcosa. E forse sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere qui”.

Però nessuno è tornato dall’aldilà dopo il parto. Il parto è la fine della vita. E, in fin dei conti, la vita non è che un’angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla”. “Bé, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente vedremo la mamma e lei si prederà cura di noi”.
Mamma? Tu credi nella mamma? E dove credi che sia lei ora?”. “Dove? Tutta intorno a noi! E’ in lei e grazie a lei che viviamo. Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe”.

“Eppure io non ci credo! Non ho mai visto la mamma, per cui è logico che non esista”. “Ok, ma a volte quando siamo in silenzio, si riesce a sentirla o percepire come accarezza il nostro mondo. Sai, io penso che ci sia una vita reale che ci aspetta, e che ora soltanto stiamo preparandoci per essa…”.

            Pensiamoci un po’. Buona meditazione!

  LA DEFINITIVA RINUNCIA
di M.G. Perroni Lorenzini






La canzone dell’esilio

Lo dicono i ricordi

che balzano sul fondo,

scossi da un terremoto di notizie.


Lo svelano i ricordi

che guizzano bollendo

nella rete dei sogni ricorrenti.


Lo gridano i ricordi

che premono, fantasmi,

intorno a un qualche volto che somiglia.

Eterna è la canzone dell’esilio.

Eterno il pianto della nostalgia.


 

            Fu l’università a darmi molta di quella libertà cui agognavo. Frequentai a Pisa, città che raggiungevo giornalmente con il treno, la facoltà di lettere classiche. In quello studio, grazie anche all’incontro con professori eccezionali, dei veri maestri, trovai le soddisfazioni che la scuola liceale, restrittiva e soffocante, non mi aveva dato. Così ora non mi era più di peso il dover restare a casa la domenica. Infatti era necessario che prendessi un riposo, dopo la stanchezza dovuta ai viaggi in treno, alle lunghe camminate per arrivare alla stazione ferroviaria giù al piano e tornarne, o alle corse tra una lezione e l’altra per raggiungere i diversi istituti, la Sapienza o le biblioteche. E la domenica era anche l’unico giorno che potevo dedicare interamente, o quasi, a quegli studi che soddisfacevano i miei interessi e le mie curiosità […].
Ben presto l’università mi portò anche l’amore. Lui, Carlo, d’un paese vicino al mio, Nicola di Ortonovo, frequentava la mia stessa facoltà, un anno di corso più avanti. Subito dopo il “colpo di fulmine” ci fidanzammo ufficialmente (allora usava così). E la domenica lui veniva a trovarmi su una vecchia fragorosa Gilera. Ma già fin dall’inizio non furono rose e fiori. In casa non godevamo di nessuna libertà. E uscire da soli ci era proibito. E i pomeriggi domenicali e, soprattutto, i lunghi pomeriggi estivi tornarono ad essere per me quasi un tormento. Un poco di distrazione la trovavamo studiando insieme per gli esami comuni. Ma poiché frequentavamo anni di corso diversi, non erano molti gli esami da preparare in collaborazione. E poi lui non veniva solo per studiare. E cominciò ben presto a non sopportare più quella assurda sorveglianza (ed era veramente assurda, dato che a Pisa avevamo tutta la libertà che volevamo; mentre ad Arcola eravamo praticamente sorvegliati a vista). Così finiva che, quando mi si concedeva con un sorriso malizioso di accompagnare il mio fidanzato fino in fondo alle scale di casa, per salutarlo, noi due si litigava subito, sia pure a bassa voce, perché io gli chiedevo che continuasse in una prudenza e in una sopportazione che non intendeva più avere. Finì che ci lasciammo, anche se per pochi giorni. Ma proprio quell’interruzione urtò i sentimenti di mia madre (per lei il fidanzamento era sacro come il matrimonio e in qualunque rottura ci perdeva la donna); così si mostrò sfavorevole alla ripresa della nostra relazione. Quando poi egli disse troppo chiaramente che non intendeva convivere con i suoceri ma che voleva metter su casa per conto proprio, la rottura fu inevitabile.
Tale situazione durò circa un anno e mezzo. Poi, come Dio volle, ci fu per entrambi la laurea. E con la laurea subito il primo incarico nella cittadina toscana di Montepulciano. Cosa che ci permise di sposarci subito. E mia madre? All’annuncio che ci saremmo sposati con o senza il consenso della famiglia, si rimboccò le maniche e si mise a preparare il matrimonio; e sembrò aver messo da parte ogni motivo di contrasto. Purtroppo nel suo cuore non tutto era risolto, come molti anni dopo dovetti accorgermi; e dovetti anche constatare che più che a mio marito serbava rancore a me per quella che a suo giudizio era stata una vera e propria ribellione, mai da lei giustificata. Adesso, ma forse in gran parte già allora, perché sempre continuai a volerle bene, ho compreso che non avrebbe potuto fare diversamente. Comunque sia, il rapporto con lei al momento del matrimonio e per parecchi anni di seguito, sembrò essere tornato in gran parte sereno.

Ma quest’ultima esperienza che avevo vissuto nella mia famiglia, proprio quando, pur con dolore e delusione, mi ero abituata alle incomprensioni che la dividevano, e nel mio paese, quando ormai le passioni politiche erano in superamento, e proprio quando io, giovane universitaria, mi stavo preparando a un futuro che intravedevo luminoso; quell’esperienza, dico, era stata veramente troppo ardua e scioccante per me. Per cui decisi di rimanermene lontano almeno per un po’. Infatti nel mio primo esilio ancora provvisorio a Montepulciano, non potevo pensare al mio paese, senza vederlo nuovamente coperto da una grande ombra nera, simile a quella che mi figuravo di vedervi nell’infanzia. Ed è vero anche che la mia decisione di abbandonarlo definitivamente non la presi se non dopo molti anni. Tanto che fu solo quando nostra figlia aveva ormai sei anni che ci decidemmo a comprare casa nella città in cui eravamo emigrati. Le mie ferite non erano affatto guarite. E la mia nuova città, che mi aveva attratto con il suo fascino fin dalla prima volta che l’avevo vista, mi offriva l’opportunità di formare in essa in piena libertà una famiglia serena, e anche il tempo per esorcizzare una buona volta tutti i negativi fantasmi del passato. Naturalmente, nonostante tutto, ogni tanto soffrivo di nostalgia. Ma, per soddisfarla, mi bastava tornare al mio paese e alla mia famiglia d’origine, nelle vacanze e nelle maggiori festività.
Poi, nell’ottantuno, ci fu la morte di mio padre e di mio zio e, con il trasferimento di mia madre, rimasta sola e quasi cieca, qui da noi a Montepulciano, le occasioni di tornare ad Arcola si rarefecero. Così la nostalgia, inappagata, si fece via via più profonda, anche per il risorgere di un non mai sopito senso di colpa per il mio ormai deliberato abbandono. E la poesia che abbiamo letto all’inizio esprime pienamente questo mio stato d’animo.




(da La casa sepolta, ed. Albatros)

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  LA RETTA COSCIENZA
di Vincenzo Di Martino



 In relazione al tempo in cui si vive, ogni Pontificato ha una storia e una valenza. In un periodo di crisi generale profonda, come quella attuale, crisi principalmente di valori prima ancora che economica e sociale, Papa Francesco sta incentrando il suo magistero verso idee e concetti come la fratellanza, la giustizia, l’unità intesa come contrapposizione al dominio dei potenti cui non si è sottratta la stessa Chiesa. Lo stesso nome da lui scelto, mai prima da nessun Papa, è un programma e la favorevole, generale accoglienza, al di là di chi è cattolico praticante, è forte sintomo di un grande Pontificato dal quale tanto ci si aspetta. Nella scia di questo orientamento s’inquadra il dialogo instaurato dal Pontefice con il fondatore del giornale ‘La Repubblica’, Eugenio Scalfari, che si protesta apertamente ateo. Il dialogo tra credenti e non credenti non è una novità, ma è una novità il diretto scambio epistolare di un Papa con un autorevole esponente del giornalismo italiano che ritiene di non dover credere e afferma di non aver fede in forza della ragione. Il tema ha un’importanza enorme, perché pone con forza il rapporto tra fede e ragione e il problema della salvezza del non credente, il problema della Verità. Per chi non crede non esiste una verità assoluta, ma esistono tante verità quanti sono gli individui i quali, conseguentemente, respingono un credo, la fede in Dio. Ma se la fede, come afferma Papa Bergoglio, coincide con la carità e l’amore per il prossimo, sorge la coincidenza sul piano umano tra condotta di vita del credente e del non credente.
Il concetto di fratellanza e amore al prossimo non è esclusivo del cristiano e chi si ispira a quei concetti, anche se non credente, segue una retta coscienza che non può non essere riconosciuta come idonea alla salvezza. E’ questa la ineccepibile risposta alla domanda del non credente Eugenio Scalfari, ma affascinato dalla persona di Gesù, uomo che pur qualificandosi ateo, appare sicuramente alla ricerca della Verità. Ed è proprio questo che conta e deve contare. Nasce da ciò la necessità di un dialogo, come afferma Bergoglio, tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana da un lato e la cultura moderna d’impronta illuministica dall’altro, a lungo separate da una incomunicabilità; necessità di dialogo, del resto, già affermata nel Concilio Vaticano II.

Certo, scrive Papa Bergoglio, la nostra fede nasce dall’incontro con Gesù che, nella sua vita, ha predicato come uno che ha autorità, ha guarito, ha chiamato i suoi discepoli a seguirlo, cose tutte che nell’Antico Testamento sono di Dio. Ed ancora, la fede cristiana crede questo: che Gesù è il figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell’amore. Noi, perciò, siamo chiamati ad una scelta d’amore verso i nostri fratelli ed anche verso i nemici, a pensare ed agire come Gesù, perché siamo tutti figli dell’unico Padre. Ma chi non condivide la fede in Gesù deve comunque sapere, ma se anche lo ignorasse poco conta, che la misericordia di Dio non ha limiti ed è decisivo che chi non crede in Dio obbedisca alla propria coscienza, scegliendo tra ciò che viene percepito come bene o male, in tutta umiltà ed amore; cosa che non significa affatto essere relativisti. In questo modo credenti e non credenti possono camminare insieme nella ricerca della pace e dell’amore, nella tensione di sconfiggere i più gravi mali presenti come la disoccupazione giovanile, la solitudine dei vecchi, la povertà.
E’ un cammino verso il Bene che, lo afferma Papa Bergoglio, prescinde dal proselitismo definito una solenne sciocchezza, essendo importante, invece, la reciproca conoscenza e l’ascolto dell’altro, nell’intento di seguire il Bene e combattere il Male al fine di individuare e soddisfare i bisogni materiali e immateriali delle persone; il che significa amore per il prossimo, ma anche amare Dio secondo quanto ha predicato Gesù che ci ha chiamati tutti fratelli e figli di Dio. Tutto ciò perché, come affermava il cardinale Martini “la vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa”. Ciò significa che ad unire gli uomini è il modo di porsi di fronte alla vita riflettendo chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo senza pregiudizio alcuno.

Questa riflessione sicuramente non condurrà all’unità tra credenti e non credenti, ma servirà ad accumunare tutti nella ricerca della Verità. Ben venga e si incrementi, dunque, il dialogo, perché è comunque un bene camminare insieme.


  (da ‘Communio’, bollettino della Parrocchia S.Pietro Ap. - La Spezia)


  Il primato della coscienza e il bene comune
di Romano Parodi





Purtroppo, come succede sempre più spesso, le parole di papa Francesco sul primato della coscienza, hanno suscitato polemiche non solo tra eminenti teologi, ma anche fra i fedeli tradizionalisti più ortodossi. Esiste il bene comune universale? Come si riconosce? Bergoglio dice che si riconosce  mediante la luce della propria coscienza e la coscienza ce l’hanno tutti, anche gli atei. Il primato della coscienza è un concetto peculiare del cattolicesimo, in linea con quanto affermato dal Papa che ha detto: “Esiste un bene comune a tutti gli uomini, universale, oggettivo, che non dipende dalle circostanze o dai sentimenti o dalle emozioni, ma che si sostanzia nella natura delle cose. Tale bene consiste in ciò che favorisce la vita e come tale ogni uomo può riconoscerlo mediante la luce della propria coscienza”. Sono parole potentissime che indicano che per la vita morale non servirebbero leggi, codici, autorità, e gli uomini credenti o no, con la loro coscienza sulla base del bene comune, sono in grado di decifrarlo.
Naturalmente c’è anche chi per convenienze personali “non ha nessuna coscienza”. Racconta una novella di Pirandello (?) che un barone siciliano, per obbligare un povero contadino a vendergli il campo gli impedisce il passo nei suoi terreni confinanti. Il contadino va dal sindaco, che, però, amico del boss, gli consiglia di comprarsi una mongolfiera, “perché non puoi passare in casa degli altri”; e invano il pover’uomo gli dice: “Vossignoria, si metta una mano sulla coscienza”. Quindi per agire con verità e giustizia basterebbe essere onesti con se stessi e con la propria coscienza. Naturalmente non è facile ed è per questo che sono necessarie le leggi.
“Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” dice Gesù. “La coscienza di un uomo talvolta può avvertire meglio di sette sentinelle collocate in alto”, dice la Bibbia. Anche il Vaticano II° dice che “la coscienza è il luogo dove Dio dialoga con gli uomini per risolvere secondo verità tanti problemi morali”. “Al di sopra del Papa, - dice Ratzinger- sta ancora la coscienza individuale alla quale, prima di tutto, bisogna ubbidire”. Concetto ben chiaro a don Emilio che ha sentito il bisogno di avvisare don Gallo del suo comportamento, contro il volere del card. Siri…(vedi articolo del mese scorso). Questo è il nucleo della genuina tradizione cattolica. Possono perciò stare tranquilli tutti. Papa Francesco è perfettamente in regola coi concetti del cristianesimo anche se il primato della coscienza coinvolge atei e agnostici. Impensabile credere che “fuori dalla chiesa cattolica non c’è salvezza” e che i 700 miliardi di persone che ci hanno preceduto siano condannati alla dannazione eterna, “perché Dio è di tutti, cattolici o no - dice Francesco- anzi  aggiunge: “Dio non è cattolico, ma universale”.

Vent’anni di corruzione e mal governo hanno fatto dell’Italia un paese di macerie, ma, soprattutto, hanno demolito le nostre speranze. Io credo che la rovina del paese è una sola: la corruzione. C’è ancora qualcuno che si comporta legalmente? Nel proprio piccolo quasi tutti cercano di arrangiarsi, anche illegalmente. Non c’è dubbio però che il pesce puzza sempre dalla testa. E la nostra classe dirigente e politica è la testa del pesce che, marcio, ha intaccato tutto il vivere civile del Paese. “Dacci una classe dirigente onesta e capace”, è la mia letterina a Gesù Bambino, così ben ripresa dall’amico Antonio Ratti. Con questo livello di corruzione sarà dura abolire il debito!  Oggi queste teste di pesce marcio hanno bisogno di soldi per salvare il Paese. Dove prenderli? Non certo dai loro portafogli. Non certo da pensioni e stipendi d’oro. Non certo da una patrimoniale sulle rendite. E allora?  “Faccia pagare i ricchi e gli agiati come me”, dice Scalfari. Niente da fare! I diritti acquisiti, i meriti, lo status quo vanno salvaguardati, lo dicono anche i giudici che hanno salvato una pensione da 80 mila euro al mese. La storia dell’umanità è lastricata di buone intenzioni ed il solito politico illuminato ha trovato la soluzione: “Vendiamo le spiagge ai privati, i miliardari ci sono”. Quindi non più concessioni: se vuoi andare al mare dovrai chiedere il permesso al padrone di casa. Poco tempo orsono volevano privatizzare l’acqua. C’è stato bisogno di un referendum per bloccare tutto.
E’ di questi giorni la notizia che il consiglio di Stato ordina di mandare le ruspe a Marinella e demolire alcuni manufatti dei privati. Dopo 23 anni di cause infatti i privati anno perso e tutto dovrebbe tornare di libero accesso. Il bene comune è un tema che ha fatto scorrere fiumi di inchiostro. Nel 1887 il principe Borghese, voleva recintare e chiudere i cancelli della sua villa per impedire ai cittadini, quel continuo passeggio nei suoi giardini. Il Comune di Roma lo portò in tribunale e la Cassazione riconobbe ai cittadini il diritto di continuare a passeggiare nei giardini del principe. Questo dimostra che anche le maestà sulle facciate delle case non sono del proprietario della casa, ma del popolo che le ha viste sempre lì. Nessuno può spostarle. Un altro esempio clamoroso, proprio di questi giorni è l’isola di Budelli, nell’arcipelago sardo della Maddalena, un’isola che, unica al mondo, ha l’arenile color rosa perla. Un banchiere neozelandese l’ha comprata all’asta per tre milioni di euro, ora i verdi vogliono obbligare lo stato a ricomprarla. Un’isola unica al mondo non può essere impedita al pubblico.

Per quanto riguarda le spiagge, non solo non si devono vendere, ma si dovrebbe eliminare anche l’esclusione dei molti tratti vietati ai cittadini. Non si può tassare, né l’acqua, né l’aria, né la dimora e neanche il mare, perche uno deve poter respirare, bere, avere un tetto e andare al mare, anche se non ha soldi.  



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  COMUNE DI LUNI
di Tarcisio Andreani




            Il Comune di Luni dovrebbe nascere dalla fusione dei Comuni di Ortonovo e di Castelnuovo Magra. Erroneamente qualcuno ha scritto nella cronaca locale di Sarzana che questo progetto nasce in un tempo breve senza quindi la dovuta maturazione. Voglio precisare a questa persona che del Comune di Luni ne parliamo già dalla fine degli anni '80. Ricordo inoltre il convegno di studio “Castelnuovo e Ortonovo, un grande Comune”, organizzato nel 1994 dalle due amministrazioni (allora ero sindaco di Ortonovo),  i cui Atti erano stati pubblicati in una edizione speciale di oltre 50 pagine del bollettino interparrocchiale “Il Sentiero” (chi volesse rileggerli li trova sul sito del Comune di Castelnuovo).
Faccio notare che nella organizzazione della Diocesi di Spezia, già Diocesi di Luni, a livello locale esiste il Vicariato di Luni, comprensivo delle parrocchie dei due Comuni, sicuramente l'istituzione più antica con questo nome ricalcante i confini dei due territori. Mi piace qui citare anche Plinio il Vecchio che nella sua enciclopedia, quando parla dei nostri territori, dice: “Tra i vini dell'Etruria la palma va a quello di Luni”; “Dalla frontiera tra Liguria ed Etruria il formaggio di Luni, notevole per la sua grossezza, dal momento che ciascuna forma arriva a pesare mille libbre”;”La prima città dell'Etruria è Luni, con il suo grande porto”.
La stazione ferroviaria ubicata ai confini dei due Comuni si chiama Stazione di Luni. Dai primi anni '90 si è lavorato per il distretto socio-sanitario inaugurato qualche anno fa a metà tra Ortonovo e Castelnuovo e non a caso nella riorganizzazione dei distretti della ASL 5 alcuni sono stati soppressi ma il nostro no, anzi tutti gli operatori sanitari e tutta la popolazione facente capo al distretto ne richiede il potenziamento con un aumento delle prestazioni offerte e quindi con minor trasferimento delle nostre popolazioni a Sarzana, Spezia o Carrara per effettuare prestazioni sanitarie. Ricordo che i due Consigli Comunali hanno già deliberato l’unione dei due Comuni, ma la legge richiede anche un referendum “consultivo” che è stato indetto per il 9 febbraio 2014, nel quale la popolazione deve indicare la preferenza per il SI o per il NO. Infatti le due Amministrazioni stanno già accorpando i rispettivi uffici comunali: al momento attuale sono già operanti ufficio Segreteria e l'ufficio Ragioneria, presto sarà fatto per la Polizia Municipale e gli Uffici Tecnici. Quindi si può ben vedere che è già in essere un progetto di accorpamento delle due Amministrazioni e mi riesce difficile pensare che si uniscano le membra e le teste rimangano due. E’ importante dal punto di vista turistico ed agricolo-alimentare fregiarsi del nome di Luni, conosciuto in tutto il mondo, per rilanciare il nostro territorio dal punto di vista turistico-culturale.

Dico sinceramente che ho provato, in un mio personale discorso dialettico, a mettere a confronto i pro e i contro di questa fusione, ma debbo dire onestamente che, mentre ho trovato ragioni per un SI forte e convinto, non ho trovato argomentazioni per un NO. Ho letto i volantini che girano nei nostri Comuni sia di un Comitato che dell'altro e mi sono ancora di più rinforzato nella mia decisione di votare SI. Purtroppo ho sentito sia da una parte che dall'altra portare argomentazioni legate all'ambizione di qualche attore interessato e mi sono chiesto: un cambiamento epocale che avrà ripercussione per chissà quanti anni o secoli a venire, può essere determinato da meschini giochi personali, purtroppo tipici della nostra misera politica (con la p minuscola)?. E' possibile che la scelta per il SI o per il NO sia legata ad ambizioni personali da una e dall'altra parte? Ricordo a queste persone che “…l'uomo è come l'erba e i fiori del campo…”: durano una “stagione”. Le nostre Idee i nostri Progetti possono scrivere la Storia. I nostri nipoti ci valuteranno e ci “peseranno” per le Idee, i Progetti e le Scelte che abbiamo fatto.
Vorrei poter dire ai mie nipoti: io quel 9 febbraio 2014 c'ero ed ho contribuito con il mio SI a scrivere un pezzo di storia.


  Tra un paragone e l’altro
di Marta




            Il basco sulle ventitré, stivaletti a mezza gamba, calze spesse scure ed un abitino a quadretti con il bavero rialzato. Occhi neri, capelli lunghi e lisci; alta e slanciata. Rebecca è veramente una bella ragazza, ma l’ulteriore bellezza che la distingue è la sicurezza di vivere questo nostro tempo. Rebby frequenta il liceo linguistico ed ecco perciò la sua padronanza delle lingue. Facendo un paragone col tempo dei miei diciassette anni (più di cinquanta anni fa) c’è veramente un abisso.  Ai miei tempi si usciva da un grande analfabetismo; le mie coetanee parlavano quasi tutte solo il dialetto; io fortunatamente no, perché frequentavo un asilo, vicino casa, gestito dalle suore. Le mie amiche quando parlando volevano mettere qualche frase in italiano era un vero strazio.
Oggi la Rebby, anche se giovane, saprebbe viaggiare sola per il mondo; sono certa che potendolo fare, se la caverebbe benissimo. Le conoscenze tecnologiche (computer e altri aggeggi) fanno sì che il mondo sia lì, dietro l’angolo. E pensare che io mi sono persa a Sarzana! Poi penso: quando cerco di insegnarle qualcosa sull’attualità, mi accorgo che poi sono io che imparo da lei; quando il dialogo è terminato capisco che sono più le nozioni che ho appreso di quelle che volevo dare, come ad esempio ad usare il telefono cellulare (leggere i messaggi, ascoltare la segreteria, fare le foto…). Però mi viene da pensare: non so ancora usare il computer e tutto ciò che ne deriva, ma “non è mai troppo tardi”. Solo che sono già da pensione e sono quindi da rottamare.
Ma per i politici non c’è questo limite? L’anziano, oggi, è tagliato fuori; il mondo va tutto di corsa e noi anziani fatichiamo a stare al passo. Ci portiamo dietro tutti i nostri acciacchi: artrosi, prostatiti, diabete…, e ci viene l’affanno per una piccola fatica in più. E allora, cari politici, c’è anche tra voi tanto bisogno di giovani, perché non lasciate a loro il vostro lavoro? Certo, io a mia nipote Rebecca posso insegnarle a impastare le lasagne, ma, in teoria, lei le sa già fare.

E’ molto bello vedere nei giovani l’attaccamento allo studio, la salute fisica e psichica e tanta voglia di fare: così il mondo deve girare per evolversi!


  Diario
di Walter





31 dicembre 2013
Alle ore 17, nella chiesa di San Lorenzo, c’è la Santa Messa solenne di ringraziamento. Abbiamo cantato la messa “De Angelis” e, al termine, il “Te Deum”. Purtroppo non abbiamo un organista nella nostra parrocchia, quando può viene Renato, il maestro della corale, per cui cantiamo senza accompagnamento musicale. E pensare che un tempo il nostro paese era pieno di musicanti che facevano parte della Banda Musicale di oltre 50 elementi; non c’era famiglia che non avesse qualcuno che suonasse uno strumento. Tutto questo per merito del famoso maestro don Ferdinando Maberini e del fratello Archimede.


Sabato 4 gennaio 2014  
Stamani, 1° sabato del mese, il pellegrinaggio diocesano è a La Spezia: si parte dalla chiesa di S. Maria Assunta e si va al Santuario della Scorza (Madonna della Salute) in piazza Brin. Una pioggia battente ci accompagna per tutto il percorso cittadino. La poca gente che è per le strade ci guarda e sembra che dica: che coraggio! Ma, quando ci ritroviamo sul pullman per il rientro, siamo tutti gioiosi, nonostante il maltempo.


Lunedì 6 gennaio 2014   
Oggi si celebra la festa dell’Epifania. Santa Messa solenne - alle ore 11 - con la presenza della corale “Cantus Firmus”. Al termine arrivano i Re Magi che portano i doni al Bambino Gesù e poi a tutti i bambini presenti. Ieri sera (vedi in altra pagina) i Magi sono arrivati anche nella chiesa del Preziosissimo Sangue di Luni al termine di una bella serata di festa.


Giovedì 9 gennaio 2014 
Stasera per l’adorazione interparrocchiale siamo nella chiesa di Isola. La piccola chiesa è molto accogliente, luminosa e calda; c’è la corale che allieta con sempre nuovi canti i tanti fedeli arrivati da tutte le parrocchie. C’era stato un periodo, diversi anni fa, che questi incontri di preghiera erano un po’ in calo, ora invece sono diventati un appuntamento fisso per tutte le nostre comunità parrocchiali.


Mercoledì 15 gennaio 2014 
Stamattina un gruppo di operai hanno abbattuto la sequoia che trent’anni fa era stata posata nell’antico lavatoio di via Cavanella, a Ortonovo centro storico. Questa pianta era arrivata dalla città basca di Mondragon (in basco Arrasade) in seguito a diversi scambi culturali e gastronomici tra quella città e il nostro paesino, a cura della Pro Loco e delle due Amministrazioni Comunali. Quella pianticella in questi anni è cresciuta di una ventina di metri e ora dava qualche segno di instabilità per cui è stata abbattuta. A ricordo di quegli eventi è rimasta solo una targa in pietra con la scritta ‘Paseo Arrasade’.


Domenica 19 gennaio
Oggi la Santa Messa delle ore 11 si celebra al Santuario del Mirteto e questo perché la chiesa parrocchiale è dichiarata inagibile dalle autorità competenti. Sabato 11 erano arrivati i Vigili del fuoco per un sopraluogo, poiché sul tetto ci sono alcuni avvallamenti, e avevano transennato tutta la navata centrale, poi  è stato deciso di chiuderla. Per cui d’ora in avanti la Messa festiva verrà celebrata al Santuario (ore 11 e ore 16,30), mentre i giorni feriali nella ex barberia del paese. Chissà quando rientreremo nella nostra chiesa! Perché si sa: se fosse un casa privata il proprietario salirebbe sul tetto a controllare e se ci fosse da cambiare qualche travicello, sostituire qualche tegola, lo farebbe e tutto sarebbe a posto; ma quando si tratta di opere pubbliche tutto diventa molto più complicato. Speriamo bene!


Venerdì 24 gennaio 2014
Oggi è giunta una brutta notizia: è morto il caro don Lucio Felici, sacerdote orionino. Era uno dei numerosi giovani che negli anni 40/50 erano partiti dal paese per seguire l’opera del Santo della Carità, San Luigi Orione. Era anche un assiduo lettore del nostro bollettino, poiché tramite “Il Sentiero” si teneva informato su quello che succedeva al suo paese.

Oggi, domenica 26 gennaio

al Santuario del Mirteto – alle ore 16,30 – la Santa Messa viene celebrata in suffragio dell’anima di don Lucio; la celebra don Alberto (Pino Parodi) venuto da Genova appositamente poiché non ha potuto partecipare al  funerale dell’amico, a Fano. E’ molto commosso, ma riesce a ricordare l’amico in modo esemplare. All’omelia, prendendo spunto dal Vangelo di oggi, dove si racconta che Gesù a Cafarnao incontra prima i fratelli, Pietro e Andrea, e li invita a seguirlo, poi altri due fratelli, Giacomo e Giovanni, invita anche loro e questi lasciano tutto e seguono Gesù, don Pino dice: “Anche qui a Ortonovo, circa 50 anni fa, è venuto il Signore a chiamarci: io, don Lucio, don Andrea Cupini e don Bruno Parodi (Rino) e noi Lo abbiamo seguito con gioia e fedeltà; ora il Signore inizia a  richiamarci per un’altra meta, il Paradiso, e dobbiamo ancora seguirlo con la stessa gioia e fedeltà. Ci eravamo promessi di ritrovarci quest’anno per il suo 50° di ordinazione sacerdotale, ma non è stato possibile: lo festeggerà assieme a tanti altri fratelli, lassù in Cielo”.
Grazie, Don Pino.


  Il valore vero della Sacra Famiglia deve ritornare nelle nostre famiglie
di Un’assidua lettrice




 

           Stavo riordinando la casa dopo aver messo in cantina la  scatola del Natale: alzo gli occhi e vedo sopra la vetrina della sala la “Sacra Famiglia”. Mi precipito a prendere la scala per poi riporla con le altre cose natalizie, ma, nel momento in cui sto riprendendo le statue, decido che la “Sacra Famiglia” la lascio lì dov’è. È troppo bello, penso, averla nella nostra sala quando, alla fine della giornata, siamo qui tutti riuniti e com’è bello iniziare la giornata con l’immagine della Sacra Famiglia posta sopra il camino, in cucina!
Ritengo che sia molto bello avere quell’immagine sempre in vista nelle nostre case, perché guardandola vediamo tutto quell’amore e quella tenerezza che è in loro e quindi ciascuno di noi dobbiamo impegnarci a porli (o riporli) nella nostra famiglia per essere in pace noi stessi e tra di noi, e ridando così una bella ‘spolverata’ al meraviglioso giorno in cui abbiamo consacrato il nostro matrimonio davanti a Dio, avendo la consapevolezza che attraverso questo impegno di amore reciproco possiamo camminare veramente con il Signore a fianco. Questo amore, poi, dobbiamo trasferirlo con il nostro esempio ai figli, i quali imparano ad amare proprio nella famiglia: è lì che sentono di essere amati e vedono il nostro amore reciproco e questo amore che ci doniamo nella famiglia lo dobbiamo ri-donare ad ogni persona che il Signore ci mette sulla nostra strada (nel lavoro, nella Chiesa, nella Associazioni…).
Camminiamo quindi tutti uniti e radichiamo nel nostro cuore che siamo tutti figli dell’unico Padre e di un’unica Madre: tutti fratelli che abbiamo bisogno uno dell’altro. Da soli e senza Dio non andremo da nessuna parte, ma soprattutto non raggiungeremo la vera pace che solo Lui ci può donare.
Buon cammino di conversione a tutti noi col Vangelo in mano. Ringraziamo sempre il buon Dio perché, nonostante i nostri ripetuti sbagli, è sempre paziente e misericordioso e aspetta che Gli apriamo quella ‘Benedetta Porta’, facendoGli veramente spazio quotidiano nel nostro cuore.

 

                                                                                       


  La Madonna della Scorza a piazza Brin
di Paola G. Vitale




 

Ci siamo ritrovati con la consueta gioia per il primo pellegrinaggio orante dell’anno, destinazione N.S. della Salute, a La Spezia. Pioveva, e attraversando il centro pulsante della città mi sono ricordata dell’articolo scritto da Mila Catalani, l’anno precedente - poiché era la stessa situazione -.       
Partendo dall’antica cattedrale di S. Maria Assunta siamo passati a fianco di S. Maria della Neve, ho visto l’ingresso di due Musei, grandi scuole maschili e femminili e tanti negozi; e sempre qualche passante si è unito alla processione fino all’ingresso della bella chiesa di N.S. della Salute. Pregare con devozione e fiducia, pregare insieme accostandosi alla Penitenza e alla Comunione eucaristica, non è cosa da poco, di questi tempi, soprattutto guidati dal nostro vescovo Luigi Ernesto e sperando sempre nella grazia di Dio.
Ringrazio la buona volontà dei pochi che ci radunano nel pullman da Ortonovo, Luni Mare, Fiumaretta, fino a destinazione. La gioia che loro ci danno somiglia alla gioia dell’annunzio natalizio. E’ una gioia semplice che accogliamo sempre con riconoscenza, sperando anche che sia un seme che porterà frutto in ciascuno di noi. Le omelie del Vescovo completano il tutto e la presenza dei numerosi sacerdoti scalda sempre il cuore.
Auguri ancora a tutti per questo anno che si annunzia più che mai impegnativo. Alla prossima!

 

                                                                                        



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  DAL SANTUARIO
di p. Mario M. Villafuerte, fmm




 

Forse non tutti sanno che in quest’anno 2014 ricorre il primo centenario dell’incoronazione della Madonna del Mirteto, per l’esattezza, il giorno 21 maggio. Io stesso sono venuto a sapere per caso, sicuramente voluto dalla Provvidenza, che nulla lascia al caso. Un giorno, mi pare del mese scorso (dicembre), mettendo delle cose a posto tra la sacrestia e un mobile che è di fronte ad essa, lo sguardo mi è andato su una foto, già vista altre volte, ma questa volta l’ho osservata con più attenzione  ed ecco che scopro la data dell’incoronazione: 21 maggio 1914! E certamente non ci vuole una grande capacità matematica per capire che si avvina il primo centenario e che, senz’altro, bisogna celebrarlo nel miglior modo possibile.
Nell’ultimo incontro mensile con il direttivo dell’ANSPI, che da anni si prende cura dei locali del Santuario, ho fatto la proposta della celebrazione ed è stata accolta con grande entusiasmo. Le idee ancora sono non chiare, ma la buona volontà c’è e quindi ci auguriamo che tutti insieme possiamo, man mano che si avvicina il mese di maggio, infervorarci per onorare con solennità la nostra cara Madonna del Mirteto.
Desidero approfittare dello spazio che mi concede “Il Sentiero” per condividere con voi ciò che don Pesce ci racconta nel suo libro “Storia del Santuario Madonna del Mirteto 1540-1963” che egli scrisse in occasione dei trent’anni di presenza Orionina: “ … nello stesso mese (di maggio) sacro alla Vergine, ricorrendo la solennità dell’Ascensione di N. S. Gesù Cristo, il Santuario ricevette un altro grande onore con l’incoronazione della taumaturga immagine dell’Addolorata. È antico costume che le immagini del Salvatore e della Vergine, venerate in santuari insigni, siano coronate d’oro per decreto del Rev.mo Capitolo Vaticano, il quale ha il privilegio pontificio di stabilire tale onore dopo aver riconosciuto di quei santuari l’antichità, la venerazione e la fama di grazie miracolose. Tale onore non doveva mancare alla B. Vergine del Mirteto, che per tutti questi titoli ne era degna. E ai figli di S. Paolo della Croce, santo devotissimo della Vergine Addolorata, era riserbato di procurarlo…”.       

Continuerà nei prossimi numeri.

 

                                          


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