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ORIGINE DEI NOMI DEI PAPI
di Antonio Ratti
Con questo articoletto spero di fare chiarezza su molte curiosità riguardo i nomi dei papi. In principio c’era semplicemente il vescovo di Roma che era tenuto in grande considerazione e ascoltato da tutte le comunità in quanto successore diretto dell’apostolo Pietro. Tale titolo rimase in vigore per diversi secoli ed è stato rispolverato con energia dall’attuale pontefice. In epoca costantiniana, quando cominciò a formarsi la prima embrionale gerarchia ecclesiastica, le diocesi e i loro vescovi facevano riferimento a cinque Patriarcati: Gerusalemme (il più antico e il meno importante), Antiochia, Alessandria d’Egitto, Costantinopoli (ultimo nato, per volontà imperiale, che contese il primato di Roma), Roma, detto Patriarcato della Chiesa d’Occidente. Il nome è palesamente di origine biblica, infatti patriarchi (= anziano-saggio) erano nominati i primi indiscussi capi delle dodici tribù. Nei primi secoli agli episcopi e ai presbiteri era riservato l’appellativo di pàpa. Il termine greco pàppas o pàpas e quello latino papa era il vezzeggiativo con cui il bimbo era solito rivolgersi al padre (l’odierno confidenziale papà). Nel nostro caso il nome assumava il valore di paternità spirituale e di riconoscimento di autorità. Dall’ottavo secolo in poi, in Occidente, il titolo papa diventa esclusivo del Vescovo di Roma. La più antica menzione di questo appellativo deferenziale per il vescovo di Roma si deve ad una epigrafe trovata nelle catacombe di s.Callisto: il diacono Severo scavò (com’era in uso allora) un cubicolo doppio per sé e per la famiglia in occasione della morte della figlioletta decenne, dicendosi autorizzato dal papae Marcellini (296-304), ma l’espressione non aveva ancora il significato che avrebbe acquisito in seguito, cioè di capo indiscusso della Chiesa cattolica. Anche il concetto e il titolo di Vicario di Cristo sono molto più tardivi, XIII secolo; fino allora ciò che rendeva unico il Vescovo di Roma era la sua diretta successione dal primo capo della Chiesa insediato da Gesù stesso. Anche il titolo di pontifex mutuato dagli imperatori romani, capi del Pantheon pagano e in particolare di Giove capitolino, protettore di Roma, compare quando comincia a delinearsi la formazione dello Stato pontificio e, soprattutto, quando si accendono le feroci dispute con l’Impero sulla priorità e superiorità del potere religioso su quello politico. Tutti i titoli che potevano evidenziare la superiorità del potere papale su ogni altra autorità erano ben accetti: in sostanza era il modo più esplicito per incidere e gestire una assoluta forma di protettorato religioso-papalino sulla politica europea. Basta ricordare, a conferma, come gli imperatori chiedessero, per rendere inoppugnabile l’origine divina del titolo, di essere incoronati dal Papa ( es. Carlo Magno la notte di Natale dell’8oo). Quando i sovrani non tolleravano questa sudditanza lo scontro si faceva duro e cruento e diversi papi, per difendere tale privilegio, si mostrarono tutto tranne che pastori di anime. Con la recentissima elezione al soglio pontificio del cardinale Bergoglio e con l’assoluta novità del nome Francesco, la curiosità intorno alla scelta dei nomi papali è cresciuta. Viene definito nome pontificale quello che il papa, appena eletto, decide di assumere dinnanzi ai cardinali ancora riuniti nella Cappella Sistina per la proclamazione. La scelta di cambiare il nome di battesimo è un’usanza che non risale alle origini, ma si fa strada, forse, con l’intenzione di uniformare la nomenclatura limitandola ad un ristretto numero di nomi adatti ad indicare la grandezza della missione cui è chiamato l’eletto. Nonostante le scarse notizie biografiche in possesso, è accertato come nei primi secoli i papi-vescovi di Roma mantennero il nome di battesimo. Lo dimostra il fatto che i nomi erano chiaramente tutti di origine greca o latina, giudea o africana o mediorientale. Il primo caso documentato di cambio del nome è del 533, quando Mercurio, a causa del suo nome troppo pagano, decise di chiamarsi Giovanni. Altri papi, quasi coevi, come Simmaco e Ormisda, non avvertirono questa esigenza e matennero il proprio nome. Tra l’VIII e il IX secolo il cambio del nome si fece consuetudine consolidata. Non esistono linee guida nella scelta, ma sta alla sensibilità e a motivazioni personali. C’è chi vuole rendere omaggio a un santo, altri che desiderano onorare la memoria di un predecessore o ispirarsi al suo magistero. Per esempio, Angelo Roncalli scelse Giovanni per motivi affettivi e religiosi: Giovanni era il nome del padre e della chiesa dove era stato battezzato. Per quanto riguarda la numerazione il problema non si pose subito, infatti il primo era il senior, mentre il secondo junior. Le dfifficoltà arrivarono quando si dovettero distinguerne tre: inizialmente si usava l’espressione secundus junior. Ma il meccanismo non funzionava, così papa Gregorio III decise che si aggiungesse al nome il numero progressivo: dal X secolo divenne la regola. Oggi con papa Francesco la regola non è stata rispettata, in quanto lui è solo Francesco. Solitamente ogni papa si sceglie il nome che più gli aggrada tra quelli presenti nell’elenco dei Vescovi di Roma, tranne papa Francesco, che con questa sua scelta fuori da ogni tradizione, forse ha voluto significare che è giunto il momento del cambiamento e del rinnovamento in senso strettamente evangelico proprio come aspirava fare il Poverello di Assisi. Sarebbe interessante conoscere l’atteggiamento dei cardinali della Sistina davanti alla fermezza di una scelta così innovativa che ha tutto il sapore di un programma ben chiaro nella mente di papa Bergoglio. Sembra che Albino Luciani volesse scegliere Pio XIII in memoria di san Pio X, suo conterraneo e predecessore nel patriarcato veneziano, ma poi decise di optare per i suoi predecessori, protagonisti del Concilio Vaticano II. Questo è il primo caso di doppio nome, Giovanni-Paolo. Anche Karol Wojtyla avrebbe voluto un nome insolito, Stanislao, patrono della Polonia, ma i cardinali riuscirono a dissuaderlo perché troppo legato a una realtà nazionale e non universale. Con l’attuale pontefice i cardinali del Conclave si sono arresi davanti alla sua ferma volontà che vuole coniugare la cultura gesuitica con quella francescana. Per finire, ricordo che il primo capo della Chiesa universale fu anche il primo a cambiare nome: si chiamava Simone di Giona, ma Gesù, dopo averlo invitato a farsi pescatore di uomini, gli disse: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.
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“Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” (23.05.2013)
di Una assidua lettrice
“Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” (23.05.2013)
Questa frase di Gandhi è sicuramente la soluzione per uscire da questo periodo: ognuno di noi deve prendersi la responsabilità dei propri gesti, parole, ossia il suo operare nei confronti del prossimo. Come diceva Giovanni Paolo II, siamo noi che possiamo ridurre il mondo in macerie o in un giardino. Ma non scoraggiamoci, facciamo tesoro dei nostri errori e rialziamoci, tenendo come guida il Vangelo di Gesù e i Dieci Comandamenti.
Oscar Wilde diceva: “Vivere è la cosa più rara al mondo: la maggior parte della gente esiste e nulla di più”. Quindi dobbiamo vivere; alla nostra vita dobbiamo dare un senso, non esistere puntando sulle apparenze, ma amando le persone che il Signore ha messo sulla nostra strada. Che senso ha riempire di doni materiali le persone che ho accanto e non dono loro il mio tempo, il mio amore?
Domenica scorsa il Santo Padre diceva durante la Messa di Pentecoste che lo Spirito Santo porta “novità, armonia, missione. Se la spinta che abbiamo non porta in noi amore, pace, unione, ma divisione, ansia, angoscia, individualismo, narcisismo, egocentrismo, egoismo e quant’altro di male, non è lo Spirito Santo che ascoltiamo, ma lo spirito dell’”inquilino di sotto”. Papa Bergoglio ci invita inoltre a chiederci: “Sono aperto all’Armonia dello Spirito Santo?”. E aggiunge che lo Spirito crea diversità, ma allo stesso tempo porta unità: ognuno di noi ha la sua identità, ma dobbiamo avere la capacità, col rispetto reciproco, di coabitare assieme.
Giovanni Paolo II, durante un “Angelus”, diceva che a volte vediamo che le nostre differenze sono molte, ma la nostra fede può trasformare il mondo; la comune fede in Dio ha un valore fondamentale. Essa, facendoci riconoscere tutte le persone come creature di Dio, ci fa scoprire l’universale fratellanza. Questo amore trasforma la nostra vita e ci riempie di gioia; ci fa capire che Gesù non è venuto per caricarci di fardelli, è venuto ad insegnarci cosa significa essere pienamente felici. Pertanto scopriamo la verità su Dio, nostro Padre, su Gesù nostro Salvatore, sullo Spirito Santo che dimora nei nostri cuori.
Buon cammino di conversione quotidiana a ciascuno di noi; se stiamo uniti non ci perderemo mai. Buona estate a tutti e, se permettete, vi consiglio un libro che io ho già letto tre volte: “La Nuova Evangelizzazione”- una sfida per uscire dall’indifferenza-, di Mons. Rino Fisichella.
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