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Per Paolo Cavirani
di Paola G. Vitale
Caro Paolo, oggi la Santa Messa della domenica era
dedicata a te e l’abbiamo celebrata all’interno dell’”archetto”, alla presenza
di tanti fedeli: di tuo fratello Agostino, del seminarista Andrea assieme a don
Roberto. Alla prima lettura, riguardante Abramo, largamente accogliente nel
santo Timor di Dio, ho pensato a te, alla canzoncina di una strofa ripetuta tre
volte (l’Amore del Signore è meraviglioso…) che cantavi lietamente come saluto
a ciascuno di noi.
Ho chiesto al Signore di permetterti di aiutarci tutti
dal Cielo in cui ti pensiamo; ho guardato con amore la severa Rosella e ho
ringraziato Dio per tutto quello che ci ha donato in te.
Speriamo di rincontrarci nella gioia!
Luni Mare, 21 luglio 2013
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AL SOMMO PONTEFICE, FRANCESCO
di Maria Angela Albertazzi
Tu sei la luce che tutti
attendevamo e fai sciogliere il cuore anche ad un profano. Le tue omelie,
chiare e forti, non fanno distinzioni e sempre creano in noi forti emozioni.
Sei sempre pronto a rispondere agli accorati appelli: sei proprio il più grande
di noi tutti fratelli. Le tue preghiere e le tue battute ci fanno un gran bene
e alleviano il nostro cuore da tante pene. Ti stimano e ti vogliono bene in
tutto il mondo e tu vivi i nostri disagi nel tuo cuore profondo. La tua parola
ha un’eco enorme che valica montagne, entra negli anfratti delle anime e si
sparge in tutto il mondo. Le tue parole di giustizia, amore e carità, tanto ti
fanno amare e anche qualche miscredente cambierà. Hai voluto per te e per il
resto del mondo novità d’umiltà e coraggio fuori e dentro il Vaticano e noi con
preghiere te ne rendiamo omaggio. Caro Papa Francesco, il mondo è la cosa più
bella che Dio ci ha regalato, ma quanti uomini egoisti, con liti e guerre, lo
hanno rovinato. Quando ti vedo passare tra la folla, abbracciare bambini e
disabili indifesi, mi sembra d’esser lì e abbracciare con te le genti di tutti
i Paesi. Sei la nostra guida sicura e deciso tu rimani, speriamo di cuore in un
migliore domani.
Scusami per la mia
confidenza ma mi viene dal cuore; prego per te il nostro Signore ringraziandolo
di averci donato un così grande e coraggioso Pastore.
Un
forte abbraccio.
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Lo specchio dei ricordi
di M. Giovanna Perroni Lorenzini
Lieta,
la folla dei ricordi,
con
antica malia,
mi
dismaga nei sogni…
Cupa,
la folla dei ricordi,
in coro
al mio dolore,
aggrava
ansie vive…
Ma, pur
se fan soffrire, io non rinnego
questi
compagni di un tempo passato:
gregge
da pasturare in solitudine;
specchio
infinito delle mie facce,
ma che
rivela, a te stessa, chi sei.
Che le minacce fatte
da quell’arcolano durante il mio saluto alla Madonna Pellegrina dovessero
essere prese con serietà (anche se, poi, in verità, fortunatamente, nulla di
concreto ne venne fuori), lo dimostra un drammatico episodio avvenuto qualche
tempo prima a mio padre. Io lo conobbi, credo, fin da subito. Come ho detto,
non mi si taceva niente o quasi. E poi lo sentii ripetere più volte; e
naturalmente anche e soprattutto in occasione delle parole pronunziate a mio
riguardo durante quella manifestazione religiosa. Cosicché a lungo esso gettò
la sua ombra sulla serenità della mia vita.
Mio padre, come ho già detto,
rientrato da Pola al termine della guerra, si trattenne in Arcola solo pochi
giorni. Infatti ripartì quasi subito per Genova, credo, perché l’arsenale di La
Spezia non era in grado di riassumere immediatamente. A Genova c’erano, in quel
momento, dei parenti con i quali andò ad abitare e che gli avevano trovato un
lavoro temporaneo. Erano i giorni terribili del dopoguerra, quando non c’era un
governo vero e proprio, e quando in pratica la legge non esisteva… era il tempo
della guerra civile, della caccia ai fascisti, per eliminarli nel maggior
numero possibile. Erano i giorni della vendetta senza legalità.
Mio padre, una sera, a Genova, stava
uscendo dal lavoro, quando sivide affrontato da quel tale arcolano, che poi mi
lanciò quelle minacce in occasione della Madonna Pellegrina; il quale
incominciò subito a gridare per richiamare gente e, fra le urla, formulava
mortali accuse nei confronti di mio padre: “E’ un gerarca fascista, un
assassino dei partigiani, un nemico del popolo!”. Papà, sbalordito, lì per lì
non seppe come reagire, se non negando e proclamando l’assurdità di quelle
accuse. Si accorgeva, però, di non riuscire a persuadere nessuno. Anzi, ora, la
folla che era radunata lo circondava e lo stringeva d’appresso, minacciosa.
Quando l’accusatore vide che mio padre era ben circondato, disse ai presenti:
“Non lasciatevelo scappare, ché vado alla caserma dei partigiani perché venga
chi dovrà arrestarlo e processarlo”. Detto questo, partì. Papà era
terrorizzato. Non sapeva cosa fare. In una situazione di legalità non avrebbe
avuto da temere: mai era stato gerarca; e per tutto lo svolgimento della guerra
era rimasto a Pola, ove si era tenuto ritirato dalla politica attiva, pur
rimanendo di fede fascista fin quasi all’ultimo. Ma il difendersi da accuse
così terribili in quel momento di confusione, di processi sommari e di
esecuzioni facili e spicce, lo vide impossibile. E già si teneva per morto.
Quando, più indietro, ma sempre nella folla che lo circondava, scorse un volto
che conosceva, e subito si mise a gridare: “Conte! Conte!”. La persona
interpellata era veramente un conte che ad Arcola aveva una villa. “Conte!
Conte! Lei mi conosce, sa chi sono e sa che non ho fatto nulla di quello che mi
si accusa; come anche sa che da quasi cinque anni non ero al paese…”. E credo
abbia aggiunto anche altro sullo stato di alienazione mentale del suo
accusatore. Il conte rispose senza troppo esitare testimoniando che conosceva
mio padre per persona seria e tranquilla, che le sue parole erano veritiere e
che era senz’altro innocente di tutte le
accuse rivoltegli. La folla, a quelle parole, parve perdere d’un tratto la sua
minacciosità e, dopo un momento, mio padre si accorse di non essere più
strettamente circondato e che davanti gli si stava aprendo un passaggio. Allora
lo imboccò e subito sparì.
Chissà che faccia avrà fatto poi
quell’uomo, quando, tornato con i partigiani, non avrà più trovato nessuno!
Infatti, come aveva dichiarato a mio padre nel calore delle accuse, era già da
un mese che era a Genova per cercarlo di persona. E se queste parole erano
vere, certo doveva odiarlo molto. Ma la cosa che ancora mi sconcerta è che
tutto quell’odio dell’uomo era dovuto a ragioni di interessi privati: nato da
una lite che aveva avuto col nonno Giovanni, scoppiata per un passo carrabile.
E la politica non ci sarebbe potuta entrare di meno. So con certezza che la
ragione legale stava dalla parte del nonno. Ma, per un odio simile, dovevano
essere intervenute offese che certo avevano trasceso i termini della disputa. E
così quel litigio, apparentemente banale, avvelenò la vita di tutti, fino
alla morte dei contendenti e oltre,
portando le sue tragiche conseguenze nelle vita dei figli e anche in quella dei
nipoti.
Poi, passati quei terribili giorni,
si ritornò alla legalità. E tutto quell’odio rimase come raggelato nell’aria.
L’ultima sua aperta manifestazione, per quel che ne so, fu proprio l’episodio
della Madonna Pellegrina, con le parole pronunciate dal Monticello che,
fortunatamente, erano ormai solo parole. Pur tuttavia bastarono ad inquietare
gli animi ancora per molto tempo.
(La casa
sepolta, ed. Albatros)
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UN REGNO MERAVIGLIOSO
di Marta
Eravamo già ai primi di giugno ed ancora la primavera
stentava a compiere il suo percorso: la temperatura ancora fredda per la media
del periodo e tanta pioggia. I fiori del ciliegio, subito sfioriti, avevano
lasciato pochi frutti. Quel giorno, mossa dalla curiosità di vedere se le
ciliegie cominciavano a maturare e se i tanti merli iniziavano a beccarle, ho
voluto perlustrare i rami, ma ho constatato che erano poche e acerbe.
Lo
stesso giorno, verso sera, alcuni ragazzi stavano giocando sotto quel ciliegio,
quando Nicola, bianco come il latte e tutto allarmato mi dice: “Marta, su
quell’albero c’è un grosso nido di vespe, chiamo subito i pompieri!”. Ma come,
la mattina ero lì e non ho visto niente… Mio Dio! Non credevo ai miei occhi: un
enorme alveare di api da miele, brulicante e ronzante era tra i rami del
ciliegio. Le api erano tante e tutte lì a curare la regina. E ora, che fare?
Era ormai quasi notte e ho pensato di rimandare il problema all’indomani
mattina.
Il
mattino dopo, visto che lo sciame era ancora lì ho pensato di chiamare Caterina
che di api se ne intende, infatti fa l’apicultrice e produce dell’ottimo miele.
Mi ha risposto da Moncigoli, dove stava curando le sue api e mi ha detto che
sarebbe venuta nel pomeriggio per vedere il da farsi. Mi ha spiegato che quella
regina aveva senz’altro lasciato il suo alveare per cercare un posto a lei più
propizio dove produrre ed ingrandirsi, portandosi dietro le sue ancelle addette
alla pulizia, quelle addette all’alimentazione, quelle della’ nursey’, le
operaie, le soldatesse pronte a difenderla da attacchi esterni… Solo pochi
maschi ci sono nell’alveare: servono
alla regina solo per la fecondazione delle uova e sono chiamati fuchi.
Caterina
è arrivata verso le 16; aveva già alle spalle una giornata di lavoro con le sue
api. L’operazione che si accingeva a compiere aveva radunato un piccolo gruppo
di curiosi per vedere come avrebbe fatto a prendere quello sciame di api.
Eravamo tutti trepidanti ad assistere a quell’interessante lavoro. Caterina ha
indossato una tuta bianca munita di cappuccio, con la parte del viso traforata;
ha acceso dei cartoni (forse specifici per quell’operazione) che hanno
cominciato a produrre del fumo che, ci ha spiegato l’esperta, avrebbe reso le
api più mansuete. E così, infatti, sono rimaste tranquille mentre Caterina ha
preso tutto il blocco e lo ha deposto nella cassetta-arnia. Quelle che erano
rimaste fuori si chiamavano tra di loro alzando l’addome all’insù: questo era
il loro modo di comunicare, ci ha spiegato Caterina. Lei sarebbe tornata prima
di buio con la certezza di trovarle tutte nell’arnia.
Abbiamo
fatto a Caterina alcune domande: “Ma ora c’è già il miele?”. “Sì, ma è buono
solo tra un anno”. “Le metti insieme alle tue arnie?”. “No, perché devono stare
un periodo in quarantena; potrebbero essere malate e così contagiare le altre;
inoltre c’è da temere una vespa killer che arriva dall’Africa e che sta
decimando tanti alveari: siamo all’erta a livello mondiale”. Caterina è una
minuta donna bionda con notevole forza d’animo, in contrasto con il suo essere
delicato; anche la sua voce è dolce, oltre ai suoi modi gentili e cortesi. Ci
ha poi detto se le volevamo tenere noi per cominciare a coltivarle; le avrebbe
donate volentieri a qualcuno che si accingesse ad entrare in questo piccolo
meraviglioso e dolce regno. Poi Caterina è salita sulla sua piccola jeep
accompagnata dagli applausi dei presenti.
Grazie,
Caterina, per la tua buona disponibilità.
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Grandi festeggiamenti per don Giovanni Dalla Mora
di Enzo
Il 29 giugno per Don
Giovanni non è stato un anniversario comune, ma una grande ricorrenza: il 60° anniversario
della sua Ordinazione Sacerdotale. Per questo alcuni suoi parrocchiani di San
Giuseppe /San Martino, sotto la guida di Padre Onildo, hanno raggiunto
Trebaseleghe per essergli vicino in questa importante ricorrenza. Siamo partiti
molto presto perché non potevamo non essere presenti alla celebrazione della
Santa Messa. Infatti, prima delle 6 eravamo giá tutti in viaggio, a bordo del
pulmino che molto generosamente Don Andrea ci ha messo a disposizione. Siamo
arrivati mentre don Giovanni rivolgeva al Buon Dio il suo ringraziamento per i
doni ricevuti, nei termini che riporto fedelmente: "La Santa Messa è di
ringraziamento a Dio, per intercessione di Maria e di San Luigi Orione, per il
grande dono del sacerdozio. Ordinato a 40 anni, oggi dopo 60 anni ed alla
vigilia dei 100, celebro per dir grazie al Signore del dono di essere uno dei Figli
della Divina Provvidenza di Don Orione".
Quindi è iniziata la celebrazione della Santa Messa. Sono rimasto
ammirato e quasi estasiato per le esecuzioni dei canti religiosi effettuati da
un coro improvvisato ma non per questo meno affiatato. Poi ho capito la ragione
di questo miracolo: si trattava di sacerdoti orionini che erano corsi a
solennizzare questa grande ricorrenza, che vedeva anche la concomitanza
dell'anniversario del 60º di sacerdozio di Don Cirillo Longo, economo
provinciale proprio quando venne decisa la realizzazione della Casa orionina di
Trebaseleghe.
La chiesa era gremita di
fedeli e molti erano anche i parenti di Don Giovanni, compresa la sorella di 95
anni, venuti a festeggiare questo grande avvenimento. Numerosi pure gli ospiti
della Casa, parecchi accompagnati sulle loro carrozzelle. Evidentemente non
hanno voluto mancare a questa meravigliosa cerimonia, per il grande affetto che
portano a Don Giovanni.
Dopo il pranzo, in un clima di profonda gioia e fratellanza, siamo
ripartiti per raggiungere le nostre case. Succede sempre cosí: tutte le volte
che andiamo a trovare Don Giovanni, ripartiamo col cuore strizzato, perché non
vorremmo mai staccarci da lui, tanto è l’amore che proviamo per questo nostro
grande benefattore. Portavamo comunque con noi la gioia che presto avremmo
potuto riabbracciarlo ad Ortonovo, insieme al Direttore, don Luciano Degan,
persona meravigliosa.
Abbiamo chiesto a Don Giovanni se era possibile averlo con noi ad
Ortonovo il 16 Agosto, giorno del suo 100º compleanno, ma abbiamo dovuto
riconoscere il diritto che avevano i suoi nipoti e la sorella ad averlo fra
loro a Vignui di Feltre, in occasione di una ricorrenza cosi sensazionale.
Quindi siamo stati ben felici di concordare la sua venuta fra noi, nei giorni 24
e 25 Agosto, per noi sarà certamente un grande avvenimento.
Don Giovanni é il primo sacerdote
orionino a raggiungere il traguardo dei 100 anni e quindi tutta la
Congregazione si è stretta intorno a lui. Nella comunità di Trebaseleghe prega
e celebra in cappella, fa le sue prediche alla gente, visita gli
"anziani" del pensionato e sgambetta nei corridoi ancora con passo
sicuro. Eppure, quando aveva 20 anni lo avevano dato per morto a causa di una
peritonite acuta perforata e, quando aveva 61 anni, due giovani rapinatori gli
spararono da due passi, solo ferendolo, nel suo ufficio di Bologna, durante una
rapina.
Don Giovanni è nativo di Vignui di Feltre (Belluno). È entrato in
Congregazione a Tortona il 7 febbraio 1941 quando aveva giá 28 anni. Prese i
voti nel 1942 e divenne sacerdote il 29 giugno 1953. Prima di entrare in
Congregazione aveva dovuto per anni lavorare nella fabbrica di automobili
"Lancia" di Bolzano, per sostenere economicamente la famiglia finché
la crescita di una sorella che ha potuto farsene carico non gli ha consentito
di dedicarsi interamente al Signore. Poi il Signore e Maria Santissima lo hanno
donato ad Ortonovo per 30 anni. È rimasto il nostro pastore finché le forze
glielo hanno consentito. Poi, a 95 anni compiuti, ha dovuto ritirarsi anche se
ha sempre continuato a svolgere il suo ministero in maniera impeccabile e
commovente. Ci ricorda certi alberi carichi di frutti che sembrano non farcela più,
che si curvano ed hanno bisogno di puntelli e di aiuti per reggere, ma non
rinunciano a portare a termine la loro missione, come ha potuto affermare Don
Flavio Peloso, Direttore Generale della Congregazione Orionina.
E finalmente oggi don Giovanni è con noi! È arrivato
nel tardo pomeriggio di sabato 24 agosto, come da programma, accompagnato dal
suo Direttore. Ad accoglierlo un folto gruppo di parrocchiani, guidati da Padre
Onildo, che con lui hanno consumato una cena frugale ma nello stesso tempo
meravigliosa per lo spirito di immensa commozione e fratellanza che ha pervaso
tutti i partecipanti. Non ci saremmo mai staccati da lui, avremmo voluto che
continuasse ad intrattenerci per tutta la notte, ma il buon senso ci ha
suggerito che era opportuno lasciarlo libero, almeno a mezzanotte, per
consentirgli di recuperare le forze, nel “suo” Santuario. D’altra parte avremmo
avuto davanti tutta la mattinata seguente per essergli vicino.
Questa mattina recandomi a S. Martino per la Messa delle ore 9,30, con
mia grande meraviglia ho visto che Don Giovanni era giá nel piazzale della chiesa
di San Giuseppe, dove si era recato per pregare, molto prima della S. Messa. Mi
è stato poi riferito che aveva giá fatto visita anche alla chiesa di S. Martino,
dove avrá potuto rivedere la bellissima scalinata per la cui realizzazione ha
impiegato molte sue risorse.
Quindi, alle ore 11, la Messa solenne nella chiesa di S. Giuseppe,
accompagnata da meravigliosi canti liturgici eseguiti dalla Corale di S. Giuseppe
e con grande partecipazione di popolo.
Grazie, Don Giovanni ! Che
bella omelia e quanta commozione!
Dopo la S. Messa c’è stato un bagno di popolo. Tutti i parrocchiani erano
presenti per tributargli la loro riconoscenza ed attaccamento. Purtroppo il
tempo è volato e dopo le 13 don Giovanni ha dovuto accomiatarsi da noi, non
prima di averci fatto una solenne promessa: questa non sarà l'ultima volta in
mezzo a voi.
Un ringraziamento particolare a Placido e
Milena, fratello e cognata di don Luciano che hanno reso possibile questo
incontro accompagnando i due sacerdoti in questo lungo viaggio.
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Una terapia contro la solitudine della vecchiaia
di Romano Parodi
C’è più tempo che vita. Gli uomini
anelano a campare più di cent’anni, ma già dopo la pensione, quando avrebbero
l’opportunità di fare ciò che desiderano, del tempo non sanno più che farsene (vero
Doré?). Allora prendono contatto con i ricordi. Un’operazione assai rischiosa,
c’è il pericolo di scoperchiare una storia di crudeli sconfitte.
Ricordare
non sempre è gioire e il rimpianto di ciò che non torna obnubila anche i cieli
più limpidi. Riemergono dalle tenebre i tanti nodi irrisolti della tua esistenza,
i tantissimi sbagli con i relativi rimpianti, il cumulo dei sensi di colpa che
mai cadranno in prescrizione.
Il
nostro sguardo deve essere carico di pietà perché non sappiamo bene cosa ci
potrà succedere. E allora la pietà ci può servire per vivere meglio, per non
lasciarci ingannare dalla storia.
Le perdite e le malattie hanno
lasciato nel mio animo una patina di profonda nostalgia così inesorabile, da
spingere i pensieri a lambire lo sconforto e la rassegnazione. Osservo
distrattamente ogni cosa. Mi dicono che domenica è Pasqua, che il susino è
fiorito, le viole, poche, sono sbocciate, gli ulivi hanno messo i “bottoni”, le
rondini sono tornate… So che queste cose si manifestano ancora, che tornano
anche per me, ma se non me lo dicono non me ne accorgo. Bisogna, allora,
pensare all’incanto che ci può prendere in qualsiasi momento, altrimenti è la
fine. E per meglio predisporsi all’incanto l’uomo ha nella poesia e nella
scrittura, un’arma efficace per contrastare le fisiologiche brutture del suo
presente.
Sono sempre stato una persona
volubile. I miei interessi hanno subito continue metamorfosi: dallo sport al
sindacato, dai francobolli alle cartoline, dai libri gialli a quelli di
fantascienza, dalle monete ai fumetti. Avevo pile di giornalini. Li tenevo nel “solaron
d’l mi zi Carlin”: tutti finiti ai topi!. Peccato. Oggi Jim Toro, Kansas
Kid, Nick Fulmine, avrebbero una bella quotazione. A scuola (fino alla terza avviamento) andavo
bene solo in matematica. I problemi
matematici mi hanno sempre appassionato: algebra e geometria le mie materie
preferite. Stavo ore e ore pur di venire a capo di ogni problema. Oggi non so
più nemmeno le tabelline. Leggevo libri in continuazione, sino all’una o due di
notte; oggi non leggo più libri, non mi riesce proprio, do loro solo una
“scorsa”, poi li ripongo. Non ci crederete ma l’ultimo libro che ho riletto
interamente è “I Promessi Sposi”, in ricordo di don Corsini, mio prof. di
religione, che diceva: “Se volete scrivere bene, leggete tutti i giorni una
pagina dei Promessi Sposi, come faccio io dopo
il breviario”, ed era un grande scrittore. Mi sento un “mezzo morto”. I
miei interessi sono la grande poesia (che trovo solo nelle librerie) e scrivere.
Non passa giorno senza che mi sieda al computer. Se i cervicali me lo
permettono passo ore felici a battere sulla tastiera. Avrò scritto più di mille
pezzi, che giacciono incompiuti, abbandonati alla loro mediocrità.
I
migliori e più idonei alle direttive continuo a pubblicarli su “Il Sentiero”.
Nel mio stato di “mezzo morto”, la cura migliore, la massima fonte di felicità
è scrivere una buona mezza pagina. I miei giorni son difficili, se non scrivo.
Sono continuamente alla ricerca di argomenti interessanti. Non è facile scovarli.
L’importante però è riuscire a trovare la speranza per far passare la giornata.
Essere felici e gioire se la pagina che ti porta in un nuovo mondo è buona. Lo
scrivere è diventato una medicina, al punto che, quando la mezza pagina mi
sembra buona, allora mi sento un “mezzo vivo”. Questo stato di “mezzo morto” mi
avvolge ogni pomeriggio e solo con questa cura riesco a non diventare il
cadavere di me stesso. Rimanere da solo in una stanza e scrivere è una terapia
che consiglio a tutti gli anziani. E non crediate che non ne sareste capaci,
s’impara più o meno bene, tutto.
Mio nonno Luì, mezzo analfabeta, ha scritto un diario
della sua guerra del ’15-’18. Peccato che si sia fermato dopo poche pagine. Per
lui deve essere stata una fatica tremenda.
Un’amica novantenne, di Sarzana, mi dà le bozze dei suoi
libretti affinché io (sic) li corregga prima di stamparli e regalarli a parenti
e amici. Ne stampa 100 copie. E 50 copie le stampa l’amico Cinzio Marchi. Tutte rigorosamente numerate a mano. L’ultimo
che mi ha donato è il n.° 18. Questo per dimostrare che non bisogna aspettarsi
di essere letti. Poca gente legge: ne volete la prova? Scrivete. Molta gente
invece scrive: ne volete la prova? Leggete. A volte nei miei articoli citando
dei nomi ( Davidon, Casani Giòbatta, Pellistri, P’legro ecc.) penso di
suscitare la curiosità a saperne di più. Niente di tutto ciò. Altre volte ho
provato a fare delle provocazioni: niente di niente. Alcuni mesi fa, visto che
mai nessuno mi interpellava, ho voluto rendermi conto di quanti leggono i miei
“pezzi”.
Ho intervistato dieci persone. Ebbene nessuna di queste
aveva letto il mio “capolavoro”.
Consoliamoci col sapere che, come
me, molti non sono mai arrivati là dove sognavano e rassegniamoci. Si può
scrivere anche per il solo piacere di passare una mezza giornata affaccendati in
un altro mondo e di essere l’unico a rileggersi a pubblicazione avvenuta.
D’altra parte se ognuno di noi parlasse solo per dire cose utili e interessanti
un silenzio di tomba scenderebbe sulla terra.
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