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I due bebè
di Simona
Nel ventre di una donna incinta si trovavano due bebè.
Uno di loro chiese all’altro: “Tu credi nella vita dopo il parto?”. “Certo,
qualcosa deve esserci dopo il parto. Forse siamo qui per prepararci per quello
che saremo più tardi”. “Sciocchezze! Non c’è una
vita dopo il parto. Come sarebbe quella vita?”. “Non lo so, ma sicuramente… Ci
sarà più luce che qua. Magari cammineremo con le nostre gambe e ci ciberemo
dalla bocca”. “Ma è assurdo! Camminare è
impossibile. E mangiare dalla bocca? Ridicolo. Il cordone ombelicale è la via
di alimentazione…, ti dico una cosa: la vita dopo il parto è da escludere. Il
cordone ombelicale è troppo corto”. “Invece io credo che debba esserci
qualcosa. E forse sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere qui”. Però nessuno è tornato
dall’aldilà dopo il parto. Il parto è la fine della vita. E, in fin dei conti,
la vita non è che un’angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla”.
“Bé, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente vedremo la
mamma e lei si prederà cura di noi”. Mamma? Tu credi nella
mamma? E dove credi che sia lei ora?”. “Dove? Tutta intorno a noi! E’ in lei e
grazie a lei che viviamo. Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe”. “Eppure io non ci credo! Non
ho mai visto la mamma, per cui è logico che non esista”. “Ok, ma a volte quando
siamo in silenzio, si riesce a sentirla o percepire come accarezza il nostro
mondo. Sai, io penso che ci sia una vita reale che ci aspetta, e che ora
soltanto stiamo preparandoci per essa…”.
Pensiamoci un po’. Buona meditazione!
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LA DEFINITIVA RINUNCIA
di M.G. Perroni Lorenzini
La canzone dell’esilio
Lo
dicono i ricordi
che
balzano sul fondo,
scossi
da un terremoto di notizie.
Lo
svelano i ricordi
che
guizzano bollendo
nella
rete dei sogni ricorrenti.
Lo
gridano i ricordi
che
premono, fantasmi,
intorno
a un qualche volto che somiglia.
Eterna
è la canzone dell’esilio.
Eterno
il pianto della nostalgia.
Fu l’università a darmi molta di
quella libertà cui agognavo. Frequentai a Pisa, città che raggiungevo
giornalmente con il treno, la facoltà di lettere classiche. In quello studio,
grazie anche all’incontro con professori eccezionali, dei veri maestri, trovai
le soddisfazioni che la scuola liceale, restrittiva e soffocante, non mi aveva dato.
Così ora non mi era più di peso il dover restare a casa la domenica. Infatti
era necessario che prendessi un riposo, dopo la stanchezza dovuta ai viaggi in
treno, alle lunghe camminate per arrivare alla stazione ferroviaria giù al
piano e tornarne, o alle corse tra una lezione e l’altra per raggiungere i
diversi istituti, la Sapienza o le biblioteche. E la domenica era anche l’unico
giorno che potevo dedicare interamente, o quasi, a quegli studi che
soddisfacevano i miei interessi e le mie curiosità […]. Ben presto l’università mi portò
anche l’amore. Lui, Carlo, d’un paese vicino al mio, Nicola di Ortonovo,
frequentava la mia stessa facoltà, un anno di corso più avanti. Subito dopo il
“colpo di fulmine” ci fidanzammo ufficialmente (allora usava così). E la
domenica lui veniva a trovarmi su una vecchia fragorosa Gilera. Ma già fin
dall’inizio non furono rose e fiori. In casa non godevamo di nessuna libertà. E
uscire da soli ci era proibito. E i pomeriggi domenicali e, soprattutto, i
lunghi pomeriggi estivi tornarono ad essere per me quasi un tormento. Un poco
di distrazione la trovavamo studiando insieme per gli esami comuni. Ma poiché
frequentavamo anni di corso diversi, non erano molti gli esami da preparare in
collaborazione. E poi lui non veniva solo per studiare. E cominciò ben presto a
non sopportare più quella assurda sorveglianza (ed era veramente assurda, dato
che a Pisa avevamo tutta la libertà che volevamo; mentre ad Arcola eravamo
praticamente sorvegliati a vista). Così finiva che, quando mi si concedeva con
un sorriso malizioso di accompagnare il mio fidanzato fino in fondo alle scale
di casa, per salutarlo, noi due si litigava subito, sia pure a bassa voce,
perché io gli chiedevo che continuasse in una prudenza e in una sopportazione
che non intendeva più avere. Finì che ci lasciammo, anche se per pochi giorni.
Ma proprio quell’interruzione urtò i sentimenti di mia madre (per lei il
fidanzamento era sacro come il matrimonio e in qualunque rottura ci perdeva la
donna); così si mostrò sfavorevole alla ripresa della nostra relazione. Quando
poi egli disse troppo chiaramente che non intendeva convivere con i suoceri ma
che voleva metter su casa per conto proprio, la rottura fu inevitabile. Tale situazione durò circa un anno e
mezzo. Poi, come Dio volle, ci fu per entrambi la laurea. E con la laurea
subito il primo incarico nella cittadina toscana di Montepulciano. Cosa che ci
permise di sposarci subito. E mia madre? All’annuncio che ci saremmo sposati
con o senza il consenso della famiglia, si rimboccò le maniche e si mise a
preparare il matrimonio; e sembrò aver messo da parte ogni motivo di contrasto.
Purtroppo nel suo cuore non tutto era risolto, come molti anni dopo dovetti
accorgermi; e dovetti anche constatare che più che a mio marito serbava rancore
a me per quella che a suo giudizio era stata una vera e propria ribellione, mai
da lei giustificata. Adesso, ma forse in gran parte già allora, perché sempre
continuai a volerle bene, ho compreso che non avrebbe potuto fare diversamente.
Comunque sia, il rapporto con lei al momento del matrimonio e per parecchi anni
di seguito, sembrò essere tornato in gran parte sereno. Ma quest’ultima esperienza che avevo
vissuto nella mia famiglia, proprio quando, pur con dolore e delusione, mi ero
abituata alle incomprensioni che la dividevano, e nel mio paese, quando ormai
le passioni politiche erano in superamento, e proprio quando io, giovane
universitaria, mi stavo preparando a un futuro che intravedevo luminoso;
quell’esperienza, dico, era stata veramente troppo ardua e scioccante per me.
Per cui decisi di rimanermene lontano almeno per un po’. Infatti nel mio primo
esilio ancora provvisorio a Montepulciano, non potevo pensare al mio paese,
senza vederlo nuovamente coperto da una grande ombra nera, simile a quella che
mi figuravo di vedervi nell’infanzia. Ed è vero anche che la mia decisione di
abbandonarlo definitivamente non la presi se non dopo molti anni. Tanto che fu
solo quando nostra figlia aveva ormai sei anni che ci decidemmo a comprare casa
nella città in cui eravamo emigrati. Le mie ferite non erano affatto guarite. E
la mia nuova città, che mi aveva attratto con il suo fascino fin dalla prima
volta che l’avevo vista, mi offriva l’opportunità di formare in essa in piena
libertà una famiglia serena, e anche il tempo per esorcizzare una buona volta
tutti i negativi fantasmi del passato. Naturalmente, nonostante tutto, ogni
tanto soffrivo di nostalgia. Ma, per soddisfarla, mi bastava tornare al mio
paese e alla mia famiglia d’origine, nelle vacanze e nelle maggiori festività. Poi, nell’ottantuno, ci fu la morte
di mio padre e di mio zio e, con il trasferimento di mia madre, rimasta sola e
quasi cieca, qui da noi a Montepulciano, le occasioni di tornare ad Arcola si
rarefecero. Così la nostalgia, inappagata, si fece via via più profonda, anche
per il risorgere di un non mai sopito senso di colpa per il mio ormai
deliberato abbandono. E la poesia che abbiamo letto all’inizio esprime
pienamente questo mio stato d’animo.
(da La casa sepolta, ed.
Albatros) |
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LA RETTA COSCIENZA
di Vincenzo Di Martino
In
relazione al tempo in cui si vive, ogni Pontificato ha una storia e una
valenza. In un periodo di crisi generale profonda, come quella attuale, crisi
principalmente di valori prima ancora che economica e sociale, Papa Francesco
sta incentrando il suo magistero verso idee e concetti come la fratellanza, la
giustizia, l’unità intesa come contrapposizione al dominio dei potenti cui non
si è sottratta la stessa Chiesa. Lo stesso nome da lui scelto, mai prima da
nessun Papa, è un programma e la favorevole, generale accoglienza, al di là di
chi è cattolico praticante, è forte sintomo di un grande Pontificato dal quale
tanto ci si aspetta. Nella scia di questo orientamento s’inquadra il dialogo
instaurato dal Pontefice con il fondatore del giornale ‘La Repubblica’, Eugenio
Scalfari, che si protesta apertamente ateo. Il dialogo tra credenti e non
credenti non è una novità, ma è una novità il diretto scambio epistolare di un
Papa con un autorevole esponente del giornalismo italiano che ritiene di non
dover credere e afferma di non aver fede in forza della ragione. Il tema ha
un’importanza enorme, perché pone con forza il rapporto tra fede e ragione e il
problema della salvezza del non credente, il problema della Verità. Per chi non
crede non esiste una verità assoluta, ma esistono tante verità quanti sono gli
individui i quali, conseguentemente, respingono un credo, la fede in Dio. Ma se
la fede, come afferma Papa Bergoglio, coincide con la carità e l’amore per il
prossimo, sorge la coincidenza sul piano umano tra condotta di vita del
credente e del non credente. Il
concetto di fratellanza e amore al prossimo non è esclusivo del cristiano e chi
si ispira a quei concetti, anche se non credente, segue una retta coscienza che
non può non essere riconosciuta come idonea alla salvezza. E’ questa la
ineccepibile risposta alla domanda del non credente Eugenio Scalfari, ma
affascinato dalla persona di Gesù, uomo che pur qualificandosi ateo, appare sicuramente
alla ricerca della Verità. Ed è proprio questo che conta e deve contare. Nasce
da ciò la necessità di un dialogo, come afferma Bergoglio, tra la Chiesa e la
cultura d’ispirazione cristiana da un lato e la cultura moderna d’impronta
illuministica dall’altro, a lungo separate da una incomunicabilità; necessità
di dialogo, del resto, già affermata nel Concilio Vaticano II. Certo,
scrive Papa Bergoglio, la nostra fede nasce dall’incontro con Gesù che, nella
sua vita, ha predicato come uno che ha autorità, ha guarito, ha chiamato i suoi
discepoli a seguirlo, cose tutte che nell’Antico Testamento sono di Dio. Ed
ancora, la fede cristiana crede questo: che Gesù è il figlio di Dio venuto a
dare la sua vita per aprire a tutti la via dell’amore. Noi, perciò, siamo
chiamati ad una scelta d’amore verso i nostri fratelli ed anche verso i nemici,
a pensare ed agire come Gesù, perché siamo tutti figli dell’unico Padre. Ma chi
non condivide la fede in Gesù deve comunque sapere, ma se anche lo ignorasse
poco conta, che la misericordia di Dio non ha limiti ed è decisivo che chi non
crede in Dio obbedisca alla propria coscienza, scegliendo tra ciò che viene
percepito come bene o male, in tutta umiltà ed amore; cosa che non significa
affatto essere relativisti. In questo modo credenti e non credenti possono
camminare insieme nella ricerca della pace e dell’amore, nella tensione di
sconfiggere i più gravi mali presenti come la disoccupazione giovanile, la
solitudine dei vecchi, la povertà. E’
un cammino verso il Bene che, lo afferma Papa Bergoglio, prescinde dal
proselitismo definito una solenne sciocchezza, essendo importante, invece, la
reciproca conoscenza e l’ascolto dell’altro, nell’intento di seguire il Bene e
combattere il Male al fine di individuare e soddisfare i bisogni materiali e
immateriali delle persone; il che significa amore per il prossimo, ma anche
amare Dio secondo quanto ha predicato Gesù che ci ha chiamati tutti fratelli e
figli di Dio. Tutto ciò perché, come affermava il cardinale Martini “la vera differenza non è tra chi crede e chi
non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa”. Ciò significa che ad unire
gli uomini è il modo di porsi di fronte alla vita riflettendo chi siamo, dove
andiamo, da dove veniamo senza pregiudizio alcuno. Questa
riflessione sicuramente non condurrà all’unità tra credenti e non credenti, ma
servirà ad accumunare tutti nella ricerca della Verità. Ben venga e si
incrementi, dunque, il dialogo, perché è comunque un bene camminare insieme.
(da ‘Communio’, bollettino della Parrocchia
S.Pietro Ap. - La Spezia)
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Il primato della coscienza e il bene comune
di Romano Parodi
Purtroppo, come succede sempre più
spesso, le parole di papa Francesco sul primato della coscienza, hanno suscitato
polemiche non solo tra eminenti teologi, ma anche fra i fedeli tradizionalisti
più ortodossi. Esiste il bene comune universale? Come si riconosce? Bergoglio
dice che si riconosce mediante la luce
della propria coscienza e la coscienza ce l’hanno tutti, anche gli atei. Il
primato della coscienza è un concetto peculiare del cattolicesimo, in linea con
quanto affermato dal Papa che ha detto: “Esiste un bene comune a tutti gli
uomini, universale, oggettivo, che non dipende dalle circostanze o dai
sentimenti o dalle emozioni, ma che si sostanzia nella natura delle cose. Tale
bene consiste in ciò che favorisce la vita e come tale ogni uomo può
riconoscerlo mediante la luce della propria coscienza”. Sono parole
potentissime che indicano che per la vita morale non servirebbero leggi,
codici, autorità, e gli uomini credenti o no, con la loro coscienza sulla base
del bene comune, sono in grado di decifrarlo. Naturalmente c’è anche chi per
convenienze personali “non ha nessuna coscienza”. Racconta una novella di
Pirandello (?) che un barone siciliano, per obbligare un povero contadino a
vendergli il campo gli impedisce il passo nei suoi terreni confinanti. Il contadino
va dal sindaco, che, però, amico del boss, gli consiglia di comprarsi una
mongolfiera, “perché non puoi passare in casa degli altri”; e invano il
pover’uomo gli dice: “Vossignoria, si metta una mano sulla coscienza”. Quindi
per agire con verità e giustizia basterebbe essere onesti con se stessi e con
la propria coscienza. Naturalmente non è facile ed è per questo che sono
necessarie le leggi. “Perché non giudicate da voi stessi
ciò che è giusto?” dice Gesù. “La coscienza di un uomo talvolta può avvertire
meglio di sette sentinelle collocate in alto”, dice la Bibbia. Anche il
Vaticano II° dice che “la coscienza è il luogo dove Dio dialoga con gli uomini
per risolvere secondo verità tanti problemi morali”. “Al di sopra del Papa, -
dice Ratzinger- sta ancora la coscienza individuale alla quale, prima di tutto,
bisogna ubbidire”. Concetto ben chiaro a don Emilio che ha sentito il bisogno
di avvisare don Gallo del suo comportamento, contro il volere del card.
Siri…(vedi articolo del mese scorso). Questo è il nucleo della genuina
tradizione cattolica. Possono perciò stare tranquilli tutti. Papa Francesco è
perfettamente in regola coi concetti del cristianesimo anche se il primato
della coscienza coinvolge atei e agnostici. Impensabile credere che “fuori
dalla chiesa cattolica non c’è salvezza” e che i 700 miliardi di persone che ci
hanno preceduto siano condannati alla dannazione eterna, “perché Dio è di
tutti, cattolici o no - dice Francesco- anzi aggiunge: “Dio non è cattolico, ma universale”. Vent’anni di corruzione e mal governo hanno
fatto dell’Italia un paese di macerie, ma, soprattutto, hanno demolito le
nostre speranze. Io credo che la rovina del paese è una sola: la corruzione. C’è
ancora qualcuno che si comporta legalmente? Nel proprio piccolo quasi tutti
cercano di arrangiarsi, anche illegalmente. Non c’è dubbio però che il pesce
puzza sempre dalla testa. E la nostra classe dirigente e politica è la testa
del pesce che, marcio, ha intaccato tutto il vivere civile del Paese. “Dacci
una classe dirigente onesta e capace”, è la mia letterina a Gesù Bambino, così
ben ripresa dall’amico Antonio Ratti. Con questo livello di corruzione sarà
dura abolire il debito! Oggi queste
teste di pesce marcio hanno bisogno di soldi per salvare il Paese. Dove
prenderli? Non certo dai loro portafogli. Non certo da pensioni e stipendi d’oro.
Non certo da una patrimoniale sulle rendite. E allora? “Faccia pagare i ricchi e gli agiati come me”,
dice Scalfari. Niente da fare! I diritti acquisiti, i meriti, lo status quo
vanno salvaguardati, lo dicono anche i giudici che hanno salvato una pensione
da 80 mila euro al mese. La storia dell’umanità è lastricata di buone
intenzioni ed il solito politico illuminato ha trovato la soluzione: “Vendiamo
le spiagge ai privati, i miliardari ci sono”. Quindi non più concessioni: se
vuoi andare al mare dovrai chiedere il permesso al padrone di casa. Poco tempo
orsono volevano privatizzare l’acqua. C’è stato bisogno di un referendum per bloccare
tutto. E’ di questi giorni la notizia che il
consiglio di Stato ordina di mandare le ruspe a Marinella e demolire alcuni
manufatti dei privati. Dopo 23 anni di cause infatti i privati anno perso e
tutto dovrebbe tornare di libero accesso. Il bene comune è un tema che ha fatto
scorrere fiumi di inchiostro. Nel 1887 il principe Borghese, voleva recintare e
chiudere i cancelli della sua villa per impedire ai cittadini, quel continuo
passeggio nei suoi giardini. Il Comune di Roma lo portò in tribunale e la
Cassazione riconobbe ai cittadini il diritto di continuare a passeggiare nei
giardini del principe. Questo dimostra che anche le maestà sulle facciate delle
case non sono del proprietario della casa, ma del popolo che le ha viste sempre
lì. Nessuno può spostarle. Un altro esempio clamoroso, proprio di questi giorni
è l’isola di Budelli, nell’arcipelago sardo della Maddalena, un’isola che,
unica al mondo, ha l’arenile color rosa perla. Un banchiere neozelandese l’ha
comprata all’asta per tre milioni di euro, ora i verdi vogliono obbligare lo
stato a ricomprarla. Un’isola unica al mondo non può essere impedita al
pubblico. Per quanto riguarda le
spiagge, non solo non si devono vendere, ma si dovrebbe eliminare anche
l’esclusione dei molti tratti vietati ai cittadini. Non si può tassare, né
l’acqua, né l’aria, né la dimora e neanche il mare, perche uno deve poter
respirare, bere, avere un tetto e andare al mare, anche se non ha soldi.
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COMUNE DI LUNI
di Tarcisio Andreani
Il
Comune di Luni dovrebbe nascere dalla fusione dei Comuni di Ortonovo e di
Castelnuovo Magra. Erroneamente qualcuno ha scritto nella cronaca locale di
Sarzana che questo progetto nasce in un tempo breve senza quindi la dovuta
maturazione. Voglio precisare a questa persona che del Comune di Luni ne
parliamo già dalla fine degli anni '80. Ricordo inoltre il convegno di studio
“Castelnuovo e Ortonovo, un grande Comune”, organizzato nel 1994 dalle due
amministrazioni (allora ero sindaco di Ortonovo), i cui Atti erano stati pubblicati in una
edizione speciale di oltre 50 pagine del bollettino interparrocchiale “Il
Sentiero” (chi volesse rileggerli li trova sul sito del Comune di Castelnuovo). Faccio
notare che nella organizzazione della Diocesi di Spezia, già Diocesi di Luni, a
livello locale esiste il Vicariato di Luni, comprensivo delle parrocchie dei
due Comuni, sicuramente l'istituzione più antica con questo nome ricalcante i
confini dei due territori. Mi piace qui citare anche Plinio il Vecchio che
nella sua enciclopedia, quando parla dei nostri territori, dice: “Tra i vini
dell'Etruria la palma va a quello di Luni”; “Dalla frontiera tra Liguria ed
Etruria il formaggio di Luni, notevole per la sua grossezza, dal momento che
ciascuna forma arriva a pesare mille libbre”;”La prima città dell'Etruria è
Luni, con il suo grande porto”. La stazione
ferroviaria ubicata ai confini dei due Comuni si chiama Stazione di Luni. Dai
primi anni '90 si è lavorato per il distretto socio-sanitario inaugurato
qualche anno fa a metà tra Ortonovo e Castelnuovo e non a caso nella
riorganizzazione dei distretti della ASL 5 alcuni sono stati soppressi ma il
nostro no, anzi tutti gli operatori sanitari e tutta la popolazione facente
capo al distretto ne richiede il potenziamento con un aumento delle prestazioni
offerte e quindi con minor trasferimento delle nostre popolazioni a Sarzana,
Spezia o Carrara per effettuare prestazioni sanitarie. Ricordo che i due
Consigli Comunali hanno già deliberato l’unione dei due Comuni, ma la legge
richiede anche un referendum “consultivo” che è stato indetto per il 9 febbraio
2014, nel quale la popolazione deve indicare la preferenza per il SI o per il
NO. Infatti le due Amministrazioni stanno già accorpando i rispettivi uffici
comunali: al momento attuale sono già operanti ufficio Segreteria e l'ufficio
Ragioneria, presto sarà fatto per la Polizia Municipale e gli Uffici Tecnici. Quindi
si può ben vedere che è già in essere un progetto di accorpamento delle due
Amministrazioni e mi riesce difficile pensare che si uniscano le membra e le
teste rimangano due. E’ importante dal punto di vista turistico ed
agricolo-alimentare fregiarsi del nome di Luni, conosciuto in tutto il mondo,
per rilanciare il nostro territorio dal punto di vista turistico-culturale. Dico
sinceramente che ho provato, in un mio personale discorso dialettico, a mettere
a confronto i pro e i contro di questa fusione, ma debbo dire onestamente che,
mentre ho trovato ragioni per un SI forte e convinto, non ho trovato
argomentazioni per un NO. Ho letto i volantini che girano nei nostri Comuni sia
di un Comitato che dell'altro e mi sono ancora di più rinforzato nella mia
decisione di votare SI. Purtroppo ho sentito sia da una parte che dall'altra
portare argomentazioni legate all'ambizione di qualche attore interessato e mi
sono chiesto: un cambiamento epocale che avrà ripercussione per chissà quanti
anni o secoli a venire, può essere determinato da meschini giochi personali,
purtroppo tipici della nostra misera politica (con la p minuscola)?. E'
possibile che la scelta per il SI o per il NO sia legata ad ambizioni personali
da una e dall'altra parte? Ricordo a queste persone che “…l'uomo è come l'erba
e i fiori del campo…”: durano una “stagione”. Le nostre Idee i nostri Progetti
possono scrivere la Storia. I nostri nipoti ci valuteranno e ci “peseranno” per
le Idee, i Progetti e le Scelte che abbiamo fatto. Vorrei poter dire ai mie nipoti: io quel 9 febbraio
2014 c'ero ed ho contribuito con il mio SI a scrivere un pezzo di storia.
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Tra un paragone e l’altro
di Marta
Il basco sulle ventitré, stivaletti a mezza gamba, calze spesse scure ed un
abitino a quadretti con il bavero rialzato. Occhi neri, capelli lunghi e lisci;
alta e slanciata. Rebecca è veramente una bella ragazza, ma l’ulteriore
bellezza che la distingue è la sicurezza di vivere questo nostro tempo. Rebby
frequenta il liceo linguistico ed ecco perciò la sua padronanza delle lingue.
Facendo un paragone col tempo dei miei diciassette anni (più di cinquanta anni
fa) c’è veramente un abisso. Ai miei
tempi si usciva da un grande analfabetismo; le mie coetanee parlavano quasi
tutte solo il dialetto; io fortunatamente no, perché frequentavo un asilo,
vicino casa, gestito dalle suore. Le mie amiche quando parlando volevano
mettere qualche frase in italiano era un vero strazio. Oggi la Rebby, anche se giovane, saprebbe viaggiare sola
per il mondo; sono certa che potendolo fare, se la caverebbe benissimo. Le
conoscenze tecnologiche (computer e altri aggeggi) fanno sì che il mondo sia
lì, dietro l’angolo. E pensare che io mi sono persa a Sarzana! Poi penso:
quando cerco di insegnarle qualcosa sull’attualità, mi accorgo che poi sono io
che imparo da lei; quando il dialogo è terminato capisco che sono più le
nozioni che ho appreso di quelle che volevo dare, come ad esempio ad usare il
telefono cellulare (leggere i messaggi, ascoltare la segreteria, fare le
foto…). Però mi viene da pensare: non so ancora usare il computer e tutto ciò
che ne deriva, ma “non è mai troppo tardi”. Solo che sono già da pensione e
sono quindi da rottamare. Ma per i politici non c’è questo limite? L’anziano, oggi,
è tagliato fuori; il mondo va tutto di corsa e noi anziani fatichiamo a stare
al passo. Ci portiamo dietro tutti i nostri acciacchi: artrosi, prostatiti,
diabete…, e ci viene l’affanno per una piccola fatica in più. E allora, cari
politici, c’è anche tra voi tanto bisogno di giovani, perché non lasciate a
loro il vostro lavoro? Certo, io a mia nipote Rebecca posso insegnarle a
impastare le lasagne, ma, in teoria, lei le sa già fare. E’ molto bello vedere nei giovani l’attaccamento allo
studio, la salute fisica e psichica e tanta voglia di fare: così il mondo deve
girare per evolversi!
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Diario
di Walter
31 dicembre 2013
Alle
ore 17, nella chiesa di San Lorenzo, c’è la Santa Messa solenne di
ringraziamento. Abbiamo cantato la messa “De Angelis” e, al termine, il “Te
Deum”. Purtroppo non abbiamo un organista nella nostra parrocchia, quando può
viene Renato, il maestro della corale, per cui cantiamo senza accompagnamento
musicale. E pensare che un tempo il nostro paese era pieno di musicanti che
facevano parte della Banda Musicale di oltre 50 elementi; non c’era famiglia
che non avesse qualcuno che suonasse uno strumento. Tutto questo per merito del
famoso maestro don Ferdinando Maberini e del fratello Archimede.
Sabato 4 gennaio 2014
Stamani,
1° sabato del mese, il pellegrinaggio diocesano è a La Spezia: si parte dalla
chiesa di S. Maria Assunta e si va al Santuario della Scorza (Madonna della
Salute) in piazza Brin. Una pioggia battente ci accompagna per tutto il
percorso cittadino. La poca gente che è per le strade ci guarda e sembra che
dica: che coraggio! Ma, quando ci ritroviamo sul pullman per il rientro, siamo
tutti gioiosi, nonostante il maltempo.
Lunedì 6 gennaio 2014
Oggi
si celebra la festa dell’Epifania. Santa Messa solenne - alle ore 11 - con la
presenza della corale “Cantus Firmus”. Al termine arrivano i Re Magi che
portano i doni al Bambino Gesù e poi a tutti i bambini presenti. Ieri sera
(vedi in altra pagina) i Magi sono arrivati anche nella chiesa del
Preziosissimo Sangue di Luni al termine di una bella serata di festa.
Giovedì 9 gennaio 2014
Stasera
per l’adorazione interparrocchiale siamo nella chiesa di Isola. La piccola
chiesa è molto accogliente, luminosa e calda; c’è la corale che allieta con
sempre nuovi canti i tanti fedeli arrivati da tutte le parrocchie. C’era stato
un periodo, diversi anni fa, che questi incontri di preghiera erano un po’ in
calo, ora invece sono diventati un appuntamento fisso per tutte le nostre
comunità parrocchiali.
Mercoledì 15 gennaio 2014
Stamattina
un gruppo di operai hanno abbattuto la sequoia che trent’anni fa era stata
posata nell’antico lavatoio di via Cavanella, a Ortonovo centro storico. Questa
pianta era arrivata dalla città basca di Mondragon (in basco Arrasade) in
seguito a diversi scambi culturali e gastronomici tra quella città e il nostro
paesino, a cura della Pro Loco e delle due Amministrazioni Comunali. Quella
pianticella in questi anni è cresciuta di una ventina di metri e ora dava
qualche segno di instabilità per cui è stata abbattuta. A ricordo di quegli
eventi è rimasta solo una targa in pietra con la scritta ‘Paseo Arrasade’.
Domenica 19 gennaio
Oggi
la Santa Messa delle ore 11 si celebra al Santuario del Mirteto e questo perché
la chiesa parrocchiale è dichiarata inagibile dalle autorità competenti. Sabato
11 erano arrivati i Vigili del fuoco per un sopraluogo, poiché sul tetto ci
sono alcuni avvallamenti, e avevano transennato tutta la navata centrale,
poi è stato deciso di chiuderla. Per cui
d’ora in avanti la Messa festiva verrà celebrata al Santuario (ore 11 e ore
16,30), mentre i giorni feriali nella ex barberia del paese. Chissà quando
rientreremo nella nostra chiesa! Perché si sa: se fosse un casa privata il
proprietario salirebbe sul tetto a controllare e se ci fosse da cambiare qualche
travicello, sostituire qualche tegola, lo farebbe e tutto sarebbe a posto; ma
quando si tratta di opere pubbliche tutto diventa molto più complicato.
Speriamo bene!
Venerdì 24 gennaio 2014
Oggi
è giunta una brutta notizia: è morto il caro don Lucio Felici, sacerdote
orionino. Era uno dei numerosi giovani che negli anni 40/50 erano partiti dal
paese per seguire l’opera del Santo della Carità, San Luigi Orione. Era anche
un assiduo lettore del nostro bollettino, poiché tramite “Il Sentiero” si
teneva informato su quello che succedeva al suo paese.
Oggi,
domenica 26 gennaio al Santuario del Mirteto – alle ore 16,30 – la Santa Messa viene
celebrata in suffragio dell’anima di don Lucio; la celebra don Alberto (Pino
Parodi) venuto da Genova appositamente poiché non ha potuto partecipare al funerale dell’amico, a Fano. E’ molto
commosso, ma riesce a ricordare l’amico in modo esemplare. All’omelia,
prendendo spunto dal Vangelo di oggi, dove si racconta che Gesù a Cafarnao
incontra prima i fratelli, Pietro e Andrea, e li invita a seguirlo, poi altri
due fratelli, Giacomo e Giovanni, invita anche loro e questi lasciano tutto e
seguono Gesù, don Pino dice: “Anche qui a Ortonovo, circa 50 anni fa, è venuto
il Signore a chiamarci: io, don Lucio, don Andrea Cupini e don Bruno Parodi
(Rino) e noi Lo abbiamo seguito con gioia e fedeltà; ora il Signore inizia a richiamarci
per un’altra meta, il Paradiso, e dobbiamo ancora seguirlo con la stessa gioia
e fedeltà. Ci eravamo promessi di ritrovarci quest’anno per il suo 50° di
ordinazione sacerdotale, ma non è stato possibile: lo festeggerà assieme a
tanti altri fratelli, lassù in Cielo”. Grazie, Don Pino.
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Il valore vero della Sacra Famiglia deve ritornare nelle nostre famiglie
di Un’assidua lettrice
Stavo riordinando la casa dopo aver messo in cantina la
scatola del Natale: alzo gli occhi e vedo sopra la vetrina della sala la “Sacra
Famiglia”. Mi precipito a prendere la scala per poi riporla con le altre cose
natalizie, ma, nel momento in cui sto riprendendo le statue, decido che la
“Sacra Famiglia” la lascio lì dov’è. È troppo bello, penso, averla nella nostra
sala quando, alla fine della giornata, siamo qui tutti riuniti e com’è bello
iniziare la giornata con l’immagine della Sacra Famiglia posta sopra il camino,
in cucina!
Ritengo che sia molto bello avere quell’immagine sempre in vista nelle nostre
case, perché guardandola vediamo tutto quell’amore e quella tenerezza che è in
loro e quindi ciascuno di noi dobbiamo impegnarci a porli (o riporli) nella
nostra famiglia per essere in pace noi stessi e tra di noi, e ridando così una
bella ‘spolverata’ al meraviglioso giorno in cui abbiamo consacrato il nostro
matrimonio davanti a Dio, avendo la consapevolezza che attraverso questo
impegno di amore reciproco possiamo camminare veramente con il Signore a
fianco. Questo amore, poi, dobbiamo trasferirlo con il nostro esempio ai figli,
i quali imparano ad amare proprio nella famiglia: è lì che sentono di essere
amati e vedono il nostro amore reciproco e questo amore che ci doniamo nella
famiglia lo dobbiamo ri-donare ad ogni persona che il Signore ci mette sulla
nostra strada (nel lavoro, nella Chiesa, nella Associazioni…).
Camminiamo quindi tutti uniti e radichiamo nel nostro cuore che siamo tutti
figli dell’unico Padre e di un’unica Madre: tutti fratelli che abbiamo bisogno
uno dell’altro. Da soli e senza Dio non andremo da nessuna parte, ma
soprattutto non raggiungeremo la vera pace che solo Lui ci può donare.
Buon cammino di conversione a tutti noi col Vangelo in mano. Ringraziamo sempre
il buon Dio perché, nonostante i nostri ripetuti sbagli, è sempre paziente e
misericordioso e aspetta che Gli apriamo quella ‘Benedetta Porta’, facendoGli
veramente spazio quotidiano nel nostro cuore.
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La Madonna della Scorza a piazza Brin
di Paola G. Vitale
Ci siamo ritrovati con la
consueta gioia per il primo pellegrinaggio orante dell’anno, destinazione N.S.
della Salute, a La Spezia. Pioveva, e attraversando il centro pulsante della
città mi sono ricordata dell’articolo scritto da Mila Catalani, l’anno
precedente - poiché era la stessa situazione -.
Partendo dall’antica cattedrale di S. Maria Assunta siamo passati a fianco di
S. Maria della Neve, ho visto l’ingresso di due Musei, grandi scuole maschili e
femminili e tanti negozi; e sempre qualche passante si è unito alla processione
fino all’ingresso della bella chiesa di N.S. della Salute. Pregare con
devozione e fiducia, pregare insieme accostandosi alla Penitenza e alla
Comunione eucaristica, non è cosa da poco, di questi tempi, soprattutto guidati
dal nostro vescovo Luigi Ernesto e sperando sempre nella grazia di Dio.
Ringrazio la buona volontà dei pochi che ci radunano nel pullman da Ortonovo,
Luni Mare, Fiumaretta, fino a destinazione. La gioia che loro ci danno somiglia
alla gioia dell’annunzio natalizio. E’ una gioia semplice che accogliamo sempre
con riconoscenza, sperando anche che sia un seme che porterà frutto in ciascuno
di noi. Le omelie del Vescovo completano il tutto e la presenza dei numerosi
sacerdoti scalda sempre il cuore.
Auguri ancora a tutti per questo anno che si annunzia più che mai impegnativo.
Alla prossima!
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DAL SANTUARIO
di p. Mario M. Villafuerte, fmm
Forse
non tutti sanno che in quest’anno 2014 ricorre il primo centenario
dell’incoronazione della Madonna del Mirteto, per l’esattezza, il giorno 21
maggio. Io stesso sono venuto a sapere per caso, sicuramente voluto dalla
Provvidenza, che nulla lascia al caso. Un giorno, mi pare del mese scorso
(dicembre), mettendo delle cose a posto tra la sacrestia e un mobile che è di
fronte ad essa, lo sguardo mi è andato su una foto, già vista altre volte, ma
questa volta l’ho osservata con più attenzione ed ecco che scopro la data dell’incoronazione:
21 maggio 1914! E certamente non ci vuole una grande capacità matematica per
capire che si avvina il primo centenario e che, senz’altro, bisogna celebrarlo
nel miglior modo possibile. Nell’ultimo
incontro mensile con il direttivo dell’ANSPI, che da anni si prende cura dei
locali del Santuario, ho fatto la proposta della celebrazione ed è stata
accolta con grande entusiasmo. Le idee ancora sono non chiare, ma la buona
volontà c’è e quindi ci auguriamo che tutti insieme possiamo, man mano che si
avvicina il mese di maggio, infervorarci per onorare con solennità la nostra
cara Madonna del Mirteto. Desidero
approfittare dello spazio che mi concede “Il Sentiero” per condividere con voi
ciò che don Pesce ci racconta nel suo libro “Storia del Santuario Madonna del
Mirteto 1540-1963” che egli scrisse in occasione dei trent’anni di presenza
Orionina: “ … nello stesso mese (di
maggio) sacro alla Vergine, ricorrendo la solennità dell’Ascensione di N. S.
Gesù Cristo, il Santuario ricevette un altro grande onore con l’incoronazione
della taumaturga immagine dell’Addolorata. È antico costume che le immagini del
Salvatore e della Vergine, venerate in santuari insigni, siano coronate d’oro
per decreto del Rev.mo Capitolo Vaticano, il quale ha il privilegio pontificio
di stabilire tale onore dopo aver riconosciuto di quei santuari l’antichità, la
venerazione e la fama di grazie miracolose. Tale onore non doveva mancare alla
B. Vergine del Mirteto, che per tutti questi titoli ne era degna. E ai figli di
S. Paolo della Croce, santo devotissimo della Vergine Addolorata, era riserbato
di procurarlo…”.
Continuerà
nei prossimi numeri.
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